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Autore: Silinka    20/02/2014    4 recensioni
«Si può sapere che diavolo vuoi da me?» sibilò guardandolo dritto in volto.
«Un caffè, dieci minuti appena» rispose sincero.
[...]
C’era acqua fredda dentro lo sguardo di Niall, densa, profonda e senza onde. Se in quel momento si gettava una pietra i uno dei suoi occhi, sarebbe affondata per sempre, non ci sarebbe stato un fondo da raggiungere, nessuno schianto che sarebbe risuonato, avrebbe continuato ad affondare, ancora, in eterno. Così Zayn stava precipitato, senza paracadute, senza ancora a cui aggrapparsi. Stava precipitando senza fine nel mare racchiuso negli occhi di Niall, ancora e ancora, senza mai poter raggiungere il suolo, senza mai potersi liberare veramente di lui.
Riscatto e dannazione.
La luna sfiorata con un dito e subito dopo persa.
***
Ziall
Pianist!Zayn Dancer!Niall
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Crediti banner: Thepurlpedoor.


A te, che sei un po' come me, dedico questa storia e le sue parole.
Quelle dette e quelle taciute, quelle che non devi temere,
quelle pronte ad esplodere, quelle che sono fatte per essere pronunciate e sentite da tutto il mondo.

A te, che senza fare nomi spero capirai.



Odio chi mi toglie la solitudine
senza farmi compagnia
F. Nietzsche


I tasti bianchi giacevano sotto i suoi occhi ansiosi di essere sfiorati, bramando ardentemente il fugace tocco delle dita che li avrebbe accarezzati e resi vivi per la frazione di un secondo. Erano lì, distesa immacolata, foglio candido che voleva essere sporcato con i tocchi di Zayn, tanti frammenti desiderosi di essere uniti dal filo di un’unica melodia.
Lo volevano, lo desideravano fervidamente, ne avevano il disperato bisogno. Zayn stesso avvertiva il bisogno di suonare. Impellente e dolorosa necessità dentro le sue articolazioni.
Le mani ferme a mezz’aria, immobili, incapaci di proseguire oltre.
Incapaci di poterli accontentare.
Paralizzate da cosa non si sa. Non lo sapeva nemmeno Zayn cosa lo bloccasse in quella maniera, cosa gli stesse legando i polsi gelandogli le falangi. Cosa lo rendesse muto e sterile.
Le alzò, se le portò vicine al volto esaminandole una alla volta.
Le ammirò, esili, sottili e lunghe, perfette. Le unghie curate, la pelle morbida, gliel’avevano sempre detto che possedeva delle dita create apposta per suonare il pianoforte. Lui aveva sempre ritenuto il contrario, aveva sempre visto le sue mani come comuni mani, non avevano nulla di speciale rispetto quelle del postino che per anni aveva incrociato tutte le mattine, dell’insegnante di matematica che gli aveva dato il tormento durante le scuole elementari, non differenziavano nemmeno da quelle dei suoi amici che aveva sfiorato quando, nascosti in cantina, si passavano la bottiglia di scotch rubata al genitore di turno.
Comuni mani, come quelle di qualsiasi altro mortale.
Comuni mani, che da quando avevano appreso l’arte della musica non avevano utilizzato altro linguaggio per comunicare.
Comuni mani, che erano state in grado di strapparlo alla sua piccola casa di periferia per catapultarlo oltreoceano, in una delle scuole di belle arti più rinomate dell’intera America del nord.
