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Autore: IamShe    20/02/2014    8 recensioni
Shinichi è uscito trionfante dallo scontro con l’Organizzazione, e a distanza di tre anni, si gode a pieno la sua vita di detective nazionale ed ammirato da tutti. Non gli manca nulla, neanche l’amore di Ran. Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto, qualcuno sfrutterà l’ingegno della sua amica Shiho per proiettarlo in un mondo che il suo cervello, altrimenti, non avrebbe mai perseguito: quello della criminalità. E non potrà più sfruttare la sua intelligenza, che presto scoprirà arma della sua stessa tortura, ma qualcosa che il suo mito Holmes riteneva stupido e debole, da evitare: le sue emozioni.
- - - - -
Shinichi non seppe come muoversi: sebbene conoscesse a memoria la sua cucina, non aveva la minima idea di dove si nascondessero i criminali che li avevano sorpresi.
«Cosa volete?» chiese, girandosi intorno e cercando di ripararsi. Pensò ad un piano che potesse mettere in salvo tutti, ma il suo istinto lo fece voltare verso la sua fidanzata: Ran giaceva a terra con gli occhi chiusi, respirando normalmente. Questa fu l’ultima cosa che vide.
«Te», fu l’ultima che sentì.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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T o r t u r e d  M i n d

 
Quinto capitolo Fifth chapter Cinq chapitre  Faccia a faccia Cinco capìtulo Fünf Kapitel 第5章  첫 번째 장  
 
 
 

Nell’attimo in cui Midori premette il grilletto, Kazuha le saltò addosso e le sbilanciò il corpo verso destra, facendole perdere l’equilibrio. Il proiettile vagò e sfiorò la guancia di Ran, ficcandosi nel quadro di seta dietro di lei, sulla parete. La karateka reagì come meglio poté, e notando che Yuri era stesa a terra, sparsa tra cocci di vetro del vaso frantumato, si avvinghiò su Midori; la rossa era sul punto di sparare di nuovo, ma cacciò un urlo quando il piede di Ran le scaraventò la pistola due metri lontano. Dovette così dibattersi con Kazuha, che le aveva sferrato due pugni al viso, entrambi attutiti con le braccia ma incassati, e Ran, col calcio che volava verso di lei. Approfittando dell’improvvisa lentezza dei movimenti della karateka, Midori si alzò e sbatté Kazuha all’indietro con un pugno. Ran stavolta fu più veloce: fiondandosi su di lei, riuscì a colpirle il viso con un pugno, incassandone un altro anche nello stomaco. Midori si accasciò, dolorante, su un fianco.
«Ed ora?» disse Kazuha, assestandole un calcio in testa, in modo da stordirla per un po’. «Chiamiamo la polizia?»
La karateka impiegò il tempo necessario per rendersi conto di quello che era effettivamente successo, tutto nel giro di qualche minuto. Un filo di sangue le scivolò lungo la guancia, dove il proiettile l’aveva sfiorata.
«No» si oppose, riprendendo fiato. «Lei è l’unica possibilità che ho di ritrovare Shinichi.»
«E allora?» replicò l’amica. «Glielo chiederai quando saremo in centrale.»
«Se l’arrestano non mi ci faranno avvicinare, e potrebbero passare altri giorni prima che io possa arrivare a lui» le confessò, dando voce a i suoi timori. «Cerca di comprendermi, per favore. Io... devo ritrovarlo. E poi...» ma non riuscì a continuare.
“Vorrei sapere che intendeva con è nel mio letto a riposare... bacia bene, sai...” pensò, mordendosi un labbro per l’agonia. Avvertì le palpebre riempirsi di lacrime, e sbattendole velocemente, fece in modo che queste cadessero. “Mi ha davvero dimenticata? Lui... non ricorda più noi?”
«Ran...» sussurrò Kazuha, notandola piangere. Un mugolio fuoriuscì dalle labbra di Midori, che cercò di risvegliarsi e rinvigorirsi. Le ragazze la videro stringere i denti e tentare di mettersi in ginocchio, quando dei passi le raggiunsero dalla porta. Si resero conto troppo tardi che erano dei complici della rossa: Ran riconobbe il tipo che l’aveva sparata nella coscia. Con un urlo disumano afferrò Kazuha per il polso e la trascinò via, verso l’altra parte dell’appartamento. Chiuse dietro di sé le porte, bloccandole con i mobili, poi ragionò sulle possibilità di fuga: ne aveva una, il balcone confinante con quello di un’altra casa.
«Seguimi!» urlò all’amica, dandosi uno slancio per saltare oltre la ringhiera ed atterrare sull’altra balconata. Attutì il colpo con le gambe, ma la ferita alla coscia le strappò un grido di dolore e un po’ di sangue schizzò sulla benda bianca, macchiandola. Aspettò che Kazuha la imitasse, per poi bussare alla finestra dei vicini. Dibatté i pugni contro il vetro con violenza, quando un proiettile le sfiorò la mano e la strisciò di sangue. Girandosi, si rese conto che i due uomini l’avevano raggiunte. Si accasciarono a terra, sperando che la ringhiera bastasse a proteggerle, quando la finestra si aprì e ne sbucò il volto di una donna anziana. Ran gioì, e senza alcuna spiegazione, trascinò l’amica con sé dentro l’appartamento. Rivolse un debole cenno di ringraziamento alla signora -che la osservò sbalordita-, per poi fuggire verso l’entrata. Si ritrovò sul pianerottolo, faccia a faccia con Midori. La rossa le puntò la pistola contro, ma lei fu più agile: nuovamente, con un calcio la disarmò, facendola barcollare all’indietro. Provò di nuovo a scappare, correndo verso le scale, quando dalla porta dell’ascensore sbucarono Heiji e Shiho. Erano ricoperti di sangue.
 
