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Autore: LondonRiver16    18/02/2014    6 recensioni
Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Da cosa stai scappando, TJ? Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta parlarmi ti risulta così difficile?
Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.
- Perché stavolta riguarda te.
(Seguito di "I'm gonna make this place your home")
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Con mille conclusioni negative già corse a oscurare le sue capacità di pensiero, Adam non esitò più di due secondi prima di pigiare lo schermo sul nome di Julie, concedendosi a malapena il tempo necessario a notare che l’ultimo tentativo della donna risaliva alle due in punto, ora in cui aveva lasciato il cocktail bar, prima di far partire la chiamata. Mentre si portava il cellulare all’orecchio si morse le labbra, pregando che la risposta arrivasse in fretta per dissipare almeno la maggior parte di quei dubbi tremendi, per sapere che cos’era successo di tanto grave da spingere Julie a cercare di mettersi in contatto con lui con tanta insistenza, e per sua fortuna una singola vibrazione fu sufficiente perché la voce della donna si sostituisse agli squilli d’attesa.

- Adam! – proruppe dall’altro capo della cornetta, senza nemmeno darsi la pena di esordire con un “pronto”. – Dio sia ringraziato, meno male che mi hai richiamata!

Sentendola chiaramente più preoccupata che mai, il ventiduenne s’irrigidì dalla preoccupazione e replicò all’istante. – Julie, ho visto le chiamate, che diavolo succede? Sembri sconvolta.

- In effetti non saprei trovare un termine più adatto per definirmi, al momento – ammise lei con un sospiro sconsolato, e Adam la immaginò portarsi una mano alla fronte per sostenersi la testa. – Adam, ti prego, ti supplico, dimmi che Tommy è a casa tua e sta bene.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, perplesso. – Sì, certo. Siamo appena arrivati, ma…

Non fece in tempo a finire la frase che la voce sollevata di Julie lo interruppe con un’altra invocazione divina. – Oh, grazie al cielo! Rick! Rick, l’ho trovato, è da Adam!

La voce fuori campo del padre adottivo di Tommy giunse all’orecchio del ventiduenne come da cento chilometri di distanza, bassa e scura come non l’aveva mai sentita. – Fattelo passare.

Poi di nuovo Julie, molto più vicina alla sua dimensione. – Adam, Tommy ha il telefono spento, potresti…?

- Un secondo, aspetta un attimo, non ci sto capendo più niente – la bloccò questa volta il ragazzo, più scombussolato che mai, iniziando a consumare il pavimento della cucina con passi incerti mentre idee infette come virus riguardo a ciò che stava accadendo gli acceleravano il respiro. – Tommy non… non vi aveva detto che sarebbe rimasto da me stanotte? Non gli avete dato il permesso?

- Ti ha detto così, non è vero?

Sentì la donna tirare su col naso dall’altra parte della cornetta e fece per aggiungere qualcosa, ma finì per fermarsi sul ciglio della prima parola perché ebbe la sensazione che la signora O’Reilly stesse facendo del suo meglio per parlare e risultare comprensibile.

- Non ce l’ha il permesso, no – rispose infine con voce strozzata, lasciandosi scappare un singhiozzo che provocò ad Adam una fitta di dolore non ben identificato. Quella donna era sempre stata infinitamente premurosa, materna, meravigliosa sia con lui che con Tommy e l’ultima cosa che meritava era soffrire tanto per quella che almeno a prima vista sembrava una bravata presa troppo alla leggera. – Scusa, Adam, scusami se sto piangendo, ma non riesco davvero a… ero così spaventata, lo eravamo entrambi qui ed è un tale sollievo saperlo al sicuro…

Il ragazzo scosse la testa, afflitto. – Non devi scusarti.

- Abbiamo chiamato tutti, nessuno sapeva niente – continuò la donna, bisognosa di sfogarsi quanto di spiegargli tutto. – E sia tu che Tommy eravate irrintracciabili.

- Spengo il telefono quando lavoro – sentì il bisogno di giustificarsi Adam, chinando il capo e grattandosi la nuca con un certo ingiustificato imbarazzo. – Mi dispiace che siate stati tanto in ansia.

La voce della donna arrivò subito a rassicurarlo con il consueto affetto, seppur guastata dalla stanchezza che la impregnava. - Adam, non c'è bisogno di rammaricarsi. Non potevi saperlo. Non se Tommy ha cominciato a comportarsi anche con te come ultimamente fa con noi, nascondendoci le cose.

