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Autore: Alex Wolf    18/02/2014    5 recensioni
ATTENZIONE: AVEVO IN PRECEDENZA DECISO DI INIZIARE UNA NUOVA STESURA DI QUESTA STORIA, IN SEGUITO HO DECISO CHE CONTINUERO' QUESTA!
«Eleonora. Isil. Hai perso i tuoi nomi non appena sei morta e sei caduta qui, nelle mie lande» spiegò placidamente lui, giocando con un grosso anello in cui vi era incastonata un’ambra. Dello stesso, identico colore dei suoi occhi. «Hai rinunciato a loro per sempre nell’esatto momento in cui hai accettato di divenire mio Generale. Perciò, era mio dovere sceglierti un nome, e quale più si adirebbe a una donna della tua fama –che ha cavalcato draghi; vinto battaglie; ucciso uomini e sedotto il Signore di Mordor- più che Morwen? La Dama Oscura?»
Genere: Fantasy, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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OCCHI A ME: in questo viene usata una parola elfica “Naneth” che sta a significare “mamma” e a’maelamin che sta a significare "amore mio".
 

 
 Storia d’inverno.
 
 
Now don't you understand, I'm never changing who I am.

Imagine Dragons

 
 
 
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3 anni dopo la distruzione dell’anello, quarta era, inverno.
 