Comuni mani, che lo avevano portato a Boston per scontrarsi con il suo talento.
Comuni mani, che di comune non avevano poi così tanto.
Comuni mani, che ora lo stavano tradendo rimanendo celate dietro il loro mutismo.
Nulla, non ce l’avrebbe fatta nemmeno quel giorno. Ormai erano settimane che non riusciva a suonare nulla di decente, nemmeno la più semplice delle armonie che conosceva era stato in grado di rendere udibile.
Tutto ciò che produceva era vuoto, scialbo, privo di corpo e vita.
Zayn chiuse gli occhi.
La frustrazione era troppa, la sentiva urtarlo dentro, premere sulla cassa toracica, sottrargli aria. Un masso posto esattamente sullo sterno che, con il suo fardello, lo inondava di un’agrodolce malinconia che difficilmente sarebbe svanita.
Inspirò lentamente dal naso, per poi rilasciare l’aria in un leggero sbuffò che gli fuoriuscì dalle labbra rosee.
Poco alla volta iniziò ad escludere tutto.
Qualsiasi cosa cessò d’esistere. Il calore del tramonto sulla sua schiena, il leggero brusio degli altri studenti che si affaccendavano ai piani inferiori, il vento che schioccava contro i vetri della finestra, i vecchi infissi che gemevano per via del freddo, la sua stessa voce che gli riecheggiava rumorosa all’intero della testa smise di parlare. Non v’era null’altro se non la rassicurante presenza dei tasti in avorio sotto di lui.
Loro, che gli avevano tenuto compagnia per un’infinità di giorni, che erano stati le sue parole nel mentre in cui la voce si faceva assente, erano stati il collegamento con il mondo concreto, erano stati una via di fuga e si erano tramutati nella sua stessa vita.
Quella vita che ora lo stava facendo dannare.
Esistevano lui e il pianoforte, l’estensione del suo braccio, il suo corpo.
Schiena dritta. Mente assente.
Così, leggero, talmente lieve da essere trasportato lontano assieme alle note che avevano iniziato a volteggiare attorno a lui. Sempre più in alto, sempre più leggero. Le dita a violare la purezza dei tasti, a sforzarli per obbligarli a parlare.
E Zayn lo stava sforzando il pianoforte, lo stava obbligando a dargli quello che non c’era, stava cercando di concretizzare parole e pensieri troppo perfetti e sfuggenti per essere catturati e limitati in vuote note.
Stridenti armonie iniziarono a graffiare le pareti antiche. I pensieri di Zayn a vorticare sempre più forte, sballottandolo. Paure e ansie.
Le dita ghiacciate avevano rallentato il loro correre. L’atrofia che tornava ad estendersi. Dal petto a tutte le periferie del suo essere. Un ghiacciato mantello che non aveva alcuna intenzione di allentare la sua morsa.
Il desiderio di parlare e sfogarsi impellente, doloroso fino. L’incapacità di farlo a rendergli tutto più faticoso di quanto già non fosse.
Spalancò gli occhi. Le iridi color caramello rese ardenti da rabbia e delusione.
Era di nuovo nell’aula polverosa e ricca di silenzio. Il suo collegamento con il mondo che faceva i capricci.
L’eco dell’ultimo accorto suonato a svanire nell’aria. Impalpabile e impossibile da raggiungere.
Quella situazione doveva finire, il prima possibile.
Doveva farsi passare quel dannato blocco, e doveva trovare il modo per farlo, assolutamente.
La via d’uscita troppo lontana per essere raggiunta da solo.