Gli animi si calmarono all’improvviso, come se la scena fosse stata fermata da qualcuno col telecomando. Midori vide i due ragazzi e sgranò gli occhi, quando uno dei suoi uomini la affiancò e le sussurrò qualcosa come «non possiamo», a cui aggiunse «Akira». Midori strinse i pugni con nervosismo, fissando negli occhi sia Ran che Heiji.
«Hattori» cominciò, recuperando la pistola che la karateka le aveva fatto volare. «Facciamo così. Tu vieni con noi, e noi lasciamo in pace le donzelle.»
Heiji fece qualche passo in avanti, quando Ran gli urlò di fermarsi. «No, non lo fare! Ti uccideranno, e uccideranno anche noi!»
«Ma...» si oppose il ragazzo, bloccandosi nel rendersi conto che la karateka aveva effettivamente ragione. Si fermò a pensare cosa avrebbero potuto fare: scappare e tentare di schivare le pallottole, affrontarli (ma era da escludere considerato che erano armati), consegnarsi a loro. Se la seconda era  folle, la terza da stupidi e la prima da speranzosi, Heiji si rese conto che la speranza era l’ultima cosa che gli rimaneva. Con ancora le porte dell’ascensore bloccate da quand’era apparso sul pianerottolo, pigiò il piano terra e trascinò all’interno le due ragazze, afferrando loro le maglie. Le pallottole tagliarono l’aria e si conficcarono sullo specchio alle loro spalle, per poi scontrarsi con le porte in ferro che si chiudevano. Negli attimi in cui l’ascensore scendeva, i quattro giovani si scambiarono un reciproco sguardo di terrore, che lasciò trasparire anche preoccupazione, angoscia, tensione e ansia.
«State bene?» domandò Kazuha, osservando il suo fidanzato e Shiho coperti di sangue.
Loro annuirono. «Sì, ci è scoppiata una bomba davanti, ma son riuscito ad attutire il colpo con un cartellone di ferro» rivelò, ripensando al cartello su cui aveva trovato la scritta Ditta Midori.
«E il sangue?» chiese Ran, esterrefatta.
«È ketchup» rise, prendendone un po’ col dito e leccandolo. Le porte dell’ascensore si aprirono e i ragazzi scattarono all’esterno, sperando di esser stati più veloci dei criminali nell’arrivare lì. All’entrata del condominio, Ran notò che Midori aveva ormai raggiunto l’atrio e li stava inseguendo, così decise di correre verso il parco, all’esterno. Per qualche istante non mossero piede, poiché nessuno sapeva come muoversi, poi un’auto coi lampeggianti li raggiunse. Era Takagi, insieme ad altri poliziotti.
«Ragazzi!» lo sentì urlare Ran, ma la sua attenzione era presa d’altro. Midori e gli altri criminali erano scomparsi, e con loro, anche la speranza di ritrovarlo.
“Shinichi...”
 
