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Autore: Naif    18/02/2014    3 recensioni
C’è una linea sottile tra essere vivi e vivere la vita. Ad Effie non è ben chiaro questo concetto fino a quando la perdita della madre non la mette davanti ad una scelta: restare in Spagna, completamente sola, o tornare in Argentina dal fratello Pablo, recuperando un rapporto che è stato quasi inesistente nei suoi diciassette anni di vita. Lì, a Buenos Aires precisamente, c’è ad attendere Effie un gruppo di persone, ancora ignare del fatto che porteranno un uragano (positivo, si intende) nella vita della ragazza, facendole capire che vivere la vita non è affatto difficile. Basta solo trovare un nuovo inizio, poi sarà un gioco di ragazzi.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Nuovo personaggio, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bussammo alla porta e dopo poco venne ad aprirci una signora sorridente dai capelli neri. Appena ci vide, abbracciò Violetta. «Ragazze, ma quanto siete state brave! La mia piccolina… Olga è tanto fiera di te!».
Un signore alto in giacca e cravatta sbucò fuori da una porta. «Olga, lascia Violetta e le ragazze entrare, lascia loro spazio vitale» disse pacato.
«Roberto, smettila tu e il tuo spazio vitale, non se ne può più!» sbraitò quella che doveva essere Olga. Violetta sbuffò, con l’aria di chi assisteva a quella scena un giorno sì e l’altro pure; le ragazze trattennero a stento un risolino, io cercai di fare del mio meglio, visto che non conoscendo nessuno della famiglia di Violetta di certo non avevo la confidenza che potevano magari avere Francesca e Camilla.
Ola e Roberto si scambiarono qualche altra battuta, punzecchiandosi l’un l’altro, finché non raggiunse in salotto un signore alto e castano che si fermò a braccia conserte con un’espressione accigliata al centro della stanza: doveva essere il padre di Violetta.
«Tu non andrai da nessuna parte» disse con una calma assoluta, come se con quelle parole non stesse mandando in frantumi il sogno della figlia. Quasi fossi io Violetta, sentii un tonfo dentro e uno sconforto tali che strinsi automaticamente a pugno delle mani. Avvertivo che anche le ragazze si erano irrigidite, mentre Violetta stava trattenendo un singhiozzo.
«Avevo una speranza nel credere che stavolta, dopo tutto quello che abbiamo passato, sarebbe stato diverso, che la tua reazione sarebbe stata diversa: evidentemente mi sbagliavo» disse Violetta con un’amara consapevolezza. Il padre della ragazza incassò il colpo sentendo quelle parole.
«Lo faccio per il tuo bene, potrebbero succederti mille cose…» iniziò a giustificarsi.
«Tu non ti fidi di me» sentenziò Vilu.
«Non è vero, non mi fido degli altri…» provò a controbattere German.
«Ed ecco la solita scusa. Dobbiamo davvero ogni volta ripetere lo stesso schema? Siamo costretti a dire le stesse cose fin quando non sarò abbastanza grande da poter decidere di andare altrove?». Detto questo, la ragazza scappò su per le scale probabilmente diretta in camera sua. Il padre sembrava colpito da quelle parole, ferito.
«Non dovrebbe fare così ogni volta, German» disse con calma Francesca.
«Sì, Francesca ha ragione: Violetta in più occasioni le ha dimostrato di essere matura e di meritare la sua fiducia» aggiunse Camilla.
German titubava: alle parole delle due ragazze, dapprima assunse un’espressione arrabbiata, poi dubbiosa. «Voi semplicemente non sapete come stanno le cose» riuscì unicamente a dire.
«Sì che lo sappiamo, perché ogni volta che lei dice di no a Violetta siamo noi a dover fare l’impossibile per tirarle su il morale!» replico Francesca con decisamente meno calma di prima.
«Voi non capite…» iniziò di nuovo German.
«Cosa c’è da capire? Qual è la spiegazione valida al suo comportamento che sfugge sia a noi sia a Vilu?» chiese Francesca, perdendo la pazienza.
«Ho già perso mia moglie Maria, non voglio perdere anche mia figlia» mormorò l’uomo, prendendosi il volto tra le mani.
Cadde un assoluto silenzio nella stanza: iniziai a capire il perché della malinconia negli occhi di Violetta nel ricordare la storia del suo nome. E capii anche che la paura di German, per quanto non logica, avesse una causa.
«German, so che non mi conosce e probabilmente non ho il diritto di dire la mia» iniziai a dire un po’ timorosa, «ma privando Violetta della libertà di scegliere non recupererà ciò che ha perso. Io ho perso entrambi i genitori e non credo ci sia modo di farli ritornare in carne ed ossa qui accanto a me, come una volta». La voce mi mancò per un attimo, abbassai il volto. «So che quando si perde una persona si reagisce in modo da tenersi stretto tutto ciò che resta, ma deve capire che agendo così perderà l’amore di sua figlia. Vale la pena di dare ascolto alla paura?». Non avevo il coraggio di guardare nessuno, le mie scarpe avevano assunto improvvisamente un che di interessante. Poi all’improvviso la vista mi si offuscò, come se ci fosse una patina bagnata. Stavo piangendo.
«Restate con Violetta» sussurrai a Francesca e Camilla, dopodiché uscii da casa Castillo, diretta non so dove.
 
