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Autore: Serpentina    17/02/2014    6 recensioni
Lei: ha deciso di dedicarsi anima e corpo al lavoro, nonostante una migliore amica determinata a ravvivare la sua vita sentimentale, "più piatta dell'elettrocardiogramma di un cadavere". Dopo una cocente delusione, ha deciso di fare suo il mantra: "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte".
Lui: strenuo sostenitore del motto "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Il suo obiettivo è fare carriera, non ha nè tempo, nè voglia di perdersi dietro ai battiti di un organo che, per lui, serve soltanto a mandare in circolo il sangue.
Così diversi, eppure così simili, si troveranno a lavorare fianco a fianco ... riusciranno a trovare un punto d'incontro, o metteranno a ferro e fuoco l'ospedale?
Nota: il rating potrebbe subire modifiche.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Festeggio un bel voto a un esame che non credevo avrei mai passato pubblicando un nuovo capitolo. Grazie, come sempre, a chi legge questa storia, a Bijouttina, che ha recensito, a elev, che ha recensito e la segue, a Grains e pepapig, che pure la seguono, e a isa_vale, che la “preferisce”. Enjoy! ^^
 



I don't need no decoration



 
Le donne sono un sesso decorativo. Non hanno nulla da dire, ma lo dicono con grazia.
Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde
 
