Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Samita    19/02/2014    3 recensioni
Rivisitazione di questo spettacolare film in chiave adulta, un po' missing moments, molto centrata sul rapporto Anna/Elsa, con qualche OOC per un'interpretazione più matura. A chi gradisca, è benvenuto.
«Vai.
Esci.
Anche per me.
Così che io la sera possa sentire ancora questi passi felici.»

«Questo è quello che dice la gente, ché alla gente piace dire molte cose. Dice che fosse l’inverno più freddo degli ultimi cent’anni, e che il manto innevato avesse bloccato le porte delle case, e le finestre: tanta era la neve che la stessa levatrice non aveva avuto modo di giungere in tempo al castello.
Questo è quello che dice la gente.
Chè la gente lascia che le parole fluiscano come nulla fosse, e crea le leggende.
Sono quelle, ciò che restano.
Ciò che dice la gente.»
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6


6: E lì fuori, la gente; e dentro noi.





Ci mise qualche mese per decidersi a farlo, titubante ed incerta, combattuta fra quello che voleva e quello che, presumibilmente, voleva fare.

Elsa, seduta alla finestra da cui guardava quel poco di mondo esterno che le era dato di vedere, sentì i passi di Anna, maldestri, lungo il corridoio. Certo se la sorella non fosse stata così agitata, lei non si sarebbe accorta di nulla – ma Anna inciampò un paio di volte, sul percorso; il che lasciò intendere ad Elsa quel che in fondo si aspettava: aveva deciso di uscire.

Chi mai avrebbe potuto dirle nulla? A far vigere le regole dei genitori erano rimasti solo la cameriera e il maggiordomo - figurarsi se li avrebbe ascoltati.

A lei sì, invece. Lei l’avrebbe ascoltata.

Non sapeva perché, ma aveva questa certezza ormai sedimentata: in fondo, lei era la maggiore.

In fondo, a breve sarebbe stata regina.


Ma ora era solo Elsa, sola, con la sua maledizione, nella sua stanza, in attesa.

Che Anna facesse pure come preferiva. Finché non faceva entrare nessuno nel castello, in fondo, era ben libera di uscire.


***


Anna varcò la porticina di lato al portone con il cuore in gola, tastando mille volte la tasca del cappotto per verificare che la chiave fosse lì - e di lì non si muovesse, o rischiava di restare chiusa fuori.

La strada era semi deserta: si guardò attorno, fece un respiro profondo e, nella neve dell’inverno addentrato, s’incamminò.


Conosceva Arendelle come le sue tasche, ogni singolo anfratto e viuzza: aveva speso ore ed ore, per prepararsi, sulle mappe del catasto.

Certo a vederla dal vivo era un’altra cosa: eccola, la sua città. Il suo regno.

Freddo.

Desolato.

Vuoto.


Dove diamine erano tutti?


Con l’ansia addosso, si aggirò per quasi un’ora lungo le strade principali: più il tempo passava, più la sensazione di aver avuto una pessima idea le si faceva più forte, sempre meno trascurabile.

La domanda, però, vinceva: dov’erano tutti?

Dove diavolo era la gente di Arendelle? La sua gente?

Quella che – quella.

Con cui, a dirla tutta, non aveva un gran legame. Che non conosceva.

Che forse non avrebbe nemmeno saputo riconoscere rispetto a uno straniero.


Ma i camini fumavano: la gente c’era.

Va bene, forse non era un’idea furba starsene in strada con quel freddo, ma era possibile che davvero non ci fosse nessun mercato, o uno strillone, un lustrascarpe, un corriere, un - niente?

In che posto aveva vissuto sino ad allora?


In che posto era?


A furia di pensare e di camminare, avvolta dal freddo dell’inverno, digiuna dall’agitazione Anna iniziò a vederci male, sfocato, luminoso - la testa leggera, tanto che il freddo era solo una sensazione, e non più un fastidio. Strano.

Forse era il caso di tornare indietro.

Ma non ne aveva il coraggio: questa era la verità.

No, non era possibile che in quella città non ci fosse nessuno.

Non lo avrebbe sopportato: strade vuote come i corridoi del castello, porte chiuse come quella di Elsa – quel poco di speranza che le era rimasta, il fuori, il fuori doveva essere diverso. Non era possibile.

Non lo avrebbe mai accettato.

No.

Non era possibile – in che razza di mondo viveva?

Dopo qualche altro passo si trovò di fronte alla porta chiusa di una piccola osteria.

Fuori, nessuno. Il camino, attivo, lasciava intendere che c’era della gente all’interno – e le voci che attenuate arrivavano dal legno della porta consolidavano quell’ipotesi. Doveva essere così.

Anna bussò, domandandosi cosa avrebbe fatto se, come la porta di Elsa, anche questa non si sarebbe mai aperta.

Ma la porta si aprì.


Arendelle era lì dentro.



***


"Principessa Elsa?"

"Ditemi, Kai."

"I libri che mi avevate chiesto."

La ragazza aprì di poco la porta della sua stanza, guardandovi fuori: il maggiordomo portava con sé una manciata di tomi, pesanti. Aprì un po’ di più la porta, di modo che riuscisse a poggiarli sul pavimento della camera.

"Lasciateli pure lì. Grazie." abbozzò un sorriso, timido, mentre pregava fra sé e sé che se ne andasse il prima possibile.

Kai intravide l’espressione della ragazza, cercando di interpretare il suo disagio: d’altronde la principessa era sempre stata così, l’aveva vista crescere dietro quella porta e aveva passato le sere a sentire il Re mormorare fra sé e sé - fino a chiedergli, addirittura, consiglio.

