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Autore: Keiko    19/02/2014    3 recensioni
"Esistono periodi bui della storia dell’uomo. In un ciclo eterno, il Bene e il Male si scontrano per avere il dominio sul Mondo. Quando la Terra viene minacciata da forze malvagie, uomini dallo spirito puro combattono per la nostra difesa. Vengono chiamati Santi, e sacrificano la propria vita per noi uomini. Per assicurarci un futuro che loro, forse, non vedranno mai.”
“E tu come li hai conosciuti nonno?"
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'La rabbia delle stelle'
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Le rose gli sono sempre piaciute, forse perché non c'è mai stato un momento della sua vita in cui non ci fossero. Sono bellissime ed effimere, come la vita.
Per questo le ama con la stessa passione: da entrambe vuole trarre il massimo piacere nell'istante di piena fioritura, prima che avvizziscano lasciando il passo alla vecchiaia. Una volta Shura l'ha canzonato per questa sua passione, ma non gliene è mai importato molto: il Saint di Capricorn non capisce nulla di fiori perché non ha mai saputo conoscere una donna.
Delle rose ama soprattutto il profumo intenso e pesante, che ti stordisce se troppo t'avvicini.
Un fiore bellissimo che può ferire.
Proprio come lui. 
La prima volta che ha messo piede nel roseto della Dodicesima Casa è svenuto, perché quell'odore gli ricordava la morte, non la vita. Sua madre era stata seppellita circondata dalle rose. Bianche, erano ovunque e adornavano ogni cosa: il suo vestito, una corona a stringerle sul capo il velo nuziale, un bouquet che non l'avrebbe mai accompagnata all'altare. Poi ha imparato a fare suo il richiamo di una bellezza che sembra non sfiorire nell'attimo in cui la stai osservando e ha conosciuto la crudeltà della puntura di un ago, di una stilettata al cuore. All'epoca erano giorni spensierati, quando l'allenamento era si duro, ma gratificante. Dopo, era arrivata la scoperta della guerra, quando le rose si erano fatte d'improvviso nere nel pieno del meriggio di agosto, quasi stessero marcendo sui propri steli. Dopo, era tornato tutto come prima, ma le nottate a nuotare al chiaro di luna nelle calle erano state spazzate via da altro studio, altri piaceri.
Quando la guerra bussa alla tua porta puoi rifiutarti di combattere oppure scendere in campo.
Quando la morte ti si affianca capisci quale grande dono sia la vita.
Aphrodite ha scelto di combattere accanto alla vita, per questo non cederà il passo alla morte. Non prima, almeno, di aver vissuto a pieno ciò che gli è stato concesso dal destino.
D'altra parte solo una rosa e una farfalla possono comprendere il significato della caducità a cui l'uomo è sottoposto.

 

"Il viaggio di ritorno non è stato dei migliori, o sbaglio?"
Il Saint di Pisces squadra con attenzione l'amico, che claudicante sta risalendo la scalinata che porta alla Decima Casa.
"Nessuna notizia da Camus?" domanda Shura eludendo la sua domanda, indicando l'Undicesima dimora da cui non giungono segni di vita.
“È tra i Gold Saint non ancora rientrati. Non mi hai risposto" rimbecca affiancandosi a lui e proseguendo la salita insieme al compagno.
"Sei di ritorno da uno dei tuoi soliti bordelli? Puzzi di vino e... bah, Aphrodite" e non termina la frase, scuotendo il capo incredulo. Nonostante siano diametralmente opposti sul piano etico, ciò che li accomuna è un morboso attaccamento alla vita, il piacere sottile che li induce a perdersi a osservare quella degli altri mentre la loro resta sempre fissa nel medesimo punto, in attesa.
"Al Sommo Sacerdote non da problemi, non vedo perché debba darne a te" sottolinea provocandolo.
"Al Tempio bastano fedeltà indefessa e Saint pronti a combattere rinunciando a tutto. Quando hai queste due caratteristiche il resto ha poca importanza" prosegue il Saint della Dodicesima Casa concludendo asciutto.
"Sei dissoluto" rimbecca Shura in tono di disapprovazione.
"Sei un guerrafondaio, persino peggio di Milo. Vivo, mentre tu continui a esistere barcamenandoti tra il voler fare e il non osare. A preferire di stare accanto alla morte anziché alla vita. Non ti prenderà prima solo perché la corteggi smanioso."
"Sai benissimo che non è così" si giustifica Shura salendo l'ennesimo gradino. La coscia inizia a fargli male, la ferita a pulsare in modo violento. Spera di riuscire a raggiungere la scalinata principale e lasciarsi morire - letteralmente - su un letto comodo. Nel caso, qualche settimana - anno? - di letargo farebbero al caso suo. È stanco di combattere, di attendere. Sono a un passo dalla guerra da sempre, sfiancati e sfibrati come se fossero in procinto di saltare da anni, i muscoli tesi ormai indolenziti e inermi. Anche il cuore, ormai, è ridotto a un battito lento e stanco, che si trascina avanti in attesa che qualcosa lo scuota. Non sono servite le missioni suicide, i combattimenti a mani nude, per ricordare cosa sia davvero la vita.
Il tradimento è una macchina che ingoia ogni cosa, ogni aspettativa.
Quando per primo tradisci ti attenderai dal prossimo lo stesso trattamento. Sempre.
Quando perdi fiducia cosa ti resta?
"A ogni modo, fatti rimettere a posto quella gamba. Non andrai lontano in quelle condizioni."
"Fa fatica a rimarginare. Nulla che un po' di riposo non possa fare."
"Se lo dici tu."
Aphrodite non lo aiuta. La risalita è lenta e faticosa, specie se corri contro corrente. L'orgoglio del Capricorno, lo sanno bene entrambi, è un muro contro cui combattere è del tutto inutile. Anche volendo, il Saint della Dodicesima Casa sarà solo una presenza scomoda, che ti culla nel dubbio strappandoti dall'ovatta delle tue certezze.
Non ti offrirà mai una mano per la risalita.
Quella, è una forza che ognuno deve trovare dentro di se.