§§§
 
“Shinichi...” una voce rischiarò la sua mente vuota.
Il detective si svegliò all’improvviso, sbattendo le palpebre a fatica, tentando di orientarsi; si rese conto così d’essere nella camera di Ran, l’aveva vista il giorno prima per salire sul terrazzo. Gliel’aveva sentito ordinare ai suoi uomini, dopo che lui, la notte prima, aveva avuto quella strana crisi. Aveva visto quel ragazzo, quel criminale che gli aveva ucciso i genitori, che chiedeva di lui, che voleva sfidarlo. Era arrogante e spocchioso, e parlava con uno strano accento del Kansai. Tutto si era svolto come una visione, un flashback. Che gli stesse tornando la memoria? Alzandosi dal letto, lo sperò con tutto se stesso. Si infilò una maglia sopra la tuta del pigiama, poi scese in salone. Vide Akira e Ran, seduti sul divano con la rabbia ritratta in viso. Quando si fece notare, Midori gli rivolse un debole sorriso: «Buongiorno».
«Successo qualcosa?» chiese, notando le loro espressioni. «Perché non mi avete svegliato? Saranno le dieci passate.»
«Dormivi come un sasso» commentò Akira, lanciando distrattamente lo sguardo alla tv.
Midori sospirò. «Volevamo farti riposare dopo la crisi che hai avuto ieri» gli disse. «Cosa ti è successo?»
Lui alzò le spalle, poi le si sedette accanto. «Non lo so... ho avuto come una specie di... flashback» dichiarò, con sincerità. Entrambi rizzarono le orecchie all’istante, sgranando gli occhi.
«Flashback?» chiese Akira, impassibile.
«E cosa hai visto?» domandò Midori, preoccupandosi.
Lui abbassò un po’ gli occhi al pavimento. «Ho visto quel tipo... Hattori, che chiedeva di me, che voleva sfidarmi o qualcosa del genere.»
«Hai ricordato altro?»
«No» certificò. Poi, notando le loro espressioni, chiese: «Pensate mi stia tornando la memoria?»
«Ehm... può essere» tentò di sembrare felice Midori, ma non ci riuscì molto. «Che... che bello.»
Akira si strofinò il mento, poi si passò le dita sulle labbra. «Sai, fratellino, oggi i nostri uomini hanno fatto cilecca.»
«Che è successo?»
«Avrebbero dovuto uccidere Hattori e le sue amiche, ma al massimo son riusciti a far scoppiare una bottiglia di ketchup» disse, tra l’ironico e il seccato. Midori lo osservò stranita, chiedendosi che intenzioni avesse.
«Senza i miei piani non son capaci a far nulla?» ghignò Shinichi, mentre Akira rideva nell’anima.
«Già» concordò. «Te la senti di tornare attivo?»
Il detective annuì, con convinzione. «Sì, credo.»
«Però non vorrei ucciderli subito» spiegò Akira. «Catturiamo Hattori o una delle sue sgualdrine, che tu conoscevi perché ti hanno imprigionato, e scopriamo se la loro visione riesce a farti tornare la memoria. Che ne dici?»
Midori strabuzzò le palpebre, sbalordita. Lo guardò minacciosa. «Ma cosa dici, Akira... E se la loro visione gli facesse nuovamente male, se gli causasse un’altra crisi?»
Il complice la guardò fisso negli occhi. «Scopriremo quanto profonda è quest’amnesia» disse, scandendo con chiarezza ogni parola.
«Io sono d’accordo», Shinichi annuì, pensando che fosse un piano perfetto. Più di ogni altra cosa aveva bisogno di ricordare. «Possiamo farlo anche oggi.»
Akira sorrise. «Hai ragione, Hattori merita di morire il prima possibile sotto le più atroci torture, e sotto i tuoi occhi. Ma dobbiamo avvisarti di alcune cose. Lui è un pazzo stratega, e come lui... anche le sue sgualdrine.»
«In che senso?», lo stesso sguardo di Shinichi ce l’aveva Midori. Non riusciva proprio a capire dove volesse arrivare.
«Quando ti hanno imprigionato, hanno inventato che sono loro quelli che ti amano, che noi siamo solo una massa di criminali che vuole sfruttarti» gli confidò, nel tentativo di prepararlo a ciò che presumibilmente il detective di Osaka avrebbe detto in un loro ipotetico incontro. «Lo fanno per confonderti. La prima volta ci sono riusciti e stavano quasi per ammazzarti, voglio prepararti... dato che non ricordi quello che è successo.»
Midori non riuscì a trattenere un sorriso, riuscendo però a nasconderlo a Shinichi. Il detective aveva un sopracciglio inarcato e le labbra storte in una smorfia.
«Non dovrei esser super intelligente io?» domandò. «Come ho potuto credergli?»
Akira sussultò, leggermente in difficoltà. Non se l’aspettava quella risposta. «Oh, be’... le donne ti hanno avvicinato con la scusa che erano grandi amiche di tua madre.»
