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Autore: Harmony394    19/02/2014    8 recensioni
C’era una cosa che non aveva mai sopportato degli asgardiani: il fatto che fossero sempre maledettamente invadenti. Non aveva detto una sola parola da quando aveva rimesso piede su Asgard, eppure sembrava che tutti stessero cercando di tirargliene fuori quante più possibili solo guardandolo negli occhi. Il loro era uno sguardo avido, curioso e quasi famelico, ma nonostante la mordacchia gli stesse lacerando la lingua, scavando a fondo senza alcuna pietà, Loki non poté fare a meno di sorridere sardonico, divertito dalla situazione.
Era tornato, alla fine. Ma non da vincitore, né da perdente. Semplicemente, era ancora lì.
(...)
«Adesso, qui dinanzi a tutti loro, io ti chiedo: cosa hai da dire in tua discolpa?».
Sembrò che tutta Asgard pendesse dalle sue labbra: la plebe venuta ad assistere al suo ritorno ammutolì di colpo, le guardie rafforzarono la presa sulle loro lance e Sif e i Tre Guerrieri, come se fossero stati sincronizzati, strinsero più forte i pugni e digrignarono i denti, curiosi di sapere cosa avrebbe risposto.
Loki ghignò. «Vi sono mancato?».

[SEQUEL DI: LA VOLPE E IL LUPO] [LokixNuovopg] [Accenni al film THOR:TheDarkWorld]
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Volpe e il Lupo.'
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~What have you done?

I know I should stop believing
I know there's no retrieving
It's over now, what have you done?

 
 

«Mio signore» La voce di Malekith era un sussurro appena percepibile nell’oscurità della stanza. Thanos alzò lo sguardo su di lui e assottigliò gli occhi in due fessure scintillanti. Accanto a lui, Eris ghignò.

«Ah, sei qui Malekith», lo apostrofò con mellifluità. «Cominciavo a dubitare della riuscita del tuo piano».

«Donna di malafede», rispose Malekith, scoccandole un’occhiata in tralice. «Dato che fremi dalla voglia di vederlo, Eris, sarà tua premura presentare il nostro ospite…».

Accanto a Thanos, Eris si irrigidì come una statua e ringhiò scocciata. Parve in procinto di attaccare Malekith, ma lui glielo impedì. Non vi era tempo per degli inutili conflitti.

«Parla, Elfo. Chi hai portato?» Domandò perentorio. Prima che Malekith potesse parlare, Loki Laufeyson fece il suo ingresso. Il suo volto era scavato come lo ricordava, i suoi capelli più lunghi e il suo sguardo più affilato. Ostentava sicurezza mentre si avvicinava con passo deciso verso di lui, ma Thanos sapeva che quella era solo l’ennesima maschera. Loki Laufeyson aveva paura, era terrorizzato, e questo non faceva altro che renderlo una sciocca pedina nelle sue mani.

«Sei giunto, dunque, figlio di Laufey... Per morire?» Thanos fece una pausa, come se in quel modo le sue parole potessero assumere una nota più solenne. «… o per strisciare?».

Loki non rispose, ma sul suo volto pallido si designò un ghigno obliquo. Senza proferire parola, afferrò qualcosa dentro la sacca legata alla cintola dei suoi pantaloni. Thanos capì di cosa si trattava solo quando un barlume azzurrino gli offese la vista.

Il Tesseract.

«Sono qui per mantenere la mia parola», dichiarò Loki, avanzando verso di lui. La sua voce era ferma e decisa, ma il suo sguardo tradiva una nota d’insicurezza. «E per stringere un patto».

«Un patto, Laufeyson?», lo sbeffeggiò Thanos. «E cosa potresti offrirmi tu, che non hai nulla? Non sei né un asgardiano né uno Jotun, né sole e né ombra… sei solo un bugiardo».

«Ti sto offrendo il Tesseract, il potere, proprio come ti avevo promesso. In cambio voglio che tu mi conceda il Trono di Asgard e che mio figlio torni in vita» Replicò lui, malcelando una smorfia di fastidio per le parole rivoltegli.

Thanos digrignò i denti e strinse più forte i braccioli dello scranno, nervoso. All’improvviso, l’Altro balzò in piedi di scatto e scrutò Loki con sdegno.

«Un accordo stretto col Signore delle Menzogne non vale nulla! Hai già avuto la tua opportunità in passato, figlio di Laufey, non turbare ancora il mio signore con le tue sporche menzog–» Bastò un colpo secco e deciso del pugno di Thanos e subito l’Altro venne scaraventato contro il muro anteriore della sala, distruggendolo in gran parte. Quando il suo lamento agonizzante lo raggiunse, Thanos schioccò la lingua in una smorfia infastidita. Inutile insetto, pensò. Da qualche parte nella sala, fu certo di udire Eris sussurrare un laconico “Era ora”.