 

*

 

I piedi l'hanno riportata lì, davanti ai cancelli spalancati di un orfanotrofio che è sinonimo di casa, come Atene. Osserva il cortile deserto, le ombre della sera che si allungano sul selciato, e ricorda quanto le facevano paura da bambina. Adesso le zone di terrore sono nella sua vita, annidate lì, tra le scapole, a portare il peso di un errore fatto un sacco di anni prima. Se non avesse scelto di partire per la Grecia sarebbe cambiato davvero qualcosa? L’avrebbero tenuta a Villa Kido e trasformata nella marionetta di Mitsumasa e Saori. Almeno lei ha potuto scegliere di servire Athena anche se poi Athena si è reincarnata nella persona sbagliata
Mia osserva il giardino deserto, le luci già accese all’interno dell’edificio, là dove si trova il refettorio. Ricorda le volte in cui le sue zucchine sono finite nel piatto di Seiya che, riluttante, le ha mangiate per entrambi. Le nottate spese tra le lenzuola insieme a Miho, intente a contare le stelle e a sognare un principe che dormiva nella stanza accanto. Poi era arrivato Mitsumasa Kido e se li era portati via, li aveva tenuti alla villa il tempo per capire se erano adatti, se avessero la giusta tempra per fare ritorno. La chiave sta proprio lì, nel momento in cui hanno abbandonato per sempre l’orfanotrofio. In quel momento è finita anche la loro infanzia.
Il dopo ha poco senso condannarlo: tutto, in ogni caso, avrebbe preso quella piega.
Forse aveva ragione Shaina quando le parlava dell’ineluttabilità del destino racchiusa in quella condanna che si chiama Cloth, un testamento vecchio di millenni. Avrebbe servito Athena comunque. Tanto vale aver scelto di farlo, no? 
Già, scegliere: lei ha potuto farlo, ma Saori?
Per un istante, tra le ombre della sera, si chiede come si sia sentita a scoprire di non essere una ragazza qualunque, essere dea e dismettere i panni della vita che ha vissuto sino a pochi istanti prima. Lei non ha mai conosciuto altro, difficile fare paragoni con qualcosa che non hai mai provato. Ma Saori?
Tu come ti senti?
È con le domande sbagliate che si avvicina all’ingresso, cercando una risposta negli occhi innocenti di chi non l'ha mai tradita né lo farà mai.
Guardando con il cuore di chi non sa odiare, ma solo perdonare.
Vorrei essere come te, Miho.
Bussa alla porta poi si toglie le scarpe ed entra. Viene investita dal profumo del pane nel forno, dal tepore accogliente di un’atmosfera famigliare che le scalda il cuore. Anche Atene è così, caotica ma assonnata e sempre un po’ stanca, mentre si lascia scaldare dal sole di mezzogiorno. A Villa Kido è tutto sterile e freddo, austero e impersonale, nonostante Saori si sia convinta che quelle suppellettili antiche e i mobili tirati a lucido di qualche epoca lontana siano sinonimo di casa.
“Ehi, tu chi sei?” la voce che la coglie alla sprovvista la fa sussultare, come se fosse una ladra o una guardona.
“Ehm… sono Mia, cercavo Miho. È impegnata?”
La ragazza la fissa con attenzione, due occhi azzurri da far impallidire il cielo terso di inizio estate, le mani appoggiate sui fianchi con aria di sfida. Non ha paura, è una persona diretta e senza peli sulla lingua, a giudicare dal cipiglio con cui l’ha accolta.
“Ah, sei tu. Miho era impegnata con Seiya sino a poco fa, vado a controllare che…”
Il tu che le ha sputato addosso le ha fatto capire che non è la benvenuta, non quando c’è lei.
“No, non ti preoccupare, farò ritorno un’altra volta. Non voglio disturbarla.”
“Erii! Erii? Vuoi rientrare e smetterla di fare la stoica? Hai la febbre alta, dovresti startene a letto anziché correre da una parte all’altra nella speranza che ti passi!”
La voce di Miho le raggiunge, e la bionda si da una scrollata alle spalle sbuffando.
“Deve essersi liberata” brontola, poi si gira su se stessa e si allontana lasciandola di nuovo sola. Tossisce e si soffia il naso al riparo di qualche paratia in carta di riso lasciando il posto a Miho che le si fa incontro sorridendo, pulendosi le mani nel grembiule chiazzato di farina.
“Non volevo disturbarti, scusami.”
Miho scuote il capo e continua a sorriderle, prendendola per mano e trascinandola lungo il corridoio senza darle tempo di replicare.
“Sono felice di vederti, mi stavo preoccupando sai?”
“Miho aspetta… non voglio vedere Seiya se…”
Lei si arresta all’improvviso e si volta per fissarla con aria seria.
“Che ti ha detto Erii?”
“Non credo di andarle a genio.”
“È diffidente con le persone che non conosce, ma è una ragazza d’oro. È arrivata all’orfanotrofio l’anno scorso in cerca di un tetto. L’abbiamo ospitata e in cambio ci offre una mano con i ragazzi. Imparerai a volerle bene. E comunque no, Seiya non è qui, ma mi ha detto di darti questo.”
Le porge un foglietto stropicciato estratto dalla tasca della gonna e attende che lo prenda.
“Cos’è?” le domanda senza afferrarlo, come se temesse di potersi scottare toccandolo.
“Non lo so.”
“Bugiarda” la rimbecca lei abbozzando un sorriso. Se c’è una cosa che non è cambiata è quanto nessuno di loro sia bravo a mentire all’altro.
“Il suo indirizzo. Credo abbia bisogno di vederti.”
Mia si morde il labbro inferiore, esita alcuni istanti poi china il capo e scosta da se la mano dell’amica che la fissa con aria interrogativa.
“Cosa sta accadendo?”
“Sarà più al sicuro con te. Non voglio sapere dove vive.”
“Ma lui si.”
“Lui non sa un sacco un cose ancora.”
“Cosa ti preoccupa amica mia?”
“Sei sicura di avere voglia di ascoltarmi?”
“Sei venuta qui per questo motivo se non sbaglio.”
Miho non aggiunge altro e l’abbraccia, cingendole le spalle per rincuorarla. È un contatto che fa cedere ogni barriera, ogni controllo. Tra le braccia di chi ami, di chi ti ha amato come fossi sangue del suo stesso sangue, puoi sentirti di nuovo te stesso senza il peso di un’armatura e di un dovere imposto dall’alto, di un orgoglio che non ti permette di sbagliare mai. Stretta a chi ti conosce da sempre puoi permetterti di avere dubbi e paure, quelle che hai lasciato in un’arena in cui hai versato sangue tra la polvere, in cui hai visto cadere altri prima di te.
Ma tu no, sei sopravvissuta.
Hai vinto.
In quel contratto, oltre al contrappasso della tua vita sacrificata a un’ideale, c’era anche la clausola di non poter piangere mai?
Di seppellire le lacrime insieme alla vecchia te?
Mia non lo sa, ma ringrazia di avere ancora un luogo in cui cedere al dubbio, in cui poter tornare a un qualcosa che non le potrà appartenere ma che le permette di ricordare perché dovrà combattere, perché ha scelto di farlo anche quando avrebbe potuto cedere e rinunciare.
Per ogni Miho del mondo ci dovrà essere qualcuno pronto a dare la vita.

