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Autore: Ms_MartyReid    19/02/2014    3 recensioni
- Quando il tuo migliore amico mi ha chiamato era strafatto. Gridava cose senza senso, frasi sconnesse, ma poi ho capito che c’entravi qualcosa tu e il locale dove non ero venuta con te perché dovevo studiare per l’esame. Col cuore che batteva nelle orecchie e le gambe molli, (ci credi?) ho avuto il primo attacco di panico della mia vita. (Mi ha detto: «Ho chiamato prima te.»)
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giuro che mi dileguo subito e vi lascio alla OS! Solo due cose scritte velocemente in times new roman e in un colore altamente disturbante... Una cosa per chi già ha avuto la sfortuna di incontrarmi su EFP ed una anche per chi non mi ha mai letta prima:
1. LO SO che sono scomparsa da questo sitoooo ç_ç Ci scriverei per il resto della vita e invece l'Università mi risucchia ogni energia vitale! Mi dispiace ç_ç Comunque ogni tanto mi faccio viva e indovinate un pò HAHAHAHAHA anche stavolta potrei deprimervi c':
2. Questa storia l'ho scritta dopo aver seguito una sorta di seminario (?) a cui dovevo far seguire una sorta di esame (?) in cui potevo scrivere di tutto - racconti come questo o anche poesie o disegni (io che disegno, certo come no) - purché fosse attinente all'argomento trattato ("Droghe e società"). Però boh mi sembrava carino e l'ho postato pure qui :D
Okay, tolgo il disturbo, addio C=



























 

Una volta e basta

 

Hai sempre sottovalutato tutto. Gli esami che tutti temevano li hai sempre studiati due settimane prima, non hai mai comprato una sveglia anche se ti ho detto mille volte che il telefono sotto al cuscino ti avrebbe fatto venire un tumore, ai miei «vai piano» hai sempre risposto accelerando e col sorriso stronzo (però poi andavi piano perché avevo paura), su quello skateboard sgangherato ci facevi tremila acrobazie di cui non ho mai imparato i nomi e puntualmente ti riempivi le ginocchia di croste (te la ricordi ancora quella volta che ti trascinai in ospedale e ti eri lussato la rotula?), quando ero incazzata nera continuavi a prendermi in giro perché pensavi che fosse un litigio banale come sempre (certe volte ti avrei preso a pugni), per non parlare dei soliti «E’ solo un po’ di febbre, Des, possiamo uscire comunque!» che finivano con te che appena ti alzavi dal letto vomitavi e il termometro che segnava 40 gradi.


Te l’ho detto migliaia di volte che sottovalutare le cose può solo farti male, siamo stati insieme tre anni e ancora te lo ripeto, con te che forse non puoi sentirmi e io che mi dispero perché, andiamo!, quante cazzo di volte te l’ho detto?! (Ci ho perso la voce a dirtelo.)


L’altro giorno ho trovato una foto, tra le pagine del mio libro preferito. Pensavo di averle messe tutte via, ma di quella mi ero scordata. E’ quella che facemmo con la polaroid di tuo cugino (te la ricordi?) perché quegli aggeggi non li avevamo mai visti dal vivo e «farsi una foto che ti viene subito sputata fuori sembra una cosa quasi più tecnologica che farla per poi scoprire che sei venuto uno schifo due secondi dopo» hai detto tu. Mentre tuo cugino ce la scattava ho poggiato le labbra sulla tua guancia e solo quando la foto si è asciugata ho scoperto che avevi fatto una faccia buffissima che mi ha fatto ridere fino ad avere il mal di pancia. Era l’ennesima volta che stavo rileggendo il mio libro preferito, l’ho aperto ad una pagina a caso e ci ho infilato dentro la foto. Ecco perché era lì, come avevo fatto a scordarla?! Quel giorno faceva un po’ freddo e tu uscisti con solo la tua stupida canotta bianca che mi piaceva un sacco (però, sul serio, ti faceva sembrare un cretino appena uscito da High School Musical) e io ti dissi di mettere su una felpa e tu: «Des, ma se ci sono tipo trentotto gradi!». Infatti poi ti prendesti un raffreddore assurdo ed io mi rifiutai di baciarti per una settimana. (Ma tu devi sottovalutare sempre tutto, non è vero?)