Rivolse lo sguardo verso il Dio degli Inganni. La sua maschera di spavalderia peccava di perfezione, e lui riusciva già a intravederne le crepe. Povero insulso, pensò in un moto di ilarità. Quante altre perdite dovrai subire, prima di accettare la resa?

«Non sei in grado di porre condizioni, Loki Laufeyson», lo apostrofò. «Ed io non sono in vena di insulsi giochetti. Nonostante ciò, tutti i Nove Regni sono a conoscenza della mia… clemenza, per cui accetterò il patto e ti darò una seconda occasione. Se è il Trono di Asgard ciò a cui miri, te lo concederò, così come ti renderò la vita di tuo figlio, una volta che sarà tutto concluso. Ma prima…», le ombre nella sala si fecero più fitte, più intricate; riempivano le fenditure e danzavano al ritmo delle fiaccole. Thanos gli si avvicinò con lentezza, la mano tesa nella sua direzione e un sorriso sinistro a incupirgli il volto. «Voglio che tu mi renda il Tesseract, e che giuri fedeltà alla mia adorata Morte… sai a cosa mi riferisco».

Gli occhi di Loki si ridussero in due piccole fessure verdi, le sue mani si serrarono per la rabbia e tutto di lui divenne un constante tremolio. Afferrò il suo pugnale e, continuando a fronteggiare il suo sguardo, fece scorrere la lama trasversalmente sul palmo della mano. Thanos ghignò soddisfatto. La Morte richiedeva sangue e sangue avrebbe ricevuto: il sangue di Loki Laufeyson era sporco, macchiato dei crimini più atroci e indicibili, era il sangue di chi viveva di rimorsi e bruciava d’invidia. Sarebbe stato un’ottima offerta, per la Morte.

Loki gli porse la mano ancora sporca di sangue, e Thanos la strinse con vigore senza smettere di sogghignare. Il sangue del Dio degli Inganni era viscido, proprio come lui.

«Un patto di sangue» Disse.
«Un patto di sangue» Ripeté Loki, solenne.

Dopo aver pronunciato quelle parole, un lungo filo rosso si materializzò attorno alle loro mani, scottante come il fuoco; nessuno dei due lasciò andare la presa finché non scomparve. Rimase soltanto un disegno curvilineo che risaliva le dita d’entrambi, per poi terminare all’inizio degli avambracci come un sinuoso serpente rosso.

«Adesso rendimi il Cubo, Laufeyson…».

Con riluttanza, Loki gli porse il Tesseract e Thanos lo afferrò con rapidità. Lo aprì, sfiorò il suo cuore – una piccola sfera dai toni bluastri – e subito il suo braccio destro venne pervaso da uno strano formicolio che diveniva sempre più fastidioso via via che il tempo passava, fin quando non si trasformò in un vero e proprio male al braccio. Thanos Grugnì di dolore, stringendo i pugni così forte da graffiarsi i palmi. La sua pelle violacea si tinse di venature argentate e luminose, i suoi occhi brillarono di azzurro. Tutto girava senza sosta, il suo cuore pompava sempre più velocemente. Era come se qualcosa dentro di lui stesse lottando per uscire, e faceva male, molto più male di quanto avesse immaginato; eppure, in mezzo al dolore, sentiva una sensazione di assoluta potenza scorrergli nelle vene, d’invincibilità, e si sentì come rinascere. Il Tesseract lo stava cambiando esteriormente e interiormente. Stavano diventando un tutt’uno.

Poi, così com’era arrivata, quella luce accecante svanì e Thanos aprì gli occhi, scontrandosi con il volto deturpato e turbato di Malekith che lo fissava alcuni metri più in là.

«Mio signore…», borbottò con voce metallica. Nessun altro osava proferire parola. «Mio signore… vi sentite bene?».

Thanos si alzò con pesantezza e si mise di fronte alla colonna più vicina. La superficie dorata gli restituiva un nuovo riflesso: la sua pelle era percorsa da molteplici venature argentee e i suoi occhi luccicavano di una luce strana e sinistra; tutto di lui sembrava essere più robusto e massiccio, ma più leggero. Era come se la Sindrome Deviante* fosse svanita dal suo corpo.

Il suo sguardo si posò su ciò che era rimasto del Tesseract: una mera scatolina che brillava di una luce azzurra ben più flebile rispetto a prima. Lo prese, rigirandoselo fra le dita con noia, e decise di lasciare ciò era rimasto del suo potere per dopo.  

«Thanos…», la voce di Eris era ridotta a poco più di un pigolio. Lui la guardò: il suo volto candido era ridotto a una maschera di sgomento, gli occhi dorati riflettevano una luce spaventata che non le aveva mai visto addosso. «Fratello… tu sei…».