« Un arco, Legolas? Un arco? » Sbraitai, mentre stringevo in mano l’arma che fino a poco prima aveva sfiorato le dita di mio figlio, di soli tre anni. Il mio compagno mi lanciò un occhiata di scuse e sospirò, per poi poggiare un braccio sopra l’enorme camino della sala da pranzo. Il fuco scoppiettava, divorando la legna, e da esso si espandeva un caldo tepore che riempiva la stanza. Le ombre delle fiamme danzavano sul viso millenario dell’elfo quando mi sedetti ad una delle quattro sedie, che presto sarebbero divenute cinque, che adornavano il lungo tavolo di mogano al centro della stanza. Le lunghe maniche del mio vestito rosso si alzarono leggermente quando sfiorarono il tavolo ed io rabbrividii a contatto con il legno freddo; poggiai la fronte sui palmi, cogliendo respiri brevi e leggeri. Sarei impazzita, lo sapevo. Ultimamente Legolas e suo padre avevano portato spesso a spasso Haldir e io avevo creduto lo facessero per aiutarmi, lasciarmi qualche ora di riposo visto il mio stato di gravidanza, quando invece non era così: lo portavano a passeggiare per Bosco Atro finché non arrivavano dove le reclute si addestravano e gli insegnavano a tirare con l’arco, o ci provavano. Aveva solo 3 anni e già sapeva impugnare un’arma: quella cosa mi terrorizzava. A tre anni un bambino, non importa se sia un principe o un comune elfo, dovrebbe giocare e imparare a parlare non a tirar frecce.
Ero infuriata, stressata e delusa dal comportamento di Legolas, per non parlare di quello del padre. Come avevano anche solo potuto pensare di mettere in mano al mio bambino un arco?
« Tesoro… » La voce dell’elfo rimbombò sulle pareti bianche abbellite, sul lato est, da una grande vetrata oscurata da delle tende verdi.
« Sta zitto Legolas, sta zitto. » Sibilai, sentendo le braccia tremarmi quasi. Chiusi gli occhi, accarezzandomi le tempie, quando piccoli passi leggeri attirarono la mia attenzione. Allora voltai il capo verso destra, dove l’enorme porta che conduceva al salone era aperto e sorrisi al bambino biondo che correva verso di me. Allargai le braccia, lo feci sedere sulle mie gambe e gli baciai la fronte, accarezzandogli i corti capelli biondi con le mani. Haldir sorrise, poggiando le mani sul mio pancione e i suoi occhi azzurri corsero in cerca di quelli del padre. Lanciai uno sguardo veloce a Legolas e poi tornai al nostro bambino, stringendo leggermente la presa su di lui. Gli occhi azzurri di suo padre mi cercarono, ma li ignorai intenzionalmente.
« Naneth, perché sei arrabbiata con Ada? E’ colpa mia? » La sua vocina era così fievole in confronto alla mia e di Legolas che faceva quasi impressione sentirla rimbombare fra le pareti. Puntai i miei occhi scuri nei suoi e sorrisi, togliendogli dal viso un ricciolo.
« No, a’maelamin, certo che no. Ada è solo uno sprovveduto, cocciuto; tu non c’entri nulla.  » Lo rassicurai, baciandogli la punta del naso. Lui sorrise, poggiandosi alla mia pancia per poi chiudere gli occhi. Alzai allora lo sguardo e incontrai gli occhi grigi di Legolas, che ancora stava appoggiato col braccio al camino.
« Naneth, perché la tua pancia è così grande? » Domandò sbadigliando. Sorrisi e gettai leggermente la testa indietro, alzando gli occhi al soffitto.
« Perché… perché alla mamma piace mangiare. » Sussurrai, senza trovare nulla di meglio da usare. La risata trattenuta di Legolas si spanse per l’aria, lacerando il silenzio precario che si era creato. Scossi il capo lanciando un’occhiata alla parete est, dove la luce del sole era svanita e il buio della notte era sorto.  «    Ma, sai cosa piace di più alla mamma, Haldir? » Chiesi, tenendolo in braccio mentre mi alzavo. Lui alzò il viso e sbatté le palpebre, sbadigliando.
« Dormire. » Rispose, sbadigliando nuovamente e poggiando il visetto sul mio petto.
« Esatto, e credo che sia ora anche per te di andare a riposare. » M’incamminai in corridoio, lasciando Legolas da solo nella sala da pranzo. C’era ancora qualche domestico e qualche ancella in giro, intento a pulire o servire i capricci notturni di Re Thranduil, che s’inchinava al mio passaggio. Dopo tre anni dal mio arrivo a Bosco Atro, non mi ero ancora abituata a tutto questo. Era così strano vedere la gente inchinarsi d’innanzi a me e chiamarmi “vostra grazia”. Ed era ancora più strano dover indossare vestiti e sedere su un trono di fianco a Thranduil; dare ordini, invece, non mi riusciva male. Anzi, oserei dire che ci avevo persino preso gusto.
Svoltai l’angolo ed entrai nella camera del piccolo principe, la luce della luna entrava dalle finestre e s’infrangeva al suolo come la schiuma delle onde del mare. Il mare che non vedevo più da quattro anni e di cui, sebbene non mi fosse mai piaciuto molto, sentivo la mancanza. Lo rivedevo negli occhi di mio figlio ogni volta che mi guardava, in quelli del mio compagno ogni volta che mi sorrideva. Sentivo ancora i gabbiani strepitare e il profumo salato della salsedine inondarmi le narici, la sabbia calda incollarsi alle dita. Scuotendo il capo mi avvicinai al letto di Haldir e scostai le coperte, per poi adagiarlo sopra il materasso. Lui già dormiva quando lo coprii. Sbadigliai io, questa volta, e mi voltai tornando in corridoio e socchiudendo la porta. Mi passai una mano sul volto e l’altra l’appoggiai dietro la schiena, riprendendo a camminare. Non mi ero accorta di quanto fossi stanca finché non avevo visto il viso rilassato di Haldir e il suo respiro regolare. Strofinai il palmo della mano libera sugli occhi e sbadigliai ancora.
