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Autore: IreChan    19/02/2014    3 recensioni
" Parlami di lui. Di Giovanni, di mio padre, parlami di come l'hai conosciuto, di come avete deciso di... Avermi e perché... Mi avete... respinto” [...] “ Dimmi del Team. Voglio sapere tutto. Almeno ora che... lui è sparito. ”
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Memorie di Atena dopo l'ingresso nel Team Rocket.
( Silverspawnshipping )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Giovanni, Silver, Team Rocket
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
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Non era un gioco. Non era un gioco.

Quelle parole continuavano a rimbombarle nella mente, le toglievano la lucidità, il respiro, la estraniavano dal mondo, confinato, per il momento, solo a quell'anonimo corridoio della base. Era ormai ovvio che non si trattava di un gioco. Non che lo fosse mai stato.

Udì un ticchettio lieve, ovattato, distante, come se provenisse da un altro mondo.
Scosse il capo e si ricordò.
Era un orologio.
Uno dei tanti, nulla di particolare. Non riuscì a capire, quindi, perché anche quell’aggeggio le incutesse tanto timore.
Lo osservò con la coda dell’occhio.
Le sei e un quarto, minuto più, minuto meno. Mancavano esattamente un'ora e trenta minuti all'inizio della sua giornata lavorativa ufficiale e circa mezz'ora al suo incarico secondario.

Era piantata davanti all'imponente ingresso, volutamente in anticipo. E nervosa. Ma neanche quella era una novità. Non ricordava un solo giorno o anche solamente minuto di quelle settimane in cui non fosse stata così in preda a emozioni, sentimenti, sensazioni contrastanti.
Ansia, rabbia, amore. Spavento. E ancora tanto altro, cose a cui ancora non riusciva a dare un nome. Le sembrava impossibile essere riuscita a provare tutto quello senza esplodere.

Sentì l’impellente bisogno di una sigaretta per sfogare la tensione. Ma si decise a evitarla per due motivi, stranamente non collegati al suo stato attuale: le nausee mattutine che gli odori forti intensificavano e soprattutto il fatto che chiederne una a Maxus, l'unico fumatore tra i generali, le sarebbe costato svariati commenti -di cui la maggior parte non certamente educati- sulla pancia sempre più evidente che lei tentava invano di nascondere. Non era stupido, quell'uomo, nonostante i modi rudi e decisamente fuori dal comune. Ottuso per certi versi ma estremamente acuto per altri. Come ad esempio riuscire a vedere quello di cui lei non si era accorta. E ciò non l'aiutava.
Sbuffò. Nemmeno pensieri del genere lo avrebbero fatto.
Ma ecco che, subito, tornò a pensare al Capo. Non lo vedeva da almeno una settimana, si era dovuto spostare-stranamente proprio in seguito a quell'episodio-, e questo aveva impedito i loro incontri estremamente ravvicinati. Ma ora l’avrebbe spogliata e si sarebbe accorto subito del rigonfiamento insolito sul suo ventre. Negare di saperlo non sarebbe servito a nulla.
Doveva dirglielo. Doveva decidersi.
Probabilmente già arrivare in anticipo sarebbe stato sospetto di per sé ma, pensò, lo avrebbe portato a chiederle cosa succedeva.
Meglio così, decisamente, piuttosto che intraprendere il discorso di sua spontanea volontà.
Ridacchiò nervosamente, da sola, contenta del fatto che, a quell'ora, non ci fosse nessuno tra i piedi. Non vedeva di buon occhio gli altri generali- tutti uomini e poco propensi a considerarla loro pari dato che, chissà come, si erano diffuse notizie sul suo conto che sarebbero dovute rimanere al sicuro tra le quattro mura d’ufficio di Giovanni.
Da quel punto di vista le stava crollando tutto addosso; da un’altra parte, invece, l'essere sotto la protezione del Capo le consentiva almeno il rispetto apparente dei suoi sottoposti.
Ma solo apparente.
Non si sarebbero mai azzardati a comportarsi come facevano quelli, ma spesso il suo arrivo scatenava sussurri, mormorii, gomitate d'intesa e occhiate insistenti verso una certa zona del suo corpo che continuava ad aumentare di volume.
Certo, il suo stato interessante non era ancora particolarmente evidente, anche perché il suo fisico non era filiforme; ma addirittura quella voce si era insinuata nelle orecchie dello sciame grigio che lei, giorno dopo giorno, detestava sempre più. E stranamente, a quanto pareva, l'unico a non esserne informato era proprio il padre. A rigor di logica, però, le risultava difficile crederlo.
La sua mano si mosse verso il ventre, tastandolo.
C'era davvero qualcuno lì dentro, qualcuno in grado di scatenare tutto quel silenzioso putiferio? Ancora stentava a crederlo. Un figlio non rientrava di certo nei suoi piani di potere e dominio, e probabilmente neanche in quelli del Boss. Anzi.
Chissà come ci sarebbe rimasto. In fondo, pensò, era riuscita a giocargli un brutto tiro. Magra consolazione.
Si ridestò dai suoi pensieri di colpo, come svegliandosi da un brutto sogno. Si sentiva soffocare dalla sua stessa mente, avvertiva un peso invisibile che le schiacciava la cassa toracica.
Doveva decidersi in fretta. Con ogni probabilità quell'unica frase, "sono incinta", avrebbe cambiato radicalmente la vita di entrambi. E l'attesa doveva finire lì. Procrastinare non avrebbe portato a nulla.
In quel momento si decise.
E bussò.
Ecco subito una sequenza di rumori che aveva imparato a riconoscere alla perfezione. Rumore di una sedia che si spostava, poi di passi che le si avvicinavano. Una chiave nella serratura, un giro secco, poi il cigolìo della maniglia. E la porta si spalancò.