«Potente, Eris. Molto più di quanto lo sia mai stato in vita mia. Sono divenuto un tutt’uno con il Tesseract, e ora…», fece una pausa. Non si era mai sentito così… invincibile. L’energia del Tesseract scorreva nelle sue vene e con essa il desiderio scalpitante di riprendersi ciò che in passato gli era stato negato: il potere, il rispetto e tutti i Nove Regni. «… ora nessuno riuscirà più a fermarmi!», berciò, mentre tutto il suo corpo veniva scosso da risate sempre più grasse e sguaiate, che rimbalzavano contro pareti forti come un tamburo.

Nessuno si sarebbe più messo sulla sua strada, neanche Odino, con tutti i suoi poteri, sarebbe riuscito a fermarlo.
 

«C’È UN OSCURO DIETRO DI TE, ATTENT–– AAAH!».

Steve si voltò di scatto e sferrò un pugno all’Oscuro che aveva tentato di colpirlo alle spalle, mandandolo KO. Poi accese l’auricolare.
«Grazie, Darcy», borbottò. «Ma preferirei che la prossima volta non urlassi… rischio di diventare sordo», dall’altra parte dell’auricolare, Darcy ridacchiò nervosamente e biascicò un “Ehm… scusa” tentennante.

La stagista della dottoressa Foster, il dottor Selvig, l’agente Maria Hill e il direttore Nick Fury si trovavano ancora alla base, a monitorare tutto tramite dei computer che mostravano loro la situazione. Steve era affascinato da tutte quelle nuove tecnologie militari, eppure non riusciva ancora a capacitarsene. Com’era possibile che in così poco tempo fosse cambiato tutto quanto? Non andava contro qualche legge fisica o qualcosa di simile? Ad ogni modo, quello non era affatto il momento giusto per pensarci.

«Agente Romanoff, agente Barton, mi ricevete?» Domandò all’auricolare attaccato alla tuta, dirigendosi a Est della biblioteca. Subito tre oscuri gli si pararono davanti. Steve storse la bocca: non avevano l’aria amichevole.

L’auricolare trasmise il rumore di uno sparo, poi di un altro sparo e infine un’esplosione. Steve capì da dove proveniva solo quando una macchina atterrò improvvisamente addosso ai tre oscuri dinanzi a lui, schiacciandoli.

… oh.

«Chiaro e tondo, Cap», la voce dell’agente Barton non sembrava affaticata, solo un po’ irascibile. «… Ah, merda! Questi dannati cosi puzzano di sushi avariato, una volta morti!» Steve non aveva mai provato il sushi – l’agente Romanoff ne ordinava in continuazione, però –, e adesso era sicuro che non l’avrebbe mai fatto.
 
«Ascoltatemi: dovete cercare di distrarre quegli Elfi a Nord-Est, fuori dalla mia portata, intesi?» Ordinò, zigzagando fra le macerie.
«Affermativo, Capitano» Rispose Natasha, seguita dal rombo di una scarica di proiettili.

Steve spense momentaneamente l’auricolare e si nascose dietro il rottame di una macchina. Pochi metri più in là, vi erano una decina di oscuri, e lui non aveva la minima idea di come passare inosservato.

«Stai facendo un sonnellino, Capitano?» Stark atterrò dietro di lui con grazia: la sua armatura era scheggiata in più punti, ma il suo sorriso beffardo era ancora lì. Subito Steve lo tirò verso di sé, allarmato.
«Che diavolo fai?!», sussurrò con stizza, a pochi centimetri dal suo volto. Stark sollevò la visiera dell’armatura e inarcò un sopracciglio. «Se ci vedono ci ammazzano!».

Tony rimase a fissarlo per un tempo che a Steve parve infinito, poi si alzò e si affacciò dalla macchina per vedere la situazione, fece una smorfia e gli rivolse uno sguardo piccato. Infine si diresse volando verso quegli Oscuri. Steve non ebbe neanche il tempo di capire la situazione che l’ennesima esplosione avvolse tutto ciò che gli era attorno. Solo grazie al “riparo” che la macchina gli dava non rimase carbonizzato. Quando la situazione si tranquillizzò si alzò con furia cieca e si diresse verso Stark.

«Sei impazzito?!», gridò. «Stavi per ammazzarmi! Che diavolo avevi in ment– oh», si bloccò, a corto di parole. Stark aveva appena fatto fuori non dieci, ma ben venti di quegli oscuri. Il tutto senza procurarsi neanche un graffio – ovviamente. Steve ebbe l’insano impulso di mangiarsi le mani.
«Non c’è bisogno che mi ringrazi», il sorriso sghembo di Tony Stark lo mandò fuori di testa. Era come se qualcuno gli stesse annodando le budella. «So già che mi adori!», sussurrò allontanandosi. Steve dovette ricorrere a tutto il suo buonsenso per non prenderlo a pugni.

