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Autore: Alley    18/02/2014    4 recensioni
Darcy si porta il cellulare all’orecchio e lo ascolta squillare a vuoto prima di riattaccare – come previsto.
Respira Darcy, respira. Ricordati che è per il tuo capo che lo stai facendo
Riseleziona il numero in rubrica e batte in fretta il testo dell’sms: 'Rispondimi, idiota. Si tratta di Coulson.'
Invia e aspetta – sa che non dovrà farlo per molto. Ha la matematica certezza che il telefonino comincerà a squillare tra tre, due, uno…
“Wow, allora sai leggere. Sono positivamente sorpresa.”

[post "It's a magical place"] [pre Clint/Coulson]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Phil Coulson
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Darcy ha appena portato a termine il lavoro quando il cigolio della porta annuncia il ritorno di Coulson.
 
Nella piccola cabina che le è stata assegnata non c’è molto spazio per lavorare, quindi, quando può, occupa l’ufficio e la scrivania del suo capo - non in maniera abusiva, ovviamente. È stato proprio lui a suggerirglielo.
 
Coulson aveva lasciato il Bus qualche ora prima per sbrigare delle “faccende personali”. Dal modo in cui l’aveva detto Darcy aveva capito che, di qualunque cosa si trattasse, doveva essere molto importante.
  
“Bentornato capo” lo saluta, senza alzare gli occhi dal fascicolo che ha appena terminato di visionare “Sappia che la sua magnifica segretaria ha compilato tutti gli schedari in un’ora e dieci minu- Oddio, che le è successo?”
 
Darcy ne ha vista di gente con un pessimo aspetto – si guarda allo specchio ogni mattina dopo essersi alzata dal letto -, ma è assolutamente sicura che in quel momento Coulson abbia l’espressione più stravolta che si sia mai ritrovata davanti e, vista l’ora, non può attribuire la cosa al fatto che si sia appena svegliato.
 
“Nulla” risponde, ma il tono dimesso dice tutt’altro “Ho soltanto bisogno di riposare.”
 
“Ne è sicuro? Sembra che abbia appena visto un fantasma. Ammesso che, se esistessero, sarebbe possibile vederli…”
 
“Sto bene” replica Coulson, e riuscirebbe persino a risultare convincente se non ci fosse quel volto sconvolto e pallido a tradirlo “Vada pure a riposare. Ha fatto abbastanza per oggi.”
 
Darcy sa che quelle parole equivalgono ad un non ho intenzione di parlarne incontestabile, così raccoglie le sue cose, si alza e s’avvia verso la porta, sforzandosi d’apparire meno preoccupata di quanto si senta.
 
“Domani tornerò a casa. Starò via per un paio di giorni. Ho bisogno di…verificare alcune cose. Potrebbe dirlo lei alla squadra, per favore?”
 
“Certo” risponde, reprimendo le domande che vorrebbe porre.
 
*
 
Darcy si porta il cellulare all’orecchio e lo ascolta squillare a vuoto prima di riattaccare – come previsto.
 
Respira Darcy, respira. Ricordati che è per il tuo capo che lo stai facendo
 
Riseleziona il numero in rubrica e batte in fretta il testo dell’sms: 'Rispondimi, idiota. Si tratta di Coulson.' 
 
Invia e aspetta – sa che non dovrà farlo per molto. Ha la matematica certezza che il telefonino comincerà a squillare tra tre, due, uno…

“Wow, allora sai leggere. Sono positivamente sorpresa.”
 
*
 
Una serie di tonfi risuona nel piccolo appartamento e Phil aggrotta la fronte, stupito.
 
Che qualcuno bussi alla sua porta è sempre stata una cosa insolita. Il fatto che avvenga mentre, tecnicamente, dovrebbe essere su un jet a centinaia di chilometri da terra lo rende quasi assurdo.
 
Per un secondo pensa – si illude – che possa essere Fury, o magari Maria, o qualcun altro venuto a fornirgli le spiegazioni a cui avrebbe diritto. Scarta subito l’ipotesi, ricordandosi che nessuno, a parte Darcy e i membri della sua squadra, sa che si trova lì. Questa è la motivazione che adduce, ma in realtà è il primo a non prestarle fede. La verità è che quelle persone – le persone di cui si fidava ciecamente – ritengono che non gli spetti alcun chiarimento. Gli hanno imposto un destino che non era il suo e un silenzio impietoso e bugiardo. Se avessero voluto parlargli l’avrebbero già fatto da tempo.
 