La luce del sole che filtrava attraverso la tenda svegliò Erin Campbell, che gemette disperata. Mentre si massaggiava le tempie, in uno speranzoso quanto inutile tentativo di prevenire un'emicrania, venne travolta da una miriade di particolari, che le fecero capire di non trovarsi a casa sua. Tanto per cominciare, le pareti della sua camera erano tappezzate di poster degli Harlem Globetrotters e dei Chicago Bulls, che qui mancavano; in secondo luogo, lei non possedeva una X-Box, né uno scheletro finto, e, ultimo, ma non meno importante... a casa sua non avrebbe mai dormito sul divano, era talmente scomodo che sua madre lo usava come asse da stiro!
Stava per chiedersi dove diavolo fosse finita, quando le tornarono in mente gli eventi della notte precedente: dopo aver lasciato casa di Maggie insieme a quel moretto altezzoso che lavorava con Faith - Weil, se non andava errata - aveva acconsentito a fermarsi a casa sua per bere qualcosa; dopo le consuete chiacchiere disimpegnate tra quasi estranei, che avevano compreso i classici complimenti per l'appartamento, nonostante non fosse una gran bevitrice, aveva dato fondo alla riserva di alcolici, al punto di non sapere più cosa ingeriva, poi... buio assoluto.
Maledisse mentalmente prima se stessa, poi Chris, infine Faith, la quale, "alla faccia dell'amicizia", gli era stata appiccicata come una cozza allo scoglio tutta la sera.
Si coprì gli occhi con l'avambraccio e riprese a maledire il suo pessimo gusto in fatto di uomini: tra tutti gli esseri umani di sesso maschile sulla faccia della Terra, proprio di Chris doveva innamorarsi? Emise un sospiro melanconico, rassegnandosi alla triste prospettiva di vedere l'uomo che amava insieme ad un'altra, per di più sua amica; non aveva speranze: Faith era carina, intelligente, spiritosa ... migliore di lei, in tutto. Come poteva anche solo sperare di poter competere?
–Povero il mio fegato- biascicò, tastandosi il fianco destro, la bocca impastata e riarsa dalla sete. Si passò una mano tra i capelli e li sentì più scarmigliati del solito. Lo stato dei vestiti la lasciò basita: sia la maglia che la gonna erano stropicciate e arrotolate. Tentò di riportare alla mente gli avvenimenti successivi all'ubriacatura, ma senza successo, e le sovvenne un terribile pensiero troppo vergognoso da accettare: non era una bigotta contraria ai rapporti occasionali, ma si rifiutava di credere di aver passato la notte con qualcuno che conosceva appena, qualcuno che, oltretutto, aveva approfittato di lei mentre era ubriaca fradicia!
Il timore si tramutò in certezza non appena vide Weil fare uscire dalla sua camera da letto, coperto soltanto dai boxer.
"Fa che non l'abbia fatto con uno che mette boxer a fantasia di siringhe, ti prego!"
–Sei ancora qui- osservò lui, secco.
Erin, faticando a mettersi seduta, si puntellò sui gomiti e rispose –Le tratti sempre così quelle che ti porti a letto?
–Tecnicamente non ti ho portata a letto. Sei sul divano- puntualizzò lui, arricciando le labbra come se fare sesso con lei fosse un alternativa peggiore della morte.
Colpita dalla durezza di quelle parole, Erin ebbe un piccolo attacco d'ansia: non solo aveva fatto sesso con un semi-sconosciuto, addirittura non era riuscita ad arrivare al letto!
–Oddio. Oddio. Oddio! Non posso credere che.... con te! Perché non mi hai fermata?- guaì, scuotendo la testa come un cucciolo ferito.
–Aspetta- disse lui, interrompendo il flusso continuo di "oddio". –Credi che io e te ... Oh, andiamo!
Erin strabuzzò gli occhi, piegò da un lato la testa e chiese –Mi stai dicendo che... che non...?
–Dio, no!- sbottò lui, sbuffando una risata, per poi aggiungere, temendo di averla offesa –Non ci sarebbe stato nulla di male, eh!... Se fossi stata sobria. Hai avuto la fortuna di sbronzarti a casa di un uomo che considera approfittare di una donna ubriaca un'offesa alla sua virilità.
Erin, ancora incredula, chiese –Quindi noi non... non abbiamo fatto... niente?
–Niente di niente- la rassicurò Franz. –Non che tu non ci abbia provato, ma quando hai nominato Chris ho capito che il tuo, più che reale interesse per me, era desiderio di rivalsa, perciò ti ho dato il colpo di grazia con uno shot di ‘Infierno de fuego’, ti ho adagiata sul divano e sono andato a dormire.
Sconcertata dalla serafica calma con cui Weil le stava raccontando della figura barbina che aveva fatto, Erin esclamò –Sei andato a letto e mi hai lasciata sul divano,? Senza neanche una coperta? Sei un vero gentiluomo, non c'è che dire!
–Cosa ti aspettavi, che dormissi sul divano in casa mia?- replicò lui senza scomporsi, mettendo l'accento sul "mia".
Sbuffando, Erin si alzò, chiese ed ottenne un bicchiere d'acqua, si pettinò ed esalò, guardandosi intorno in cerca della borsa –Grazie per non avermi portata a letto. In tutti i sensi. Non mi va, né mi aspetto che mi inviti a fermarmi per colazione, perciò ... buona giornata.
Franz rispose –Prego. Se vuoi puoi fermarti a fare colazione, non ti mangio ... ho i miei muffin!
Alla parola muffin Erin si voltò, posò la borsa sul divano e raggiunse Franz a tavola. Afferrò il muffin che le porgeva, lo addentò, assaporò e, a bocca piena, esclamò –Da sballo! L'ha fatto tua madre?
–Magari!- replicò lui con un sorriso. –Mia madre è brava in cucina, ma i dolci sono il suo punto debole. Li compra in una pasticceria di Kerley Street con annessa saletta da tè, ‘Il dolce mondo di Mary’.
–Mary ha appena guadagnato una cliente- asserì Erin, che divorò un altro muffin e una fetta di Sachertorte.
Spazzolata via buona parte dei dolci in tavola, Franz accompagnò la sua ospite alla porta e la salutò con un divertito –E' stato un piacere ospitarti senza secondi fini. Se Chris dovesse perseverare nella sua coglionaggine, sai dove trovarmi ... basta che ti accontenti del divano e non tocchi la mia roba senza permesso.
Erin ridacchiò in risposta –Avevo visto giusto: c'è un tenero cuoricino sotto la scorza dura!
–Mai negato di avere un cuore- ribatté lui.
–Mostralo, allora, invece di spaventare tutti col tuo caratteraccio!- lo rimbeccò lei. –Sai a chi mi riferisco in particolare. Buon week-end.
Troppo assonnato per far fuoriuscire dalla propria bocca suoni articolati Franz annuì, quindi andò a ristorarsi con una doccia fredda.
A minare lo stato di completo benessere donatogli dalla doccia provvide il fastidioso trillo del telefono; rispose in tono aggressivo –Hallo, Mutti.
–Guten Morgen, Kind. Wie geht's?- squittì gaia sua madre.
–Fino a un secondo fa, bene. Cosa vuoi?- replicò, gelido.
–Avvisarti che tra dieci minuti sarò da te. Il tuo frigorifero langue, dobbiamo riempirlo- asserì Gertrud
–Mutti, è sabato!- uggiolò Franz. –Ci sarà una folla assurda, non conviene che vada in settimana al negozio a due isolati da qui?- ebbe un'illuminazione e decise di giocarsela. –C'è una commessa molto carina, potrei prov...
–Sei tremendo. Non mi freghi, l'unica donna che lavora in quel negozietto è la madre settantenne del proprietario!- abbaiò Gertrud. –Niente storie, ti voglio pronto e operativo tra dieci minuti esatti. Farai colazione per strada.
Se fosse stato più sveglio, forse avrebbe avuto la prontezza di controbattere che gli piacevano le donne stagionate - anzi "d'annata", per aumentare l'effetto comico- invece si limitò a sbuffare, vedendo dissolversi come neve al sole il sogno di un giorno di riposo, prima di affrettarsi a rendersi presentabile.
 
***
 
Anche Faith si era svegliata con la testa che le doleva, ma, a differenza di Franz, aveva avuto modo di prendere un'aspirina, prima che il telefono cominciasse a squillare.
Ancora assonnata, rispose –Pronto?
–Ciao, cucciola! Cos'è questa voce da oltretomba? Non mi dirai che eri ancora a poltrire, ghirotta!- ululò all'altro capo del telefono Rose Taylor in Irving.
–Cazzarola, mamma, è sabato! Cosa vuoi?- uggiolò, esasperata.
–Avvisarti che sto venendo da te per trascinarti - anche di peso, se servisse - a fare un pò di spesa, il tuo povero frigorifero piange!- asserì Rose con semplicità.
–Ma mamma, è sabato, ci sarà un casino da stadio al supermercato!- obiettò Faith.
–Non al discount sulla statale per Bristol. Tra l'altro, ha degli ottimi prezzi.
–Mami, ti prego, già mi tocca prendere l'auto per andare da nonna, non voglio prenderla anche per andare a fare la spesa! Odio guidare, lo sai!- uggiolò Faith.
–I soldi non crescono sugli alberi, cucciola, e i discount hanno prezzi più bassi del minimarket sotto casa tua, perciò smettila di mugugnare e vestiti, che tra dieci minuti si parte!- controbatté Rose, vincendo la partita.
 