Sentendo la tristezza nel tono della donna tirargli la pelle per il dispiacere, Adam si morse il labbro inferiore e chinò lo sguardo a terra con un sospiro, cercando le parole più giuste da dire. Pensò di chiedere a Julie il motivo che aveva indotto lei e Rick a negare al figlio adottivo il permesso di andare a trovarlo e rimanere da lui per la notte, ma giusto un istante prima di aprir bocca rifletté che in quel modo avrebbe ripagato Tommy con la sua stessa moneta, parlando alle sue spalle, facendogli un torto non meno pesante di quello con cui il diciassettenne aveva spiazzato sia lui che gli O'Reilly.

- Senti, Julie, la situazione non è certo piacevole, ma almeno adesso sapete che è qui da me, che sta bene e che non è successo niente d'irreparabile, perciò potete smettere di stare in pensiero - decise infine di dire, facendo del suo meglio per consolare la persona che ancora sentiva tirare su col naso ogni manciata di secondi. - Però adesso avrei davvero bisogno di scambiare due parole con Tommy. Tu e Rick potete capirmi, vero? Prometto di richiamarti presto.

Sentì un brusio, la voce di Julie che spiegava al marito la sua richiesta, poi la donna tornò a parlare nell’apparecchio e Adam percepì nel suo tono la fiducia di una madre, la disponibilità di sempre, la consapevolezza che lui era l’unico a poter avere successo nell’avvicinare Tommy nel momento in cui ogni altro tentativo falliva.

 - Ma certo. Fa' pure.

Il ragazzo sospirò nel microfono del cellulare, abbattuto dal suo sconforto. – A dopo, Julie.

- A dopo.

 

Quando il ventiduenne aprì la porta del bagno le note trasmesse da una stazione radio che mandava in onda classici rock degli anni Settanta, Ottanta e Novanta lo intrattennero per qualche secondo, facendogli capire che Tommy non aveva avuto modo di sentire la conversazione telefonica che aveva appena sostenuto nella stanza accanto. Come annunciato il diciassettenne se ne stava seduto sullo sgabello bianco imbottito che aveva provvidenzialmente spostato di fronte a specchio e lavandino in modo da potervici sedere mentre aspettava il maggiore e allestiva tutto l’arsenale che sarebbe servito per rimuovere il trucco – salviette, una lozione struccante gentile e un paio di creme idratanti che Adam era solito applicare sul viso come completamento del rituale.

- Ce ne hai messo di tempo – commentò Tommy, troppo occupato a giocherellare con una manciata di foglietti di cotone che minacciavano di sfuggirgli di mano per notare l’espressione sul volto del più grande. Se si insospettì fu solo perché il suo ragazzo non gli rispose subito con una delle sue battutine. - Ad?

Nel momento in cui si voltò per scoprire perché non avesse ribattuto, Adam lo aveva già raggiunto e lo fece sussultare sbattendo con malagrazia il cellulare sul ripiano asciutto del lavabo, mettendo a tacere ogni sua possibile protesta con un’occhiata di rimprovero non appena gli occhi di Tommy incontrarono i suoi.

- Quando io e te avremo finito di parlare richiamerai Julie e le dirai che stai bene – gli intimò, la voce che vibrava di una sorta di collera filiale. Ancora faceva fatica a credere che Tommy avesse potuto agire così avventatamente senza pensare a come avrebbe fatto sentire la sua madre adottiva. - Era in lacrime.

- Oh – incassò il più giovane, chinando subito lo sguardo a terra. - Quindi ti ha chiamato.

- Ha tentato di contattarmi una ventina di volte! – sbottò Adam, facendo scivolare lo smartphone fino al bicchiere sul ripiano del lavandino con uno slancio impossibile da trattenere. - Lei e Rick temevano ti fosse successo qualcosa!

Tommy deglutì a fatica, scuotendo appena la testa, gli occhi fissi sui fili di cotone che componevano il tappetino color del mare ai suoi piedi. - Non volevo mentirti.

