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Autore: annabll    19/02/2014    1 recensioni
Se solo potessi, anche per poco, assaggiare un cucchiaio di quella salsa agrodolce che è quell’universo pieno di sorprese di cui ogni giorno mi spettava una dose! Darei di tutto per poter tornare a distinguere le sfumature della natura e dei suoi colori, e non vederli più solo nella loro unica totalità: il nero.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. RICORDI

 
 
Aprire gli occhi: quante volte compiamo quest’azione durante la giornata? Quando ci svegliamo, nel momento esatto in cui i primi raggi dell’alba attraversano le fragili e spesse vetrate delle nostre finestre, accarezzandoci le palpebre come per destarle dolcemente dal sonno. Dopo averli chiusi per lo spavento di un film, o per la paura di un giro su quella giostra, quella su cui il nostro migliore amico ci ha costretti a salire con la forza. Dopo aver baciato la persona che amiamo, per cercare il suo sguardo ed essere sicuri di non vivere un sogno, ma la realtà. Aprire gli occhi è gioia, amore, sollievo. Aprire gli occhi significa non averli chiusi per l’ultima volta. Aprire gli occhi significa non essere morti, ma vivi, capaci di provare emozioni, capaci di sentire il calore del sole sulla pelle al mattino, un brivido di paura, un’iniezione di endorfina nelle vene. Io gli occhi non li apro più ormai da troppo tempo. Una sera ho serrato le mie palpebre e non sono più stata in grado di smuoverle. Ricordo la luce, poi il buio; un candido bianco devastato da un cupo nero. Non una parola, né un gesto, ma un riflesso; e la mia vita è finita per sempre. Ricordo con particolare nitidezza ogni singolo momento dei miei vent’anni: il primo giorno di scuola, la prima cotta, il primo bacio, il primo esame dato all’università. Avevo studiato per due mesi interi, senza dedicarmi ad altro. Avevo persino dimenticato cosa significasse dormire o uscire e la caffeina era la mia nuova migliore amica, l’unica che mi comprendesse in pieno. Mi guardavo allo specchio di sfuggita ogni mattina, ma poi ogni volta mi soffermavo ad osservare attonita il mio sguardo sconvolto, le occhiaie sotto i miei occhi di pece, la ricrescita nera dei miei capelli che mi implorava di correre da un parrucchiere al più presto. Non mi ricordo perché decisi di tingermi i capelli di rosso, probabilmente fu un atto di ribellione dei miei diciassette anni; da allora non avevo più avuto il coraggio di cambiare. Era una mattina di ottobre, credo fosse un martedì. Mi alzai alle sei e mezza per ripetere ancora. Mentre davo il buon giorno alla mia amica che calda mi aspettava nella tazzina, cominciò a prendermi allo stomaco un forte senso di nausea che mi impediva di concentrarmi. Sentivo di aver dimenticato tutto quello che in due mesi avevo imparato. Volevo morire lì, in quel momento. Desideravo ardentemente che succedesse qualcosa di catastrofico che mi impedisse di recarmi alla sede. Ma non accadde. Non mi truccai quella mattina, né mi lavai i capelli, né indossai qualcosa di carino, credo infatti di aver quasi spaventato quel pover’uomo con cui ho dovuto tenere l’esame. Sembravo quasi un fantasma che vagava per le strade nebbiose di una città troppo grande per accorgersi di lui; un’anima in pena che, nonostante tutte le preoccupazioni, trovava il tempo di fermarsi e guardarsi intorno, invidiando la sicurezza di coloro che riuscivano ad affrontare con coraggio e senza timore la foschia che li circondava e li confondeva. L’invidia ben presto si trasformò in rabbia. Rabbia perché volevo affrontare anch’io con decisione e fermezza quel tortuoso percorso ad ostacoli che è la vita correndo come in una gara: ma non per arrivare prima degli altri o per battere tutti i record; solo per raggiungere il traguardo e saltare il più in alto possibile per non cadere quando la situazione lo richiedeva. Quel giorno all’esame presi trenta. Corsi allora dal primo parrucchiere per recidere quella chioma rossa che oramai non mi rappresentava più e tornare alle origini, alla mia essenza, alla mia forma primordiale: il nero. Chi l’avrebbe mai detto che il nero, poi, sarebbe stato tutto ciò che la