Cercai di ripercorrere a ritroso la strada che avevo fatto precedentemente con le tre ragazze ma il mio pianto raggiunse un livello tale che divenne impossibile continuare a camminare in quelle condizioni; mi lasciai cadere su una panchina e mi presi la testa tra le mani. Dicendo quelle cose a German, mi ero accorta di quanto avessi sbagliato anche io negli anni: per il dolore e per la perdita, io avevo agito in modo contrario a come invece il signor Castillo aveva fatto con la figlia. Lui le aveva tolto parte della libertà per proteggerla; io, per proteggere me stessa da nuovo dolore, avevo escluso tutti dalla mia vita, tranne mia madre. E dalla sua morte mi sentivo come se non avessi altro motivo per continuare a vivere. Certo, per tutti sembrava così logico che tornassi da Pablo, il quale con la morte di nostra madre era diventato anche mio tutore: e forse poteva essere la cosa giusta, visto che tra noi c’era ancora una giusta spontaneità fraterna. Ma avrei dato al destino altri motivi per stare male? Avrei fatto entrare nella mia vita altre persone che un giorno, per un qualsiasi motivo, avrebbero potuto abbandonarmi? Il mio era egoismo? Vittimismo? Masochismo? Non riuscivo a capire.
«Effie!». Alzai il capo e cercai di mettere a fuoco una preoccupata Angie: era in compagnia di Leon, che aveva un’espressione interrogativa sul volto.
«Non è niente, solo un po’ di nervosismo» dissi ad Angie e, senza darle tempo di replicare, mi rivolsi a Leon. «Va’ da Violetta, ha bisogno di te, ha litigato con German». Il ragazzo, a quelle parole, mi fece un cenno e scappo verso casa Castillo.
«Va’ anche tu, Angie, è tua nipote» aggiunsi rivolta alla donna che si era seduta a fianco a me.
«Tra poco con lei ci sarà Leon, con te invece non c’è nessuno» replicò, cercando di tranquillizzarmi. Eppure mi sembrava agitata per Violetta, così cercai di convincerla.
«Angie Saramego, non vedo motivo per cui tu debba perdere tempo con me invece che andare da Violetta» dissi cercando di accennare una risata per darle una prova che il mio malumore non fosse una cosa grave. Lei però scosse la testa con decisione.
«Raggiungerò Violetta dopo aver capito cosa ti sta dando motivo di tristezza, Efelide Galindo: non mi farai cambiare idea» esclamò lei a mo’ di rimprovero.
«Ci credi se ti dico che non è nulla di che?» chiesi con un po’ di insicurezza. Probabilmente quest’ultima mi aveva tradita, perché ancora una volta la Saramego scosse il capo.
«No che non ti credo, perché nei tuoi occhi vedo un grande dolore: parlamene» mi rispose, spronandomi a sfogarmi.
«Non avevate una riunione, voi professori?» chiesi, cercando un’ultima via di fuga.
«L’avevamo ed è finita però tuo fratello doveva ancora parlare con Antonio e Marotti. Ora però parla». La guardai negli occhi, in quegli occhi in cui mio fratello da ragazzino si perdeva, entrando in uno stato di trance cui una preoccupata Angie metteva puntualmente fine sventolandogli una mano davanti al volto: sorrisi, pensando al sorriso che mia madre tratteneva ogni volta che assisteva ad una scena del genere, cercando di tapparmi la bocca per non mettere ancora di più in imbarazzo mio fratello. Si era perdutamente innamorato della sua migliore amica, chissà se con gli anni questo sentimento fosse rimasto inalterato. Non potevo in ogni caso biasimarlo: Angie era una ragazza talmente bella, solare e divertente che mi sembrava impossibile pensare che qualcuno che la conoscesse potesse non affezionarsi a lei.
«Mi sto chiedendo se ho fatto la cosa giusta tornando qui da Pablo. Io, che ho sempre evitato i legami per paura di soffrire, adesso vengo qui e non solo devo fare i conti con la lontananza da mio fratello che mi ero imposta ma anche con persone che, pur non mi conoscendomi, vogliono rendermi partecipe delle loro vite e capirmi: io, a tutto questo, non sono più abituata, sempre se una volta lo sono stata». Ammisi tutto senza essere interrotta e dopo aver detto le ultime parole restammo un po’ in silenzio, le mie mani tra quelle di Angie.
«Non sei più abituata a vivere, Effie» iniziò a dirmi dolcemente Angie. «Semplice e complicato al contempo, è questo il tuo problema: tornando qui, ti sei ritrovata davanti tutto ciò che avevi evitato. Escludendo qualsiasi tipo di legame dalla tua vita, ti sei mai sentita viva?» mi chiede senza alcuna provocazione ma con assoluta dolcezza. Probabilmente nelle sue parole c’era quella verità che a me non sembrava lampante così come sembrava a lei.
«Non so da che parte iniziare» sussurrai, sentendo crescere in me una nuova paura, quella di non farcela.
«Intanto hai ammesso il problema e questo è già un ottimo inizio» mi tranquillizzò sorridendomi. «E poi, ci siamo noi e con noi non intendo solo me e Pablo: a te forse non sembrerà, ma oggi venendo allo studio sei entrata in un covo di matti, persone diverse tra loro ma ognuna preziosa a suo modo» aggiunse accennando una risata. La guardai, non capendo dove volesse arrivare. «Qualcuno ha detto che la follia è in ognuno di noi: figuriamoci negli artisti! Tu però oggi sei venuta a contatto con un covo di folli buoni e simpatici, te lo posso assicurare» disse ancora facendomi un occhiolino. «Ti aiuteremo noi, senza se e senza ma» concluse, prevedendo una mia reazione. Reazione che non tardò ad arrivare, visto che in tutta la faccenda c’era qualcosa che mi preoccupava e non poco.
«Ma non voglio sembrare una vittima, una persona triste e complessa che deve essere aiutata…».
«Mhm, sei fuori strada: loro sono in grado di aiutarti inconsapevolmente, a te basterà la loro compagnia per capire cosa significhi davvero vivere, nulla più» mi spiegò ancora, con la pazienza di una madre.
«Potrò contare sempre su di te?» le chiesi, in cerca di una conferma.
«Quando vuoi. Sarò sempre al tuo fianco, così come Pablo. Ti fidi di me?». Annuii. «Fidati anche di Pablo» mi disse ancora, accarezzandomi il capo.
«Grazie Angie, davvero».
«Di niente, Effie: sei ancora quella piccola peste che correva per tutta casa Galindo facendo scherzi al fratello. Devi solo tornare alla luce, tutto qui». Le sorrisi, capendo attraverso quelle parole che tornando avevo ritrovato anche una specie di sorella.
«Ora va’ da Violetta, ha bisogno delle tue parole ».
Guardai Angie allontanarsi, poi percorsi l’ultimo tratto che mi mancava per arrivare allo studio. Arrivata, mi fermai all’entrata e presi posto su un muretto in attesa di mio fratello; nell’attesa, decisi di leggere un libro che avevo in borsa.
Così, accettai la compagnia di Adso e dei misteri di un monastero benedettino.
 