***

Ancora una volta Zayn si era rifugiato in quell’aula silenziosa e – a quanto pareva – dimenticata dall’intero corpo scolastico. Non che gli dispiacesse anzi, per lui era solo una manna. In quel modo riusciva a concentrarsi meglio ed esorcizzare, per quanto poteva, il blocco che lo stava incatenando rendendogli la fantasia una sterile sequenza di nebbiose immagini.

Ancora una volta si ritrovò seduto sul panchino di legno scuro, sull’angolo sinistro, vicino alla grande finestra che si affacciava sul viale d’ingresso del monumentale edificio, lontano dalla porta, lontano da tutti.
Il sole sempre lì ad accarezzargli, con i suoi rassicuranti raggi, la schiena. Un tepore che gli dava l’illusoria sensazione che quel pomeriggio sarebbe stata la volta in cui sarebbe riuscito ad abbattere il muro contro il quale era schiacciato. L’aria fresca al di la di questo un invitante richiamo, una suadente voce che gli conferiva le energie necessarie per arrampicarsi sul cemento.
Il ragazzo fece schioccare le articolazioni, gli occhi fissi sui tasti che aveva scoperto.
Luccicavano più del solito, parevano felici di vederlo. Una sfida continua erano, i pioli che si sgretolavano dopo il suo passaggio e lo portavano verso l’alto senza alcuna possibilità di ridiscendere, incolume.
Li accarezzò uno ad uno, liberò le tonalità intrappolate in essi, le vide vibrare nell’aria incolore, salire leggere e poi svanire, svanire nel nulla, come accadeva al fumo che si scomponeva in invisibili particelle diventando trasparente come l’aria. E anche se non lo vedevi rimaneva lì, ad appesantirla con il suo screziato odore, diventava parte di lei, si fondeva con lei. Allo stesso modo le note volteggiavano e danzavano sugli impercettibili pentagrammi che decoravano l’atmosfera per far tremare i venti e colorarli con le loro svariate sfumature, arricchirli con le loro mille differenti voci, sempre presenti, letti da pochi, pochissimi, forse nessuno.
L’indice destro si posò leggiadro sul “mi” e ben presto, in automatico, ogni cosa prese il suo corretto posto. Le dita iniziarono a danzare sull’avorio, a premere, scivolare, alternarsi, creare scale e delicate armonie che piroettavano sgargianti. Il corpo rigenerato da quella musica.
Come inizio non era male, sempre meglio di come era andata due giorni prima per lo meno.
Zayn lo sentiva su tutto il corpo l’impatto delle correnti che lo reggevano e lo aiutavano a scalare la nebbia che l’avvolgeva, le percepiva a vibrargli sulla pelle delle braccia lasciate nude, era certo della loro presenza quanto della terra sotto i suoi piedi.
Spinto da loro Zayn incrementò il ritmo, dalla lenta ballata che aveva intrapreso si spostò su un’altra suonata, più veloce e complicata. Gli occhi scorrevano veloci sulla traccia che aveva sistemato sul leggio, le mani ubbidivano come se fossero loro stesse a leggere le note, come se fossero già a conoscenza di quale accordo avrebbero dovuto cercare e far risuonare. E più andava avanti più la brezza che l’aveva spinto a intraprendere quel brano diventava vento, furiose folate che iniziarono a strapazzarlo, non più delicate ma voraci, violente.
L’armonia trovata mandata in pezzi dalla bramosia di suonare, la ricerca disperata di poter esprimere il vuoto e il disagio che avvertiva dentro, quel nero opprimente che lo spingeva al limite senza dargli tregua.
Il ritmo sempre più sostenuto. Di più e ancora di più.
Le note a rincorrersi in una raffica di suoni. Non più chiari e cristallini, ma confusi e sovrapposti.
La dolcezza sostituita dall’asprezza della confusione che si stava venendo a creare.
Il respiro accelerato per l’impeto, la fronte crucciata per lo sforzo, la schiena a piegarsi sotto il peso del silenzio che cercava di assumere forme precise quando di preciso, in quel momento, non c’era assolutamente nulla.
La nebbia avanzava.
La presenza stabile sotto i suoi piedi a cedere.
E il momento terminò ancora prima che Zayn potesse rendersene conto.
Della dolcezza, dell’armonia e la serenità che aveva raggiunto per una frazione di istanti non c’era più traccia. Spazzate via.
Tutto svanito.
Un urlo di rabbia fuoriuscì dalla gola del ragazzo. Risalì ferendolo, straziandolo ulteriormente.
Zayn si sentiva a pezzi, brandelli che si disperdevano nel suo essere ad ogni nota che veniva suonata, un po’ come i tasti che aveva davanti: tanti frammenti di un unico uno che non riuscivano, che lui non riusciva, a mettere insieme.
Disperazione.
Entrambe le mani si abbatterono sulla tastiera candida, troppo bianca e perfetta per i suoi occhi. Lo sgraziato grido di protesta dello strumento si mischiò alla frustrazione del giovane che ancora alleggiava nella stanza.
  
