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Autore: JunJun    18/02/2014    3 recensioni
[post-episodio 9x03] [Destiel]
Dean, suo malgrado, ha dovuto cacciare Castiel dal bunker. Poco tempo dopo, nel tentativo di salvarlo dai suoi fratelli, finisce intrappolato con lui in un mondo perverso e privo di qualsiasi logica.
Nel frattempo, uno strano angelo invita Sam ad un pigiama party…
Genere: Azione, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Ottava stagione, Nel futuro
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Note influenzali: Ho sempre avuto un rifiuto mentale nei confronti di queste pagine, per cui riuscire a pubblicarle (anche se sotto l'effetto del paracetamolo) mi dà un senso di liberazione.
L'unica cosa che mi spiace è che adesso non ho piu' scuse e mi tocca trovare la forza psicologica per scrivere l'ultimo capitolo. ;_;
Per il momento, mi limiterò a strisciare sotto i miei piumoni e a cercare conforto nel mio Chtulhupeluche, mentre assicuro lo stipendio ad almeno un paio di operai della Scottex. *etcì*


* * *




Leon Reynolds non aveva mai sofferto di emicrania.
Subito dopo la morte di suo padre,  però, aveva iniziato ad avere degli improvvisi attacchi di mal di testa. All’inizio non ci diede peso; ma quando, dopo alcune settimane, Leon ebbe fra le mani i risultati della risonanza magnetica che gli era stato consigliato di fare, impallidì.
Rimase fermo a fissare il foglio con aria incredula per dei lunghissimi minuti, leggendolo e rileggendolo. Alla fine, lo stracciò e lo gettò via.

Aneurisma cerebrale. Nel suo cervello c’era una bomba ad orologeria di cui non si poteva leggere il timer, posizionata in un punto così delicato da rendere impossibile qualunque operazione chirurgica di rimozione. Premeva contro le arterie alla base del suo cervello e minacciava costantemente di rompersi e ucciderlo, ma tutti i medici che sentì lo rassicurarono sul fatto che non era detto che sarebbe successo.
All’inizio, Leon protestò. Poi lo accettò. Quando però notò che i suoi mal di testa diventavano sempre più frequenti, decise di godersi quelli che supponeva fossero i suoi ultimi mesi di vita, e iniziò a frequentare sempre più spesso la parte divertente di Las Vegas.

Gli ci volle un tempo sorprendentemente breve per rovinarsi. A quel punto, preso dal senso di colpa, si preoccupò almeno di salvaguardare ciò che restava della sua famiglia: trovò un fidanzato per sua sorella, un brav’uomo. Cercò di non lasciarle troppi debiti sulle spalle. E poi si rassegnò.
Una notte, Leon stava rovistando nello studio del suo defunto padre in cerca di qualche oggetto di valore da poter rivendere per pagare i suoi debiti da gioco. Quel posto lo disgustava a causa dei ricordi che gli faceva tornare alla mente, ma sapeva che nella biblioteca personale di quell’uomo vi erano edizioni rare, forse uniche, che avrebbero potuto fruttargli qualche migliaio di dollari.
Prese un libro dalla copertina nera e consunta: le pagine, sottili come carta di riso, erano riempite di scritte e strani disegni fatti a mano. Sembrava valere qualcosa, ma, quando Leon riconobbe la scrittura piccola ed elaborata di suo padre, seccato, lo gettò a terra e passò ad altro.
Pochi secondi dopo, avvertì un fruscio alle sue spalle: voltandosi, l'uomo scoprì che il libro nero, senza apparente spiegazione logica, adesso era poggiato sulla scrivania.
Più incuriosito che spaventato, Leon gli si avvicinò: non senza timore iniziò a sfogliarlo, e scoprì che parlava di alchimia, spiriti ed incantesimi. Avvertì uno strano brivido percorrergli la schiena. Non credeva alla magia, non ci aveva mai creduto – ma suo padre non era un folle, si era sempre comportato in modo strano e nessuno aveva mai veramente capito come avesse tirato su la sua fortuna.
Esaminando meglio quella biblioteca, Leon scoprì molti altri tomi di magia nera. Lesse appunti, trovò pergamene antiche e ritagli di giornale che parlavano di omicidi e satanismo.
Sono il figlio di uno stregone,” concluse Leon dopo molte ore, quando ormai, fuori, l’alba era sorta da un pezzo.
Il comportamento della donna che lo aveva dato alla luce, di colpo, gli fu più chiaro.