- Oh, veramente? - Adam fece una smorfia falsamente stupita prima di tornare serio, e il più piccolo si sentì ancora peggio. - Be’, lo hai fatto, perciò adesso ne accetti le conseguenze, la pianti con questa sceneggiata del bambino indifeso, che con me non attacca, e mi fai il favore di guardarmi in faccia mentre cerco di capire cosa ti è saltato in testa – rimarcò, mettendogli indice e medio sotto il mento per obbligarlo a rialzare il capo e guardarlo negli occhi. - Perché mi hai detto che avevi il loro permesso?

- Non volevo ti arrabbiassi.

Adam allargò le braccia, esasperato. - Oh, una mossa magistrale, davvero! E adesso come credi mi senta?

- Mi dispiace – bisbigliò allora il biondo, stringendosi le ginocchia con le dita e una contro l’altra.

- Ti dispiace – ripeté l’altro dall’alto, sul punto di perdere definitivamente la pazienza. - Fantastico, allora a posto così e amici come prima.

- Volevo solo stare un po’ con te.

Adam, che per liberarsi di almeno un minimo di nervosismo aveva mosso qualche passo inquieto verso la cabina della doccia, sentendo quelle parole tornò a voltarsi di scatto verso di lui, reagendo al commento del diciassettenne con un’espressione sconcertata.

- Tommy, seriamente, qual è il tuo problema? Rick e Julie sono sempre molto disponibili riguardo alle tue uscite e se stasera ti hanno detto di no un motivo ci sarà stato. Avresti potuto aspettare domani o che ne so, almeno lasciare un biglietto per dire dove andavi così che non morissero di preoccupazione! – lo sgridò, sgranando gli occhi. - Quelle persone ti vogliono così bene e hanno fatto così tanto per te e tu le ripaghi in questo modo? A cosa stavi pensando?

Tommy lo guardò e aprì la bocca solo per richiuderla un istante dopo, scuotendo ancora la testa, prima di lanciare ad Adam un’occhiata sconfitta, stanca, molto più arrabbiata che dispiaciuta.

- Chiederglielo di nuovo domani non avrebbe cambiato niente – dichiarò, stizzito, per poi scoprire le carte. - Mi hanno proibito di vederti per due settimane.

Quella rivelazione bloccò Adam sul posto, le mani ferme a metà strada tra i fianchi e la faccia, bloccate a metà dell’ennesimo ammonimento che non aveva fatto in tempo a uscirgli dalle labbra prima che la consapevolezza di ciò che le parole di Tommy implicavano gli raggiungesse i neuroni. Rimase a fissare il ragazzo per qualche secondo, a bocca aperta perché era la prima volta in otto mesi di affido che gli O’Reilly sentivano il bisogno di mettere dei freni a Tommy, la prima volta che gli imponevano qualcosa di idealmente simile al concetto di punizione che sia Adam che il diciassettenne avevano maturato nel tempo, la prima volta che tentavano di tenerli separati.

- Che cos’hai combinato? – si decise infine a chiedere, e Tommy alzò la testa di scatto, permaloso.

- Niente di così grave da tenermi lontano da te!

- Tommy, per favore – lo riprese ancora Adam portandosi due dita alla tempia, stufo di sentirsi preso in giro. - Credo di conoscere Julie e Rick, d’accordo? Di sicuro li conosco abbastanza bene da sapere che non esiste che ti vietino di stare con me senza una ragione valida. C’entra qualcosa il litigio con Rick, non è vero? – lo incalzò, per poi rimanere per qualche secondo ad attendere una risposta che non arrivò. Sbuffò, irritato dalla testardaggine dipinta sul viso corrucciato di Tommy per poi cavarsi fuori parole che credeva potessero convincerlo a rompere quel silenzio, così improvviso, strano e sbagliato tra di loro. – Senti, ti sto trattando come un adulto, lo sto chiedendo a te e non ai tuoi. Vuoi davvero che li richiami e mi faccia raccontare cos’è successo? Coraggio, dimmi cos’hai fatto – Percorse di nuovo quei pochi passi che li separavano per arrivare di fronte al ragazzo e mettergli una mano sulla spalla prima di rivolgersi a lui con maggiore gentilezza. - Magari posso aiutarti a mettere a posto le cose. Sono piuttosto bravo in questo, ricordi?