La delusione ha un gusto amaro, che s’attacca al palato e non va via.
 
È con quel sapore in bocca che Phil si trascina controvoglia fino all’ingresso e apre, senza nemmeno chiedere chi sia.
 
“Signore.”
 
Barton è in piedi di fronte a lui e lo squadra con quello sguardo che vede sempre più di quanto vuoi – e puoi - mostrargli. Indossa un paio di jeans e una felpa viola che sa di un passato così remoto che, per un istante, Phil si domanda se l’abbia mai vissuto veramente.
 
Il viola piace a tutti e va con tutto. Dovrebbe provare una cravatta viola. Le starebbe bene
 
La fitta di nostalgia che lo investe è così forte da mozzargli il fiato e bloccargli le parole in gola. 
 
"Posso entrare?”
 
Phil annuisce e indietreggia per liberare la soglia. Prova a ricordare quando sia stata l’ultima volta che si sono visti prima d’allora e non ci riesce. Non è sicuro che la cosa sia da attribuire alla quantità di tempo che è trascorso e il dubbio basta ad allarmarlo.
 
“È successo qualcosa?” domanda, quando finalmente riesce a tirar fuori la voce.
 
“Il mondo non rischia di esplodere, stia tranquillo. Volevo solo far visita al mio capo.”
 
Clint e Natasha non sono mai stati solo due sottoposti. Se dovesse raccontarli con una parola, Phil sceglierebbe famiglia, perché fra tutte è quella che più glieli ricorda.

Gli anni in cui è stato il loro supervisore rappresentano un periodo che rimpiange molto più di quanto sia disposto ad ammettere – il periodo in cui, guardandosi allo specchio, vedeva il proprio riflesso e non quello di un estraneo.

“Non sono più il tuo capo” dice, e la sua voce suona più amara di quanto avrebbe voluto – ma molto meno di quanto si senta in realtà.
 
Barton assottiglia appena lo sguardo, come a voler sezionare quelle parole e ciò che nascondono – che cercano di nascondere, probabilmente senza riuscirci. “Lei sarà sempre il mio capo.”
 
Phil è sicuro d’aver perso il controllo della propria espressione per un istante. Prima non gli sarebbe mai successo, ma Barton l’ha già visto senza maschere così tante volte che, in fondo, non fa molta differenza. 
 
“Cos’è?” domanda, adocchiando il sacchetto che l’altro stringe tra le mani.
 
“Biscotti al cocco e all’ananas. Spero siano ancora i suoi preferiti.”
 
Phil sente gli angoli della sua bocca piegarsi impercettibilmente, e si sorprende di quanto sia facile sorridere.
 
"Li mangeremo mentre guardiamo il film.”
 
*
 
L’ennesima automobile salta in aria e Phil, questa volta, non riesce a trattenersi.
 
“Non capirò mai cosa ci trovi in questi film.”
 
“Voleva propinarmi un’altra puntata di ‘Extreme Makeover Diet Edition’?”
 
Barton si ficca in bocca una manciata di biscotti troppo cospicua per la bocca di un normale essere umano – normale, appunto. “Preferisco macchine che esplodono alle peripezie di un gruppo di obesi che cerca di perdere peso.”

Gli allunga il sacchetto e, nel frattempo, il tizio sullo schermo si getta giù da un grattacielo. Dopo essersi schiantato al suolo si rialza come se niente fosse e scappa a gambe levate dal manipolo di inseguitori che gli sta alle calcagna. Più che azione, si direbbe fantascienza.
 
“Questo mi ricorda Londra.”
 
“Atene‎” lo corregge Phil, addentando un biscotto “E poi Lisbona, Riga, Firenze, Bagdad…”
 
“A Londra non mi sono buttato giù da un palazzo?”
 
“No. Sei caduto nel Tamigi.”
 
“Giusto!” esclama l’arciere, schioccando le dita “E quand’è che mi sono ustionato mezza faccia? A Madrid?”
 
“Siviglia.”
 
“Ci sono andato vicino.”
 