***
 
Incazzato, con la testa stretta in una morsa di dolore Franz entrò in macchina, Franz storse il naso e allacciò la cintura di sicurezza. Appassionato di motori fin da piccolo, non aveva mai amato le quattro ruote; per lui esistevano soltanto le moto, per la precisione la sua Harley; gli amici lo prendevano in giro, dicendo che, più che un mezzo di trasporto, quella era una fidanzata, ma non gli importava: aveva sudato per potersi permettere quel gioiellino, e guai a chi glielo toccava.
–Sai, Kind, se avessi un'auto tutta tua...
–Ne abbiamo già discusso, Mutti. Non. La. Voglio. Ho la moto, mi basta e avanza!
–Ma Kind! Un'automobile significa spazio, e la possibilità di... ripararsi dalla pioggia, e...
Sei still!
–Avessi almeno la patente- sospirò mestamente Gertrud.
–Io ho la patente. Per la moto- osservò lui.
–E la chiami patente, quella cosa inutile?- obiettò Gertrud.
Franz incrociò le braccia e non proferì parola per il resto del viaggio.
 
***
 
Era ufficiale: odiava guidare. Con sua madre sul sedile del passeggero, poi, diventava un incubo da film di Hitchcock. Quella benedetta donna la faceva sobbalzare ogni due secondi con respiri mozzati o strilletti, e tutto per inezie quali aver superato il limite di velocità di dieci chilometri orari su un rettilineo pressoché deserto o avere sorpassato un carro funebre che viaggiava prossimo al limite minimo di velocità.
–Santo cielo, cucciola, come ti è venuto di giocare alla formula uno?- esalò Mrs. Irving massaggiandosi il petto.
–Punto primo: io guido benissimo, sei tu che sei una lumaca! Punto secondo: se avessi guidato come volevi tu, qui ci saremmo arrivate a Natale, e manco!- protestò Faith, dopodichè, afferrato un carrello, si inoltrò nella giungla umana che era un maxi discount di sabato mattina pentendosi di non avere un machete con sè.
–Ooh, guarda, c'è il salame in offertissima, prendiamone due!- trillò allegramente Mrs. Irving, felice come una pasqua, gettandosi nella mischia con entusiasmo.
"Mia madre e un carrello vuoto... si salvi chi può!" pensò Faith scuotendo la testa, avvilita dalla visione di sua madre che saltellava qua e là arraffando roba e gettandola nel carrello sempre più pieno.
–Ehm, mami- intervenne infine, titubante. –Secondo te io mangerò davvero tutta questa roba?
–Faith, non pensarci neanche, devi nutrirti non soltanto di yogurt e insalate, devi ingerire cibi sostanziosi- asserì Rose, severa. –Ricordi il valore dell'ultima sideremia? Ecco!
–Mamma, il ferro non sta solo nella carne, posso tranquillamente evitare di mangiarla... tanto più che non mi piace, e mai mi piacerà!- protestò Faith.
Rose la ignorò, e acquistò mezzo chilo di macinato.
 
