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Autore: xCyanide    19/02/2014    6 recensioni
La prima volta che l’avevo visto, però, la ricordavo.
Ve l’ho detto, era semplicemente apparso, non lo conoscevo. Non lo avevo mai visto prima di allora.
E quindi come ha fatto uno sconosciuto a sembrarmi così familiare, proprio come se fosse casa mia? [dal primo capitolo]
-Ti stai innamorando di me, Frank? – chiese, con così tanta tranquillità e naturalezza che mi sembrò quasi strano sentir uscire quelle parole dalla sua bocca. [dal sesto capitolo]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 14 - Di vani tentativi e mancato rispetto.

Quando a metà mattina rientrai in casa silenziosamente, con le gambe ancora intorpidite e i pensieri devoti a tutta la felicità che avevo provato, fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso.
La prima cosa che vidi fu lo sguardo greve di mio padre che percorreva tutti i passi lenti che facevo verso le scale, nel vano tentativo di fargli credere che non l’avevo proprio visto. Purtroppo, comunque, non fu così.
-Franklin, dove credi di andare? – mi domandò severo, incrociando le braccia al petto. La sua voce era ciò di più acido che avessi mai sentito e mi fece completamente rabbrividire. Piantai i piedi davanti alle scale e presi un respiro profondo prima di voltare gli occhi verso di lui.
-Sto andando in camera, io… sono stanco, Bri non mi ha fatto dormire per niente. Mi ha raccontato un sacco di cose e non chiudeva un attimo la bocca – sussurrai cercando inevitabilmente una scusa alle mie occhiaie o al mio sguardo stralunato.
-Tu non penserai davvero che io ti creda? Ho chiamato a casa di Brian ieri sera e lui era fuori con degli amici. E indovina? – chiese sarcasticamente, le vene del collo gonfie per la rabbia che stava probabilmente provando in quel momento. –Non eri con lui. Frank, se non vuoi che ti metta le mani addosso e ti faccia male come farei a una femminuccia, devi dirmi quello che hai fatto stanotte. 
-Niente, non ho fatto niente… sono stato da altri amici ma avevo paura decideste di non farmi rimanere con loro dato che non li conoscete. Volevo solo… divertirmi un pochino dato che in questi giorni sono molto nervoso – mi giustificai quasi sussurrando, con il tono di voce che tremava completamente.
-Vieni a sederti qui mentre, di grazia, mi dici chi sono questi nuovi amici – mi indicò la poltrona di fronte al divano dove era seduto e sospirò quasi completamente deluso dal mio comportamento.
La voglia di vomitare tornò subito a farmi visita, puntuale, come se pensasse che vivere tanto tempo senza sentirsi sbagliati fosse troppo anche per me.
Mi sistemai sulla sedia rivestita morbidamente e mi rannicchiai lentamente come a proteggermi, nascondendo il viso dietro le ginocchia ossute. I suoi occhi mi puntarono accusatori e scosse la testa quasi rinnegandomi.
-Non riesci nemmeno ad affrontare tuo padre come farebbe un figlio degno di tale nome – affermò cattivo, quasi sputandomi addosso le parole e il veleno.
-Dov’è la mamma? – chiesi guardandomi intorno solo per non incontrare i suoi occhi, dato che già sentivo i miei completamente lucidi e prossimi al pianto. Mi passai lentamente la manica della felpa sotto il naso grattandolo appena, così da non far colare nulla e sospirai appena. –Con lei magari riuscirei a ragionare.
-La mamma non è qui e sicuramente darebbe retta a me, frocetto – le sue parole mi arrivarono dritte al petto e mi fecero scappare una lunga lacrima fino alla mascella, che divise completamente a metà la mia guancia liscia. Subito la portai via con il tessuto dei vestiti e socchiusi gli occhi abbassando lo sguardo. Odiavo il mio essere così debole. –E ora spiegami cosa hai fatto stanotte, magari dicendomi anche se sei stato in compagnia.
-Mi hai preso per una puttana? – chiesi ferito, il tono di voce debole e il mio corpo che lentamente si sentiva sempre più sporco sotto il suo sguardo disgustato. Cosa voleva ancora da me? Mi stava consumando e nemmeno se ne accorgeva.
-Sto solo cercando di abituarmi all’idea che se un giorno arrivassi e mi dicessi che sei malato di AIDS non mi dovrei stupire più di tanto – disse serio. Era davvero convinto di quello che diceva? Davvero gli andava di scherzare su ‘ste cose?
-Rimpiango di averti detto quello che provo, ma mi hai portato allo stremo. Davvero, perché accanirti così tanto contro di me? Sono il figlioletto frocio che non ti darà mai dei nipotini vero? – domandai, quasi più in un’affermazione, con le lacrime che ormai scendevano gratuitamente lungo la mia pelle pallida. –Cosa racconterai al club della pesca quando tutti ti diranno che la loro prole gioca a baseball o sta diventando avvocato? Avrai il coraggio di dire loro che hai un figlio frocio che però ami con tutto il cuore?