Voleva ricordargli cos’era successo il luglio precedente. Voleva che rivivesse l’esatto momento in cui aveva cominciato ad avere fede in lui e tutto ciò che ne era seguito, voleva che ricordasse com’era stato abbracciarsi, toccarsi per la prima volta, voleva che tornasse indietro nel tempo col cuore e coi pensieri per riscoprire quanto era intenso il loro legame e quanto di se stessi avevano messo l’uno nelle mani dell’altro. E tutto attraverso quella mano sulla spalla e la scintilla d’amore negli occhi color del cielo che Adam teneva fissi nei suoi perché lo sostenessero.

Ma Tommy Joe scosse la testa dopo qualche altro secondo, lasciando andare un sospiro scoraggiato.

- Finirai solo con l’arrabbiarti ancora di più – affermò con innegabile amarezza.

Adam lasciò la sua spalla e incrociò le braccia. - Allora vuoi tenermi all’oscuro?

A quel punto Tommy sbuffò, stressato, ma non abbandonò i suoi occhi.

- No – decretò, il coraggio di affrontare la paura di vederlo allontanarsi che gli baluginava nei grandi occhi scuri. - Ieri pomeriggio, dopo le lezioni, sono uscito con un gruppo di amici. Non ho avvertito Julie e Rick perché all’inizio pensavo di tornare a casa in tempo per la cena, ma poi…

- Va’ avanti – lo incitò Adam con un cenno della testa quando lui si arrestò, e Tommy inghiottì a vuoto perché stava per ammettere di essere ricaduto in una vecchia abitudine proprio con colui che lo aveva aiutato a sbarazzarsi di quel vizio, relegandolo in un passato che non era piacevole ricordare.

- Verso le otto abbiamo trovato un pub dove il tizio al bancone era disposto a chiudere un occhio sul fatto che la maggior parte di noi fosse minorenne – raccontò. - Così, ecco, ho preso qualche cocktail, come tutti, e…

Adam corrugò la fronte e non si fece scrupoli a interromperlo, mentre una sorta di astio a cui non sapeva dare un nome preciso saliva a bruciargli lo stomaco. Sapeva di sconfitta dopo millenni di illusioni e senza dubbio ardeva altrettanto.

- Quantifica qualche cocktail.

Tommy si specchiò nei suoi occhi chiari, le labbra socchiuse per la sorpresa di scoprirvi tanta delusione, quindi si umettò le labbra e si costrinse a rispondere. - Un paio di Mojito. Forse tre, non ricordo, fatto sta che mentre ero al bar non ho sentito il cellulare e quando sono uscito era troppo tardi. Sono arrivato a casa a mezzanotte, così mi hanno messo in punizione.

- E vorrei ben vedere – commentò il maggiore, respirando a fondo e non risparmiandogli tutto il proprio disappunto, ma questa volta il ragazzo non rinunciò a tenere puntati gli occhi traboccanti inquietudine nei suoi, anche se questi continuavano a biasimarlo in silenzio.

- Per favore, non dirgli che ho bevuto superalcolici. Con loro ho parlato solo di birre – lo supplicò, riferendosi ovviamente ai genitori adottivi con un’angoscia che, Adam capì, non derivava dalla paura di un ulteriore castigo, ma dal timore di tradire di nuovo il loro affetto.

Sospirando di cuore e lasciando perdere il tentativo di rimanere fermo sull’approccio severo che gli era venuto spontaneo all’inizio ma che ora non riusciva più a reggere, il più grande tornò di fronte a Tommy, gli si accucciò davanti così che il ragazzo non dovesse alzare la testa per guardarlo in faccia e gli appoggiò i palmi sulle gambe, sopra le ginocchia, poco lontano dalle sue mani, che durante l’intera conversazione erano rimaste lì a stringere, sgualcire e raschiare con le unghie mangiucchiate la stoffa spessa dei jeans.

In un primo momento Tommy cercò di fuggire il suo sguardo, ma non appena Adam aprì bocca si rese conto che il suo tono si era fatto meno esagitato, più disponibile se non addirittura dolce, e smise di scappargli.

Adam gli carezzò distrattamente la coscia, fissando la mano che stava muovendo senza realmente vederla prima di tornare agli occhi mesti del diciassettenne. - Da quando hai ricominciato a bere?

Tommy parve dover mandare giù un boccone di olio di fegato di merluzzo prima di riuscire a rispondere. - Qualche settimana.

- E perché hai ricominciato? – lo sollecitò Adam a quel punto, senza nemmeno accorgersi che era passato a stringergli la coscia. - Cristo, Tommy, ne eri uscito così bene.