 

Shunrei non conosce bene il giapponese, non quanto vorrebbe almeno. Ha lasciato il vecchio maestro ed è partita per Tokyo per stare vicina a Shiryu durante la Guerra Galattica.
“Cosa ti turba, Shunrei?”
Lei non gli ha risposto subito, ma ha atteso. Ha sperato che l'animo si placasse, invece come uno tsunami, minuto dopo minuto, il terrore di perdere Shiryu si è impossessato di lei impedendole di essere razionale.
“Desidero raggiungere Shiryu” gli ha confessato mentre gli porgeva una tazza di tè, certa di un rifiuto.
“Conosci bene il destino che attende il Dragone. Non puoi cambiarlo con i tuoi sentimenti, Shunrei.”
“Non voglio cambiarlo. Voglio restare al suo fianco.”
Il maestro si è sorpreso, ha sollevato le sopracciglia e sgranato un poco gli occhi nerissimi dal taglio allungato, poi ha emesso una risatina sommessa, divertita.
“Non hai mai lasciato Goro Ho. Tokyo è un mostro che si porta via ogni cosa.”
“Saprò trovare Shiryu.”
“Non potrai permetterti di essere un peso per lui.”
“Non lo sarò.”
Mi basterà guardarlo da lontano e assicurarmi che stia bene.
“L'amore, dolce Shunrei, è fatto anche di sacrifici, di silenzi e compromessi.”
Shunrei non risponde, perché è difficile credere che il vecchio maestro abbia mai provato qualcosa di simile. La sua è saggezza, non ha mai scoperto in prima persona cosa significhi perdere ogni giorno la persona che ami.
“Sei determinata a partire, non è così? Non credo che amerai Tokyo, ma sono certo che sarà per te un'esperienza utile a comprenderti e a conoscere il mondo di Shiryu.”
Di quel mondo, però, vuole farne parte anche lei, e non le interessano i sacrifici che dovrà fare per riuscirci.
Sola, su un aereo che la sta conducendo in Giappone, Shunrei fissa le nubi sotto di loro, le guarda e il pensiero corre al vecchio maestro, lasciato solo a custodire un geloso segreto che non ha mai svelato ad alcuno.
Amore è anche devozione, maestro.
Vi siete dimenticato di ricordarmi l'insegnamento più importante, quello che portate avanti ogni giorno da quando ne ho memoria.

 

Hyōga non ha fatto ritorno a Villa Kido. Detesta la compagnia degli altri Bronze Saint e anche solo condividere con loro la cena o la colazione è un peso insopportabile. Il Gold Cloth è una chimera, vicinissima. Quando lo osserva, durante gli incontri, lo sente pulsare e vibrare.
Che cosa ci sta dicendo?
Arresta la corsa dinnanzi a un chiosco di fiori, chinandosi a contemplare un mazzo di rose rosse.
Le piacerebbero, riflette, e dall'interno del negozio spunta la figura minuta di una ragazza dai capelli nerissimi. Resta a osservarlo per alcuni istanti, dopodiché abbozza un sorriso – perché sembra sorrida con l'intero corpo, e a Hyōga non è mai capitato di vedere una cosa simile – e spezza il silenzio.
“Deve essere davvero fortunata la ragazza che li riceverà.”
Hyōga storna finalmente lo sguardo e lo posa su di lei, dopodiché si alza e fa per allontanarsi.
“Ehi, aspetta!”
Si arresta e la ragazza lo raggiunge tenendo tra le mani una delle rose.
“Prendila. Ti porterà fortuna.”
“Non credo basti una rosa” le risponde lui, distaccato e freddo.
Ci sarà mai qualcosa in grado di scuoterlo come la Siberia?
“La rosa è un fiore che sa difendersi e proteggersi. Credo... credo sia anche per questo che viene apprezzato dagli innamorati.”
Lui non si è mai interessato ai fiori, ma sua madre trovava le rose bellissime. Sua madre adorava le rose rosse al pari delle lande innevate, il cielo grigio che piange fiocchi di neve e il vento inclemente che ti schiaffeggia il viso.
Ti farà sempre sentire vivo, la Siberia.
È l'unico luogo al mondo in cui potrai ritrovare te stesso, figlio mio.
“Accettala” insiste la ragazza guardandosi alle spalle, come se temesse un rimprovero di qualche tipo, forse dal proprietario del chiosco di fiori.
“E non finirai nei guai?”
“Per una rosa? No, direi di no” sorride, e quando lo fa Hyōga pensa sia bella, anche se i suoi occhi sembrano specchi vuoti, troppo scuri per potervi vedere il cielo riflesso. O l'anima nascosta.
“Prenditi cura di lei” e dopo avergli offerto il fiore si allontana canticchiando un motivetto che non conosce. Hyōga osserva la rosa, se la rigira tra le mani, dopo di che prosegue incamminandosi verso Villa Kido. Mancano poche ore all'incontro con Ichi e anziché allenarsi ha corso sino a sfinirsi, si è fermato a contemplare le rose e ora passeggia lentamente, come se desiderasse farsi portare via da un autunno pigro che fatica a ingranare, facendosi paggio di un inverno che ha fretta di essere il protagonista.

 

*

 