Un pallone gonfiato proprio come suo padre, ecco cos’è!

I suoi pensieri vennero deviati da un’improvvisa scarica di proiettili alla sua destra, Steve si voltò e vide l’agente Barton e l’agente Romanoff lottare allo stremo delle forze con un gruppo di Oscuri che li aveva accerchiati. D’istinto, fece per raggiungerli e dar loro aiuto, ma Stark lo anticipò.

«Lascia stare, zio Sam», lo canzonò, librandosi in aria. «Hai ben altro a cui pensare, al momento… COME AD ESEMPIO AD HULK CHE SI DIRIGE DRITTO VERSO DI NOI!».

L’enorme gigante verde e rabbioso, infatti, stava sfrecciando a tutta velocità verso la biblioteca, urlando a pieni polmoni “HULK SPAKKAAAA!!”: travolse un centinaio di Oscuri, veicoli e, infine, la biblioteca stessa. Quando Tony gli fece un cenno nervoso con le dita e sussurrò uno stentato “È tutto tuo!”, Steve capì cos’era appena successo.

«Capitano Rogers, è vicinissimo al ciondolo, non perda tempo!» Gli urlò la voce rauca di Nick Fury al suo orecchio. Steve si riprese dall’intorpidimento iniziale e, in un ultimo tentativo, prese a correre verso la biblioteca finché, come in un vecchio film muto, lo vide. E sbiancò.

L’Hulk. Era appeso. Su un balcone della biblioteca. Biblioteca in cui era nascosto il ciondolo che loro dovevano recuperare. L’Hulk.

«No… nononononono NO!! FERMO! DOTTOR BANNER, SI TOLGA DA LÍ!! SI TOLGA DA LÍ ADESSO!! DOTTOR BANNEEEEEEE–».

CRAAAAAAAAAAASSSSH!!!

Tutto divenne grigio, Steve non riusciva a vedere più niente. Attorno a lui regnava solo il caos e la polvere. Capì dall’odore del cemento e dal vento freddo che la biblioteca era crollata, mentre un terribile mal di testa gli disse di aver preso una bella botta. Tossì forte, i polmoni sembravano andargli in fumo e le orecchie gli fischiavano anche più di prima.

L’auricolare prese a ronzare e Steve udì distintamente la voce del Direttore Fury mentre urlava di dirgli cos’era successo e perché il puntatore che rilevava il Tesseract fosse sparito.

La coltre di fuliggine si dissipò, ma Steve non accennava a smettere di tossire. Si rimise in piedi, e solo quando la sagoma gigante dell’Hulk che cercava di trattenere ciò che era rimasto della biblioteca e quelle più minute degli altri Vendicatori gli si pararono davanti, ci mancò poco che non scoppiasse a piangere di disperazione. Il resto dei Vendicatori lo guardavano impietriti, evidentemente confusi e stravolti, e Steve fu abbastanza certo di udire Tony Stark biascicare qualcosa di simile a un “Pepper me lo aveva detto che non era una buona idea…”.

Si avvicinò ad Hulk con andatura pesante, colma di rabbia e frustrazione. Il resto del gruppo dovette percepire il suo stato d’animo, perché improvvisamente divennero bianchi come dei cenci. Dal canto suo, l’Hulk sembrava aver capito la gravità della situazione,  poiché continuava invano a rimettere a posto i mattoni che erano crollati, come se così facendo avesse potuto sistemare tutto.

Steve avrebbe voluto gridare, tirarsi i capelli e colpire alla cieca qualsiasi cosa. Le sue spalle continuavano ad irrigidirsi e il suo respiro a farsi più pesante e grave.

Perduto. Il Tesseract, la nostra unica fonte di salvezza, è andato PERDUTO!

«C-Capitano Rogers…», biascicò la voce di Darcy Lewis da una gran distanza. Steve sbatté le palpebre e si ridestò da quella profonda trance. La testa continuava a ronzargli e la frustrazione gli annodava le viscere, eppure qualcosa – Steve non riusciva a spiegarsi cosa – non gli permetteva di scoppiare del tutto. «Si… si sente bene? Cos’era quel rumore?».

Con dita tremanti, Steve premette il tasto d’accensione dell’auricolare.

«La missione è fallita. La biblioteca è appena stata abbattuta – l’Hulk ci è accidentalmente finito addosso. Abbiamo perso il ciondolo, con molte probabilità è andato distrutto. Perlomeno tutti gli Oscuri presenti in zona sono stati fatti fuori, a quanto pare…» Rispose con voce rotta. Non riusciva a crederci. La loro unica fonte di salvezza era andata distrutta... distrutta!