All’interno di uno scrittoio, Leon trovò una grossa chiave di ferro che apriva la cantina in cui aveva visto scendere suo padre tante volte: scoprì che, in realtà, era una grossa stanza occupata per la maggior parte da elaborati strumenti alchemici, arnesi arrugginiti e, soprattutto, ingredienti.
Da quel giorno, Leon cambiò: abbandonò i suoi discutibili passatempi e si chiuse nello studio del padre.
Sentiva che ormai era questione di poche settimane per lui – ma, se la scienza non poteva aiutarlo, forse, il sovrannaturale avrebbe potuto salvarlo.

Scoprì che i Demoni degli Incroci potevano esaudire un suo desiderio: lo avrebbero guarito, ma, dopo 10 anni, i cani del diavolo lo avrebbero trascinato all’Inferno.
Come è successo a mio padre,” realizzò mentre leggeva.
La prospettiva venire sbranato vivo e di essere condannato alla dannazione eterna non lo allettava, per cui continuò a sfogliare, studiare e frugare fra gli oggetti dello stregone, fino a che non scoprì la trascrizione di un’antica tavoletta di argilla denominata ‘Limbo’.
La notte stessa, Leon scese nella cantina, tracciò dei simboli sul pavimento e, seguendo le indicazioni della trascrizione, sistemò le offerte, le ceneri, il sangue, le candele di grasso e tracciò a terra un grosso cerchio con sale del Mar Morto.
Cominciò a recitare la lunga formula riportata nella trascrizione; quando finì, scoprì con disappunto che non era successo nulla.
Deluso, stava già per andarsene, quando qualcosa precipitò, letteralmente, all’interno del cerchio di sale. Leon sobbalzò per lo shock.
L'essere era un ammasso di pezzi di carne grigiastra e sangue rappreso, vestito di stoffe stracciate e insanguinate. Era accasciato a terra, la testa seppellita in un mucchio di capelli rossi e sporchi. L
e sue spalle si sollevavano e si abbassavano senza un ritmo preciso, mosse da sospiri e singulti irregolari.
Tremando di gioia e stupore, Leon gli si avvicinò per guardarlo più da vicino, ma, quando fu a pochi passi, quello sollevò di scatto la schiena e smise di fare qualunque cosa stesse facendo.
 “Scusi…“ provò l’uomo con cautela, “…sei per caso un’Entità Superiore dell’Oltretomba?” chiese.
L’entità rimase perfettamente immobile. “Sei per caso un idiota?” rispose con la voce arrochita di una donna, perché, sì – seppur conciato male, sembrava proprio una donna umana.
Leon si accigliò. Non pensava che gli Spiriti Antichi fossero così antipatici.
“Qual è il tuo nome?” le domandò.
“J…?” provò quella. Poi rovesciò la testa all’indietro e scoppiò in una risata orribile. In quel frangente, Leon notò che aveva un grosso foro al centro della gola.
“N-Non ha importanza,” borbottò l’uomo, deglutendo. “Ora tu mi aiuterai,” dichiarò poi.
L’essere, furioso, mosse una mano ischeletrita nella sua direzione, e cercò di oltrepassare la linea di sale, ma non ci riuscì, perché Leon lo aveva vincolato e imprigionato lì dentro. Iniziò a gridare e minacciare, ma Leon non vi diede peso e la lasciò semplicemente sfogare.
Lui ci credeva davvero. La trascrizione diceva che le Entità del Limbo avevano poteri immensi, e  lui era convinto che quel mostro potesse guarirlo con uno schiocco delle dita.
O roba del genere.
Dopo qualche ora scoprì con disappunto che quell'entità sembrava non essere in grado di far nulla a parte parlare in lingue strane, supplicarlo, ridere sguaiatamente, piangere, gridare come un ossesso o fissare il vuoto come se stesse ascoltando delle voci  inesistenti.
L’uomo si chiese se tutte le entità ultraterrene fossero così; non aveva né il coraggio né gli ingredienti per evocarne altre, per cui decise di continuare a tentare con quella che aveva.
Un paio di giorni dopo, Leon stava facendo colazione insieme a sua sorella, che era immersa nella lettura di uno dei suoi romanzetti. Lei non sapeva né del suo stato di salute né dell'esistenza del sovrannaturale, ed era ancora arrabbiata con lui per il suo fidanzamento forzato; ma, al momento, l’irritazione di sua sorella era l’ultimo dei problemi di Leon.
Il notiziario televisivo gli mostrò le immagini di una inaspettata caduta di meteore che aveva interessato l’intero pianeta.  Quando, poco dopo, Leon ridiscese nella segreta, scoprì che l’entità stava ridendo istericamente.
“Quindi sono caduti,” mormorava con soddisfazione. “Ben gli sta.”
“Caduti chi?”
“Gli angeli.”
“Angeli?”
“Possono aiutarti. Chuck. Chuck Shurley, il Profeta,” farfugliò l’entità, e poi ricominciò a ghignare cupamente.
Era la prima volta che diceva qualcosa di sensato, per cui Leon decise di seguire le sue istruzioni e cercare informazioni sull'uomo chiamato Chuck Shurley.


