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Autore: Ludo_A    17/02/2014    0 recensioni
Le pagine bianche l’avevano sempre spaventata, significavano un nuovo inizio, abbandonare un posto confortevole e conosciuto per tuffarsi in un grande abisso di cui non si può immaginare l’immensità.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Le pagine bianche l’avevano sempre spaventata, significavano un nuovo inizio, abbandonare un posto confortevole e conosciuto per tuffarsi in un grande abisso di cui non si può immaginare l’immensità. A Vivien il suo futuro sembrava esattamente così: un enorme ed incerto foglio bianco, tutto ciò che aveva scritto della sua vita in precedenza era stato spazzato via una sera di qualche settimana prima dalle parole di suo padre: -Ragazze...iniziate a preparare le valigie, tra un paio di settimane ci trasferiamo a casa di zia Rose-. I visi di Vivien e della sorella Jenny erano diventati paonazzi e le forchette erano cadute rumorosamente nei piatti, dando una buona rappresentazione del rovinoso crollo emotivo delle sorelle Langster, l’ atmosfera nella cucina era diventata tesa e pesante nel giro di pochi secondi. Le ragazze, per la prima volta d’accordo su qualcosa, avevano provato ad opporsi a questa improvvisa e molto poco democratica decisione con tutte le loro forze ma Edward era stato irremovibile e la aveva zittite ancor prima che le ragazze potessero completare una frase. Vivien si era girata verso sua madre, con la sottile speranza che almeno lei volesse e potesse fare qualcosa ma Emily continuava a mangiare svogliatamente piluccando qualche carota dal piatto, come se niente fosse successo, succube delle scelte del marito, passiva e disposta a tutto pur di non dargli un pretesto per abbandonarle, scappando con una delle sue numerose amanti di cui lei era perfettamente a conoscenza. L’anziana zia Rose, lontana parente di Edward, era spirata poco tempo prima e a quanto pare aveva lasciato al suo unico, caro nipote la sua grande casa nella ridente cittadina di Lakewood, Ohio, a circa 2000 km da tutto ciò che Vivien amava e conosceva. Ora, davanti al suo foglio bianco, che si presentava sotto le sembianze di un’enorme casa in stile vittoriano, con le finestre di vetro colorato e una grande veranda piena di fiori che si arrampicavano mollemente su un piccolo dondolo di legno su cui erano appoggiati un paio di cuscini di un pallido color rosa, la ragazza ripercorreva con la mente gli ultimi momenti passati con Bill e Joel, le uniche persone al mondo che erano state in grado di farla sentire parte di qualcosa. Il pomeriggio prima della sua partenza i due l’avevano portata nel loro posto, una piccola altalena appesa al pericolante ramo di un albero, vicino alla strada principale del suo paese e lì si erano scambiati la promessa di non perdersi mai di vista. Vivien, Bill e Joel ci credevano, credevano davvero a ciò che li univa, credevano davvero che la loro amicizia, l’unica che la ragazza avesse mai avuto, non si sarebbe dissolta col tempo. Si erano incontrati lì per la prima volta tre anni prima, quando Vivien aveva circa quattordici anni e stava da sola come al solito con le cuffie nelle orecchie e un libro in mano a dondolarsi placidamente sull’altalena, con il sole che le sfiorava la pelle illuminando la carnagione chiarissima. Era ancora una bambina, i lunghi capelli biondi le cadevano sul viso dalle fattezze infantili e gli occhi nocciola, grandi e profondi, divoravano avidi di sapere le pagine che aveva in mano. Era ancora una bambina ma la natura le aveva fatto il dono, se così si può chiamare, di un’ immensa consapevolezza di ciò che la circondava così, dietro quegli occhioni da cucciolo, si celava la tristezza e la conoscenza del mondo di una donna che ha visto e vissuto più di quanto una ragazzina possa anche solo immaginare. Vivien non aveva amici, era consapevole del fatto che ai ragazzi della sua età non interessava nulla della sua vita senza vestiti carini e trucchi appariscenti, dei suoi libri e della sua musica e a lei in effetti non interessava condividere con nessuno queste cose, Vivien bastava a se stessa. Bill e Joel erano arrivati da lei insieme ad una pallonata in pieno viso, Vivien si era trovata, senza capire bene cosa fosse successo, con le gambe per aria, i due ragazzi, di poco più grandi di lei, erano accorsi preoccupati seguendo la traiettoria del loro pallone. -Cazzo J, se non sai tirare prova un altro sport…tipo gli scacchi, così eviti di uccidere qualcuno- Bill, il ragazzo che sembrava più grande, con un cespuglio fulvo al posto dei capelli e le spalle larghe, come quelle di un abile nuotatore, stava rimettendo in piedi Vivien che adesso iniziava a sentire un terribile dolore alla tempia sinistra. –Tutto bene?- Joel, alto e magro, stretto in un giubbotto di pelle nera dei Ramones, con i lunghi capelli scuri che scendevano in boccoli fin sotto le spalle, guardava con un’espressione preoccupata, il taglio che la ragazza aveva sopra al sopracciglio mentre le calcava il largo cappello che era caduto, sulla testa. Vivien, un po’ frastornata aveva annuito pronta ad andarsene di corsa, più arrabbiata per aver perso il punto dove era arrivata nella lettura che per l’inconveniente del pallone. -Nella sacca ho dei cerotti, se aspetti un attimo te li porto-. Vivien aveva alzato lo sguardo per dire di no, che avrebbe fatto da sola, l’avrebbe detto con il suo solito fare scorbutico, con quell’aria di superiorità che ogni tanto le si dipingeva sulla faccia ma che non era assolutamente nelle sue intenzioni, qualcosa però l’aveva fermata, c’era qualcosa negli occhi dei due ragazzi che non aveva mai visto negli occhi di nessun altro. Era un misto di preoccupazione, sincerità e qualcosa di Vivien non sapeva spiegare, che l’aveva spinta ad accettare il loro aiuto. Da quel giorno i tre ragazzini si erano incontrati tutti i giorni all’altalena e Vivien aveva imparato cosa significava condividere con qualcuno le cose che aveva dentro, aveva imparato come si giocava a calcio, aveva imparato che una pizza e un bel film qualche volta erano meglio di un libro letto da sola alla luce soffusa della lampadina, aveva imparato a ballare con la musica al massimo saltando sul letto della camera di Joel e il significato di amicizia insieme a molte altre cose che nessun altro avrebbe potuto insegnarle. E adesso Vivien, all’età di diciassette anni era stata costretta a ricominciare da capo, si trovava di nuovo da sola, come non lo era mai stata, di nuovo nei panni della ragazzina sola e malinconica che si dondolava sull’altalena. Davanti alla porta della nuova casa stringeva le lettere che Bill e J le avevano lasciato, legate da un sottile nastrino nero insieme a qualche CD di musica indie che amavano ascoltare insieme ed a cinque o sei foto che li ritraevano in momenti di felicità che, la ragazza ne era certa, non avrebbe mai più potuto provare. La chiave che girava nella toppa l’aveva distratta dai suoi pensieri, con un passo Vivien si era fatta inghiottire dal suo foglio bianco, senza un’idea di cosa scriverci.
  
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