Midori colse la palla al balzo: «E ce n’è una... che è pazza. È pericolosa. Sai cosa dice? Dice che lei si chiama Ran Mouri, che è lei la tua ragazza, che voi stavate insieme. Ne è proprio convinta.»
Akira la guardò come se fosse anche lei impazzita, ma non le disse nulla.
«Almeno questa è pazza in senso buono» disse Shinichi.
«Che vuoi dire?» chiese Midori.
«È pazza di me» sorrise, ironico. La giovane gli lanciò un’occhiataccia piena di gelosia, come se davvero fosse lei la vera Ran.
«Fai poco l’idiota» lo ammonì. «Sei impegnato, e questo te lo ricordi bene» disse, riferendosi alla notte prima e a quello che stavano per fare.
Shinichi curvò le labbra all’in su. La distruzione della sua memoria gli aveva anche spazzato via ogni sorta di pudore o inibizione, perché era come se nessuno gliel’avesse insegnato ad avere: «Veramente ricordo solo che sei la donna con cui vado a letto.»
La giovane sembrò sconvolgersi, con le guance che andavano sfumando di rosso. «Stronzo.»
«Solo la verità» confermò, un po’ ironico un po’ sincero, in un tono troppo familiare al vecchio Shinichi, quello consapevole di essere innamorato di una sola donna. Era abbastanza sicuro che la notte prima non avesse avvertito nessun sentimento particolare nel baciarla e spogliarla, ma si era convinto che probabilmente lui non l’aveva mai amata, anche prima dell’amnesia, ma che avesse sempre cercato di divertirsi con lei. Forse per lei non era così, forse lei ne era innamorata davvero. Ma era ancora giusto prenderla in giro? Il suo io passato lo faceva, perché lui non avrebbe dovuto? Perché continuava a sentire tutto come se fosse sbagliato, diverso, non adatto a lui?
Akira tossicchiò, attirando nuovamente l’attenzione sul concreto.
«Se aveste finito» disse, seccato. «Dovremmo elaborare un piano per catturarli.»
«Andiamo a casa di Hattori, ci portiamo dietro una dozzina di uomini e li mettiamo in ginocchio» propose Midori, sorridente ed entusiasta all’idea.
«No» obiettò Shinichi, strofinandosi il mento come quando, anche da piccolo, ragionava ad un caso. «Potremmo fare in modo che siano loro a venire da noi.»
«Spiegati meglio» disse Akira, interessato.
Shinichi guizzò con gli occhi, poi cominciò a ridacchiare. «Avete detto che loro mi hanno convinto di certe cose, vero? Be’, potrei telefonarlo e dirgli che voi mi state solo sfruttando, che voglio tornare con loro», poi ci pensò un attimo su e continuò: «che voglio tradirvi.»
«È perfetto.» Akira rise, soddisfatto. Shinichi lo ignorava, ma era proprio ciò che ci voleva per attrarre quel detective da loro. Se fosse andata come diceva lui, sarebbe risultato tutto straordinariamente spontaneo. «Ti voglio proprio bene, fratellino.»
«Bravissimo» si complimentò Midori, sporgendosi verso di lui e strappandogli un bacio. Gli infilò la lingua nella bocca e cercò di attrarlo nel suo vortice di passione, ma il detective era diviso tra la voglia di soddisfare i suoi istinti alla sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato. Akira li divise, con una smorfia seccata e disgustata sul viso.
«A parte che ci sono tre camere da letto -con vista città- di sopra» commentò infastidito, «ma non è questo il momento di limonare.»
«Sei solo invidioso, fratellino» commentò Shinichi, sarcastico, passandogli accanto. «Vado a vestirmi.»
Akira gli lanciò un’occhiataccia, stringendo i pugni su se stesso. Quando il detective scomparve per le scale, si lasciò andare ad un commento pieno di disprezzo: «Nonostante tutto, mi continui a stare sul cazzo.»
«Senti un po’, tu», Midori gli afferrò il braccio, girandolo verso di lei. «Hai pensato che Shinichi potrebbe ricordare tutto vedendo i suoi amici? Ha giù avuto quel flashback. Perché dobbiamo rischiare così tanto?»
«Se accadesse, vorrebbe dire che la macchina non ha funzionato come dovrebbe» rispose, con freddezza.
«Ma per il momento sì» disse lei, «lo vedi? Sta succedendo proprio quello che volevamo.»
«Se continuasse ad avere altri flashback, come la risolveremmo poi? Dobbiamo metterlo davanti alla verità, per vedere come reagirà.»
Midori sgranò gli occhi. «E se dovesse ricordare tutto?»
«Lo uccidiamo.» Akira avvicinò le loro teste. «Così almeno la smetti di cercare di portartelo a letto.»
Midori storse le labbra in una smorfia di disgusto, la stessa che le rivolse il suo complice.
 