***
 
Franz aveva compreso troppo tardi le macchinazioni di sua madre. Contro ogni logica, dato che non aveva animali domestici, lo aveva trascinato nella corsia del cibo per cani, dove, guarda caso, si erano imbattuti in una sua vecchia compagna di scuola, accompagnata dalla figlia.
La ragazza non era neanche male, di per sè, ma: uno, non avrebbe mai e poi mai dato a sua madre la soddisfazione di trovargli una donna; due, da un po' di tempo aveva in mente una certa persona, che non pareva intenzionata ad abbandonare i suoi pensieri. Scoraggiata ogni fantasia romantica delle due madri senza sembrare maleducato, se la svignò con la scusa di aver dimenticato di prendere il pesce.
Scherzo del destino o ironia della sorte, che dir si voglia, invece che in triglie e sardine, incappò... in Faith Irving.
"Quando si dice: dalla padella alla brace! Ok, se faccio finta di niente e mi allontano, forse... Troppo tardi, mi ha visto."
–Ehm, buongiorno, Irving... Faith. Come... come va?
–Oh, uhm... bene, grazie, Weil... Franz. Tu? Tutto bene?
–Non mi lamento. A parte la levataccia di stamattina, ovvio, ma non ho altre occasioni per fare la spesa, sai com'è..
–Lo so, lo so.
–Sei, qui da sola? Sì, insomma...
–No, sono venuta con mia madre.
–Tua... madre?- esalò lui, sentendosi inspiegabilmente sollevato per quella risposta.
–Sì, mia madre. Con chi altro sarei dovuta venire, scusa?- ribattè lei, che aveva notato la strana reazione di Weil, ma aveva deciso di non darvi peso.
–Nessuno... in particolare. Solo, credevo che... sì, insomma... saresti uscita con Chris.
–Con Chris?- sbuffò, incredula: come accidenti gli era saltata in mente un'idea simile? –Senza offesa, ma credevo lo conoscessi meglio di me. Ce lo vedi ad alzarsi prima di mezzogiorno… di sabato? A dire il vero nemmeno volevo mettere il naso fuori casa, oggi. Il mio programma prevedeva pulizie a suon di musica, un buon libro, un tè della mia collezione deluxe e coccole ad Agatha, la mia piccolina.
–Agatha?- balbettò, allibito, desideroso di chiederle chi fosse questa Agatha.
Invece di appagare la bruciante curiosità chiedendo informazioni, Franz si lasciò andare alle speculazioni più sfrenate.
"Agatha? Piccolina? Oh, merda, è una ragazza-madre! Forse il padre l'ha mollata, per questo è così acida. Forse aveva gli occhi azzurri... per questo mi odia. Cazzo, cazzo, cazzo! Ha una figlia! Figlia! F-I-G-L-I-A!", pensò, terrorizzato. –Devo andare- disse, e sparì prima che Faith potesse aprir bocca.
Gertrud non tardò a fargli presente il suo disappunto per come si era comportato con la figlia della sua amica, ma Franz non la ascoltava, era troppo preso da mille domande sulla presunta figlia di Faith.
–Kind, non mi stai ascoltando!- esclamò Gertrud.
–Dubito di aver perso un passaggio importante, sono quasi tre decenni che ascolto la stessa solfa!- ribattè lui.
–Potresti mostrarti un minimo partecipe, è la TUA spesa quella che stiamo facendo!- abbaiò Gertrud.
–E tu potresti evitare di infilare nel carrello roba che non mi piace- replicò Franz.
–Fosse per te questo carrello sarebbe pieno solamente di barrette Mars e noci di cocco, alla faccia dell'alimentazione sana e tutte quelle belle frasi che ripetete voi medici!- tuonò Gertrud.
–E va bene- si arrese. –Prendi cosa ti pare... però pretendo almeno tre confezioni formato famiglia di Mars!
 
***
 
Faith non amava svegliarsi presto la mattina. Tuttavia, se l'alternativa era più tempo per i pensieri negativi, preferiva di gran lunga andare al lavoro stordita.
Rivolse una fulminea occhiata alla gatta, che miagolava e muoveva la coda a ritmo di "Rivers of Avalon", osservò accigliata il suo riflesso, infine, in un impeto di rabbia, si spogliò con impazienza e scagliò i jeans e il dolcevita nel corridoio. Col viso arrossato e i lineamenti induriti dal precedente scatto d'ira, strinse i pugni, trattenendosi a stento dal fare a pezzi lo specchio.
A volte la sua figura le piaceva, ma per la maggior parte delle volte si girava dall'altra parte. Da quando la pubertà aveva irrimediabilmente modificato il suo corpo, non aveva provato altro che ribrezzo per quell'ammasso di carne imperfetto, poco tonico, eccessivamente rotondo, niente affatto corrispondente ai suoi desideri e ai moderni canoni estetici; le bastava stringere tra le dita gli insopportabili rotolini di grasso per avvertire un senso di nausea e costrizione toracica.
Si sedette ai piedi del letto con la testa sulle ginocchia, considerando, per qualche istante, la possibilità di recarsi in ospedale coperta da un sacco di juta; sentiva di non meritare di meglio, anzi, si sentiva in dovere di risparmiare agli altri la vista delle sue imperfezioni. Scartò quella possibilità esclusivamente perchè la vista di una persona malvestita avrebbe prcurato a Jeff un ictus, e non voleva averlo sulla coscienza.
Scosse la testa, si rivestì, accarezzò sulla testa Agatha, che ricambiò facendo le fusa, infine si voltò verso il suo Eden personale: la scarpiera. Se era vero ciò che diceva Coco Chanel, ossia “una donna  con ai piedi delle belle scarpe non può essere brutta”, Faith avrebbe dovuto avere un’autostima ipertrofica, perché adorava le scarpe quasi quanto i libri, il che, nel suo caso, era davvero tutto dire! Per lei, bibliofila "a bassa manutenzione", abituata a trovare di rado qualcosa che le piacesse, le stesse bene e fosse disponibile nella sua taglia, le scarpe erano una rivincita: non c'era modello che non le donasse, o che non arrivasse al suo numero, e non passava giorno senza che qualcuno, a volte persino sconosciuti, le facesse i complimenti per il buon gusto con cui le sceglieva e le abbinava. La sua collezione, in continua espansione, era decisamente eclettica: andava dalle sneakers alle cosiddette limo shoes, dai tacchi vertiginosi, che aggiungevano diversi centimetri al suo metro e settantacinque di altezza.
Esaminate accuratamente le varie opzioni, calzò un paio di stivali di pelle, con un teschio cucito sul lato esterno, che aveva acquistato per fare un dispetto a sua madre, si pettinò, infilò il cappotto, prese al volo la borsa e scappò in ospedale.
 