Dall’altra parte dell’auricolare calò il silenzio, come succedeva al fronte molti anni prima, quando un soldato moriva o una missione falliva. Fu come gettare sale su vecchie ferite ancora aperte.

Poco più in là, l’Hulk lasciò cadere a terra gli ultimi mattoni che aveva cercato di trattenere, provocando un rumore infernale. Perso com’era nei suoi stessi pensieri, Steve sussultò. Per la prima volta, l’Hulk si strinse nelle spalle e assunse un’espressione sinceramente mortificata.

«Hulk dispiaciuto…».

Steve non ebbe la forza necessaria per ribattere.
  

Un tuono, assordante come non ne aveva mai uditi prima, squarciò il cielo. Emily sussultò di spavento e si alzò subito a sedere, terrorizzata e con il cuore che le batteva a mille.

Si passò una mano sul volto e cercò di ricordare gli ultimi eventi accaduti, e subito le immagini della sera precedente le tornarono alla mente tutte insieme. Con la testa che le girava, si diresse velocemente fuori dalla grotta, là dove Thor continuava a scagliare fulmini e saette. Emily gli corse incontro e lo trattenne per un braccio.

«Thor!», gridò, ma lui non finiva di dimenarsi. «Thor, smettila! Smettila! Ci scopriranno! Vedranno i fulmini… verranno qui… Thor, Loki ha detto che dobbiamo–».

Thor si voltò di scatto e la sovrastò con la sua enorme stazza; il suo volto era una maschera di rancore, i suoi occhi erano ridotti a due fessure sottili e cerulee piene di rabbia. Emily si sentì terribilmente piccola in confronto a lui e ammutolì di colpo.

«Loki?», la sua voce era dura, sprezzante. Diversa da quella che aveva di solito quando le parlava. Emily non riusciva a capire, la testa continuava a martellarle. «Loki è andato via, Emily! Ci ha lasciati qui, è scappato e adesso sarà chissà dove a tramare uno dei suoi dannati inganni!».

La presa sul braccio di Thor cedette di colpo ed Emily non riuscì più a dire nulla. Era come se qualcosa, dentro di lei, si fosse spezzato. Thor continuava a parlare, ad insultare Loki e maledire gli Antichi dèi, ma lei non lo sentiva. Era lontana anni luce da lui, da Svartálfaheimr e probabilmente dall’intero universo. Rimaneva solo quel vuoto che, goccia a goccia, le riempieva il petto.

È andato via, vedi? Sei rimasta di nuovo da sola, alla fine. Sei stata una sciocca a fidarti di lui.

«No!» I suoi pensieri presero voce prima ancora che potesse rendersene conto, e all’improvviso Emily si ritrovò a correre verso la grotta alla ricerca di Loki. C’era una lacrima appesa sulle sue ciglia, ma non cadeva. Rimaneva lì, in attesa. Come quell’ultimo briciolo di speranza che le era rimasto, un ultimo disperato grido d’aiuto. Quando varcò la soglia della grotta e chiamò il nome di Loki, nessuno rispose. Solo allora la lacrima cadde, unica e dolorosa, ed Emily non fece nulla per ricacciarla indietro.

Il ricordo delle loro labbra che si sfioravano le tornò alla mente tagliente come una stilettata, ed Emily lo assorbì con dolore e con rabbia. Era andato via, alla fine. L’aveva di nuovo lasciata da sola. Emily provò ad odiarlo ma non ci riuscì, quindi decise di odiare se stessa per essere stata così stupida da non riuscire a capire le sue vere intenzioni. Non pianse, quell’ultima lacrima le aveva portato via ogni tristezza, ogni dolore, ogni cosa, ma digrignò forte i denti e strinse i pugni finché le unghie non le ebbero scavato la carne. Il dolore fisico era terribile, ma i ricordi facevano ancora più male ed Emily fu costretta a mordersi l’interno guancia per non gridare.

Non avrebbe più pianto, né urlato, né fatto qualsiasi altra cosa che avrebbe fatto tempo addietro, quando era solo una sciocca dama di compagnia incapace di fare qualsiasi cosa fuorché piangere e chinare il capo. Aveva smesso nel momento stesso in cui Vàlì era morto davanti i suoi occhi e lei non aveva potuto fare niente per aiutarlo, in cui aveva capito che posto buio e tenebroso fosse il mondo e che bisognava lottare con le unghie e con i denti per non soccombere. Per tutta la sua vita era stata in disparte, a cercare di comprendere i comportamenti di Loki, a giustificarlo, ma questa volta era diverso, lei era diversa. Non c’erano più giustificazioni, nessuna tolleranza. Era andato via? Bene. Sarebbe arrivata all’Hel da sola, allora, e quando lo avrebbe ritrovato – oh, se lo avrebbe ritrovato! – gli avrebbe spaccato la faccia e lo avrebbe preso a pugni, proprio come faceva da bambina. Avrebbe fatto di tutto pur di avere giustizia per Vàlì, con o senza di lui.

