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Autore: Alphacent    19/06/2008    6 recensioni
"Mi disse che ero una brava attrice. Risposi che l’Oscar che stava sulla mia credenza, me ne aveva dato il sospetto. Sorridemmo."
I nomi sono quelli dell'anime per ovvi motivi.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Era davvero lui.
di Alpacent



Non ho avuto nemmeno il tempo di conoscerlo che l’ho perso.
È incredibilmente sadica la vita certe volte.
Non ho avuto il tempo di chiedergli nulla.
Nemmeno di dirgli quanto fosse stronzo.
Sempre che lo fosse, non l’ho conosciuto abbastanza, non potei nemmeno dargli la colpa.
La sua morte, non mi ha tolto più di quello che mi ha dato incontrarlo.
Pensavo.
Non sapevo perché mi avesse abbandonata.
Se era stato lui a farlo.
Non sapevo nemmeno se sapesse di me.
 
 
 
 
 
Un giorno, un giorno qualsiasi, ma proprio il più comune dei giorni, un uomo si presenta.
Era mattina, faceva caldo, era luglio, stavo andando in giro da sola. Non ero particolarmente triste, azzarderei che ero abbastanza felice. Volevo delle scarpe rosse, col tacco, aperte. Me lo ricordo perché non le comprai. Dovetti costringere Heric ad accompagnarmi quasi tre mesi dopo.
Non mi disse il nome. Disse “Sana io sono tuo padre” della serie quest’uomo ha visto Star Wars troppe volte.
Ho creduto che si fosse allontanato dalla sua casa di cura.
“si sbaglia” risposi serena. Non era la prima volta. Avevo vissuto più di diciannove anni senza conoscere il mio vero padre. E da quando ne avevo tredici che degli uomini mi si presentavano rivendicando metà del mio patrimonio genetico. Imparai presto che il patrimonio a cui erano interessati non era affatto quello genetico.
Non mi sorpresi. Ne mi spaventai. Era come se mi avessero detto, sotto un cielo plumbeo “che bella giornata, Sana”.
 
 
 
 
Mi sorrise, e per come lo fece, per quello che sentii quando lo fece, capii che forse non era pazzo. Passai la mattinata con un uomo, che diceva di essere mio padre.
Parlammo di cose futili. Chiunque avrebbe approfittato per chiedere perché? Come? Io però non lo feci.
Non era da me, lo so. Non era da me parlare di cose futili con una persona che sosteneva di essere il mio padre biologico.
E non era nemmeno da lui. Lo capii da certi silenzi. E da certe forzature nella sua voce.
Passammo davanti ad un negozio di strumenti musicali.
Gli si illuminò il volto. E iniziammo a parlare di musica. A mente, ringrazia mille volte Heric e la sua passione per la buona musica, e così fui in grado di sostenere la conversazione. Stupendomi di volerlo conoscere.
Capii che parlare di quelle cose superficiali, era fondamentale. Non potevamo affrontare quei discorsi. Non allora.
 
 
 
 
Mi disse che ero una brava attrice.
Risposi che l’Oscar che stava sulla mia credenza, me ne aveva dato il sospetto. Sorridemmo.
Iniziavo a stare bene con lui. Il suo carattere mi somigliava molto, non sapevo se fosse perché ero sua figlia. Continuavo ad essere scettica. Credo che se non mi avesse detto di essere mio padre, avrei simpatizzato subito per quell’uomo alto e magro. Fisicamente, non avevamo nulla in comune.
Arrivammo alla stazione della metropolitana, lui entrò e mentre le porte si chiudevano mi salutò. Io avrei dovuto prendere il treno successivo. Sarebbe arrivato lì un minuto dopo, non c’era bisogno che aspettasse. Convenimmo in silenzio che era ora di dividerci.
Poi disse qualcosa che avrei preferito non sentire.
“sei come tua madre”
 
“no, non lo sono” il suo sorriso non si spense, chiuse però gli occhi, come a ringraziare che non lo fossi. Che non fossi come lei. Capii che forse non era colpa sua.
 
 
 
 
Attentato.
Perché i terroristi pensano che ai politici interessi qualcosa della morte delle persone che prendono la metropolitana?
Tutto il suo vagone era esploso.
Tutti i passeggeri morti, ad eccezione di un bimbo. Lo andai a trovare ogni giorno dopo l’attentato, siamo diventati amici in questi tre mesi. E lo andrò a trovare ogni giorno. Abbiamo una tragedia in comune oggi. Fu mandato in orfanotrofio. Non avrei potuto nemmeno adottarlo. Ho diciannove anni, ma per il mondo non sono “adulta” nel vero senso della parola.
 
 
 
 
“signorina, abbiamo trovato i suoi dati su una delle vittime dell’attentato, può venire ad identificare il corpo?”
Identificare il corpo. Di mio padre.
Andai.
Era lui.
Mi diedero un foglio da compilare. Dissi che non ero in grado, non perché fossi sconvolta, solo perché  non conoscevo nulla della persona che giaceva sul tavolo di metallo.
Dissi solo “era mio padre, non so altro di lui”. Non riuscii a piangere. Non crollai. Non fino ad oggi.
 
 
 
 
Scoprii che mi aveva appena trovato. Aveva una mappa della città, con degli appunti su di me.
Scoprii che viveva fuori dal paese da vent’anni. Mi diedero il suo passaporto.
Scoprii che mi aveva vista alla notte degli Oscar. Aveva dei ritagli di giornale. Scritti in spagnolo.
Scoprii che non aveva famiglia. Trovai una specie di lista delle confessioni sul biglietto dell’aereo.
Sentii che non aveva saputo nulla di me.
 
 
 
 
 
Era morto un estraneo.
E credevo che tutto quello che sarei riuscita a provare fosse il dispiacere, la tristezza di quella morte. Come per un lontano parente. Per mesi fui solamente triste. Non disperata, triste.
Il mondo è andato avanti. Come sempre. Se ne frega. La gente è andata avanti. E credevo anch’io.
Mi sbagliavo.
E l’ho capito oggi.
Ho obbligato Heric ad accompagnarmi per quelle scarpe.
Siamo andati in un negozio di strumenti musicali. Una volta entrati, mentre Heric parlava con l’uomo dietro il bancone, ho iniziato a girare per il negozio.
 
Non so quanto tempo sono rimasta a guardare quella chitarra.
So solo che quando ho sentito Heric dietro di me, pronto a sostenermi, ho dato voce al mio pensiero prima di crollare “A Taddeus sarebbe piaciuta”.
 
 
 
 
 










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Nota^^
 
 
 
‘Sera
Dunque, l’ispirazione è venuta rileggendo una pagina di ''Che t’importa di cosa dice la gente?'' precisamente pag 45. da cui ho preso anche l’ultima parte. cito testualmente:
Passavo davanti a un grande magazzino di Oak Ridge quando vidi in vetrina un bel vestito. <>, pensai, e sono crollato
.
Spero che nessuno si offenda se l’ultima frase è presa da li, perché ci tengo a sottolineare che Feynman è il mio più grande mito. E i suoi libri, sono per me roba sacra. Non lo so quante persone possono trovare ispirazione da libri di fisica, o da raccolte di aneddoti su scienziati... però io brulico di idee quando ne finisco uno.
Per il resto è farina del mio sacco.
Spero vi piaccia! Commentino?

Un bacio

Lucia
 
  
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