***
 
Per la prima volta in vita sua, Erin Campbell non aveva maledetto la sua altezza, che la obbligava a ordinare vestiti e scarpe su internet, perchè le aveva permesso di individuare Faith nel caos del bar, affollato di personale sanitario ed esterni.
–Ehi, Faith.
–Erin! Ciao! Ti vedo stanca. Vuoi un caffè, un tè, un cappuccino, una cioccolata calda? Offro io!
–No, grazie. Possiamo andare in un posto tranquillo?- le chiese Erin, che emanava più elettricità di un cavo dell'alta tensione.
–Certo- rispose Faith, convinta che l'amica volesse confidarle ciò che già sapeva, grazie al passaparola.
Mentre camminavano, Erin le fece notare che aveva il camice macchiato, al che Faith sbottò –Che c'è, vi siete messi d'accordo tu e Weil? Ho il camice sporco, sì. E allora?
–Nervosetta, eh, Faith?
–Lo saresti anche tu se quel bastardo ti avesse rimproverata come una bimbetta di due anni e avesse definito approssimativo il tuo lavoro- sputò Faith. –Approssimativo! Il MIO lavoro! Se c'è qualcosa di approssimativo, quello è il suo cervello!
–Non essere dura con lui, non è cattivo- tentò di difenderlo Erin. –Un tantino ossessivo, forse…
–E stronzo.
–Parli così perchè non lo conosci- replicò la Campbell.
Faith, inspiegabilmente irritata da quell'affermazione, ribattè –Non bene quanto te, questo è sicuro.
–Eh?
–Sveglia! Ti hanno vista entrare a casa di Weil nel cuore della notte, e uscirne soltanto il mattino dopo. Dato che è una faccenda privata, naturalmente... tutto l'ospedale lo sa!- esclamò la Irving.
Erin, rimasta a bocca aperta dallo stupore, arrossì e impallidì svariate volte in pochi secondi, esalò –Ecco spiegati gli sguardi ammiccanti e le risatine. Stavano sparlando di me. Un infermiere mi ha addirittura chiesto se mi fossi divertita nel week-end!
–Non abbatterti. C’è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé… il non far parlare di sé.
Erin non parve affatto rincuorata da quelle parole, forse non aveva riconosciuto la citazione. Scosse il capo e chiese –Chris lo… lo sa?
–E’ stato lui a dirmelo!- rispose Faith. –Lo ha saputo da Harry, che l’aveva saputo da Robert, che… ehm… a quel punto mi sono persa.
–Grandioso. Adesso sì che posso lasciare ogni speranza!- piagnucolò Erin e se ne andò, lasciando una perplessa Faith a domandarsi la ragione del suo strano comportamento.
Nell'atrio si scontrò con il dottor King, facendogli rovesciare il caffè sul camice.
Inceneritala con lo sguardo, sospirò –Irving, sei un pericolo pubblico!
–Numero uno, spero! I secondi sono i primi tra gli ultimi, dice mia madre.
–L'importante è essere primi in qualcosa- rispose lui, squadrandola dalla testa ai piedi. –Weil ha esagerato, ma non aveva tutti i torti, sai? Il tuo camice sembra un'opera di Pollock! Conosci Pollock, vero?
–Ovviamente. Per chi mi ha presa?- sbottò Faith, offesa.
–Non prendertela, la mia era un'innocua domanda. Dopotutto, fare il medico non richiede la conoscenza della storia dell'arte- asserì il dottor King.
–Con tutto il rispetto, non ho tempo per le conversazioni intellettuali con un mio superiore, anche se conosce Pollock. Ho del lavoro da ultimare e un libro di mille pagine da studiare- replicò Faith.
–Con tutto il rispetto, non ho tempo per le conversazioni intellettuali con una specializzanda, anche se conosce Pollock. Ho del lavoro da ultimare e la presentazione per un congresso da preparare- ribattè il dottor King con un sogghigno di superiorità. –A proposito del congresso… non è ancora ufficiale, quindi acqua in bocca, ma mi sento abbastanza sicuro da farti le congratulazioni.
–Non capisco…
–Lo capirai a tempo debito. Un’ultima cosa: in fondo, ti apprezza.
–Uh?
–Che resti tra noi: quando ero per Astrid, la professoressa Eriksson, ciò che tu sei per il dottor Weil, un giorno mi urlò contro che ero utile come un buco del culo sul gomito. Sue testuali parole. Chiaro cosa intendo?
Faith, esterrefatta, annuì. Aveva capito perfettamente.
 
***
 
Franz non era mai stato loquace, né socievole, il che, unito a una sincerità che sconfinava apertamente nella brutalità, lo aveva indotto ad abbandonare l’idea di dedicarsi alla medicina pura e semplice per rintanarsi in laboratorio ad analizzare cellule e campioni di tessuto, o corpi senza vita.
L’unico neo che poteva trovare nel suo lavoro era che i ringraziamenti dei pazienti e i cesti natalizi li ricevevano i “colleghi di superficie”, quando il lavoro sporco l’aveva svolto lui. Quello e…
–Madonna? Sul serio?
–Oggi è il mio turno, scelgo io la musica- rispose Jeff.
–Oggi Madonna, la settimana scorsa Britney Spears… a quando roba decente?
Jeff pestò i piedi e sbuffò –Sono circondato da zotici privi di gusto!
–Fila a raccattare la Irving, dobbiamo smaltire il lavoro, o avremo abbastanza corpi da chiamare Romero per un film. Vado a parlare con il Grande Capo, ci vediamo dopo- ordinò Franz, poi, non appena Jeff ebbe lasciato la stanza, sostituì Madonna con gli Iron Maiden.
 