“Allora erano vere le voci che dicevano avessi già fatto ritorno.”
Aiolia avanza verso di lui, scalino dopo scalino. Non indossa il Cloth di Leo, sicuro di essere ancora in tempo di pace, ostinandosi a portare un semplice giustacuore di cuoio e una tunica troppo sporca.
“Da quanto non ti lavi?”
“Intendi il vestito?” gli domanda l’altro dandosi una pacca sul petto sorridendo, proseguendo con aria pensierosa.
“Più o meno da quando Mia è partita. Dovrei trovare qualcuno che sia disposto a fare i lavori domestici al mio posto.”
Sei dannatamente uguale a tuo fratello, Aiolia.
C'è qualcosa, in loro, di perfetto e immacolato, una scia luminosa che sai di non poter sfiorare né raggiungere, come il riflesso della luna sul mare: appena ti avvicini, la tua ombra se la porta via.
“Tu dove sei stato?”
“In nessun posto e ovunque.”
“La gamba ti da ancora problemi?”
“Shaka mi ha dato un buon rimedio, sembra stia facendo effetto più rapidamente rispetto alla poltiglia che mi ha rifilato Mu.”
“Hai visto Mu?” gli domanda sorpreso.
“Si, in Jamir. Rientrerà, come tutti.”
“Non mi chiedi nulla, Shura? Di come sto, di cos'ho fatto in questi anni, di com'era vivere al tempio mentre tutti eravate lontani?”
“Ehi, calma. Anche tu avresti potuto defilarti e invece sei rimasto a crescere una ragazzina. Potevi rifiutarti.”
“Fai solo discorsi idioti. Dove ti sei ferito?”
“Non sono affari tuoi” gli risponde deciso. E Shura, per un istante, avverte quella domanda scomoda fluttuare nell'aria, ma Aiolia ha l'accortezza di starsene zitto.
Le cose non sono più le stesse tra loro da quando Aiolos è morto.
Da quando lui l'ha ucciso.
Shura, da quella notte, ha evitato il Tempio e Aiolia.
Come puoi guardare negli occhi il tuo migliore amico sapendo di averlo tradito uccidendo suo fratello?
“Si può sapere che diavolo ti prende?”
“Voglio stare da solo, Aiolia. Ti basta come risposta o dobbiamo venire alle mani perché tu capisca?”
“Se non fosse per Excalibur sai benissimo che avrei la meglio.”
Aiolia sorride, sicuro di sé. Il Leone è forte della propria potenza, come sempre.
Spavaldo e avventato, riflette Shura.
“A proposito... il problema con Excalibur è...”
“Tutto a posto” taglia corto il Saint di Capricorn.
“È partita anche Marin per Tokyo.”
Dio perché non sa desistere?
“E quindi?”
“Nulla, volevo solo informarti che sta andando a combattere.”
“Dovrei aggiungere qualcosa? Si può sapere cosa vuoi da me, Aiolia?”
Shura ripercorre con fatica i pochi gradini che ha messo di distanza tra sé e il Saint di Leo, e ora si stanno fronteggiando, l'uno davanti all'altro.
“Sta bene” conferma il Gold Saint, quasi fosse la naturale conclusione di quell'incontro, come se tutto fosse stato propedeutico a quell'unica frase. Due parole che vogliono dire tutto eppure nulla, perché fanno male e ricordano che si, la vita continua a scorrere e rimargina ogni ferita, obbligandoti a cambiare pagina.
Solo lui sembra essere lì, in bilico sull'ultima riga, indeciso se scriverla o lasciare l'opera incompiuta.
“Sei venuto qui solo per dirmi questo? Sta bene?” domanda con rabbia, incurante del fatto che Aiolia sia privo della difesa del Cloth. Ma il Saint di Leo non ha paura e forse non ne avrà mai nella sua vita.
“Volevo anche assicurarmi che tu stessi bene.”
“Grazie del pensiero, potevi risparmiartelo.”
“La tua rabbia trattienila e riversarla contro i nemici del Tempio, Shura. Risparmiati il rancore contro i tuoi fratelli.”
“Anche quei ragazzini li sono, o sbaglio?”
“Stanno tradendo il Tempio e il nome di Athena.”
“Sono ragazzini” ribatte Shura deciso.
“Quando indossi il cloth per la prima volta smetti di esserlo e diventi adulto. Perdi quel poco di innocenza che ti restava.”
“Nessuno è mai stato davvero innocente Aiolia. Anche se so che ti piace pensarlo, non esiste uomo senza peccato.”
Aiolos, tuo fratello, lo era.
E io l'ho ucciso con le mie stesse mani.

 

Il Sommo sacerdote avanza tra gli scaffali della biblioteca, tra vecchi rotoli di pergamena e tomi impolverati. Non ama particolarmente quel luogo, nonostante siano state le stanze da lui preferite durante l'addestramento. Lì, accanto a un mappamondo su cui è incisa la volta celeste, gli pare ancora di scorgere il corpo del sommo Shion riverso a terra, la maschera d'ebano divenuta simulacro di morte. Quando gliel'ha sfilata l'ha indossata e l'odore del sangue gli ha permeato le narici. In quel momento si è sentito onnipotente, inebriato dal potere che ti concede l’aver ucciso un uomo, sbriciolare la sua vita tra le tue dita.
Ancora, tra quelle stanze abbandonate, riesce a percepire la forza di quell'atto, l'impresa che gli ha permesso di essere il Saint più potente del Santuario di Grecia.
Presto il mondo intero riconoscerà la mia supremazia.
Ne sei certo?
Saga scuote il capo, quasi avesse a che fare con un insetto fastidioso.
Io sono con te da sempre. Piegherai davvero il tempio al tuo volere?
Saga non risponde all'altro se stesso, e questi continua, imperterrito, a fare domande, a tentare – invano – di instillare in lui il dubbio del fallimento.
Lo sto già facendo.
Stanno tornando. Il tuo fedele Shura, persino, si è deciso a fare ritorno nonostante il senso di colpa.
Combatteranno per me e moriranno per me.
Lo faranno con l'inganno, convinti di seguire il volere di Athena.
Lo faranno. E questo basta.
Osserva distrattamente il tema astrale che uno degli scriba ha preparato.
Mancano pochi giorni alla luna nuova, si dice sogghignando.
E la luna nuova risveglia sempre i demoni che ti porti dentro.

 