Elsa credeva di essere rimasta completamente sola, ed era facile intuirne il motivo: solo così, era convinta, sarebbe riuscita a gestire quel suo potere. Di cui lui, ovviamente, ben sapeva.

Kai non era certo il tipo di maggiordomo che si intromette. Non avrebbe mai osato. L’avrebbe lasciata in pace, lasciata elaborare, com’era giusto che una futura regina facesse.

Ma non poteva lasciarla troppo sola. Aveva, in fondo, ancora dei doveri nei confronti del Re e della Regina.

Degli immensi doveri.


Elsa richiuse la porta, flettendosi per prendere i libri e portarli alla scrivania: v’erano gli appunti di suo padre, i registri contabili, due delle ultime edizioni degli annali delle terre del nord. Manuali di geografia, navigazione – uno per uno li prese e li portò alla scrivania, affiancandoli a quelli che già aveva accumulato.

Perché, volente o nolente, lei un giorno sarebbe dovuta diventare Regina.

E, volente o nolente, avrebbe dovuto fare tutto da sola.

Doveva essere preparata. Oltre ogni dire.

Uno dopo l’altro, disponeva i libri in fila – finché l’occhio non le cadde sul titolo di un tomo scarlatto, attempato, che sembrava essersi infilato lì quasi per sbaglio. Aggrottando le sopracciglia, lo prese tra le mani, osservandone la copertina.


La grande saga di Óláfr6 Tryggvason


Socchiuse gli occhi, annusandone l’odore antico.

Era un libro di mitologia.

Non era certo il tipo di libro che le interessava.

Kai doveva averlo preso per sbaglio.


Con un gesto lento la principessa aprì il libro: le sfuggì un sorriso, vedendo il nome di Anna scritto in fluenti caratteri calligrafici.


Kai doveva essersi decisamente sbagliato.


Si sedette sul letto, sfogliandone distrattamente le pagine.


***


La taverna era a dir poco caotica.

Nessuno la vide entrare, nessuno prestò a lei attenzione finché, compiuto qualche passo verso il bancone, non si ritrovò in mezzo a due grossi tipi intenti a tracannare birra come se non ci fosse un domani.

"Eilà, bambina!" tuonò il primo, spalmandosi sul bancone e cercando di richiamare l’attenzione dell’oste "Aaron, sei sicuro che questa nanerottola possa entrare qui dentro? Ha ancora le labbra sporche di latte, la piccina!"

Anna non fece in tempo a sentirsi interdetta che quell’altro le batté una vigorosa pacca sulla schiena "Ahahah –" grugnì, pulendosi il naso con la manica "– fai finta che sia un complimento, fai finta che sia un complimento..."

Aaron, l’oste, si avvicinò a loro con tre boccali per mano. "Quanti anni hai?"

Anna rimase in silenzio, mentre il vociare confuso e brillo dei presenti le invadeva la testa: non aveva mai sentito tante persone parlare contemporaneamente. Confusa e prossima ad un poderoso mal di testa, la ragazza strinse le palpebre nel tentativo di concentrarsi: appena riaprì gli occhi, vide l’oste fare spallucce.

"Senti, non è che mi interessi, ma gli editti reali sono gli editti reali. Se hai meno di sedici anni non puoi entrare."

Anna sospirò. "Ne ho sedici –" cinguettò, sollevata: il tizio alla sua destra le parlò sopra, con tanto di quel fiato che si chiedeva i polmoni umani potessero davvero contenere tanta aria: "Bene, allora puoi guardarci bere! Niente alcol, sotto i diciotto! Eh! Lo dicono le principesse!"

"Lo disse il Re!" precisò quello a sinistra.

"Fossi stato nelle ragazzine, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata togliere questo divieto – sai, per spassarmela un po’!"

"Ti sembrano forse le persone?"

L’oste si intromise: "Figuratevi se a loro si applicano le leggi, figuratevi. Posso solo immaginare i fiumi di birra che scorreranno nel castello... allora, bambina, a te cosa porto? Latte?"

Quegli altri due presero a ridere sobbalzando sugli sgabelli.

"Oh, amore. Cosa fai qui tutta sola, bellezza?"

Anna si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con una donna in carne e dalle gote leggermente rosse.

"Hem..." hem... "Non posso andare in giro da sola?"

"Oh, nessuno vieta niente, qui." Fece quella, prendendole la guancia fra le dita e stropicciandogliela per benino: la ragazza lasciò fare, senza nemmeno ben sapere cosa reagire.

Iniziava ad essere solo leggermente inquietata.

In effetti.

A ben pensarci.

Forse non era stata una buona idea.

Insomma.

Aveva sedici anni, non dieci.

Magari quella con cui stava parlando era una prostituta.

Perché non ci aveva pensato prima?

Ommioddio, e se i due omaccioni l’avessero presa di peso e portata via?

C’era un limite al livello di sprovvedutaggine di Anna: quel limite era appena scattato – e quando scattava, iniziavano i libri mentali. Tragedie. Brutte storie. Oh - dio.

Non ne sarebbe uscita viva.

Dov’era Arendelle?

Era quella Arendelle?



***


Elsa leggeva, stesa sul suo letto, il libro di sua sorella. Quasi senza accorgersene, frase dopo frase, riga dopo riga, ne era stata assorbita. Pian piano, era arrivata a metà.

A quel punto, tanto valeva finire.

Era una bella storia - una di quelle tradizionali del nord, una leggendaria.

Elsa andava avanti, la testa leggera, leggera come non l’aveva mai sentita.

Ecco perché Anna lo faceva.

Ecco dove aveva vissuto Anna in quegli anni.








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Scusate il ritardoH! Esamoni...

suspance per anna!

questo è quello che intendevo quando dicevo "missing moments", uh... :)















   
 
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