§§§
 
«Vi è andata fin troppo bene!» urlò Megure, con gli occhi fuori dalle orbite e il viso rosso dalla rabbia. «Non so con chi prendermela di più! E tu, Takagi? Cos’hai in testa?! Cosa stavi aspettando ad avvisarmi?!»
Il poliziotto abbassò il capo, mortificato e consapevole d’aver sbagliato. Heiji e le ragazze lo affiancavano, ognuna con un’espressione diversa; quella di Ran era decisamente depressa.
«Non abbiamo avuto tempo» replicò Hattori, seccato. «Dovevamo agire.»
«E cosa avete risolto?», girò il capo da un volto ad un altro l’ispettore, visibilmente arrabbiato. «Sparatoria in pieno giorno in un condominio!»
«Noi non abbiamo sparato» puntualizzò Kazuha, anticipando il suo fidanzato. «Sono stati loro.»
«Sempre sparatoria è!» sbottò l’ispettore.
Hattori rilasciò un sospiro, poi abbassò gli occhi e tossicchiò. L’attenzione si concentrò su di lui; perfino Megure si zittì improvvisamente.
«Comunque, non tutti i mali vengono per nuocere» disse, portandosi la visiera del capello avanti. «All’appartamento che è scoppiato, ho finalmente capito chi sono e perché hanno messo su tutto questo teatrino.»
«Illuminaci, allora» disse Shiho.
Heiji prese un lungo respiro, poi cominciò a parlare. Era chiaro e preciso come sempre, proprio come aveva imparato da Shinichi. «Il cartellone che ci ha salvato la vita, aveva inciso sopra il nome di una ditta. Ditta Midori. Era una società finanziaria di un uomo potente e ricco, che venne ucciso circa tre anni fa. L’uomo non sembrava avere particolari problemi con nessuno sebbene l’azienda fosse sul lastrico, e l’unica sua figlia - Ichigo - viveva in Inghilterra ormai da anni. Alla fine, si scoprì che l’omicida era un certo Shiro Kitoshi e che, soffrendo di alcuni problemi depressivi e psicopatici, agì in preda all’incoscienza, colpendo più volte alla testa il suo capo con un oggetto contundente. Adesso non ricordo che oggetto era, ma l’uomo morì dissanguato. L’omicida aveva due fratelli: uno ingegnere, emigrato un paio di anni fa all’estero, ed un delinquente - arrestato per spaccio ed altro - che chiese di perdonare il fratello, perché non cosciente in quel momento, ma l’attenuante di incapacità di intendere e di volere non fu accettata da parte delle autorità - secondo cui l’uomo soffriva soltanto di depressione, una condizione comunque non abbastanza valida per scagionarlo - e quello finì in prigione con la condanna a quattordici anni e sette mesi. Ma si uccise due giorni dopo, sotto gli occhi del fratello, con cui gli era stato concesso di dividere la cella.»
Ran e gli altri lasciarono che finisse di parlare, ma dopo qualche secondo di silenzio, decisero di chiederglielo: «E questo cosa c’entra con quello che sta succedendo?»
«Non capite?» rise lui. «Il fratello di Shiro Kitoshi era Akira Kitoshi, ed i detective che risolsero il caso ed emisero la condizione non necessaria per l’innocenza, fummo io e Kudo.»
 
§§§
 
«Eccomi», Shinichi sbucò dalle scale, scendendole a passo spedito e veloce, in preda all’emozione e all’adrenalina. Non vedeva l’ora di incontrare quell’arrogante assassino che gli aveva ucciso i genitori, che lo aveva imbrogliato, che si permetteva di sfidarlo davanti a tutti. Midori gli passò il cellulare, uno nuovo che avevano comprato appositamente, ma che finsero fosse stato sempre suo. Lui lo prese ed avvertì una strana sensazione di disagio. Non l’aveva mai usato, lo sentiva, perché non sapeva come usarlo.
“Ah, l’amnesia” pensò, ricordandosi improvvisamente che aveva dimenticato proprio tutto in quell’incidente. Quella condizione doveva risolversi il prima possibile, non poteva convivere ancora con quella continua sensazione di inadeguatezza.
«Sai già quello che gli devi dire?» chiese Akira.
Shinichi annuì.
«Sii convincente» disse Akira.
«Sempre», e lo chiamò.
 