*

“Perché questa sera non vieni con me alla Guerra Galattica?”
Mia la guarda perplessa, chiedendosi se sia impazzita.
“È un biglietto economico, sugli spalti. Doveva venire Erii con me, ma come hai visto si è presa una brutta influenza.”
“Un motivo aggiuntivo per finire sulla sua lista nera?” le domanda l'amica con aria tetra. Miho scoppio a ridere e le offre altro tea caldo.
“Stasera ci sarà Seiya a combattere. E Hyōga, il preferito di Erii” e sottolinea – aprendo apici con le dita nell'aria – quel termine, preferito, che lascia intendere ben altro.
Mia resta in silenzio, rigirando sul tavolo la tazza ricolma e fumante.
“Se un giorno scoprissi che ciò in cui hai sempre creduto non è come te l'aspettavi, cosa faresti? Lasceresti perdere o andresti avanti?”
La fissa con attenzione, la schiena dritta come un fuso nonostante il capo chino, come se si stesse vergognando di una confessione scomoda, che la rende debole ai suoi occhi.
“Dipende” le dice, e prende posto sulla sedia di fronte alla sua, a dividerle solo il piccolo tavolo della cucina.
“Noi crediamo, e lo facciamo certi di essere nel giusto. Se ti accorgi che è sbagliato allora si che devi smettere di credere. Ma non è questo il caso, vero?”
“Non siamo noi a scegliere in che famiglia nascere, per esempio, ma puoi lasciarla o venire lasciato. Ma se fossi costretta a scendere a compromessi per quel qualcosa in cui credi, pensi sarebbe giusto?”
“A volte è necessario. Quando siamo piccoli il mondo degli adulti sembra strano, poi diventiamo grandi e iniziamo a comprendere, e non ci piace quello che vediamo. Allora ci imponiamo di essere sempre fedeli a noi stessi. Poi cresci, e capisci che devi mettere da parte l'orgoglio, la rabbia, l'affetto e scendere a compromessi per il quieto vivere.”
Mia resta in silenzio e non le risponde, e Miho non sa cosa aggiungere. Non sa, soprattutto, se la sta mettendo in confusione o se la sta davvero aiutando.
“Sei sicura di non volermi dire cosa ti preoccupa?”
“Pensi si possa essere fedeli a se stessi sempre?”
“No, ma basta comprendere il prezzo di quel compromesso. Quanto è alto da pagare?”
Mia si morde il labbro inferiore, pensierosa.
“Devo vedere le sfumature, non è così?”
Miho le sorride, posandole le mani sulle sue.
“Si, anche se tu sei più da tinte forti e nitide. Stasera verrai con me? Mi farebbe piacere passare un po' di tempo insieme.”
“Anche a me” e per la prima volta da quando è arrivata la vede abbozzare un sorriso sincero.
“Sei sicura che Erii non mi odierà a morte?”
“Sicurissima!”
E questa è davvero la più grande bugia che potesse raccontarle.

 

Ichi osserva quello sbruffone di Hyōga fermo davanti a se, la platea che grida e li incita allo scontro. Hyōga attende, e non muove un passo nella sua direzione. Ichi scalpita, perché conosce la frenesia dell'azione e l'adrenalina dell'attacco. Il suo maestro gli hai insegnato a colpire sempre per primo, perché la miglior difesa è l'attacco quando non sai cosa aspettarti da chi hai di fronte.
Hyōga lo sta irritando.
Ichi attacca velocemente, una, due, tre volte.
Hyōga para, ma a fatica.
Il prossimo colpo dovrà essere quello decisivo, si dice il Saint di Idra.
Si passa la lingua sulle labbra, assaporando già il gusto della vittoria e quello del sangue del russo. Lo detesta. Oltre alla faccia da belloccio ha quell'aria strafottente, di superiorità, che lo rende odioso, uno di quelli con cui cercheresti di attaccar briga in un locale solo per movimentare la serata con gli amici. Sempre schivo, in disparte, sembra sempre convinto di poter vincere, considerandoli inferiori solo perché è stato addestrato da un Gold Saint.
“Preparati a morire” gli ghigna contro apprestandosi a colpirlo.
Un istante e gli è addosso, affondando gli artigli nel suo petto e andando a fondo, cercando un muscolo ben preciso da esibire come trofeo.
A Ichi, di avere un morto tra le mani, non importa poi molto.
Affonda con più forza, sino a sentire il cloth del Cigno sbriciolarsi sotto il peso del suo colpo. Trionfante, scava con foga, e finalmente afferra qualcosa tra le dita.
Tira, sente il grido di Hyōga zittire l'intera arena.
Ho vinto.
Tra le mani, la corona di un rosario cristiano.
“Adesso è il mio turno” sussurra Hyōga.
È questione di un istante, appena il tempo di comprendere cosa stia realmente accadendo mentre viene investito da una tormenta di ghiaccio e neve che gli ferisce il viso e gli arti.
“Maledetto bastardo” gli grida mentre gli si avvicina come se non avesse paura di essere colpito. Ichi muove alcuni passi, poi si accorge che le gambe non rispondono. China il capo e si rende conto di cos'è accaduto. Il cigno gli ha congelato gli arti inferiori e adesso lo guarda sorridendo.
“Questo credo mi appartenga.”
Quando gli afferra il polso per riprendersi il rosario, anche l'avambraccio viene congelato dal Saint.
“Fidati, è meglio se rinunci” e mentre solleva al cielo il suo trofeo, grida di incitamento e vittoria si propagano dagli spalti. Sino a pochi istanti prima, Ichi dell’Idra era certo di aver brillato come non mai, di essere tra i favoriti di un pubblico capriccioso. Un batter di ciglia e già gli hanno voltato le spalle, indifferenti verso la sua sorte.
A nessuno importa chi sia sull'arena.
A tutti, importa che vinca uno soltanto.
Nel peggior modo possibile.

 

Sino all'ultimo Seiya è stato indeciso sul da farsi, se combattere o ritirarsi. Lo sguardo del suo avversario è il richiamo di una sfida a cui sa di dover cedere, per orgoglio e per necessità. L'arena è illuminata a giorno, e il Saint di Pegasus storna lo sguardo su una volta celeste artificiale, come tutto lì dentro. Lui, che ha combattuto sulla terra battuta di Grecia, sa cosa significhi sfidarsi in un'arena vera, sotto gli occhi inclementi e impietosi degli altri Saint, di chi Saint lo diventerà sulla tua pelle.
Perdonami Mia, non ho altra scelta.
Se fosse onesto, in realtà, direbbe che ha scelto e ha deciso di restare nella speranza di rivedere Seika. Sa che la probabilità è una su un milione, ma anche solo per quell'unica deve fare ogni cosa, rischiare tutto.
Shiryu di Dragon è già salito sul palco e l'attende.
Seiya deglutisce e pensa che no, non è come quando ha conquistato il Cloth di Pegasus.
Quella, era tutta un'altra storia.
È questo che intendevi, no?

 

Seiya è forte. Non si aspettava un rivale alla propria altezza, ma il Dragone deve riconoscere che è soddisfatto di poter combattere contro un avversario degno di questo nome. Sono stremati e ormai ogni colpo è stato utilizzato.
Il maestro gli ha insegnato che mai bisogna arrendersi, e che il sacrificio è solo un'altra arma con cui combattere.
Shiryu si sposta di lato all'ennesimo attacco di Seiya. Il Saint gli si avvicina, annullando una distanza che assicurerebbe a entrambi la sicurezza di un ritorno a casa.
Sta mostrando un cedimento?
Se lo domanda mentre è pronto a colpire. Ad accoglierlo, però, non vi è il volto del Saint di Pegasus ma il proprio scudo.
Il suo è l'unico Cloth dotato di una protezione aggiuntiva e ora l'ha reso vulnerabile per essere stato avventato, per essersi illuso che Seiya, bloccato tra lo scudo e il suo corpo non avesse spazio di manovra.
Sii come la corrente del fiume, Shiryu. Imprevedibile e indomabile, corrosiva anche quando è placida.
Ora il cloth è come amputato. Senza un arto, tutto il corpo è compromesso. Il Saint di Dragon si libera della propria armatura sotto lo sguardo sgomento del suo avversario.
“Che diavolo fai?”
“Hai paura di essere sconfitto da un saint senza armatura?” gli domanda in tono di sfida provocandolo. Ha imparato a conoscere i propri compagni e avversari, ed è facile inquadrare una testa calda come Seiya, o come Jabu.
Fargli perdere le staffe è il modo più semplice per renderli vulnerabili.
E imprevedibili.
Questo Shiryu deve riconoscerlo quando Seiya a propria volta si libera del Cloth di Pegasus.
“Allora continuiamo?”