« Dovresti riposare. » Mi riprese una voce e, colta di sorpresa, mi voltai di scatto. Thranduil era infondo al corridoio, la luce della luna gli colpiva i capelli rendendoli fili argentei. Indossava una camicia bianca e larga, aperta sul petto tonico, le maniche arrotolate fino ai gomiti, e dei pantaloni grigi.
« E tu a insegnare a tuo nipote a leggere, non a tirare con l’arco.  » Risposi acidamente, passandomi una mano fra i capelli. Lo vidi alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo, mentre sentivo la pancia contrarsi un poco. Strinsi i denti e mi convinsi che fosse un calcio del bambino, ma il dolore riprese più forte e io mi ritrovai a sfiorare il pavimento. Le mie gambe non lo toccarono per poco, perché con uno scatto il Re degli elfi mi caricò fra le braccia e lanciò un grido: poco tempo dopo stava camminando velocemente verso la mia stanza, gridando un “aiuto” che si espandeva per il palazzo come l’aria nel vento. Stufa di sentire quel grido, allungai una mano e gli tirai una ciocca di capelli; lui ringhiò contrariato.
« Se urli ancora ti strozzo. Haldir dorme e io sto solo per partorire, non è nulla di grave, ok?! Ci siamo già passati tre anni fa e… », questa volta fui io a gridare, sia per rabbia sia per una fitta di dolore acuta. Gettai un braccio attorno al collo del re e mi sorressi a lui, mentre apriva la porta della mia camera con un calcio e vi entrava, depositandomi sulle lenzuola. Poco tempo dopo un gran vociare arrivò da dietro la porta e le levatrici fecero il loro ingresso, seguite da Legolas. Voltai la testa in direzione del mio compagno e irrigidii la mascella per non gridare; lui mi strinse la mano. Era ancora infuriata nei suoi confronti ma, tuttavia, non potevo dire di non amarlo e apprezzare la sua presenza li, al mio fianco.
« Naneth? » La voce di Haldir rimbombò come un tuono nella stanza; sorrisi a Legolas mormorandogli di occuparsi del bambino e lui annuì, voltandosi e correndo verso la porta. Prese in braccio il bambino, che si era messo a piangere non capendo cosa succedesse, e scomparve nel corridoio. Gettai la testa fra i cuscini e mi morsi le guance, strinsi forte le lenzuola fra le mani. Questa volta non ci sarebbe stata Fanie ad aiutarmi, come tre anni fa, non ci sarebbe stata lei ad aiutare le levatrici e battibeccare con loro per poi spingerle via e incitarmi. Non sarebbe stata lei la prima a prendere in braccio il mio secondo figlio e a sorridergli, per poi porgerlo alla balia.
Sarei stata sola.
« Oh, andiamo, c’è la puoi fare. » M’incitò una voce, della quale mi ero del tutto dimenticata. Della dita s’intrecciarono alle mie e una mano mi accarezzò la fronte. Socchiusi le labbra quando la pelle fresca del sovrano mi sfiorò e gli rivolsi uno sguardo pieno di gratitudine, prima di stringergli la mano e gridare.
Cinque ore dopo – dietro le quali erano seguiti urli, grida e borbottii rivolti alle levatrici da parte del Re- tenevo finalmente fra le braccia mia figlia. Fuori dal palazzo infuriava un forte temporale ma la piccola non sembrava farci caso. Agitava le braccia in aria e già sorrideva, scalciando appassionatamente. Aveva gli occhi blu, di molte tonalità più scure rispetto a quelle del fratello: talmente tanto da sembrare quasi neri al buio. Thranduil, che aveva la braccia muscolose segnate da lividi che io gli avevo inferto, le sorrideva e accarezzava i piedini. Non credevo che avrei mai visto lui, re di Bosco Atro, il signore dal cuore di ghiaccio, sorridere così apertamente ad una bambina appena nata. Le accarezzai la testa, pettinando i radi capelli castani e mi abbandonai al tepore e il profumo delle coperte pulite. Voltai la testa verso il re e sorrisi, ricevendo in cambio la stessa cosa.
« Legolas sarà con Haldir, tenterà di calmarlo. Forse…forse dovrei andare a fargli vedere che sto bene e rassicurarlo. » Mormorai, flettendo il braccio libero per alzarmi. Subito il re mi fermò e mi ripoggiò sui cuscini, accarezzandomi il braccio sinistro, quello libero.
« Andrò io da mio figlio e resterò con mio nipote. Scommetto che sarà impaziente di vedere la sua nuova erede. » Si alzò e i capelli gli svolazzarono sulle spalle, come una corona argentea. « Ora riposa, sei stanca e sfinita, e la piccola ha bisogno di riposare. » Lanciai uno sguardo ad Elanor, che nel frattempo si era rannicchiata sul mio petto e annuii, chiudendo gli occhi.
Quando li riaprii era mattina e delle nubi invernali solcavano il cielo plumbeo. Un dolce canto elfico riecheggiava fra le pareti e tentava di cullarmi nuovamente verso il sonno, ma riuscii comunque a voltare il capo e osservare Legolas con la bambina in braccio. Dalla coperta rosa, che la scaldava, sorgevano due braccine chiare che andavano a tirare i capelli dell’elfo e, sotto la dolce canzone, si udiva una risata divertita.
 