«Ha lasciato questa» Emily si voltò di scatto. Non si era accorta della presenza di Thor.

Prese la pergamena che aveva tra le mani e la srotolò: era un sentiero. Loki aveva lasciato loro un percorso ben dettagliato su come arrivare all’Hel. Le sue dita tremarono impercettibilmente e il cuore prese a battere più velocemente, fino a far male. Emily si passò una mano sul volto con pesantezza e corse a prendere il suo pugnale e una sacca: vi mise dentro delle provviste, qualche pozione e la mappa, poi uscì dalla grotta. Thor le fu accanto in pochi istanti.

«Dove stai andando? Senza Loki siamo spacciati. Non conosciamo le avversità di Svartálfaheimr!».

Emily si voltò con stizza e fece cadere la sacca a terra. Puntò un dito contro il petto di Thor.

«Non tornerò ad Asgard dopo tutto quello che ho fatto per arrivare fin qui, Thor. Ho letto dei libri sull’Hel e la mappa riporta ogni via che dobbiamo percorrere. Porterò avanti questa cosa con o senza di lui!».

Fece per andarsene, ma Thor le afferrò il polso con forza e la fece voltare verso di lui. «Non ti permetterò di andare da sola, Emily. Ho già subito troppe perdite, se si aggiungesse anche la tua per me sarebbe insopportabile!», disse. Emily rimase per alcuni secondi a fissarlo, in silenzio, come se stesse soppesando le parole giuste da dire. Infine si strattonò da lui, prese la sacca da terra e la strinse alla cintola dei pantaloni.

«Vieni con me, allora», biascicò fra i denti. Thor aggrottò la fronte e sospirò con amarezza.
«Anche se arrivassimo fin lì cosa credi succederebbe? Hel è la Signora dell’Oltretomba, persino mio padre ne ha timore. Ci servirebbe un’armata, dei soldati, un piano!».
«Tu ami Jane Foster, non è vero, Thor?».

A quella domanda, Thor tacque e il suo volto si oscurò di un’improvvisa angoscia.

«Più di qualsiasi altra cosa» Boccheggiò in un sussurro. Emily non lo aveva mai visto tanto provato. Sembrava che tutta la baldanzosa spacconeria che lo aveva sempre contraddistinto, tutto il suo coraggio e la sua prodezza si fossero spenti insieme al cuore di Jane. Non ebbe la forza di giudicarlo, perché anche lei sapeva quanto poteva far male quel vuoto dentro il petto. Di colpo, la furia che le lambiva le viscere rallentò, fino a scomparire del tutto. Adesso non c’era più Loki nei suoi pensieri, ma Thor e la mortale. Thor le era sempre stato accanto in quei mesi, ora toccava a lei ricambiare il favore.

Strinse la sua mano in un gesto affettuoso, fraterno. Thor alzò lo sguardo su di lei ed Emily gli rivolse un sorriso sicuro, nonostante nulla di lei, in quel momento, lo fosse.

«Allora aiutami a salvarla, Thor. Salva Jane, e salva Asgard».
 
 
Svartálfaheimr. Tre giorni dopo.
 
«E così sei giunto alla fine. Non ci speravo quasi più, amore».

La voce di Eris era tagliente e beffarda. Nell’oscurità della stanza, risuonò maligna come il sibilo di un serpente. Loki le rivolse un’occhiata di fuoco e strinse i pugni con stizza. Non aveva dimenticato ciò che aveva fatto ad Emily. Nonostante fossero passati tre giorni dall’ultima volta in cui l’aveva vista, era ancora viva nei suoi pensieri e la cosa lo innervosiva.

«Taci, inutile donna», disse. «Se sono qui non è per diletto, ma per il mio tornaconto».

«Oh, non ne dubito», sussurrò lei, tagliente. Le sue dita scorsero lente sulle spalle di Loki, che a quel tocco s’irrigidì come una statua. Gli scostò un ciuffo di capelli dal viso, mettendoglielo dietro l’orecchio. Loki poteva sentire il suo respiro caldo sul collo. «… Tutto questo solo perché Loki ha bramosia di un trono».

«Un mio diritto di nascita!».

Eris gli si parò davanti all’improvviso, in un fruscio di seta e sensualità. Gli prese il mento fra le dita con decisione e lo guardò dritto negli occhi.
«Il tuo diritto di nascita era morire, amor mio, abbandonato su rocce di ghiaccio quando eri solo un moccioso. Se Odino non ti avesse salvato, ora non potresti essere qui ad odiarmi*», sussurrò laconica, senza smettere di sorridere. Loki sentì la rabbia lambirlo all’improvviso, violenta come un pugno sul volto. In un scatto felino agguantò il collo di Eris, che ghignò sardonica, e la sbatté contro il muro alle sue spalle.

