If You are my sunbeam, then I’m your sunflower
Dorcas
sedeva sulle sponde del Lago Nero, con il
libro d’Incantesimi poggiato sulle gambe, mentre lanciava
occhiate di sottecchi
in direzione del gruppo di Serpeverde poco distanti. Erano ragazzi del
suo
stesso anno, arroganti e spocchiosi, e aveva passato quei cinque anni
evitandoli come la peste. Allora perché erano venti minuti
abbondanti che non
riusciva a non guardarli? Scosse la testa, cercando di scacciare quel
pensiero
fastidioso. Abbassò lo sguardo sul libro, sfogliandolo
distrattamente alla
ricerca dell’argomento giusto su cui scrivere la relazione
per il professor
Vitious. Era quasi riuscita a concentrarsi quando una risata
più alta delle
precedenti attirò la sua attenzione. Un ragazzino dai
capelli color grano, che
le sembrava frequentasse il secondo anno, emerse sputacchiante
dall’acqua. Il
moro appoggiato all’albero più vicino lo fissava,
scosso dalle risate.
-
Coraggio, Crouch, esci di lì o finiranno per
spuntarti le branchie. – lo esortò il
più giovane dei Lestrange, l’ultimo a
essere rimasto a scuola.
-
Così assomiglierà davvero a un ranocchio.
–
aggiunse il ragazzo che rideva, contagiando tutti con la sua euforia.
Anche
il ragazzetto dall’aria gracile e malaticcia
rideva, ma non sembrava molto contento.
-
Dagli un po’ di tregua, Rico. – lo
esortò il
cugino, sdraiato sul prato sotto al salice, rivolgendogli un mezzo
sorriso
bonario.
Rosier.
“Si scrive Evan Rosier, ma si legge tronfio
damerino” come amava definirlo la sua amica Eris. Di solito
Dorcas non era il
tipo di persona che provava antipatia istintiva per qualcuno, ma fin
dal primo
giorno di scuola non aveva potuto fare a meno di mal sopportare
l’atteggiamento
del biondo Serpeverde. Arrogante, spocchioso, e convinto che essere un
Rosier
lo rendesse praticamente di stirpe reale. E poi aveva quegli occhi blu,
profondi e ammalianti, che scintillavano quando qualcosa lo divertiva.
Dorcas
detestava quegli occhi, troppo belli per uno come lui, ma ancora di
più odiava
l’effetto che avevano su di lei. Da qualche parte avrebbe
dovuto esserci una legge
che vietava agli arroganti bastardi di essere tanto belli.
Andiamo,
che diavolo ti prende adesso? È di Rosier che stiamo
parlando, te ne rendi
conto?
Lo
so, ma non so spiegarlo.
Riprenditi,
ragazza!
La
voce nella sua testa suonava in modo incredibilmente
simile a quella di Eris.
Sbuffò.
Fantastico, adesso si metteva anche a
parlare da sola.
La
sua attenzione venne attratta da qualcosa di
dorato che scintillava a pochi centimetri da lei: un girasole. I petali
giallo
dorato ricordavano la chioma di Rosier, quell’oro zecchino
che si tingeva di
una miriade di sfumature diverse quando veniva illuminato dai raggi del
sole.
Afferrò lo stelo e lo strappò con un movimento
deciso. Rigirò il fiore tra le
mani, portandolo al volto e assaporandone il profumo. Sorrise,
riponendolo con
cura nella borsa e recuperando le sue cose. Per certi versi aveva un
pezzo di
Rosier con sé, qualcosa che non le facesse saltare i nervi
come la versione in
carne e ossa.
******
Dorcas
stava andando verso l’ufficio di Lumacorno quando
li vide, ad appena un paio di metri da lei. Evan e i suoi amici si
stavano
dirigendo verso la loro Sala Comune.
-
Ultimamente la Meadowes ti guarda spesso. – esordì
Rabastan, un ghigno malizioso dipinto sul volto dai tratti
aristocratici.
-
Tu dici? –
Tono
pacato, freddo, perché il “grande”
Rosier non
si sbilanciava mai.
-
Già. Allora, che ne pensi di lei? –
-
Cosa dovrei pensarne, è secca come un manico di
scopa e possiede la stessa attrattiva. –
La
replica fece scoppiare a ridere i suoi amici.
Evan sorrise, compiaciuto per aver riscosso come sempre la loro
approvazione.
-
Andiamo, Ev, non è poi così male. – lo
contraddì
Rico.
-
È tutta tua, cugino, fanne pure ciò che vuoi.
–
Quelle
parole la colpirono in pieno, provocandole
una fitta al petto che non seppe interpretare. Sapeva di non essere la
quindicenne più femminile della scuola, né
particolarmente provvista di quella
sensualità prorompente che avevano alcune sue compagne, ma
aveva sempre pensato
di essere abbastanza carina. Se non altro l’aveva creduto
fino a quel momento.
A quanto sembrava si era sbagliata di grosso: possedeva
l’attrattiva di un
manico di scopa secondo Evan.
Chiuse
gli occhi, asciugando con decisione le
piccole lacrime che le bagnavano le guance rosate. Percorse i
sotterranei con
rapidità, accompagnata dal rimbombo dei suoi passi, in
direzione della rampa di
scale che l’avrebbe condotta nella sua Sala Comune.
Chiuse
la porta dietro di sé, recuperando il
girasole che giorni prima aveva portato con sé.
-
Stupido, arrogante, insopportabile, idiota di un
Rosier. – ringhiò, strappando rabbiosamente un
petalo alla volta.
Quando
rimase solo il gambo, lo accartocciò nel
pugno e lo gettò via.
-
Ti odio, ti odio, ti odio. –
Affondò
il viso nel cuscino, assestando colpi sempre
più violenti al materasso. Non importava quante volte
ripetesse quelle due
parole, perché non era la verità. Lei non odiava
Rosier, si era solo presa una
cotta pazzesca per lui.
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parole]