*


Molti giorni dopo, Leon spalancò furioso la porta della segreta.
Raggiunse l’entità a grandi passi e sbatté davanti dal cerchio di sale un grosso manoscritto spaginato.
“Questi,” sibilò con rabbia, “sono i testi dei libri mai pubblicati del disperso signor Shurley, e io ho speso un sacco di soldi per riuscire a procurarmeli. Credevo fossero testi di magia, invece sono solo stupide storie sul sovrannaturale. Che cosa significa?”
“Se tu potessi… liberarmi,” biascicò lei supplichevole, gli occhi bassi, “potrei spiegare.”
“Inizia a parlare,” le ordinò Leon, massaggiandosi piano la testa.
Con aria docile, quella gli spiegò che quanto riportato in quei manoscritti, e in generale tutto ciò che aveva scritto Chuck Shurley, era reale, perché lui era un Profeta.
L'uomo passò i giorni successivi a leggere i manoscritti con attenzione. Si rese conto che, pur essendo stati scritti anni fa, quei fogli descrivevano con precisione fatti recenti, come l’ascesa di Dick Roman, e terminavano con la descrizione della pioggia di meteore che, in realtà, Leon scoprì essere una pioggia di angeli.

Non gli ci volle molto a rintracciare anche il resto dei libri che il Profeta aveva pubblicato sotto falso nome: non lesse l’intera collana ma si limitò a sfogliare solo quelli che, aveva scoperto, sua sorella aveva comprato qualche tempo fa.
Si chiese se avere sempre avuto quei libri in casa non fosse stato un segno del Destino.

Leggeva velocemente, nervosamente e questo gli causava una grande stanchezza, insieme ad un forte senso di nausea.
“Supponendo che il trio Brokeback Mountain esista davvero,” disse qualche sera dopo all’entità, che in quel momento era tutta presa dal costruire una torre con le candele usate da Leon per evocarla, “come può essermi d’aiuto?”
“Gli angeli,” gracchiò lei in risposta, come al solito. La torre di candele rovinò a terra. “Io li sento. Stanno cercando Castiel. Io non posso guarirti, ma gli angeli… se glielo consegni, ti ricompenseranno. Con la salute. E il Paradiso.”
Leon sospirò, speranzoso. I libri di suo padre non parlavano molto degli angeli, probabilmente perché gli stregoni erano piu’ interessati alle loro controparti infernali. Ma lui non voleva avere niente a che fare con quelle creature violente: lui voleva solo sopravvivere. E, possibilmente, non finire ai piani bassi a prendere il tè con Satana.
Il problema maggiore era che, stando a quanto diceva Shurley, quel Castiel aveva una fortuna sfacciata.
Inoltre, Leon aveva la bruttissima sensazione che quel tale Dean Winchester lo avrebbe fatto a pezzi senza troppi complimenti se avesse fatto del male al suo angioletto preferito.
Mentre ragionava su come sbrogliare quella matassa, i suoi piccoli occhi corsero sulla pergamena con la trascrizione: fu così che ebbe l’idea di spalancare le porte del Limbo e di gettarci dentro l’ex-angelo.