 

Mia sente le unghie dell'amica penetrarle nel palmo della mano che stringe con foga.
“Si faranno male” pigola Miho, e il Saint di Aglaia riflette che farsi male è una cosa a cui hanno fatto l'abitudine da un sacco di tempo e che il termine corretto sarebbe farsi ammazzare, ma preferisce tenerlo per se.
“Cosa... continueranno a combattere?” le domanda con la voce spezzata. Mia le stringe la mano cercando di tranquillizzarla, ma anche lei non è certa di come finirà l'incontro.
“Seiya sa quello che fa” e spera di essere stata convincente almeno per Miho. Osserva i due ragazzi colpirsi con forza, il sangue che a ogni colpo schizza a terra. Miho storna lo sguardo e si appoggia alla sua spalla, incapace di sopportare oltre la visione di quel martirio.
“Non riesco a guardare. Se... se dovesse...”
“Non morirà.”
Non morirà nessuno in questa maledetta guerra.
Mia lancia un'occhiata alla tribuna da cui Saori, impassibile, assiste allo spettacolo.
Che razza di dea sei, se li fai morire per un Gold Cloth?
Resta lì, chiusa in una teca di vetro senza farsi sfiorare, senza che alcuno possa chiederle udienza. Una statua votiva come quella che si trova nelle stanze del Sacerdote, nulla più che un'icona da idolatrare.
La mia dea vale molto di più di tutto questo, Saori.
Il grido di Miho, e di qualcuno poco distante da loro, la obbliga a riportare lo sguardo sull'arena. È la frazione di un istante, ma vede in modo nitido i due saint colpirsi a vicenda per poi cadere a terra a causa della forza esercitata.
È la deflagrazione di due comete, due cosmi che collidono e si respingono.
“Oh mio Dio...” la voce di Miho è un soffio e trattiene il respiro insieme alle lacrime ora.
A terra, su entrambi i lati e senza dare segni di vita, giacciono Seiya e Shiryu.

 

Saori trattiene il respiro così forte che le sembra di indossare un doppio corsetto in metallo che le impedisce di stare seduta in modo comodo. Il fedele Tatsumi, al suo fianco, fissa l'arena senza proferire parola. È il momento in cui le piacerebbe che qualcun altro prendesse una decisione al suo posto. È assurdo come tutti abbiano deciso della sua vita sin dalla nascita ma che per le scelte importanti sia sempre lei a doverci mettere faccia e cuore.
“Ordina ai medici di portarli via. Gli incontri devono proseguire.”
La voce è ferma ma il cuore trema, mentre gli occhi si sgranano sulla scena che si svolge ai suoi piedi, come fosse una statua di cera, l'involucro di un'anima che non può parlare né muoversi.
Difficile fingere di non riconoscere sua sorella che sopraggiunge al capezzale di Seiya, impossibile ignorare lo sguardo che lancia nella sua direzione, disgustata.
Che razza di dea sei, Saori?
È questo che sembra dirle prima di tornare a occuparsi del Saint di Pegasus, immobile, steso su una barella già pronta per portarlo nell'infermeria della Fondazione.
So che lo stai pensando, Mia.
Ma non posso fermarmi.

 

Shunrei si è accorta subito che qualcosa non andava. Non ha atteso l'arrivo dei medici mentre – a fatica – caricavano Seiya e Shiryu sulle rispettive barelle.
“Sta morendo! Seiya salvalo, ti prego... salvalo!”
Si getta sul corpo privo di coscienza di Seiya, stringendogli la mano nella propria, supplicando per la vita di Shiryu. Il tatuaggio del dragone, inciso sulla sua schiena, sta lentamente sbiadendo. Quando scomparirà del tutto, con lui se ne andrà anche la vita del suo possessore.
“Ti prego, non portarmelo via ora... colpiscilo di nuovo, con la stessa forza, nel punto in cui la zampa del drago si piega. Il suo cuore tornerà a battere. Ti prego, Seiya. Il tuo animo è buono, non puoi...”
Due uomini l'allontanano e lei si dimena con forza, ma senza successo.
“Non puoi disinteressarti di lui!”
La sua voce è un grido disperato, mentre gli spalti sono scossi da un mormorio da bar, di chi scommette sulla vita di quei ragazzi. Shurei li guarda in viso, uno a uno. Vuole ricordarli, i volti di quelli che sono morti per un torneo privo di senso. Quelli che hanno vissuto l'infanzia inseguendo un ideale che hanno tradito per la gloria di pochi giorni.
Al suo fianco sente sopraggiungere passi in corsa, e due ragazze si gettano ai lati della barella di Seiya. L'una piange, proprio come lei, il volto sul petto del ragazzo. L'altra si limita a carezzargli la fronte, in un gesto che le ricorda qualcosa di materno e caldo.
Loro possono capirla.
Loro possono aiutarla.
Mentre gli addetti alla sicurezza l'allontanano ulteriormente, Shunrei grida di nuovo.
“Seiya Shiryu sta morendo! Salvalo!”
Ti prego, salvalo.