«Dunque si sta vendicando» dedusse Ran, con la voce ridotta a poco più di un filo. La coscia le faceva sempre più male, ed erano ore che non assumeva un antidolorifico. Se avesse potuto, sarebbe salita di sopra a prenderlo, ma la casa di Heiji e Kazuha era sotto sequestro dalla polizia, e al massimo avrebbe potuto sperare nella buona coscienza di qualche vicino. «Ma non capisco, perché ha preso solo Shinichi? Perché poi oscurargli la memoria?»
«Forse perché...» cominciò Hattori, ma si bloccò improvvisamente. Il suo cellulare stava vibrando e suonando nella sua tasca, ma non aspettava nessuna chiamata in particolare. Forse qualche cliente. Forse i suoi genitori. Forse... forse lui.
Afferrò il cellulare con una velocità tale da risultare impetuosa. Controllò il numero, era anonimo.
«Chi è?» chiese Shiho, notando il suo improvviso cambio di umore.
Ma lui non ci badò. Portò l’apparecchio vicino all’orecchio, e rispose alla chiamata: «Pronto?»
«Hattori.»
Heiji perse un battito del cuore. Era lui. «Shinichi» mormorò il suo nome, spontaneamente, come se non avesse aspettato altro per tutto quel tempo. Shinichi riconobbe la sua voce: era quello del flashback della notte precedente.
Al suono di quelle lettere unite, Ran sussultò, e si avvinghiò all’amico.
«È lui?!» sbraitò, in preda al panico, alla gioia, al dolore, alla speranza che rinsaviva. «Voglio sentirlo, fammelo sentire!» disse frettolosamente, mentre le lacrime le bagnarono il viso stanco. Obbligò Heiji ad impostare il vivavoce, quando lui stesso chiese: «stai bene? Come hai fatto a...?», ma l’amico lo bloccò, imperterrito.
«Hattori, fammi parlare» disse con freddezza, ma velocemente, come se dovesse fuggire dal fuoco da un momento all’altro. «Ho poco tempo.»
«Shin...ichi...» balbettò Ran, con le mani tremanti a stringere il cellulare, con la voglia di viaggiare attraverso esso per trovarlo ed abbracciarlo.
Heiji riprese possesso dell’apparecchio, pensando che l’amico volesse parlare solo con lui e non avesse nemmeno la possibilità di salutare l’amata. «Parla, parla, dimmi.»
«Sono riuscito ad andarmene, ho bisogno soltanto che mi vieni a prendere al porto tra mezz’ora, ma devi essere puntuale, e per favore... vieni da solo.»
«Ok, va ben...» provò, ma la chiamata si staccò, e Ran rimase con le parole in gola, con la voglia di pronunciare «vengo anch’io» che non scemò immediatamente. Lo sgomento che aveva animato i ragazzi durante la chiamata li torturò per qualche secondo di troppo, e solo un movimento un po’ troppo brusco di Takagi, che urtò un vaso a terra e lo fece cadere, li riportò al concreto.
«Ok, devo andare» disse Heiji, col respiro affannoso e leggermente scioccato. «Prendo... vado con la moto.»
«Voglio venire anche io» si lamentò Ran, immediatamente. «Penserai mica mi stia qui?»
«Ma lui ha... ha detto che vuole ci vada da solo.»
«Non mi importa! Devo rivederlo!» sbraitò, indemoniata.
«Facciamo così» tossicchiò Shiho. «Heiji va da solo avanti, noi lo seguiamo dietro con l’auto. Ok?»
«Ma Kudo...» obiettò Hattori, ma si zittì. Vide Ran salire in auto con Takagi e Megure, e Shiho sedersi dietro, a fianco a Kazuha. Sospirò, quando si rese conto che a lui non restava altro che prendere la moto.
 