La tavoletta descriveva quel luogo come una fossa senza via d’uscita, situata nel livello più basso dell’oltretomba, completamente isolata. Solo lui conosceva il rituale per aprire e chiudere quelle porte e, una volta dentro, Castiel sarebbe scomparso, e i Winchester non avrebbero sospettato di lui.
Nei giorni successivi, Leon organizzò la catena di omicidi sovrannaturali che, a suo parere, avrebbero attirato l’angelo caduto. Ma non aveva il fegato di uccidere delle persone,  né la volontà di sporcarsi le mani, per cui decise di liberare l’entità che aveva sottomesso e mandarla a svolgere il lavoro.
Il piano di Leon andò a gonfie vele; come da copione, un fintissimo agente dell’FBI bussò alla sua porta: una volta riconosciuto in lui il famoso Castiel, Leon non impiegò molto per usare su di lui un semplice incantesimo per farlo assopire.
Stava già per organizzare il trasporto di quel corpo semiaddormentato nella segreta, in cui aveva già spalancato le Porte del Limbo; ma l’entità, apparsa di colpo nella stanza, catturò la sua attenzione.
 “Castiel,” sussurrò con voce piatta, indicando con l’indice teso verso l’uomo accasciato a terra.
“L’avevo capito,” rispose Leon, accigliandosi.
A quelle parole, lei iniziò a tremare violentemente; sbarrò gli occhi e spalancò la bocca, mugolando frasi senza senso e poi, un istante dopo, tornò normale:  
“Lascia che lo uccida,” disse tranquilla.
“Hai detto che dovevamo consegnarlo agli angeli,” le fece notare Leon, frugando nella sua tasca.
“No. Devo ucciderlo,” ribatté a quel punto l’entità con urgenza crescente nella voce, “è colpa sua! E’ colpa SUA!
Leon si accorse che i vincoli di controllo che aveva imposto su di lei stavano vacillando, ma non era un problema, perché aveva già deciso di distruggere le prove una volta preso Castiel.
Sospirando, tirò fuori dalla tasca una ciocca di capelli rossi.
L’entità si calmò di colpo.
“Ho capito perché non potevi aiutarmi,” disse con calma Leon, prendendo un accendino. “Tu non sei uno Spirito Antico, sei solo un fantasma di una povera donna finita nel Limbo. Ho fatto qualche ricerca su di te. Ho ritrovato le tue ossa e le ho fatte bruciate,” disse, dando fuoco ai capelli della donna. “Riposa in pace, Jane.”
“Tornerò,” gli sussurrò lei con voce dolce, bruciando.
Leon avrebbe preferito vederla urlare e dimenarsi. Rimase a fissare il punto in cui scomparve, leggermente scosso da quella minaccia così velata e tranquilla, poi scosse la testa e chiamò gli uomini che aveva assoldato, ordinando loro di occuparsi di Castiel.
Per sicurezza, decise che avrebbe continuato a spargere del sale intorno alla sua casa.

Poche ore dopo, su richiesta di Bartolomeo, Leon riuscì a catturare anche Sam e Dean Winchester.
Ma rinchiudere Dean nel Limbo e Sam nella sua casa non fusufficiente: non aveva idea di come, ma erano riusciti a fuggire, tutti e tre.
Fortunatamente, la schiera di Bartolomeo era intervenuta prima che fossero riusciti a scappare.
Leon, che per dei terribili istanti aveva creduto di aver fallito, mentre attendeva docile l’arrivo di Bartolomeo e del Team Free Will al completo, non riusciva a smettere di sorridere.
Ancora pochi minuti, e sarebbe finito tutto.



  
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