«Era bellissima. Perché ti sei fermato?».
Zayn si voltò di scatto. Il cuore sussultò su quella domanda. Aveva creduto di essere solo, e si era sbagliato. Gli occhi carichi di rabbia si posarono sul ragazzo che, con le braccia incrociate al petto, appoggiato allo stipite della porta, lo aveva interrogato violando la sua solitudine.
Doveva essere uno studente, anche se Zayn non l’aveva mai visto in giro per i corridoi, magari seguiva i corsi di recitazione, forse era lì per la danza. Biondo, i capelli sparati in aria, occhi azzurri, fin troppo azzurri, di quell’azzurro che ti fa pensare al mare d’estate, che rimanda all’acqua, tranquilli e gioiosi. Zayn si sentì affogare dentro di loro per lo sguardo interessato e puro che il disturbatore gli stava rivolgendo. E quando questi si accorse dello sguardo severo che il moro gli stava rivolgendo, si aprì in un sorriso, immenso e luminoso, come il sole che stava iniziando a calare alle spalle di Zayn.
Il moro boccheggiò.
Che ci faceva lì quello? Il quinto piano della scuola era una zona a cui gli studenti accedevano poche volte, non vi erano classi ancora utilizzate, solo un paio di stanze che contenevano gli abiti di scena del gruppo di teatro, per il resto erano ambienti lasciati a loro stessi, adibiti a magazzino nel migliore dei casi.
La stanza col piano Zayn l’aveva trovata per caso, un pomeriggio di quella primavera, stava bazzicando senza una meta precisa e si era imbattuto in quello spettacolare pianoforte, un vecchio esemplare a coda, laccato in oro con bianche decorazioni floreali e qualche uccello che volteggiava aggraziato su di queste. La tentazione era stata troppa per non farlo suo. Impedire alle dita di fare l’amore con l’avorio e l’ebano sarebbe stato un delitto.
Da quel giorno lì sopra era diventato il suo rifugio.
Attraversato da una scarica di nervosismo Zayn si alzò di scatto, afferrò i suoi fogli – che infilò alla bell’e meglio nella sacca scura – e il giubbotto di pelle abbandonato dall’altro capo del panchino per andarsene.
Non che gli desse fastidio essere osservato, o aver del pubblico che ascoltava le sue parole mentre suonava, aveva imparato ad escludere chiunque, suonava solo per se stesso ormai. Quando si sedeva innanzi il piano, in automatico, tutto si cancellava. Gli dava fastidio, invece, e anche parecchio, che quel ragazzo avesse definito la suonata furiosa e concitata che aveva appena bruscamente interrotto come “bellissima”. Non c’era stato nulla di bellissimo in quell’ammasso di note che avevano cercato di uscire tutte contemporaneamente dalle sue mani, non v’era nulla di bello nella desolazione che stava cercando di esprimere e nemmeno nelle note sofferenti che gli ferivano la mente senza trovare la giusta via di fuga.
Non c’era alcuna bellezza nella solitudine.
E il biondo l’avrebbe capito se si fosse soffermato ad ascoltare, ascoltare davvero, quelle variazioni così brusche. L’avrebbe intuito se avesse posto ascolto alle parole nascoste tra una nota e l’altra, nell’asprezza delle note acute, se ne sarebbe accorto se si fosse concentrato senza lasciarsi ingannare dalla melodia che Zayn usava per nascondersi nei toni più bassi e cupi.
Ormai il moro dubitava l’esistenza di qualcuno che sapesse andare oltre ciò che si delineava quando permetteva alle dita di esprimersi da sole.
Con una spallata l’oltrepassò senza rivolgergli una sola occhiata.
  
«Sai, è di comune uso tra noi persone civili rispondere quando ci viene posta una domanda!». La voce del biondo lo inseguì mentre si affrettava lungo il corridoio, e lo perseguitò ad ogni gradino che scendeva.
Lo ignorò completamente. Non aveva nulla da dirgli, nulla di “bellissimo” da condividere con Occhi d’Oceano.
Avvenne così, il primo incontro tra Niall e Zayn.

***

Ancora non ci aveva fatto l’abitudine ad averlo lì. Non che lo disturbasse, figurarsi, quando arrivava Occhi d’Oceano sgattaiolava dentro leggero come un gatto per non disturbare Zayn che stava suonando e si sedeva in un angolo, un libro in mano e non fiatava più, diventava quasi parte integrante dell’arredamento. Ed era arrivato a considerarlo così Zayn: qualcosa di silenzioso ed essenziale, una presenza necessaria, che lo faceva sentire meno solo, che dava un po’ più di corpo alla sua fatica, perché suonare per le orecchie di qualcuno era sempre meglio che sforzarsi e concentrarsi per allietare i granelli di polvere con cui aveva condiviso fino a quel momento la stanza.

