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Autore: Nuclear    17/02/2014    0 recensioni
Cosa deve aver provato l'ere di Itaca, quando è stato sottoposto alla prova del canto delle sirene?
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ho mai conosciuto la felicità. Intendiamoci, non sono certo qui a dirvi che la mia non è un’esistenza felice; pochi uomini hanno goduto dei miei stessi privilegi, in vita. Eppure ora, qui, legato a questo tronco, qui sulla mia nave, qui ascoltando il meraviglioso canto della morte, io qui posso dirvelo: non ho mai conosciuto la felicità. Quella che in questo istante mi pervade il corpo e mi attanaglia il cuore e lo richiama a quelle creature che cantano e di cui il canto mi trascina via. Io stesso ho ordinato ai miei uomini di legarmi, ma come vorrei non averlo mai fatto, ora.
Ora che il canto mi infonde quel piacere che mai nessun altro ha provato se non ricevendo in sorte la morte gli istanti seguenti. Chi mai ha provato quel turbinio di sensazioni sconvolgenti e così cariche, così intense, incomparabili, che ora provo io? Chi ne ha compreso la natura?
E a voi che non potete averne idea lo spiegherei volentieri, ma come posso spiegare i colori a un cieco?
E allo stesso modo infatti non si può comprendere cosa ho provato e provo, posso solo tentare di farvi avvicinare con la mente, di capire in parte ciò che nemmeno io ho compreso, ma solo provato. Perché non è una cosa umana quella che mi pervade, non nasce dal mio animo. E nemmeno lo attraversa o lo riempie. Difatti, tutto ciò che provo è il tutto stesso. Ogni cosa si scinde da se stessa e confluisce nel tutto e si imprime a fuoco in me, non cancellando ciò che ero prima, ma trasformandomi,  mi porta aldilà del limite umano, perché mai un umano potrebbe comprendere tutto questo. Non ho dimenticato tutto il resto del mondo, al contrario; Itaca, la mia casa, i miei ricordi, Penelope, l’amore che fa battere il mio cuore per lei, per vederla; i miei compagni, i dolci giorni di una vita, le vittorie, le migliori sensazioni mai provate, erano tutte lì, con me, si sono unite in pochi istanti e ora formano qualcosa di nuovo che ha il potere di scuotere ogni minima parte del mio corpo, di amplificare all’infinito ogni mia sensazione, di elevarmi al cielo e poi  espandermi allo spazio sconfinato e di rendermi una cosa sola con esso, e ancora non ho reso l’idea. È un crepitio nel petto, una fiamma ardente, un incendio che non brucia ma sfuma ogni cosa, sfonda i limiti conosciuti e ti porta oltre.
E valico il confine e mi abbandono oltre le colonne del mondo, dove le cascate eterne precipitano verso l’oblio, e per un unico momento, io, impercettibile istante in un universo eterno, ne faccio parte, e in quel momento, in quell’ iistante anche io, io sono infinito. Non ho mai conosciuto la felicità. Intendiamoci, non sono certo qui a dirvi che la mia non è un’esistenza felice; pochi uomini hanno goduto dei miei stessi privilegi, in vita. Eppure ora, qui, legato a questo tronco, qui sulla mia nave, qui ascoltando il meraviglioso canto della morte, io qui posso dirvelo: non ho mai conosciuto la felicità. Quella che in questo istante mi pervade il corpo e mi attanaglia il cuore e lo richiama a quelle creature che cantano e di cui il canto mi trascina via. Io stesso ho ordinato ai miei uomini di legarmi, ma come vorrei non averlo mai fatto, ora.
Ora che il canto mi infonde quel piacere che mai nessun altro ha provato se non ricevendo in sorte la morte gli istanti seguenti. Chi mai ha provato quel turbinio di sensazioni sconvolgenti e così cariche, così intense, incomparabili, che ora provo io? Chi ne ha compreso la natura?
E a voi che non potete averne idea lo spiegherei volentieri, ma come posso spiegare i colori a un cieco?
E allo stesso modo infatti non si può comprendere cosa ho provato e provo, posso solo tentare di farvi avvicinare con la mente, di capire in parte ciò che nemmeno io ho compreso, ma solo provato. Perché non è una cosa umana quella che mi pervade, non nasce dal mio animo. E nemmeno lo attraversa o lo riempie. Difatti, tutto ciò che provo è il tutto stesso. Ogni cosa si scinde da se stessa e confluisce nel tutto e si imprime a fuoco in me, non cancellando ciò che ero prima, ma trasformandomi,  mi porta aldilà del limite umano, perché mai un umano potrebbe comprendere tutto questo. Non ho dimenticato tutto il resto del mondo, al contrario; Itaca, la mia casa, i miei ricordi, Penelope, l’amore che fa battere il mio cuore per lei, per vederla; i miei compagni, i dolci giorni di una vita, le vittorie, le migliori sensazioni mai provate, erano tutte lì, con me, si sono unite in pochi istanti e ora formano qualcosa di nuovo che ha il potere di scuotere ogni minima parte del mio corpo, di amplificare all’infinito ogni mia sensazione, di elevarmi al cielo e poi  espandermi allo spazio sconfinato e di rendermi una cosa sola con esso, e ancora non ho reso l’idea. È un crepitio nel petto, una fiamma ardente, un incendio che non brucia ma sfuma ogni cosa, sfonda i limiti conosciuti e ti porta oltre.
E valico il confine e mi abbandono oltre le colonne del mondo, dove le cascate eterne precipitano verso l’oblio, e per un unico momento, io, impercettibile istante in un universo eterno, ne faccio parte, e in quel momento, in quell’ istante anche io, io sono infinito. 

NOTA: se qualcuno è arrivato a leggere questa nota, allora intanto grazie per aver dedicato un po' di tempo a questa lettura. in secondo luogo, voglio specificare che SO che alla fine c'è una chiara rirpesa del libro "noi siamo infinito", mi è semplicemente venuta in mente e ho pensato che non potevo concludere in maniera migliore. spero di non rischiare il linciaggio per questa leggera storpiatura di una così bella frase

 
  
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