***
 
Faith tollerava a fatica di essere interrotta mentre parlava al telefono, ma distoglierla dalla lettura… equivaleva a una condanna a morte! Quando leggeva, Faith entrava in un universo parallelo e dimenticava chi era, dove si trovava, cosa stava facendo prima di avventurarsi nel parto della fantasiosa mente dell’autore, e guai a riportarla alla realtà prima della fine della storia.
Non stupisce, quindi, che ruggì a Jeff, che aveva osato rovinare la magia di un buon libro –Maledetto! Spero sia importante, ero nel bel mezzo della soluzione del mistero!
Furente, chiuse il libro e marciò con passo deciso verso lo spogliatoio, dove si cambiò con tutto comodo. Che Weil la aspettasse, per una volta.
Non appena udì dei passi, afferrò la maglia e il camice e si rifugiò in bagno: la curiosità è donna, e Faith, da questo punto di vista, era una donna con la D maiuscola!
Chi era entrato occupò il cubicolo di fianco al suo, poi, uscito dalla toilette per lavarsi le mani, si imbattè in una seconda persona.
Faith riconobbe le loro voci.
–Ho avuto la conferma che King mi odia- sbuffò Weil. –Ha avuto la faccia tosta di dire alla prof. che non merito di essere preso in considerazione, nonostante sia il suo allievo migliore e un ottimo elemento!
–King è fatto così: si crede una spanna sopra gli altri- lo consolò il collega. –E poi, scusa, ma la decisione non spetta a te.
–Sono perfettamente consapevole del fatto che la decisione spetta a lei, grazie tante, ma mi piacerebbe tenesse conto della mia opinione, dato che l’ha chiesta!
–Immagino la faccia di King. Nessuno aveva mai osato contraddirlo!- esclamò Chester Sullivan. –Che ha risposto la prof?
–“Non sono solita dare peso a opinioni non motivate, Franz”.
–Mi pare giusto.
–Infatti le ho esposto le mie ragioni.
–Sarebbero?
–Non farmele ripetere, sai che non mi piace parlar male dei colleghi.
“Quanto la fa lunga”, pensò Faith.
–Cosa vuoi, una richiesta scritta?- sbottò Sullivan. –Non tenermi sulle spine: perché non vuoi che la Irving partecipi al congresso di Blackpool?
“Io? Congresso? Blackpool? Oh, cazzo, ma è meraviglioso!”
–L’immagine ha un peso importante in eventi del genere, e quella lì, ehm, la Irving è… come dire… poco… decorativa.
–Decorativa? Spiegati meglio- lo esortò Chester.
“Sì, infatti, spiegati meglio, grandissimo figlio di ... tua madre!”
–Ha cervello, preparazione, passione…. Peccato non sia attraente!
–Non sarà una top model, però non è da buttar via- obiettò Chester. –Personalmente, una bottarella gliela darei volentieri.
“Sullivan, ho appena scoperto di amarti! Fuggiamo a Las Vegas!”
–Oh, Chester, sei così facilmente ricattabile!- lo canzonò Weil.
–Ricattabile?
–Dubito salteresti di gioia se tua moglie sapesse che daresti volentieri una bottarella alla Irving.
“Oh, già, giusto, è sposato. Uffa, è proprio vero che i migliori sono tutti presi!”
–Razza di… Lascia perdere, tanto non c’è partita.
–Hai ragione: con me non c’è partita- replicò Weil.
–Secondo me ci sarebbe stata. Sai, con le voci che girano su di lei…
–Che voci?
–Come fai a non… Ah, già, eri in Germania. Corre voce che Faith se la facesse con il vice-primario del Charing Cross Hospital per facilitarsi la carriera e, quando la notizia è trapelata, si è fatta trasferire qui.
Seguì un silenzio talmente denso da poterlo fendere con un coltello; Faith riusciva quasi a sentire il movimento degli ingranaggi del cervello di Weil, che doveva, per qualche motivo a lei incomprensibile, essersi arrabbiato, perché rispose con voce dura.
–Stronzate. Faith ha tanti difetti, ma non è una troia da due pence, non ne ha bisogno.
“Ho bisogno di un esame dell'udito: non può avermi chiamata per nome!”
–Se lo dici tu. A me sembra verosimile: Faith si è accorta dell’ammirazione di Solomon e ne ha approfittato. E’ ambiziosa, e per una donna ambiziosa nessun prezzo è troppo alto per farsi strada.
–Stronzate! Non ci crederei nemmeno se me lo dicesse lei in persona!
“Rettifico: Weil, ho appena scoperto di amarti! Fuggiamo a Las Vegas!”
–Ne sei convinto?
–Convintissimo. Conosco Solomon di fama: è un maiale, non miope, potrebbe avere di meglio della Irving. “Ri-rettifico: Weil ... vaffanculo!”
–Adesso stai esagerando. –Ok, te lo concedo: Faith non sarebbe male, se solo volesse. Oramai l’immagine è tutto, serve a poco avere neuroni funzionanti, se poi sono racchiusi in un involucro poco attraente, e lei non lo è. Se poi ci aggiungi la sua insopportabile linguaccia…
–Veramente, risponde male solamente a te. Fatti due domande.
Weil non gradì la velata critica al modo in cui trattava i colleghi, specialmente la Irving, e sibilò, piccato –La risposta, in ogni caso, è che ha un carattere di merda! E se vorrà venire a Blackpool, dovrà passare sul mio cadavere!
–Non è che hai paura possa metterti in ombra?- insinuò maliziosamente Chester.
Faith lo sentì trattenere il respiro prima di rispondere, forse con voce più acuta del solito, –Io … messo in ombra da quella lì? Non scherziamo!
Chester ridacchiò, lieto di aver colpito un nervo scoperto –Non puoi negare che ha tutte le carte in regola per diventare pane per i tuoi denti.
–Appunto. Diventare. Ma non lo è; non ancora, almeno. Potrei divorarla, se volessi! Con tutta quella carne, avrei da mangiare per tre mesi!- sputò Weil, sbuffò e se andò sbattendo la porta.
 