§§§
 
Il porto era illuminato da una serie di lampioni posti a circa due metri uno dall’altro, che brillavano di una forte luce calda e rilassante. Il mare era limpido, e qualche peschereccio, in ritardo, era ancora in balia delle onde calme delle correnti. Heiji notò che il luogo non era del tutto deserto; c’erano alcune famiglie sedute sulle panchine, due bambini che giocavano a palla lì vicino, e altri cinque che giocavano a nascondino, con le mamme che intimavano loro di tornare.
“Speriamo non succeda niente di pericoloso” pensò Heiji, mentre la voce del suo migliore amico non tendeva a scemare dalla sua mente. Era più che lecito che lui avesse bisogno di aiuto, pensò, che fosse riuscito addirittura a scappare da quei criminali, ma che non avesse nemmeno perso la memoria era... strepitoso. Ignorava come avesse fatto, ma non gliene importava più di tanto: ce l’aveva fatta, e il suo cuore si riempiva di orgoglio.
«Kudo?» lo chiamò, dopo aver lasciato la moto pochi metri distante, accostata ad un’aiuola dietro la quale si erano nascosti tutti. Si incamminò verso un vicolo delimitato da alti e grossi container rossi e blu. Notò un fascio di luce proiettarsi contro la facciata laterale di una nave mercantile. La seguì, lasciandosi alle spalle tutti i lampioni, ed immergendosi nel buio della notte, rischiarato solo da quel fascio di luce. Quando voltò l’angolo, capì che la fonte erano i fari di un’auto, e che accanto ad essa, vi era lui.
«Kudo» lo chiamò, lasciandosi andare ad un sorriso spontaneo e pieno di gioia. Avanzò verso di lui velocemente, forse per abbracciarlo, forse per avvicinarsi e rendersi davvero conto che era lì, intero, vivo. Ma Shinichi gli puntò la pistola contro, e con voce glaciale, mormorò: «Fermo.»
Heiji si arrestò improvvisamente, sgranando gli occhi e sbattendo le palpebre, incredulo.
«Ehi» riprovò, con voce incerta. Poi fece qualche passo verso di lui, convinto che non fosse riuscito a riconoscerlo per via del buio: «Sono io, abbassa quell’arma.»
«Ti ho detto di stare fermo» ripeté, stringendo un po’ più forte la pistola, e Heiji si fermò.
“È proprio lui” pensò Shinichi, scrutandogli il viso e il corpo. La stessa carnagione scura, gli stessi occhi verdi, qualche muscolo in più, ma soprattutto la stessa voce. “Il tipo del flashback.”
Non lo riconobbe, ricordava di lui solo quella frazione di immagini che gli si erano susseguite nella mente la notte precedente.
«Perché ti comporti così?» domandò Heiji; la voce si incrinava ad ogni lettera: «Non capisco...»
«Hattori, Hattori Heiji» lo ignorò, perché Akira aveva giocato bene le sue carte, ed era stato convinto che quel ragazzo era un pazzo stratega. Che le sue parole l’avrebbero potuto confondere, che non doveva credergli. Eppure, doveva riconoscerlo, la parte di finto amico gli riusciva alla perfezione. «Così ti chiami, giusto? Che nome stupido. Se non sbaglio il significato del kanji del tuo nome è piatto, mentre il cognome significa... vestito. Un vestito piatto, però sei fortunato a non essere donna.»
Heiji non rispose subito, non riuscendo a credere che quella persona, che aveva sì il suo stesso corpo e la sua stessa voce, fosse proprio lui. «Cosa ti è successo?» domandò, poi notò dietro l’amico un’ombra muoversi. «Stai attento» stava per dirgli, quando le linee scure di quella sagoma si unirono nella figura di una donna, dagli occhi verde chiaro e i capelli rossi. Midori.
«Ma guarda guarda» rise la giovane. «Sai, volevamo venire a prenderti noi, ma Shinichi ha avuto un piano migliore.»
Heiji spostò lo sguardo da Midori all’amico, cercando di capire cosa stesse accadendo, se fosse reale, o se era solo uno stupido incubo.
«Non è possibile» mormorò, esterrefatto, il giovane.
Midori scoppiò a ridere, soddisfatta. «Allora, tesoro? Che ne dici? Ti serve ancora? Credo che sia abbastanza, no?»
Lui scrollò le spalle. «Non mi dice nulla.» 
Heiji deglutì, poi finalmente riuscì a riprendere parola: «Kudo... sono... sono io. Aspetta» e sgranò gli occhi, avvertendo il suo cuore accelerare. «Hai perso la memoria? Non ricordi nulla?»
Midori sussultò leggermente, e Shinichi strinse più forte la pistola. «E tu come lo sai?»
Hattori si voltò verso la rossa, e coi pugni serrati, avanzò verso di lei. «Perché loro te l’hanno tolta! Cosa gli avete detto? Cosa vi siete inventati?!»
«Fermo» disse l’amico, puntandogli nuovamente la pistola contro. Poi si girò verso Midori alla ricerca di spiegazioni. Lei disse semplicemente: «Te l’avevamo detto, no? Inventa di tutto. Non credergli.»
«Io mi invento le cose?!» tuonò, in preda alla collera. Si voltò verso il moretto e lo chiamò: «Shinichi» per nome, disperato, perché adesso non voleva altro che riprendersi quello che aveva perso, perché tutto quello era assurdo.
Si picchiettò il petto con le mani, e continuò: «Io sono tuo amico! Io sono il tuo migliore amico! Io ci sono sempre stato, io ti ho aiutato! Non loro!»
Shinichi storse le labbra. «Migliore amico? Hai ucciso i miei genitori...»
«Ho ucciso i tuoi genitori?!» chiese, incredulo.
«Mi hai imprigionato.»
«Che?!»
«Solo perché sei invidioso di me, perché vuoi battermi come detective. Perché vuoi umiliarmi.»
«Non è vero!» rispose velocemente Heiji. «Io ti stimo... io ti ho sempre stimato, sia come detective che come amico. Come avremmo fondato l’SH secondo te?»
«Stai zitto» lo fermò Midori, poi si voltò a guardare il moretto: «Hai visto come è bravo a mentire? È così che la prima volta ha fregato tutti.»
«I miei complimenti» disse Shinichi, continuando a puntare la pistola contro Heiji. «Potresti fare l’attore.»
«Io non sto mentendo!» sbottò, poi la voce si affievolì: «È la verità... solo la verità...» disse, poi mormorò, con la frangetta che gli copriva il verde degli occhi: «Ricordi? La verità è sempre una sola
Shinichi ebbe un sussulto, come se quelle parole gli garbassero talmente tanto da farlo sorridere. «Bella frase.»
«È tua» lo informò Heiji. «È la tua massima. Come puoi non ricordarla?»
«Come non ricordo il resto della mia vita» ammise l’altro, con inquietudine.
«Kudo...»
«Ok,» si intromise di nuovo Midori. «Facciamola finita. Shinichi, uccidilo e andiamocene.»
Le sue dita tremarono sul grilletto a quel comando. La sua mente gli sussurrava qualcosa, ma lui non riuscì a decifrarlo.
Heiji sussultò, deglutendo. «In qualche modo, da qualche parte, c’è ancora il mio migliore amico lì dentro. Non posso credere che sia scomparso così.»
«Che melodrammatico» disse disgustata Midori, guadagnandosi un’occhiataccia dall’altro. «Uccidilo, dai.»
“Ucciderlo” pensò il detective. “Basta che prema il grilletto e lo ucciderò. Però poi... poi morirà. La sua vita finirà, e per colpa mia...” scosse il capo, cominciando a sentirsi spaesato. “No, non mi dovrebbe importare, no?”
«Shinichi...» sussurrò Midori, preoccupata. «Uccidilo.»
Heiji si lasciò andare ad un sorriso. «Non ci riesce» disse. «L’istinto gli dice di fare altro.»
«Shinichi, uccidilo.»
«Segui il tuo istinto» si oppose Heiji.
«Non lo ascoltare, Shinichi» ribatté Midori.
«Abbassa quella pistola» disse l’altro.
Il moretto avvertì un forte mal di testa. Pregò che si zittissero entrambi, perché non riusciva proprio più a sopportarli.
«Fallo», cercò di convincerlo lei.
«Tu non sei un assassino» disse quello di Osaka.
Shinichi puntò gli occhi azzurri sul detective: li aveva arrossati, stanchi e strani. Non lo aveva mai visto così... così debole. Quei criminali avevano colpito dritto al punto che più lo rappresentava e lo governava: il cervello.
Gli avevano tolto tutto ciò che era.
“Io sono un cervello, Watson” diceva Holmes. “Il resto di me è mera appendice.”
La sua mente era stata torturata. Era dilaniata tra due fuochi, senza più la capacità di rendersi conto a quale dovesse fare riferimento. Ma prima che il detective riuscisse a scegliere da che parte stare, un urlo squarciò l’aria e il silenzio.
Si voltarono tutti: era Ran.
«Shinichi» disse, e lui ebbe la sensazione di aver finalmente trovato il suo faro nella tempesta.