Ma quel giorno Cerbiatto non era ancora arrivato e Zayn… Sì, Zayn si stava preoccupando o, per lo meno, avrebbe denominato come preoccupazione mista a fastidio ciò che gli circolava nel corpo assieme al sangue. Sentiva le mani prudergli e non riusciva a concentrarsi. Gli occhi, dagli spartiti, continuavano a correre alla poltrona sulla quale solitamente il biondo si accasciava e diventava il mittente – indiretto – delle parole di Zayn.
Aveva mezz’ora di ritardo. Da dieci giorni a quella parte non aveva saltato una sola volta il loro appuntamento, se così si poteva definire quel rituale: due sconosciuti che si rinchiudevano nella stessa stanza, senza parlare, senza condividere null’altro se non l’aria che li circondava, senza degnarsi di uno sguardo, ognuno assorbito dal proprio mondo.
E Zayn, che gli piacesse o meno, nell’ultima settimana aveva vissuto e covato in sé la speranza e la gioia di poter passare quell’ora e mezza assieme ad Occhi d’Oceano. Come già detto, non interagivano tra loro, ma il semplice fatto che Occhioni rimanesse lì nonostante tutto, che si ostinasse a sbattere contro il mutismo di Zayn e del suo piano, era qualcosa che rincuorava il moro e gli dava quella leggera scarica in grado di far sgocciolare il suo gelo.

Sospirando abbattuto lasciò che lo sguardo scivolasse languido dalla poltroncina verde alla finestra dalla quale entrava flebile luce. Nuvole scure stavano carpendo il cielo al sole. Avrebbe piovuto probabilmente. Lo rilassava il rumore della pioggia, lo aiutava a pensare e lo cullava nell’attesa che il sonno giungesse ad annullarlo.


Niall arrivò all’ultimo piano con il fiatone. Aveva fatto le quattro rampe di scale correndo, facendo i gradini due a due con il borsone del cambio che gli cozzava fastidiosamente contro le gambe, come se stesse cercando di farlo crollare a terra impedirgli di raggiungere il suo pianista.

Una volta arrivato nel corridoio dell’ultimo piano, quello in cui era stato attratto da dolorose note suonate con rabbia. Non percependo alcuna malinconica melodia aleggiare nell’aria rafferma imprecò sottovoce, e il terrore di non trovare il motivo per il quale era corso fin lì sopra si quadruplicò facendogli tremare il cuore nel petto.
Non se lo sarebbe perdonato.
Tutta colpa della professoressa di danza classica che l’aveva trattenuto per riferirgli delle modifiche apportate al balletto che si sarebbe tenuto il 23 dicembre.
Gli piaceva ascoltarlo, lasciarsi ammaliare da quelle stridenti note che, in quei giorni, lentamente, avevano preso più sfumature abbandonando – giusto un poco – la loro disperazione per arricchirsi di un maggior colore. Era bello affrontare quelle parole di cui non sapeva ancora il significato ma che, pian piano, stava iniziando a riconoscere.
Col cuore che galoppava il biondo spalancò la porta di quella che aveva iniziato a considerare la loro stanza. Il silenzio che aleggiava ovunque non servì a tranquillizzarlo, affatto. Il rimbombo del legno che andò a sbattere contro la parete si riverberò per l’intero piano.
Il fragore di un tuono che si abbatte sul suolo.
Due occhi profondi come la notte a schiantarsi contro di lui.
Allora c’era!
Niall rimase fermo qualche istante sull’uscio, il braccio destro proteso in avanti quello sinistro a reggere la tracolla del borsone. Sulle labbra si dipinse un sorriso sempre più smagliante. L’aveva aspettato. Il suo pianista preferito, l’unico che conosceva a dire il vero, non se ne era andato tradendo le loro ore. Era rimasto lì.
Mordendosi il labbro inferiore il biondo richiuse accuratamente la porta alle spalle stando attento a non far troppo rumore e, con la solita delicatezza con cui si muoveva, si diresse fino alla poltrona sulla quale sarebbe rimasto accovacciato per i successivi sessanta minuti. E pace se non avrebbero parlato, se nemmeno la musica li avrebbe uniti quel pomeriggio, se si sarebbero rintanati ognuno nei propri pensieri e dilemmi escludendo l’altro, erano lì, assieme, bastava.
  