"Ate- cioè, tu? A quest'ora?"

L’espressione di stupore di Giovanni, evidentemente colto di sorpresa, durò pochi attimi e scomparve subito, lasciando spazio all'impassibilità.
 
Lei si sforzò a tendere gli angoli delle labbra in un sorriso che doveva essere accattivante ma, più che altro, ricordava una smorfia di dolore.

“È l’ora del nostro solito appuntamento, non ricorda, Capo?”

Si trovò a domandare in tono gracchiante, non decisamente quello seducente a cui aveva pensato.
Aspettava una risposta, ma si sentì tirare per un polso e trascinare dentro l’ufficio. E, inoltre, la porta che le veniva chiusa alle spalle.
C’era solo da sperare che non si fosse svegliato male, quella mattina.

“Devo parlarle-!”

Provò a dire con la voce che si era fatta flebile.
Giovanni la fece voltare verso di lui, guardandola con un sopracciglio inarcato che sembrava volerla invitare a dire ciò che doveva.
Lei squadrò il suo volto, prima di parlare. E si stupì che avesse profonde occhiaie, segno che, a sua volta, aveva trascorso notti insonni. 
Questo, in un certo senso, la incoraggiò, e si inumidì le labbra, divenute secche.

“Io...” esitò.

“Non abbiamo tutta la mattinata” cercò di farla proseguire lui.
“Abbiamo anche del tempo da dedicare al mio piccolo premio.”

E, a sua volta, si inumidì appena le labbra. Solo che dal suo punto di vista lui sembrava un pokémon feroce pronto a saltare addosso alla sua preda.

Non doveva lasciarsi intimidire. Non doveva esitare.
Doveva parlare, dirgli tutto.
Lui era il padre, in fondo. Il padre di quel piccolo affarino che si era annidato nel suo ventre.
Niente esitazioni. Niente remore.
Solo parole.
Chiuse gli occhi.

“Capo...” tossicchiò appena, ma era decisa a terminare quella frase.

“ Io... sono... cioè, io...” una perfetta imbecille, ecco cos’era.

Prese un respiro profondo.

“Io aspetto un figlio da t- da lei!”

Tutto d’un fiato ma l’aveva detto. E, ora, avrebbe desiderato avere gli occhi aperti per osservare la sua reazione, o, almeno, sapendo che non si sarebbe scomposto troppo, la sua espressione.
Invece tutto quello che avvertì fu il mondo che aveva preso a girarle attorno. E se stessa in caduta libera verso il pavimento.
Il suo unico pensiero, in quel momento, fu relativo al fatto che quei dannati svenimenti le capitassero sempre nei momenti più inopportuni.

 
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Dolcezze, pensavate vi avessi abbandonati? E invece no. Irene non sparisce mai. Non vi libererete mai di me. *Risata malefica*
Ok, lasciatemi perdere. Sono sclerata, domani ho un’altra gara di latino e l’influenza. Questo mix non va d’accordo.
Perdonatemi il ritardo, comunque. Tra gare di latino e greco, versioni, Battle Royale con il quale, confesso, mi sono davvero infognata, e i miei dannati amici che mi hanno messo in mano Animal Crossing non ho avuto un minuto libero. Me tapina, me sventurata. Me vittimista.
Comunque, smetto di rompervi, lo giuro sulla mia collezione storica di videogames dei Pokémon e sulla maglietta del Team Rocket. Grazie, come al solito, per le recensioni e grazie a Melody_Amber per il messaggio privato. Giuro che mi ha fatto tanto tanto piacere! ç_ç
A risentirci, zuccherini! 
   
 
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