«Non mettere a dura prova la mia pazienza, Eris», disse, stringendo la presa. Il sorriso della dèa non vacillò. «Stai giocando col fuoco», soffiò fra i denti. Eris rise e scomparve come sabbia al vento, riapparendo alle sue spalle.

«Non immagini neanche lontanamente quanto mi ecciti questo gioco, amor mio. Osservarti mentre ti atteggi da assassino, mentre credi di avere tutto sotto controllo, che le cose cambieranno, è terribilmente illecito quanto immorale, ed io ho sempre avuto una passione spietata per i giochi pericolosi. Sappiamo entrambi che ti sei solo consegnato nelle mani del lupo, e che presto il lupo avrà fame, per cui…», fece scorrere l’indice sulla sua guancia, leccandosi le labbra. «… cosa ne sarà della tua piccola volpe, quando sarai morto?».

Il ricordo di Eris mentre tentava di accoltellare Emily lo trafisse da parte a parte, tagliente come una spada. Loki aggrottò la fronte d’istinto e trattenne il fiato. Aveva ancora ben impressi nella mente lo sguardo di Emily e le sue mani grondanti di sangue mentre Eris la teneva per i capelli, premendo la daga sul suo collo. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena, e Loki serrò le labbra.

«Prova anche solo a toccarla…».

Eris rise sardonica. Solo in quel momento Loki si accorse di averla afferrata per un braccio.

«E cosa, amore mio, mi ucciderai?», chiese lei con voce sottile e infantile, sbattendo le ciglia. «Magari prima dovresti imparare a proteggere te stesso, prima che gli altri… non credi?».

Loki non rispose. Tutto il suo corpo era scosso da brividi e la testa non smetteva di ronzargli. Uccidila, uccidila, urlava una voce nella sua mente, sovrapponendosi all’altra che diceva di non stare al suo gioco. Loki aveva voglia di gridare fino a graffiarsi la gola.

«Ma non preoccuparti, amore mio. Non verrà torto un capello alla tua piccola volpe. E sai perché?», il suo viso si fece più vicino, il suo sorriso più obliquo. Loki non ne fu certo, ma ebbe l’impressione che persino i suoi occhi fossero diventati più cattivi. «Perché sarà lei stessa a farlo... io non farò nient’altro che stare a godermi lo spettacolo».

«Di che parli?», soffiò fra i denti, scontroso. «Parla!».

Eris sorrise melliflua e dalle sue dita sottili apparve la forma rotonda di una sfera violacea.
 
Loki la riconobbe come la stessa che aveva visto tempo addietro nei ricordi della dèa e il suo cuore fece una capriola. Assottigliò le labbra, cercando di mantenere un’espressione dura e seria. Dentro di lui, tutto faceva a botte.

«Guarda tu stesso…» La voce di Eris arrivò a Loki lontana come un’eco, troppo concentrato ad osservare le immagini che scorrevano dentro la sfera com’era: c’erano Emily e Thor, avvolti da uno spesso drappo di nebbia e oscurità, stremati mentre lottavano contro una Gigantessa. Il fiato gli venne meno e d’istinto Loki si allontanò dalla sfera. Conosceva quell’essere, ne aveva letto su molteplici libri, ma non avrebbe mai creduto che fosse reale, il solo pensarlo era impossibile...

«Lei è…».

«Móðguðr, la Guardiana posta a guardia del ponte d’oro Gjallarbrú, che conduce nel Regno di Hel», lo anticipò Eris, incurvando le labbra. Sul suo viso candido si delineò una smorfia di scherno. «Avrei scommesso che quei due idioti sarebbero morti in poco più di un’ora. Sono sorpresa che siano giunti fin lì… non trovi, Loki?».

Loki non rispose. Non aveva messo in conto che Emily avrebbe intrapreso la strada per l’Hel insieme a Thor. Aveva pensato che solo lui sarebbe andato, che avrebbe avuto quel briciolo di buonsenso da mettere in salvo almeno lei! Loki strinse i pugni lungo i fianchi e contrasse la mascella mentre la voglia scalpitante di urlare gli attorcigliava le viscere. La bile gli salì su per la gola e il petto bruciò di collera e rimorso.

Nella sfera, Emily sguainò uno dei suoi pugnali e lo lanciò verso la gigantessa, che ruggì di rabbia e tentò di colpirla, ma Thor fu più svelto e la trascinò via da lì. Loki non riusciva a distogliere lo sguardo. Móðguðr ruggì nuovamente, gli occhi iniettati di sangue che reclamavano morte e distruzione. Thor le scagliò contro una scarica di fulmini e saette: il suo sguardo era pieno di furore, di paura e di ira e sul volto sgocciolava una viscida scia di sangue scarlatto. A pochi metri da lui, Emily continuava a lottare. Loki non l’aveva mai vista tanto determinata. Sembrava lontana anni luce dalla donna ornata di pizzi e piena di timore che aveva visto al palazzo.