 
 
 
 
 
 
Il cantuccio di Naif~
Siore, siori, buoooonasera! :D Come state? Io sono uscita un momento dalla mia reclusione universitaria, ovviamente per andare in facoltà (eh, mica a farmi una passeggiata per godere di questo sole! T_T), ed ora, per la vostra gioia (seh, Naif, credici xD) sto pubblicando il nuovo capitolo. Innanzitutto, mi scuso di starvi propinando questo capitolaccio: non me gusta mucho, nella mia mente sembrava così geniale ma si sa, per qualche legge che mi è sconosciuta le idee che appaiono grandiose al solo pensiero, messe in pratica con una buona probabilità sembreranno una schifezza. Ergo, non so che dire di questo capitolo, posso solo dirvi che ho fatto tutto il possibile per renderlo meno schifoso, ecco. Sono ricorsa all’aiuto della Saramego, che dolce! :3
Ah, a tal proposito mi viene in mente una domanda che vorrei farvi: è Effie a narrare la storia. Ora, non sono capitan ovvio, ma in questi giorni mi sto ponendo un quesito e vorrei chiedere una vostra opinione: Effie racconterà ogni, e sottolineo ogni, cosa, ma mi sembra scontato dire che ci saranno occasioni nel corso della storia in cui altri personaggi potrebbero dare una visione diversa di un episodio, più personale. Ecco, mi stuzzica l’idea di inserire nella storia dei capitoli che narrano di un episodio già raccontato da Effie ma dal punto di vista, ad esempio, di Pablo, Violetta…. e via dicendo. Che ne pensate? Si accetta qualsiasi opinione! :D
Ultima cosa: prevedo un rallentamento nei prossimi aggiornamenti. È periodo di esami, ahimè, e non so se posso assicurarvi la puntualità con cui saranno pubblicati i prossimi due capitoli. :( Vi chiedo umilmente perdono T_T
A presto (si spera!),
Naif~
 
P.s.: Adso è il narratore di Il nome della rosa di Umberto Eco. Effie è una lettrice accanita, sappiatelo! ;)
  
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