 

6 anni dopo la distruzione dell’anello, quarta era, autunno.
 


Cariai in braccio Rìnon, uno dei miei gemelli di un anno, mentre Legolas caricò Leron fra le braccia. Baciai il capo al mio bambino, cominciando a camminare per il corridoio e lanciai un’occhiata a Legolas.
« E’ colpa tua. Se avessi impiegato meno tempo a prepararti ora saremmo in orario. » Sborbottò lui, quando intuì cosa pensavo. Leron, fra le sue braccia, poggiò il capo nell’incavo della sua spalla, i corti capelli scuri si scompigliarono contro la casacca verde del padre, e sbadigliò chiudendo gli occhi chiari. Rìnon, invece, prese a osservare ogni cosa a cui passavamo accanto: dal panorama autunnale colorato di rosso, giallo e arancio, alle tende verdi, i muri bianchi abbelliti d’arazzi e quadri e molto altro.
« Almeno io non ho messo in mano di mio figlio di 3 anni un arco. » Ribattei acida, svoltando un corridoio. Lo sentii sbuffare e affrettare il passo per starmi dietro, mentre le braccia del mio bambino si stringevano al mio collo.
« Amore, è successo sei anni fa. » Brontolò in risposta. Arricciai il naso e scossi il capo, entrando nella sala grande dove Thranduil ci attendeva. Era il grande giorno per le reclute dell’esercito reale, e tutta la famiglia reale doveva essere radunata per assistere alla cerimonia. Haldir e Elanor erano stati preparati dai sarti di corte, su richiesta del re, mentre i gemelli avevo insistito per tenerli con me. Non che non apprezzassi i sarti e i loro lavori, ma avevo già preparato due completi per i gemelli, inviatici da Arwen e Aragorn in ricorrenza del loro primo compleanno (qualche giorno prima), e non avrei desiderato niente di meglio per loro. Indossavano due semplici casacce blu notte, dalle rifiniture doro e dei pantaloni bianchi: sembravano due piccoli, adorabili, marinai. I miei adorabili marinai.
 Arrivata davanti al trono mi chinai, accarezzai la guancia ad Haldir e baciai El sulla fronte; quando mi rialzai li studiai: El indossava un vestito rosso argilla, come le foglie autunnali e i capelli scuri erano liberi sulle sue spalle, con qualche treccina qua e la. Haldir, a contrario, indossava una tunica d’argento e dei pantaloni verdi scuro; i capelli biondi stavano crescendo e ormai gli arrivavano alle spalle.
« Siete in ritardo, ormai le guardie stavano arrivando. » Brontolò il Re, lanciandoci occhiate fulminanti. Poggiai il pugno destro sul medesimo fianco e socchiusi le palpebre.
« E tu devi essere… », lanciai uno sguardo ai bambini e mi morsi la lingua, tornando a guardare l’immenso portone verde che conduceva al trono. Stitico, visto come parli, battibeccai  con me stessa, tenendo le labbra serrate. « Su bambini, venite qui davanti. » Poggiai una mano sulla spalla di Haldir e li condussi davanti a noi.
« Naneth », il mio piccolo principe biondo alzò gli occhi chiari verso di me e, allungando una mano, strinse le sue dita attorno alle mie. « Quanto durerà? »
« Finirà presto, se tuo nonno deciderà di sbrigarsi. » Lo rassicurai e lui lanciò un’occhiata a Thranduil, che mi fulminò con lo sguardo. Sorrisi divertita e accarezzai il capo ad Haldir che abbandonò la schiena contro il mio corpo. A nessuno di noi piaceva risiedere a quelle cerimonie, a me specialmente: mi mancavano le avventure, i voli con Turon.
Turon.
Il mio dragone era andato via ormai da qualche mese, in cerca di una fonte di cibo di cui non mi aveva voluto rivelare nulla e così a me non restava altro da fare se non aspettarlo; poi, magari, forse  al suo ritorno avrei potuto portare i miei figli a fare un giro sulla sua groppa. A pensarci bene avrei atteso che crescessero per faro.
 
 
 
Ciao piepeeee
Allurs, com’è? Che ne pensate di questo prologo della vita di El e Legolas? E i loro quattro figli? Haldir, Elanor e i gemelli Rìnon (Lorenzo) e Leron (Francesco) ? Spero che vi siano piaciuti e non so più che dire, perciò ora vado a fangirlare per Supernatural e poi a nanna. Notte :3

Baci,

Isil.

 
  
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