Quando il tuo migliore amico mi ha chiamato era strafatto. Urlava come un pazzo ma si sentiva che non era solo spaventato. Gridava cose senza senso, frasi sconnesse, ma poi ho capito che c’entravi qualcosa tu e il locale dove non ero venuta con te perché dovevo studiare per l’esame, e lui continuava a farneticare e a me si è bucato lo stomaco, ho cominciato a sudare e a tremare e a sentire strani formicolii dappertutto. Col cuore che batteva nelle orecchie e le gambe molli, (ci credi?) ho avuto il primo attacco di panico della mia vita. (Mi ha detto: «Ho chiamato prima te.»)


Mi sono documentata. Lo so, lo so, me l’hai detto già che certe volte sono da clinica per quanto mi fisso su alcuni argomenti e per quanto li studio, ma ho passato quasi sei ore davanti al pc. Volevo sapere come ti eri sentito, se avevi capito di star facendo una cazzata o hai continuato senza rendertene conto. Ha detto il tizio dell’autopsia che è stato di un mix di ecstasy e alcol (ecstasy e alcol?! sul serio?!) a mandarti fuori di testa. Tra Wikipedia e altre decine e decine di siti ho capito che l’MDMA copre gli effetti dell’alcol, che mandi giù vodka liscia come fosse acqua e se non cadi stecchito a terra come chiunque non si sia sceso prima una pasticca è un miracolo. Pare che tu sia stato euforico e che abbia sentito un caldo pazzesco, che mentre il tuo fegato implorava pietà tu ti sentissi felice (felice?! sul serio?!), e probabilmente neanche ci hai riflettuto troppo quando hai deciso che volevi andartene da lì. (Che poi andartene ma dove?)


(In fondo al cassetto ci sono i vestiti che ancora profumano del tuo profumo, ho la tua sciarpa grigia nel comodino, l’altra volta ho pianto, quel sabato non potevi vedere un film con me?, alla fine all’esame ho preso 30, mi manchi.)


Su internet, comunque, parlano dell’effetto che questa roba ha avuto su di te, che l’hai presa. Su di te. Te. Te. (Ma quanto sei stato egoista?!) E su di me? Dove cazzo stanno gli effetti che ‘sta roba ha su chi perde il ragazzo che ama? E su tua madre che sono tre settimane che non guarda la porta di camera tua? E su tua sorella che alle esequie è svenuta e in chiesa non c’è venuta? E su tuo padre che ha gli occhi spenti e non dorme più? E sul tuo migliore amico che sono giorni che all’università non ci viene? E sull’uomo che guidava la macchina che hai spinto fuori dalla strada e che adesso non può più camminare? E sui figli di quell’uomo che hanno sette e nove anni e vedono il papà col viso gonfio e la mamma con gli occhi pieni di pianto? (Ti prenderei a calci ma se torni non lo faccio.)


Una volta mi dicesti: «Non mi ubriaco, Des, lo sai! Se mi fanno bere qualcosa accetto ma non sono stupido, so controllarmi!» Ti ho baciato perché ero arrivata a casa e tu mi hai sventolato lo skateboard sotto al naso. «E poi da ubriaco marcio come ci salgo su questo?» (Dimmelo tu come ci sali.)


Ma chi te l’ha data la pasticca? eri già ubriaco? e se non lo eri che hai pensato? “la provo una volta e basta”? ma tu devi sempre sottovalutare tutto? e poi con quali soldi? te l’ha regalata uno che sperava in un tuo ritorno per altra roba? lo sai che ho letto che lo fanno? e se non ti drogavi che cambiava? (cambiava che eri qua e adesso non ci sei, ne valeva la pena?) e dove volevi andare con la macchina? correvi come un pazzo e come facevi a non rendertene conto? e alla fine non hai visto quella macchina ma quando l’hai notata a che hai pensato? hai pensato che ci saresti rimasto secco? o l’hai pensato quando hai premuto l’acceleratore invece che il freno? lo sai che alla fine quella macchina l’hai mandata fuori strada? e che la tua macchina si sarebbe accartocciata contro il guard-rail, chi l’avrebbe detto? (mi avevi detto «a te ci tengo», in quella macchina, te lo ricordi?)


Una sera andammo al cinema e il film finì alle dieci: troppo presto per tornare a casa. Siamo usciti e faceva caldo, la gente passava e io vicino a te ci stavo bene. Mi hai sorriso, mi hai detto: «E adesso che si fa?» (Dimmelo tu, e adesso che si fa?) 

 

  
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