Ad un tratto, la gigantessa le sferrò un gancio ed Emily volò via diversi metri, finendo distesa sulla steppa arida. Thor urlò, ma Loki fece fatica ad udirlo. La paura aveva preso il sopravvento, le sue dita tremarono e gli occhi si sgranarono più del dovuto. Improvvisamente, la sfera iniziò ad annebbiarsi, le due figure a sfocare, e Loki si sentì perduto.

No… no…NO!

La scosse, cercò di incantarla, provò qualsiasi cosa pur di scoprire cosa stesse accadendo, finché tutto divenne scuro e Thor ed Emily svanirono completamente.  

«Che cosa hai fatto?!», urlò ad Eris, gli occhi ridotti a due fessure iraconde. Tutto di lui era un tremito continuo, la sua voce spezzata. Era colpa sua se Emily si trovava in quel luogo di morte, se Vàlì era morto, se era accaduto tutto ciò. Non riusciva più a ragionare, a pensare con lucidità. Il suo unico pensiero era per Emily, per Thor e per quelle dannate immagini!

Doveva fare qualcosa, doveva agire, e doveva farlo in fretta.

Eris sorrise di gusto, una risata così chiara e musicale che Loki stentava a credere che provenisse da lei, e gli accarezzò la guancia.

«No, Loki. La vera domanda è… cosa hai fatto tu?».

La sua risata riecheggiava ancora fra le pareti, terribile come un incubo antico, quando Eris svanì. Loki guardò la sfera, il cuore in gola e la mente piena di nodi, e la scagli lontano, gridando così forte che le vene delle tempie gli si gonfiarono e i polmoni presero a bruciare come mai prima d’allora. Stremato, si lasciò cadere a terra con pesantezza, sconfitto dai suoi stessi pensieri, e una lacrima solitaria gli bagnò le ciglia, minacciando di cadere.
Ancora una volta aveva fallito. Ancora una volta non sarebbe riuscito a mantenere la promessa.

Nel silenzio assordante della stanza, gli sembrò che l’oscurità si fosse infittita sino a soffocarlo. In quel momento risentì la risata giocosa di Emily mentre da bambini giocavano insieme. Solo allora la lacrima cadde, e Loki non fece nulla per trattenerla*.   
 
 
 
 
 
 
- Note dell’Autrice.
 
  1. La canzone iniziale è “ What have you done”, dei Whitin Temptation.
  2. La malattia che affligge Thanos sin da ragazzo. Se volete saperne di più, eccovi il link di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Thanos
  3. Sì, ho davvero riportato questa frase bastardisssssima rubacchiata dal film.
  4. Questa similitudine con il POV di Emily è del tutto voluta. Non sono scema! XD Verrà spiegata più avanti, don’t worry.
 
Ebbene, eccomi qui! :D

Sì, sono viva. La pagella è andata piuttosto bene ed io posso continuare ad usare internet,  per vostra (s)fortuna. Ad ogni modo non ho molto da dire su questo capitolo, se non che finalmente Emily incomincia ad incazzarsi sul serio (direi che era anche ora, no?) e che Eris è la solita stronza. Ah, che bel gruppetto…

Btw, dal prossimo in poi si entra verso il percorso finale di questa storia. Mio Dio… non ci credo nemmeno io. *piange in un angolino*

Comunque, news in arrivo: io e 
TheRedPhoenix, durante le nostre solite chiacchierate (alias: scleri) in chat, abbiamo avuto un’idea sempre riguardante la storia. Chi mi ha su Facebook la saprà già, ma ci tengo a scriverla anche qui: Come tutti sapete, il quattro Marzo si celebrerà Carnevale ( o perlomeno così mi è stato detto. Correggetemi se sbaglio), ovvero la festa in cui tutti possono essere qualcun altro per un giorno, e ciò ci ha portato a pensare: "E se Loki ed Emily fossero stati degli studenti di Hogwarts?". Non voglio dirvi di più, ma tenetevi pronti al peggio! :)

Spero di postare al più presto il capitolo sedici. In caso non doveste più vedermi né su Facebook né su EFP, saprete che – come al solito – la causa è mia madre. ç-ç
 
Come al solito, vi lascio il mio link di Facebook ed Ask, caso mai qualcuno volesse pormi delle domande:

Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
Ask: http://ask.fm/HarmonyEfp

Ne approfitto anche per ringrazire 
vannagio per aver betato il capitolo. Grazie, grazie e grazie mille ancora!
 
Bacioni, e alla prossima! ^^
 
 

 
   
 
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