vita mi avrebbe lasciato? Non so cosa mi sia accaduto, né quanto tempo sia passato. L’unica cosa che avverto è un forte freddo che mi riempie le arterie e pompa ghiaccio nel cuore. Sento il cervello scoppiarmi nella testa ma poi più nulla. Provo ad aprire i miei occhi in ogni singolo momento; ma come ho detto in precedenza, quando provo, l’unica cosa che vedo è il buio, il nero. Sarò forse morta? Magari è questo l’ “aldilà” di cui tutti parlano. Eppure c’è qualcosa in me, qualcosa che mi dice che per me forse non è ancora del tutto finita, che l’inverno che ho dentro presto terminerà per dar spazio ad una nuova primavera. È in questi momenti che mi ritorna in mente l’ultimo ricordo che custodisco gelosamente, come chi ha un oscuro segreto inconfessabile la cui rivelazione potrebbe cambiargli completamente la vita, e che per questo decide a malincuore di conviverci: era il giorno del mio ventesimo compleanno; avevo deciso di non organizzare né feste troppo sfarzose o ludiche, né impudiche o volgari. Mia madre prenotò nel ristorante più sofisticato della città un tavolo per circa una ventina di persone, tra amici e familiari, con i quali avevo voglia di condividere la gioia di un nuovo anno trascorso insieme. Ricordo perfettamente anche ciò che indossavo: una blusa rossa, semplice come il lieve strato di trucco che dava colore al mio volto pallido, una gonna aderente nera, lunga fin sotto il ginocchio e delle ballerine nere. Mi sentivo bellissima, forse per la prima volta nella mia vita. Ero raggiante, infatti credo che gli altri se ne fossero accorti, poiché mi osservavano con sguardo stupefatto, quasi rapiti dalla mia immagine insolita, a colori, e non più dalle solite sfumature grigie. Tra gli invitati c’era anche un mio amico speciale, che conoscevo dal tempo dei giochi puerili, e del quale ero follemente innamorata. Si chiamava Mattia. Lui era l’unico a non avere incisa sul volto un’espressione sorpresa. Più o meno verso la fine della serata mi afferrò per un braccio e mi prese in disparte, mi si avvicinò repentinamente, in modo tale che potessi specchiarmi nei suoi occhi zaffiro, e mi sussurrò: “ Sapevo che ce l’avresti fatta a trovare un tuo equilibrio, ad essere finalmente soddisfatta di ciò che sei diventata, a vederti per ciò che sei realmente: un gioiello. Ti ho sempre vista brillare come un diamante; finalmente anche tu ci riesci ”. Era il momento perfetto; avrei dovuto trovare il coraggio di espormi al pericolo, di posare con delicatezza le mie labbra sulle sue e baciarlo, ma la mia codardia prevalse su tutto. Di ciò me ne pento amaramente. Tuttavia come posso biasimarmi? Avevo appena compiuto vent’anni, ero convinta di avere una vita intera davanti per sconfiggere il mio lato pusillanime e lasciar venir fuori tutto d’un fiato quanto di più profondo si nascondeva nei meandri del mio cuore. Come avrei potuto sapere che, più tardi, quella stessa sera, un ubriaco mi avrebbe mandato fuori strada? Ebbene sì. Mentre guidavo per tornare a casa, un’autovettura contromano con cui stavo per scontrarmi mi costrinse a sterzare e io caddi giù da un dirupo. In quel preciso istante in cui capii di non avere scampo, l’unica cosa che desiderai fu di morire sul colpo, perché avevo troppa paura di soffrire. Forse se non avessi sterzato avrei ottenuto ciò che bramavo. Forse se il mio istinto di sopravvivenza non mi avesse imposto di scansare quell’auto, avrei trovato la pace. Paradossalmente è stato il mio stesso istinto, quello che altro scopo non ha che di aiutarci a trovare la soluzione migliore per sopravvivere, a condannarmi per sempre; ed ora sono destinata a condurre un’esistenza in un mondo inesistente, privo di forme, privo di rumori, se non quelli estenuanti dei miei pensieri che rimbombano quasi come se la mia mente li urlasse. Se solo potessi, anche per poco, assaggiare un cucchiaio di quella salsa agrodolce che è quell’universo pieno di sorprese di cui ogni giorno mi spettava una dose! Darei di tutto per poter tornare a distinguere le sfumature della natura e dei suoi colori, e non vederli più solo nella loro unica totalità: il nero. 
  
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