***
 
–Sei in ritardo, Irving.
“Eccoli che cominciano”, pensò Jeff, voltandosi a turno verso l’uno e l’altra, come se stesse assistendo a una partita di ping-pong.
–Forse tu non ne hai bisogno, ma noi comuni mortali, quando la natura chiama, andiamo in bagno- ribattè Faith.
–Per mezz’ora?
–Per il tempo necessario- rispose in tono pratico. Indossò grembiule, guanti e mascherina e chiese –Cosa abbiamo qui?
–Encefalo fissato di Callum Corner, venticinque anni. Deceduto all’ingresso del Pronto Soccorso.
–E’ morto appena sceso dall’ambulanza?
–All’ingresso del PS.
–Causa del decesso?
–Se lo sapessimo non dovremmo esaminare il suo cervellino, Irving- sputò Weil, guardandola dritto negli occhi.
Gli piacevano gli occhi di Faith, avevano una bella forma e un colore particolare, eppure non poteva fare a meno di notarne i difetti: le ciglia avrebbero dovuto essere più lunghe e curve per enfatizzare lo sguardo, il verde oliva dell’iride avrebbe risaltato maggiormente senza quelle brutte screziature marroni, e il neo sulla palpebra inferiore sinistra rimpiccioliva l’occhio, dando l’impressione che fossero asimmetrici. Era più facile sostenere il suo sguardo, osservarlo con attenzione, ora che aveva la mascherina a coprire le labbra, rosse e carnose, spesso screpolate perché aveva il vizio di mordicchiarle, ma, secondo lui, ben più attraenti dei canotti gonfiati chirurgicamente.
–Non c’è bisogno di essere sarcastici, la mia era semplice curiosità- sibilò Faith, tentata dal pugnalarlo con un bisturi. –Vediamo di sbrigarci: non so voi, ma io ho una vita fuori dal reparto.
–In anamnesi c'è storia di episodi eteroaggressivi parotite in età infantile, ESA da rottura di aneurisma- pigolò Jeff, ma i due lo ignorarono.
–Come mai tanta fretta? Devi uscire con qualcuno?- disse Weil.
–Può darsi- rispose Faith. –Cosa te lo fa pensare?
–Stamattina ho visto che porti un reggiseno di pizzo- spiegò lui con semplicità.
–E allora?
–Beh, ecco, vedi... è una mia idea, eh, puoi tranquillamente distruggerla punto per punto- balbettò lui, sforzandosi di non arrossire. –Il pizzo non è proprio il massimo della comodità, e credevo voi donne non lo metteste spesso, specie a contatto diretto con la pelle, pensavo che al lavoro indossaste biancheria più comoda e il pizzo fosse riservato alle occasioni speciali. Avanti, ridi.
­–In caso vi interessasse, il paziente era un forte fumatore e da qualche mese soffriva di cefalea- tentò Jeff, prima di arrendersi. –Ma che parlo a fare?
–Perché dovrei ridere? In linea di massima è un discorso logico- asserì Faith. –Però, vedi, quegli impalpabili reggiseni di tulle e/o senza ferretto si disintegrerebbero se ci mettessi dentro Mary Lou e Mary Sue.
Abbandonato ogni tentativo di farsi ascoltare, Jeff si unì alla conversazione.
–Mary Lou e Mary Sue? Hai dato un nome alle tue tette? Fa così ... liceale! Comunque, conosco il posto perfetto per vestire al meglio le "ragazze". Domani stesso ti porterò da 'Hula Hip,' il paradiso dell'intimo curvy!
–Jeff, cosa ne sai tu di intimo femminile?
–Più di te sicuramente, cara mia, a giudicare dalle mutande della nonna a fantasia di orsacchiotti!
Weil scoppiò a ridere senza ritegno, finchè Jeff non lo redarguì a dovere.
–Chi è senza peccato di stile scagli la pima pietra ... e non è il tuo caso, Weil: gli slip col cobra sul cavallo sono stati i protagonisti dei miei incubi per una settimana!
Punto sul vivo, Franz avvampò, si schiarì la voce, intimò agli altri due di preparare le scafette per i prelievi istologici e iniziò la dissezione.
 
