Era davvero lui.
di Alpacent
di Alpacent
Non ho avuto nemmeno il tempo di conoscerlo che l’ho perso.
È
incredibilmente sadica
la vita certe volte.
Non ho avuto il tempo
di
chiedergli nulla.
Nemmeno di dirgli
quanto
fosse stronzo.
Sempre che lo fosse,
non
l’ho conosciuto abbastanza, non potei nemmeno dargli la colpa.
La sua morte, non mi ha
tolto più di quello che mi ha dato incontrarlo.
Pensavo.
Non sapevo
perché mi
avesse abbandonata.
Se era stato lui a
farlo.
Non sapevo nemmeno se
sapesse di me.
Un giorno, un giorno
qualsiasi, ma proprio il più comune dei giorni, un uomo si
presenta.
Era mattina, faceva
caldo,
era luglio, stavo andando in giro da sola. Non ero particolarmente
triste,
azzarderei che ero abbastanza felice. Volevo delle scarpe rosse, col
tacco,
aperte. Me lo ricordo perché non le comprai. Dovetti
costringere Heric ad
accompagnarmi quasi tre mesi dopo.
Non mi disse il nome.
Disse
“Sana io sono tuo padre” della serie
quest’uomo ha visto Star Wars troppe
volte.
Ho creduto che si fosse
allontanato dalla sua casa di cura.
“si
sbaglia” risposi
serena. Non era la prima volta. Avevo vissuto più di
diciannove anni senza
conoscere il mio vero padre. E da quando ne avevo tredici che degli
uomini mi
si presentavano rivendicando metà del mio patrimonio
genetico. Imparai presto
che il patrimonio a cui erano interessati non era affatto quello
genetico.
Non mi sorpresi. Ne mi
spaventai. Era come se mi avessero detto, sotto un cielo plumbeo
“che bella
giornata, Sana”.
Mi sorrise, e per come
lo
fece, per quello che sentii quando lo fece, capii che forse non era
pazzo.
Passai la mattinata con un uomo, che diceva di essere mio padre.
Parlammo di cose
futili. Chiunque
avrebbe approfittato per chiedere perché? Come? Io
però non lo feci.
Non era da me, lo so.
Non
era da me parlare di cose futili con una persona che sosteneva di
essere il mio
padre biologico.
E non era nemmeno da
lui.
Lo capii da certi silenzi. E da certe forzature nella sua voce.
Passammo davanti ad un
negozio di strumenti musicali.
Gli si
illuminò il volto.
E iniziammo a parlare di musica. A mente, ringrazia mille volte Heric e
la sua
passione per la buona musica, e così fui in grado di
sostenere la
conversazione. Stupendomi di volerlo conoscere.
Capii che parlare di
quelle cose superficiali, era fondamentale. Non potevamo affrontare
quei
discorsi. Non allora.
Mi disse che ero una
brava
attrice.
Risposi che
l’Oscar che
stava sulla mia credenza, me ne aveva dato il sospetto. Sorridemmo.
Iniziavo a stare bene
con
lui. Il suo carattere mi somigliava molto, non sapevo se fosse
perché ero sua
figlia. Continuavo ad essere scettica. Credo che se non mi avesse detto
di
essere mio padre, avrei simpatizzato subito per quell’uomo
alto e magro.
Fisicamente, non avevamo nulla in comune.
Arrivammo alla stazione
della metropolitana, lui entrò e mentre le porte si
chiudevano mi salutò. Io
avrei dovuto prendere il treno successivo. Sarebbe arrivato
lì un minuto dopo,
non c’era bisogno che aspettasse. Convenimmo in silenzio che
era ora di
dividerci.
Poi disse qualcosa che
avrei preferito non sentire.
“sei come tua
madre”
“no, non lo
sono” il suo
sorriso non si spense, chiuse però gli occhi, come a
ringraziare che non lo
fossi. Che non fossi come lei. Capii che forse non era colpa sua.
Attentato.
Perché i
terroristi
pensano che ai politici interessi qualcosa della morte delle persone
che prendono la
metropolitana?
Tutto il suo vagone era
esploso.
Tutti i passeggeri
morti,
ad eccezione di un bimbo. Lo andai a trovare ogni giorno dopo
l’attentato,
siamo diventati amici in questi tre mesi. E lo andrò a
trovare ogni giorno.
Abbiamo una tragedia in comune oggi. Fu mandato in orfanotrofio. Non
avrei
potuto nemmeno adottarlo. Ho diciannove anni, ma per il mondo non sono
“adulta”
nel vero senso della parola.
“signorina,
abbiamo
trovato i suoi dati su una delle vittime dell’attentato,
può venire ad
identificare il corpo?”
Identificare il corpo.
Di
mio padre.
Andai.
Era lui.
Mi diedero un foglio da
compilare. Dissi che non ero in grado, non perché fossi
sconvolta, solo
perché non
conoscevo nulla della persona
che giaceva sul tavolo di metallo.
Dissi solo
“era mio padre,
non so altro di lui”. Non riuscii a piangere. Non crollai.
Non fino ad oggi.
Scoprii che mi aveva
appena trovato. Aveva una mappa della città, con degli
appunti su di me.
Scoprii che viveva
fuori
dal paese da vent’anni. Mi diedero il suo passaporto.
Scoprii che mi aveva
vista
alla notte degli Oscar. Aveva dei ritagli di giornale. Scritti in
spagnolo.
Scoprii che non aveva
famiglia. Trovai una specie di lista delle confessioni sul biglietto
dell’aereo.
Sentii che non aveva
saputo
nulla di me.
Era morto un estraneo.
E credevo che tutto
quello
che sarei riuscita a provare fosse il dispiacere, la tristezza di
quella morte.
Come per un lontano parente. Per mesi fui solamente triste. Non
disperata,
triste.
Il mondo è
andato avanti.
Come sempre. Se ne frega. La gente è andata avanti. E
credevo anch’io.
Mi sbagliavo.
E l’ho capito
oggi.
Ho obbligato Heric ad
accompagnarmi per quelle scarpe.
Siamo andati in un
negozio
di strumenti musicali. Una volta entrati, mentre Heric parlava con
l’uomo
dietro il bancone, ho iniziato a girare per il negozio.
Non so quanto tempo
sono
rimasta a guardare quella chitarra.
So solo che quando ho
sentito Heric dietro di me, pronto a sostenermi, ho dato voce al mio
pensiero
prima di crollare “A Taddeus sarebbe piaciuta”.
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Nota^^
‘Sera
Dunque,
l’ispirazione è
venuta rileggendo una pagina di ''Che t’importa
di cosa dice la gente?''
precisamente pag 45. da cui ho preso anche l’ultima parte.
cito testualmente:
Passavo davanti a un grande magazzino di Oak Ridge quando vidi in vetrina un bel vestito. <>, pensai,
e sono crollato .
Passavo davanti a un grande magazzino di Oak Ridge quando vidi in vetrina un bel vestito. <
Spero che nessuno si
offenda se l’ultima frase è presa da li,
perché ci tengo a sottolineare che
Feynman è il mio più grande mito. E i suoi libri,
sono per me roba sacra. Non lo so quante persone possono trovare
ispirazione da libri di fisica, o da raccolte di aneddoti su
scienziati... però io brulico di idee quando ne finisco uno.
Per il resto
è farina del
mio sacco.
Spero vi piaccia!
Commentino?
Un bacio
Lucia