Me:
AAAAAllora! Eccomi qui! Finalmente sono tornata :D
Bene, alla fine i nostri amori si sono rincontrati, ma Shinichi non riconosce Heiji... e pare nemmeno Ran. Comunque sia, qualcosa nel suo istinto di criminale fallisce...perché non riesce a sparare :D eh eh :D E mentre il nostro detective di Osaka ci spiega un po' cosa è successo qualche anno prima, Shinichi mette per la prima volta il suo ingegno dalla parte del male: fregare il suo migliore amico. Vi è piaciuta la scena iniziale con sparatorie ed annessi? Avete captato qualche segnale? :D Alcuni mi hanno detto che lo spoiler, appunto spoilerava XD, che Ran non fosse morta xD ma chi ci credeva che l'avrei fatta morire? xD D'altronde in questo chap non c'era nulla che avrei potuto anticiparvi senza spoilerarvi :D 
Mmmm che altro succede? Ah sì, Midori continua a sbaciucchiare Shinichi... io il permesso non gliel'ho dato u.u
Bene, dopo questi meravigliosi vaneggiamenti, vi aspetto al sesto chap. Vi dico di prepararvi che ormai siamo al centro della storia e le cose si faranno più che movimentate!
Vi posto lo spoiler del sesto, e come sempre, ringrazio i recensori del quarto capitolo. Un bacio a tutti quelli che mi sostengono sempre. :D

Spoiler Capitolo Sesto: "Quell'aroma alla fragola"
«Davvero non ti ricordi di me?»
«Sì» disse, «e lasciami.»
Ran avvertì le lacrime gonfiare le sue palpebre, ma non si diede per vinta. Le parole di Midori risuonavano ancora nella sua mente: “è nel mio letto... bacia bene...”. Si armò di tutta la tenacia di cui era capace, e con il corpo si spinse verso di lui. Lo abbracciò e lo baciò, lasciandolo basito per qualche secondo, poi si staccò. Un leggero profumo di fragola risalì su per le narici del detective.
«Anche io e te siamo molto amici», una frase, una voce.
Entrò nel suo cervello come una saetta, e gli procurò anche un’immensa fitta di dolore. Indietreggiò di qualche passo, così che il martirio passò subito, e lui riprese a respirare normalmente. Quando alzò gli occhi, vide lei era in lacrime, col capo basso.
«E di questo? Ti ricordi?»



Al 27 febbraio! 
Tonia

 
   
 
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