 

Mia avverte il cosmo del Dragone affievolirsi, come se stesse cadendo in picchiata. Troppo in fretta comunque, perché ci sia un rimedio adatto a riportarlo indietro. Seiya muove le dita della mano, stringendo la sua.
“Mi senti?”
Lui muove le labbra ma non ne esce alcun suono, eppure Mia sa che Seiya è lì, da qualche parte, che attende.
“Salva Shiryu, ce la fai?”
Seiya cerca di alzarsi a sedere e Miho sgrana gli occhi, rimettendolo al proprio posto.
“Lascialo andare” le intima, e capisce di aver utilizzato un tono troppo duro.
“Vuoi che muoia?” le risponde l'amica indignata, per le rime, perché gli ordini non li ha mai presi da nessuno, tanto meno da loro due.
“No, voglio che salvi Shiryu, e morirà se Seiya non interviene.”
“Non mi interessa. È...”
Seiya si alza di nuovo, mettendosi a sedere.
“Ce la fai?” gli domanda dubbiosa.
“Più o meno” e la guarda, come a voler essere certo di non stare in mezzo al mondo dei sogni ma nella realtà.
“Avanti, ti aiuto a rimetterti in piedi.”
Dall'altro lato è Miho che lo sorregge. Le lancia un'occhiata in tralice, di quelle che vorrebbero fulminarti ma che ti dicono sono con te, nel bene e nel male.
“Prendete Shiryu!”
Shun non se lo fa ripetere due volte e sorregge con entrambe le braccia il corpo esanime del Dragone.
“Coraggio Seiya. Ora tocca a te.”
Lui le sorride anche se quasi non la vede nemmeno, il labbro spaccato e uno zigomo rotto. Si scioglie dal contatto che le ragazze hanno creato, una rete in cui cadere è dolce come su una trapunta di piume.
Mia non lo perde di vista, mentre Miho cerca la sua mano per stringerla nella propria.
“Non credo di riuscire a guardare” le confida a bassa voce, come se avesse paura di distrarre Seiya.
“Puoi voltarti se preferisci.”
“Assisterai tu per entrambe?”
Mia annuisce, e l'amica volta le spalle ai due Saint, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Andrà tutto bene” la rassicura, e l'abbraccia, mentre Seiya barcolla sul proprio posto e la costellazione di Pegasus risulta il disegno di un bambino creato nell'aria con matite troppo grosse. Lancia un'occhiata alla schiena nuda di Shiryu, il tatuaggio di cui ormai resta visibile solo una piccola porzione.
“Avanti Seiya!”
Lui sembra trovare un punto di appoggio e scatta.
Il colpo è così violento da scagliare Shun e Shiryu contro la parete opposta, sfondandola. Il silenzio cala in sala e Mia stringe la spalla di Miho sino a sentirla emettere un gemito di dolore. Trattengono entrambe il respiro, come se bastasse per non distruggere un equilibrio precario.
“Seiya!”
Scosta l'amica e si getta verso di lui, riverso a terra in una pozza di sangue, mentre dall'altro lato la voce raggiante di Shun la investe come un tir in piena notte.
“Il cuore di Shiryu ha ripreso a battere. Shiryu è salvo!”
Avanti, resisti idiota.
Non puoi morire proprio ora.

*

 

Miho ha seguito i medici e si è lanciata al capezzale di Seiya. C'è mancato davvero poco che morisse, ma le infermiere le hanno confermato che se la caverà con qualche osso rotto.
Resterà a vegliare su di lui finché non avrà recuperato i sensi.
Vuole essere la prima cosa che vedrà quando aprirà gli occhi.
Vuole essere la prima persona di cui chiamerà il nome.
Per la prima volta scopre quale sia il prezzo da pagare: quello di chi resta in attesa, che nei romanzi fa la parte di chi deve essere salvato, che riceve il bacio che attendeva da sempre.
Come se le avessero già rivelato la fine della storia, insomma, per la prima volta scopre il proprio ruolo.
Essere dalla sua parte significa comprendere sempre a metà. Significa non fare mai troppe domande, perché di risposte ne arriveranno poche, e quando lo faranno avresti preferito il silenzio o una bugia. Significa saper attendere, al proprio posto. Significa restare sempre lì, diventare un appuntamento fisso, un traguardo da raggiungere, l'unico luogo al mondo in cui ti senti davvero a casa.
Dove puoi mostrare le cicatrici senza timore.
Dove puoi sperare in un silenzio ristoratore, privo di domande.
Miho non solleva lo sguardo quando sente la porta della camera aprirsi alle sue spalle.
“Posso?”
Fatica a comprendere cosa le sia stato chiesto perché l'accento non è giapponese, ma straniero. Si gira, e vede la ragazza che ha supplicato Seiya farsi avanti con un mazzo di fiori tra le mani. Fa cenno con il capo a Miho di poterli posare nel vaso adagiato sul comodino, poi – una volta sistemati – si avvicina di nuovo a lei e si prodiga in un profondo inchino.
“Ringrazialo da parte mia e di Shiryu. Lui sta bene?”
“Si riprenderà, si.”
I loro sguardi si sfiorano, poi la ragazza si allontana di nuovo lungo il corridoio.
Miho esita, poi storna lo sguardo su Seiya.
A modo nostro, anche noi che aspettiamo combattiamo.
La nostra è una guerra di posizione, che ti logora giorno dopo giorno.
Ma è guerra, sempre.
Forse aveva ragione Mia: la vita è un eterno campo di battaglia e ognuno combatte la propria.

Shun non le ha dato il tempo di andarsene. Dopo che Seiya e Shiryu sono stati portati via, l'ha colta alla sprovvista abbracciandola con trasporto. È felice di rivederla perché a questo punto la certezza che anche Ikki, l'unico mancante all'appello, sia vivo, si fa strada dentro di lui.
“Ce l'hai fatta! Non credevo che... si, credevo saresti rientrata a Tokyo molto prima.”
“In un certo senso sono tornata, non trovi?”
Lui sorride e la squadra con attenzione per ritrovare le tracce della bambina che fu la compagna di giochi con cui si attardava a intrecciare ghirlande di fiori, mentre gli altri si prendevano a pugni e calci.
“Allora sei pronta per combattere? Mancate solo tu e Ikki, sono certo che il proseguimento del torneo ora non subirà intoppi.”
La voce dall'altoparlante lo invita a salire sull'arena e lui alza gli occhi in direzione del suo avversario, mentre Jabu si sta già facendo strada salutando il pubblico come se ne fosse il prediletto.
“Mi aspetti?”
“Io... ecco... devo andare e...”
“Sai, non credevo potessi essere tu. Ma c'è solo una persona al mondo che sarebbe tornata con Seiya. Aspettami, voglio fare quattro chiacchiere e sapere tutto quanto. Tu hai... hai visto Ikki?”
Sembra che tutto sia finalizzato a quella domanda, invece è davvero felice di averla rivista e, perché no, ritrovata. Ma ciò che riguarda suo fratello è impellente, è ciò che lo sveglia nel cuore della notte, schiacciato dai sensi di colpa e dal terrore di averlo perso per sempre.
“Non ho notizie, mi spiace Shun. Death Queen Island non è il luogo più accogliente del pianeta a quel che si dice in giro.”
All'altoparlante lo chiamano di nuovo: al prossimo avviso, sarà escluso dal torneo.
“Devo andare, ma tu giurami che mi aspetterai.”
Mia abbozza un sorriso e gli fa cenno di andare. Non si fida ma d'altra parte cosa può fare? Combattere, vincere e poi tornare da Mia sperando sappia qualcosa su suo fratello. Gli basta sapere che è vivo per tornare a respirare in modo regolare, e non in affanni rubati tra l'ossigeno e l'anidride carbonica.