Costretto a soccombere alla verità di quell’osservazione sofferta, il biondo tornò a far rifugiare lo sguardo fra le increspature che sul pavimento separavano una piastrella dall’altra, così Adam si affrettò a porre rimedio. Facendo scivolare la mano sinistra a vezzeggiare una delle sue, che aveva visto contrarsi contro le ginocchia, e l’altra verso il suo viso per allungargli una carezza, riconquistò l’attenzione di quella che considerava ancora l’anima più fragile in cui si fosse mai imbattuto.

- Davvero non vuoi dirmi qual è il problema?

Tommy si accigliò di colpo, colto alla sprovvista. - Cosa? Quale problema?

- Mi rifiuto di credere che questo tuo tornare a cercare l’alcol sia nato dal nulla, da un capriccio. Da quando abbiamo provato assieme a smettere sei sempre stato molto bravo a dire di no, anche durante le serate tra amici. Posso capire il tuo voler uscire e distrarti, ma hai davvero bisogno di bere? Non ricordi come ti eri ridotto?

Una smorfia che si divideva fra dolore e disgusto trasformò per un attimo il volto dell’adolescente.

- Sì che me lo ricordo.

- E allora perché? – insistette Adam, pensando fosse meglio battere il ferro finché era caldo. - Cosa ti tormenta questa volta?

Lo stupore negli occhi di Tommy sembrò quasi vero questa volta. Il ragazzino si stava affinando.

- Niente – disse, scuotendo la testa e scrutando il volto del maggiore come per scovarvi i segni della pazzia. - Sono solo uscito con degli amici, mi sono divertito. E sì, per divertirmi ho bevuto qualcosa, e allora? Non capisco perché ne facciate tutti una tragedia, non sono morto.

Adam dovette prendere un respiro immenso per trattenersi dal ribattere in malo modo. Era certo che il ragazzo gli stesse nascondendo qualcosa, in qualche strano modo aveva maturato un istinto infallibile a riguardo, e il fatto che il biondo si fosse intestardito al punto da negare l’evidenza rischiava seriamente di farlo uscire dai gangheri come non faceva da mesi, almeno non con chi amava. Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per mettere a tacere la propria natura impulsiva e continuare a ragionare come un diplomatico di alto livello, senza concedere nulla al proprio temperamento di fuoco.

- Tommy – lo chiamò ancora, limitandosi a stringere un po’ di più la presa sulla sua mano per fargli capire quanto fosse serio. - Quando ti ho conosciuto la scorsa estate bevevi per scordare qual era la situazione a casa, per estraniarti dal mondo, così da poterti dimenticare di esistere almeno per qualche ora. So benissimo come ti sentivi perché ho approfittato anch’io di quel senso di torpore e onnipotenza che può darti l’alcol, prima, durante e dopo i miei sedici anni. Non ho mai creduto che ci fossero altri motivi per cui bevevi e infatti nel momento stesso in cui le cose hanno cominciato ad andare meglio, quando hai lasciato i Callaway e ci siamo messi assieme, hai smesso di cercare d’intrufolarti nei bar o di rubare bottiglie al supermercato. Non è la singola birra o il singolo Mojito che mi preoccupano, amore – sottolineò con esasperata dolcezza nell’estremo tentativo di convincerlo ad aprirgli il cuore come aveva già fatto tante volte. - È il pensiero che a spingerti a bere sia di nuovo un problema che ti stai tenendo dentro e che tu finisca per affogarti nell’alcol pur di non parlarne con nessuno.

A quel punto Tommy reagì d’istinto come Adam non si era permesso di fare. Certo, doveva proteggersi in qualche modo, o un altro paio di minuti di quell’insistenza da parte del maggiore lo avrebbe fatto senza dubbio cedere, come le sue gote già rosse annunciavano.

Liberandosi con uno strattone dalla presa gentile delle mani di Adam, saltò in piedi facendo cadere lo sgabello e parlò a voce alta, non riuscendo però a contenerne il tremore.

- Possibile che siate tutti così duri di comprendonio, che mi trattiate come se dovessi infrangermi in mille pezzi da un momento all’altro? – esclamò, furente, fulminando Adam dall’alto. - Sono uscito, ho bevuto e ho fatto tardi, fine della storia! Non sto nascondendo niente, non mi sto tenendo dentro niente, avevo solo voglia di svagarmi un po’ e stasera volevo vederti perché mi mancavi, ma adesso penso sia stato un errore venire fin qui dato che non la smetti di asfissiarmi con le tue prediche!