Mentre sullo schermo esplosioni e sparatorie continuano a susseguirsi ininterrottamente, loro rievocano viaggi, città, aneddoti, dettagli che Phil scopre di ricordare con insperata precisione. È un sollievo constatare che la sua mente non ha cancellato nulla di quei ricordi, che le memorie sono ancora lì, intatte e al loro posto. Quel pezzo del suo passato è la cosa più preziosa che abbia. Avrebbe preferito morire, piuttosto che perderlo.  
 
“Mi era mancato questo.”
 
“Cosa?” domanda Barton, ed ha la bocca così piena che riesce a stento ad articolare le parole “Rivangare vecchie missioni in cui ho rischiato la pelle?”
 
“Parlare con te.”
 
I suoi occhi si spalancano appena e, quando deglutisce, lo fa molto in maniera estremamente rumorosa.
 
“Ehm…Vado a prendere altri biscotti.”
 
Il sacchetto, in realtà, è ancora mezzo pieno.
 
*
 
Appena Barton riappare sulla soglia Phil comincia a parlare, quasi senza rendersene conto.
 
“Ho incontrato il dottor Streiten, il medico che mi ha operato. A quanto pare ci sono molte cose che non so sulla mia…morte.”
 
Barton aggrotta la fronte e torna sul divano, sedendosi molto più vicino di quanto fosse prima. Resta in silenzio, attendendo che sia lui a continuare.
 
“Da quando sono tornato io…”
 
Esita, ingoiando un sospiro. Lo sguardo di Barton è un tacito invito a proseguire.
 
“…non mi sento più lo stesso.”
 
È molto meno di quanto vorrebbe dire, ma è tutto quello che riesce a tirar fuori. Il resto è una storia che non è ancora pronto a raccontare.
 
“Non so quanto possa interessarle il mio parere, ma a me sembra lei” dice il cecchino, e Phil sa che non è una bugia. Barton non sa mentire, non a lui, non guardandolo negli occhi. “Ha un aspetto peggiore del solito ma, a parte questo, mi pare lei a tutti gli effetti.”
 
Forse non cambierà le cose, ma sentirselo dire è comunque…rassicurante, e sortisce un affetto addirittura migliore di quel che avesse sperato. È qualcosa che, in qualche modo, riesce a farlo sentire più leggero.
 
“Mi interessa” gli risponde, sorridendo debolmente “Molto.” 
 
Barton gli porge il sacchetto e Phil prende altri biscotti. Credeva d’aver passato da un pezzo la fase in cui attribuiva al dolce valore consolatorio, ma a quanto pare si sbagliava.
 
“Non ne staremo mangiando troppi?”
 
“Se le proponessi di bere non accetterebbe” risponde Barton, scrollando le spalle “Il cibo è l’unica soluzione alternativa all’alcol, quando si hanno problemi.”
 
In un altro momento avrebbe dissentito; adesso, invece, non può fare a meno di dargli ragione.
 
*
 
“Sarà meglio che tolga il disturbo. Ha la faccia di uno che ha bisogno di una settimana di sonno ininterrotta.”
 
“Non credo che riuscirò a dormire.”
 
Il pensiero si tramuta in parole senza che nemmeno se ne renda conto. Non avrebbe voluto dirlo, perché quelle della vittima sono vesti che non gli si addicono e perché le ragioni dell’insonnia appartengono alla fetta di storia che non ha il coraggio di svelare.
 
Barton ha l’espressione che durante le missioni sfoggia prima di avanzare una proposta particolarmente azzardata, una di quelle che Phil stronca con una semplice alzata di sopracciglia.
 
“Se la fa sentire meglio potrei…restare qui” dice e no, questa Phil decisamente non se l’aspettava, e a giudicare dalla frenesia con cui l’arciere riprende la parola il suo stupore dev’esser piuttosto palese “Se la fa sentire meglio avere qualcuno in casa, intendo, se la fa stare più tranquillo, se…Giuro che nella mia testa non suonava così male, né così imbarazza-”
 
“Va bene” risponde, per evitare a Barton un enfisema polmonare fulminante e, soprattutto, perché è quello che vuole – e che non sarebbe mai riuscito a dire prima. Forse non essere più la stessa persona ha anche qualche lato positivo. Forse, in alcuni casi, ti rende più te stesso di quanto non fossi mai stato.  
 
“C’è solo un problema.”
 
“Se pensa che il divano sia scomodo non-”
 
“No” lo interrompe “Non mi riferivo a quello. Anche se il divano è effettivamente scomodo.”
 