 

Hyōga ha osservato la scena tra Shun e la nuova arrivata con attenzione, e se a una prima occhiata gli è sembrata l'ennesima scena strappalacrime da talk show, poi si è costretto a riflettere sull'ennesimo arrivo. Non ha di certo paura di una ragazza, in arena, ma tra i pensieri si sono fatti strada i ricordi a Villa Kido, quella bambina che cercava di prendere le distanza da Saori e Mitsumasa con tutta sé stessa per poi non avere sufficiente forza per potersi ribellare.
“Mia?” le domanda avvicinandosi a lei mentre i primi colpi di Jabu tentano di colpire il Saint di Andromeda. Lei non risponde, continua a mantenere gli occhi puntati sull'incontro.
“Ti hanno tagliato la lingua?”
“Perché combatti per Saori Kido?” gli domanda a bruciapelo, quasi fosse un giudice e quello un processo da cui sa già di uscire come condannato.
“Il Gold Cloth come tutti gli altri. Tu perché sei tornata?”
Sembra pensarci su alcuni istanti, poi si morde il labbro inferiore sollevando lo sguardo sulla tribuna d'onore da cui l'erede dei Kido fa da spettatrice e da madrina all'evento.
“Per il Gold Cloth” gli risponde infine, le braccia conserte sul petto e il piede sporto all'esterno, quasi fosse in procinto di saltare.
Shun fa alcuni movimenti, ma la sua catena, all'improvviso, sembra non rispondergli più. Jabu ride e si rialza da terra, mentre i cerchi concentrici formati dall'arma del suo avversario paiono inutilizzabili, come se non rilevassero in lui alcuna minaccia diretta al proprietario del Cloth di Andromeda cui prestano servizio e protezione.
Mia sgrana gli occhi e avanza di alcuni passi i direzione dell'arena. Jabu, con passo lento e misurato, sta attraversando la catena di Shun senza essere colpito.
“Cosa...”
Hyōga osserva l'incontro e non comprende: la catena di Andromeda castiga i nemici molto prima che possano sfiorare il loro possessore, ma ora sembra inerme davanti a Jabu. Shun la strattona con violenza, la richiama a un ordine che non viene udito.
Cloth e Saint stanno parlando due lingue differenti.
“Ehi la catena di quel frignone non reagisce. Ne prenderà da Jabu, è certo” e Ichi si porta al fianco di Mia, lanciandole un'occhiata che ha il sapore di una provocazione, ma lei sembra non accorgersene o, se lo fa, preferisce ignorarlo.
“Cosa significa?” domanda rivolta all'Idra. Inaspettata, la domanda lo coglie impreparato, ma dopo una sghignazzata divertita le risponde.
“La catena del Cloth di Andromeda è famosa per proteggerlo dagli attacchi dei nemici, ma a quanto pare Jabu l'ha neutralizzata. Lo ammazzerà.”
“Si può neutralizzare la catena?” domanda lei.
“A quanto pare Jabu è il primo a riuscirci. Shun ha vinto i precedenti scontri.”
Mia si spinge avanti, arrivando sotto l'arena.
“Dannazione, muoviti!”
La voce di Shun è incrinata dal pianto, e questo diverte Hyōga. Non è realmente cambiato nulla, come se i cliché della loro infanzia fossero ritornati a nuova vita.
“Shun cosa accade?” gli grida Mia preoccupata, cercando di comprendere cosa stia accadendo.
“La catena non risponde, si muove da sola!”
A quel punto Mia scatta in avanti e Hyōga la segue per evitare che entri in arena. Vuole vincere il Cloth combattendo, non perché i suoi avversari sono tanto idioti da farsi espellere dal torneo. Le catene  strisciano veloci sul pavimento, si muovono sinuose come serpenti accompagnate da un suono secco e metallico. Anche Jabu ora si è fermato, non distante da Shun, e osserva incredulo la scena.
“Ci sta dicendo qualcosa!” grida il Saint di Andromeda mentre la catena continua a seguire un disegno ben preciso.
Axia?” domanda Hyōga senza comprendere il significato di quella parola.
“È greco. Indica qualcosa di valore, qualcosa che...”
Mia non riesce a ultimare la frase. La catena punta in avanti, verso il Cloth di Sagitter esposto sul podio che sarà del vincitore. Shun non riesce a trattenere la catena, costretto a terra dalla sua forza mentre viene trascinato verso il Cloth.
“Lascia la catena Shun! Lasciala!”
Mia si solleva sulla pedana principale, decisa a fare il suo ingresso in arena ma Hyōga la ferma.
“Aspetta, non essere avventata.”
“Shun è in difficoltà non vedi?”
“Non è ancora stata decretata la fine dell'incontro, non puoi entrare” le risponde lui, trattenendola per un braccio con forza sufficiente da non lasciarle spazio di manovra. All'improvviso un cosmo scuro come pece, nero d'odio, si irradia dal Gold Cloth. Lo scrigno si apre avvolto in un fascio di luce, e Mia è costretta a schermarsi gli occhi per tentare di vedere cosa stia accadendo.
La catena scatta in avanti, decisa a colpire il nuovo nemico.
Un istante di distrazione e Hyōga perde la presa sulla ragazza che però non corre incontro a Shun come previsto, ma resta immobile al proprio posto, incredula quanto lui.

 

Mia ha avvertito un rivolo di sudore freddo scivolarle lungo la schiena. Il cosmo che si è sprigionato dallo scrigno del Cloth di Sagitter l’ha investita come un’ondata di terrore, un vento di morte e odio che l’ha atterrita.
Dove l’ho già sentito?
Per un istante ricorda il Gold Saint della Quarta Casa, l’aura oscura che emana la sua sola presenza e d’istinto arretra, andando a sbattere contro Hyōga.
“Ehi, che diavolo ti prende ora?”
È un emissario del Tempio?
Non le è dato indugiare oltre, perché una raffica di colpi la scaglia lontano dall’arena, facendola volare contro la parete opposta.
Chiunque sia, è immenso.
E fa più paura di qualsiasi terrore terreno.

 

   
 
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