Adam sentì un blocco di ghiaccio serrargli il petto nel momento in cui Tommy gli scagliò addosso quell’accusa. Nonostante tutti i suoi tentativi di trattarlo con i guanti, di essere comprensivo, di incoraggiarlo a parlare mettendo da parte per un momento la rabbia per quella che per quanto ne sapeva era la seconda spacconeria commessa in due giorni, il diciassettenne non si era bloccato prima di aver finito di parlare, non si era tappato la bocca con le mani per ritrattare, non aveva detto che gli dispiaceva, non quella volta. E Adam, da parte sua, non aveva né l’intenzione né la forza d’animo necessaria per insistere con le manfrine, non dopo ciò che aveva dovuto sentire uscirgli di bocca.

- Molto bene – sentenziò, gelido, alzandosi di nuovo in piedi.- Se è così che la pensi prendi la giacca, ti riporto a casa.

Immobilizzato da quell’ordine, Tommy esitò fra la collera e il timore. - Non ci voglio andare.

- Be’, l’ufficio reclami è chiuso e dopo quello che mi hai detto penso di avere il diritto di strafottermene di quello che vuoi tu – replicò Adam all’istante, passandolo da parte a parte con un’occhiata glaciale quanto il suo tono di voce e limitandosi ad accennare con il capo alla soglia che dal bagno portava in cucina. - E adesso fuori, veloce, mi strucco e andiamo.

- Ma…

- Ora – scandì Adam, e senza bisogno che alzasse la voce Tommy si sentì morire sotto il peso di quello sguardo che non avrebbe ammesso ulteriori repliche.

Adam vide i suoi occhi farsi lucidi, la sua bocca aprirsi per prendere aria o per rimediare l’audacia necessaria a partorire qualche altra lagnanza che comunque non vide mai la luce, quindi serrò gli occhi con forza, annientato dal dispiacere, quando Tommy gli obbedì senza più obiettare, superandolo con grandi falcate, gli occhi fissi sui propri piedi, e sbattendosi la porta del bagno alle spalle con violenza.

Allontanando dalla propria mente il sospetto di averlo fatto piangere, Adam si voltò verso lo specchio e vide il proprio viso teso per la collera e l’apprensione che gli erano rimaste addosso e che, struccante o meno, lo avrebbero seguito ancora per molte ore.

C’era molto di più di Adam Lambert, il ragazzo irresistibile ma con la testa sulle spalle di Tommy Joe, sotto quella mole di trucco da locale gay. C’era un amico, un fratello il cui aiuto Tommy aveva appena respinto, ferendolo più nel profondo di quanto sembrasse essersi reso conto, ma ad Adam non era questo che importava di più, dato che ancora una volta la sua pena era tutta per quel ragazzino tornato indecifrabile dopo mesi di serenità, tutto sommato, con i dovuti alti e bassi.

Tutto a un tratto gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, che il passato li avesse risucchiati, che lui fosse ancora un barista senza prospettive di alcun tipo e Tommy un moccioso occupato a celare dietro atteggiamenti da tosto uomo di mondo le più misere debolezze della sua anima.

Adam sospirò contro il se stesso nello specchio e afferrò spicciamente una salvietta di cotone e il tubetto di struccante per poi cominciare a ripulirsi, pensando che forse stava esagerando. Ma le sue iridi, ora quasi invisibili, come quando gli capitava di svegliarsi piangendo a notte fonda, non sapevano mentire. Proprio come non lo sapeva fare Tommy, almeno quando parlava con lui.

All’improvviso lo specchio divenne un universo parallelo in cui perdersi. Il suo viso, la cui perfezione fittizia aveva appena guastato con lo struccante, il ritratto confuso dei pensieri logoranti che gli vorticavano in testa. Tommy era nell’altra stanza, forse stava versando qualche lacrima che sapeva avrebbe potuto nascondergli quando fosse uscito dal bagno, così come gli stava nascondendo qualcosa di peggio.

Adam buttò giù a fatica un sorso d’acqua, scosse la testa e chiuse gli occhi prima di affondare la faccia nell’asciugamano, i sensi di colpa che gli mordevano il cuore.

Perché non ti fidi più di me?




   
 
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