-Io non ti amo Frank, o almeno non più – disse come se fosse la cosa più naturale del mondo ma sentii il vuoto nel petto che diventava sempre più profondo, come se prima o poi risucchiasse tutto il mio organismo facendomi scomparire. Ecco, forse sparire sarebbe stata una buona soluzione. –Ho smesso di amarti quando hai detto quella blasfemia, l’altra sera, quando hai sostenuto di amare un ragazzo. Questo non sei tu, o forse sto solo cercando di pensarla così per non ammettere che ho cresciuto un fallimento. Perché questo sei, Franklin.
Avvertii un singhiozzo farsi spazio nella mia gola per esplodere completamente quando sentii chiare e tonde le sue parole. Probabilmente già lo sapevo ma… era stato come vedere tutti i miei più grandi incubi diventare realtà davanti ai miei occhi, lasciandomi inerme a guardarli crescere tranquilli, ed estirparmi il cuore senza nemmeno un po’ di riguardo nei miei confronti.
Non volevo essere un fallimento.
Non dovevo esserlo.
-Ci sono… ci sono persone che non la pensano così – sussurrai tra le lacrime cercando in qualche modo di riscattarmi davanti a lui, per tenermi tutto il dolore in un momento in cui sarei stato libero di auto collassare su me stesso senza che nessuno potesse guardare. –Non lo sono, papà…
Sentii la sua voce scoppiare in una fragorosa risata quando si rese conto delle mie parole e scosse il viso perentorio cercando quasi di sminuirmi ancora di più con i soli gesti. –E chi sarebbero queste persone? Quel frocio del tuo migliore amico? Il ragazzo che ami? –accentuò le ultime due parole facendomele pesare addosso.
Ma mi ritrovai ad annuire con forza e quasi coraggio davanti all’uomo che mi stava uccidendo. Se non volevo sottrarmi alla morte, per lo meno avrei fatto in modo di morire dignitosamente.
-Si, cazzo! – esclamai alzandomi in piedi e sporgendomi in avanti cercando di sovrastarlo almeno con il fisico in quanto era seduto sul divano. –Il ragazzo che amo, come dici tu, ha stima di me, okay? Mi ama anche lui, sono ricambiato, e se proprio vuoi saperlo è la cosa migliore che potesse capitarmi in questo periodo. Mi sorride e mi incoraggia, al contrario di quello che fa chiunque dentro questa casa di merda, e crede in me e nelle mie capacità. Mi fa sorridere… e, spero ti interessi, si chiama Geràrd.
In un attimo sentii due mani che semplicemente mi stringevano il colletto della felpa con forza e mi tiravano su senza alcuno sforzo dato il mio peso piuma. Mio padre mi scosse con forza urlando di rabbia e con gli occhi completamente iniettati di sangue, si sporse per potermi sbattere al muro.
-Non mi interessa un cazzo di come si chiama o di quello che fa, femminuccia, ti spacco questo brutto muso se provi a dire un’altra cosa del genere davanti a me, hai capito? – mi strattonò di nuovo ma tra le lacrime sentii un piccolo sorriso soddisfatto lacerarmi le labbra.
Se reagiva così voleva dire che gli interessava ancora di me, altrimenti sarebbe stato completamente apatico nei miei confronti.
-Mi ha baciato – sussurrai con la poca voce che mi rimaneva nella gola dato che la stava stringendo. –Mi ha baciato e mi è piaciuto tanto. E’ così bello, papà…
Un ginocchio mi arrivò dritto in pancia e mi fece boccheggiare completamente, l’aria che man mano mancava sempre di più nei miei polmoni sfruttati. Nel giro di poche ore stavo sperimentando l’apice della felicità e quello del dolore.
E’ sempre così la vita, se fai qualcosa di bello, vieni punito sette volte tanto.
-Te la faccio passare a suon di calci questa cosa – disse incattivito, nemmeno lo riconoscevo più ma mi ritrovai a ridere di cuore per il nervosismo, il dolore che aveva invaso completamente il mio corpo.
-Abbiamo fatto l’amore… tanto tempo – mormorai con le poche forze che mi rimanevano. –E mi ha detto che mi ama tanto… vorrei lo conoscessi.
Un urlo di bestia e poi, ancora una volta, persi i sensi.



xCyanide's Corner
So che mi odiate sia per il capitolo che per il mio schifoso ritardo a postare ma state tranquille! Se prometto d finire una cosa, la finisco, a costo di saltare tutti gli ostacoli in un pomeriggio d'agosto senza una bottiglietta d'acqua in mano(?) Sono stata davvero incasinata (sia moralmente che proprio dal punto di vista fisico) e quindi non ho avuto un attimo per mettere mano seriamente al pc e scrivere come si deve. Era dal ventisette gennaio che non aprivo il file di questa storia. Comunque, solo per informarmi, mancano all'incirca sei capitoli prima che finisca, e spero rimaniate così tanti fino alla fine, siete la bellezza!
Come sempre, fatemi sapere se questo capitolo è stato di vostro gradimento! Mi fa davvero felice.
Ora scappo, biscottini.
Alla prossima,
xCyanide

 
  
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