Parlarne gli costa moltissimo, ma non può tacerglielo – non sarebbe giusto e, in fondo, non è nemmeno quello che vuole. “Io ho incubi molto…reali.”
 
Barton lo fissa stranito e Phil, per un istante, ha il timore che ritratti e vada via.
 
“Sto aspettando.”
 
“Cosa?”
 
“Che mi dica qual è il problema. Non vedo come questo potrebbe esserlo.”
 
*
 
Quello che l’avvolge è un buio fitto e soffocante, che s’insinua nelle ossa come il gelo invernale. Lo schiaccia, lo imprigiona, e più cerca di sfuggirgli più quello lo imbriglia.
 
Nel buio sente una voce. Urla, e le sue grida gli trapassano la testa come lame. Implora, e le sue preghiere gli scoppiano nel petto, insieme al panico e alla disperazione che risuonano in quegli strilli.

Lasciatemi morire. Lasciatemi morire, vi prego
 
Si tappa le orecchie per non sentire, ma è inutile, perché la voce riecheggia dentro la sua testa e non sa come zittirla, non sa come fermare quelle suppliche che sono coltellate e come arginare quella angoscia che sente così sua, quasi fosse una parte di lui impossibile da amputare.
 
Si gira su un fianco, stringe le lenzuola con tanta forza che le nocche sbiancano, trema e mormora basta basta basta e nemmeno s’accorge del fruscio leggero alle sue spalle; all’improvviso, avverte accanto una presenza solida e due braccia gli circondano la vita. La stretta è discreta, eppure calda e rassicurante, è qualcosa di reale in quel mondo di finzione che lo inghiotte.
 
“Sono qui.”
 
Due parole che sono una certezza a cui aggrapparsi e una strada da seguire per non perdersi.  
 
Barton gli prende le mani e le racchiude nelle proprie. Le stringe piano e poi le schiude e con la dita disegna piccoli cerchi sui palmi sudati, ed è confortante come tornare a casa dopo un viaggio che pareva senza fine. Il tremore scema, le grida si affievoliscono e il buio diventa meno opprimente.
 
“Va tutto bene.”
 
Phil non può fare a meno di crederci.
 
*
 
Quando si sveglia Phil allunga istintivamente il braccio all’indietro, ma non tasta altro che le lenzuola. La porta è socchiusa e dalla cucina proviene odore di caffè.
 
Si stiracchia, si alza e lascia la sua stanza. Barton ha già smesso il pigiama che gli aveva prestato la sera prima ed è tornato ad indossare i suoi abiti.
 
“Quelli da dove li hai presi?” domanda, indicando il vassoio di pancake che, ne è sicuro, non erano nella sua credenza.  
 
“Al bar qui vicino. Se li avessi fatti io sarebbero stati di sicuro più buoni, ma non avevo gli ingredienti né il tempo necessari” spiega e gli porge una tazzina fumante “Ho già messo i due cucchiaini di zucchero.”  
 
“Grazie” gli dice afferrandola, e il caffè è l’ultima cosa a cui si riferisce.
 
*
 
“Mi spiace averti disturbato tanto. La signorina Lewis dev’essersi preoccupata molto.”
 
Barton, in piedi sulla soglia e in procinto d'andar via, aggrotta la fronte con aria stupita. “Le ha detto che mi ha chiamato?”
 
“No” risponde, scuotendo il capo “Ma so che l’ha fatto.”
 
“Questo fa molto Phil Coulson. Visto? È ancora lei.”
 
È ancora lei. Quando in futuro tornerà a nutrire dubbi, saprà a quale ricordo attaccarsi.
 
“E comunque, nessun disturbo. Solo, la prossima volta potrebbe chiamare direttamente lei ed evitarmi così di parlare con la segretaria isterica?”
 
“Dovrò darle qualche giorno di ferie.”

E un aumento
 
“Lo faccia, davvero.”
 
“Dare le ferie a Darcy?”
 
“Chiamarmi. In qualsiasi momento, a qualsiasi ora. Ci sarò sempre quando avrà bisogno di me.”
 
Forse, in fondo, quello che ha trovato è più di quello che ha perso. 











Note
Il gusto dei biscotti è dovuto a questa magnifica storia della mia adorata mogliA.
  
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