***
 
 
Franz ignorò a fatica le imprecazioni di Faith, la maggior parte delle quali diretta a lui, colpevole di aver stravolto la sua tabella di marcia.
–Non ce la farò mai! Ed è tutta colpa tua!- gnaulò, a testa bassa, mentre tentava di domare i capelli, scompigliati dalla cuffia. –Guarda cosa mi tocca fare per non mostrarmi in pubblico con la testa da scienziata pazza!
–Ma cos… Irving, non siamo dal parrucchiere!
–Pago le tasse, ho il diritto di usare come meglio credo le prese dell’ospedale- replicò Faith, che nel frattempo aveva riposto in un piccolo trolley una spazzola e un phon.
Franz scosse la testa, rassegnato, chiuse l’armadietto e uscì. Faith, rimasta finalmente sola, si dedicò al make-up, pregando di non combinare disastri e maledicendo Abigail e la sua mania di dare cene e feste per ostentare la sua bravura come padrona di casa. Amava la comodità e la semplicità, considerava un sacrificio doversi vestire elegante e doversi truccare, ma, soprattutto, dover recitare la parte della bella statuina per non scontentare l’amica.
Quando potè controllare il proprio aspetto nell’insieme, rimase piuttosto soddisfatta: discreto, ma d’effetto. Chiuse l’armadietto, prese la pochette verde (regalo di Bridget) e il trolley e salì nell’atrio.
 
***
 
 
Dopo una giornata faticosa, l’unico desiderio di Franz era accasciarsi sul divano e non muovere un muscolo fino all’indomani.
Qualcuno, in piedi all’ingrasso principale, attirò la sua attenzione; l’aveva conosciuto di persona pochi anni prima, ma, anche se così non fosse stato, l’avrebbe riconosciuto chiunque, perché era impossibile non conoscere Brian Cartridge.
Finse di ignorarlo e gli passò accanto senza guardarlo, ma Brian lo bloccò, esclamando –Aspetta un momento … tu sei l’amico di Axel! Quello tedesco! Ci siamo conosciuti qualcosa come ... sei anni fa? Può essere?
–Sì. Non posso credere che ti ricordi di me!
–Ho buona memoria- si limitò a rispondere Brian, scrollando le spalle.
–Non buona, ottima!
I due si salutarono con l'entusiasmo degli amici di lunga data; Franz gli diede una pacca sulla schiena e precisò –Il mio nome è Franz, comunque.
–Ho detto che ho buona memoria, non che ricordo tutto- ribatté Brian.
–Che ci fai qui? Confermi il detto “anche i ricchi si ammalano”?
–Fortunatamente no. Ho appuntamento con una persona- lo tranquillizzò lui, agitando una mano per una maggiore enfasi. –Eccola! Buonasera, bella ritardataria!
Weil aprì e chiuse le palpebre più volte, incapace di credere ai propri occhi: in abiti civili, Faith sembrava un’altra. Il look le si addiceva: dimesso, ma particolare, esattamente come lei. Il suol sguardo passò rapidamente dal vestito, che lasciava fin troppo all'immaginazione, alle gambe, fasciate dalle calze più improbabili che avesse mai visto (per non dire un pugno nell'occhio), eppure Faith le indossava con impareggiabile disinvoltura.
–Ciao, Brian. Noto con dispiacere che hai fatto la conoscenza del dottor Weil.
–A dire il vero ci conoscevamo già, ma è stato bello ritrovarsi. Gli amici di Axel sono miei amici- rispose Brian.
–Non vai troppo per il sottile, eh, Brian?- sibilò Faith con un sorriso tirato.
–Belle calze, Irving. Mirò?
–Esatto. Le ho comprate a New York, era uscita da Macy's la linea artistica. Ho anche 'La notte stellata' di Van Gogh, 'Overture musicale' di Kandinskij e 'Drowning Girl' di Roy Lichtenstein. Ho speso una fortuna, erano in edizione limitatissima, ma non ho potuto resistere!
–L'unico modo di resistere a una tentazione è cedervi. Aabbiamo tutti una sola vita da vivere, tanto vale godercela- asserì Weil.
–Stranamente, mi trovi d'accordo. Vedi di non abituartici. Muoviamoci, Brian, Abby non ama aspettare- aggiunse, arpionò l’amico per un braccio e lo trascinò via.
 
Nota autrice:
Non odiate Franz. E’ stato spregevole, acido, maschilista, ma non odiatelo, ha avuto le sue buone ragioni per comportarsi così… forse. Erin ha ragione: sotto sotto ha il cuore tenero, peccato che lo mostri poco.
Povera Erin: è convinta che a Chris piaccia Faith. Sarà davvero così? E Faith andrà a Blackpool? Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
Au revoir!
Serpentina
 ps: le opere citate nel capitolo esistono, e sono spettacolari (secondo me). Adoro l'arte moderna!
 
 
   
 
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