«Sei in ritardo. Stavo per andarmene» mormorò il ragazzo, dal tono della voce che sfoderò trasparì tutto il fastidio per quell’arrivo così tanto posticipato.
Niall si girò di scatto, gli occhi sgranati, il cuore a rimbalzare ancora più forte nel mediastino. No, non l’aveva sognato, il pianista aveva parlato davvero. Dopo dieci giorni di silenzio stampa si era deciso a dar fiato alla sua voce. E non era per niente simile a quella che Niall si era immaginato, era profonda e dolce, cadenzata e calda. L’accusa di aver posticipato il suo arrivo gli accarezzò le orecchie insinuandosi nel suo cervello impastandoglielo, mandando il biondo su di giri. Niall si trattenne davvero dal saltare felice e correre ad abbracciare il moro per il regalo che gli aveva fatto quel pomeriggio uggioso. Svelargli la sua voce era il dono migliore potesse ricevere, stava a dimostrare una minima apertura, un infinitesimale spiraglio di luce. Pace se ancora non riusciva a tradurre il dolore che il ragazzo esprimeva attraverso la musica, il fatto che gli aveva rivolto parola era già un evento prezioso! Ogni cosa a suo tempo.
Niall inspirò per calmarsi e mettere freno a tutta l’eccitazione che aveva iniziato a vorticargli nelle vene.
  
«Scusa, mi hanno trattenuto finita la lezione, non avrei voluto lasciarti solo» rispose sincero mentre si lasciava cadere sulla poltroncina. Si sistemò con le ginocchia puntate contro il bracciolo destro, in modo da poter guardare il pianista senza dover fare strane contorsioni.
Zayn, il suo nome l’avrebbe scoperto solo in seguito, era seduto sempre al solito posto, la schiena ricurva, la testa incassata tra le spalle e lo sguardo perso sulla distesa di note intrappolate in tasti bianchi. Le dita stavano danzando pigramente su di questi, li sfioravano appena senza dar alcun segno di voler approfondire quel contatto. Magari quel giorno non era in vena di suonare, ipotizzò Niall che si era portato l’indice alle labbra per poter torturare con i denti le pellicine.
Lo osservò a lungo, lo studiò con cautela.
Non sembrava uno sul punto di andarsene: i fogli con gli spartiti giacevano ancora tutti disordinati sul leggio e in parte sul coperchio della coda, il giubbotto di pelle ricadeva sgraziato sul lato destro del panchino, la sacca accasciata a terra accanto ai pedali. Bella bugia, probabilmente detta giusto per farlo sentire ulteriormente in colpa, poco credibile.
  
«Okay» sussurrò e, senza dare la possibilità a Niall di ribattere, contrasse le spalle, raddrizzò la schiena lasciando la possibilità alla musica di diventare il loro unico canale, avevano già parlato abbastanza, era giunto il momento di concedere alle note di librarsi nell’aria.

***

La campanella che annunciava la fine della terza ora del pomeriggio suonò puntuale come sempre, uno sgargiante suono che preannunciava la libertà. La consueta folla di studenti si riversò come un fiume in piena nel corridoio del secondo piano permeando l’aria con le loro fresche voci. Niall era tra questi quel giorno.

Contro qualsiasi logica aveva deciso di saltare le ultime due ore di lezione. Assurdo anche perché due giorni dopo avrebbe avuto lo spettacolo di Natale, ma non gli importava, gliene fregava fin lì, i passi li sapeva a memoria, era sicuro della sua coreografia, avrebbe potuto eseguirla anche ad occhi chiusi riscuotendo un certo successo. Quel giorno aveva tutt’altro per la mente e sapeva che, se quella questione non si fosse risolta, ballare sarebbe stato un’impresa. Per questo stava fuggendo, la scusa che aveva bisbigliato per defilarsi portata via dalla confusione generale.
Niall corse fuori dalla sua aula, non c’era tempo da perdere, doveva sbrigarsi per attuare la folle idea che gli era venuta in mente quella notte. Aveva calcolato i tempi al secondo e sapeva che, se non fosse riuscito a prendere tempestivamente il pianista, poteva dire addio al suo tentativo di approfondire quella cosa che erano e al tempo stesso non erano ma che sarebbero potuti diventare.
Sganciò la borsa e tutti i libri nell’armadietto che gli era stato assegnato, lì buttò dentro a casaccio, poi avrebbe sistemato, prima o poi, magari no. Afferrò il giubbotto e ravvivò i capelli. Sì, poteva andare. Per ricevere un probabile “no” non era messo così male!
Inspirò a fondo, cercò di tranquillizzarsi – era assurdo quanto potesse essere agitato per un possibile caffè preso con il ragazzo dagli occhi più magnetici che avesse incontrato in vita sua – e, fatta mente locale su quello che avrebbe detto, si avviò verso le scale. Il cuore gli sussultava nel petto ad ogni passo, ogni spallata dal senso contrario che gli veniva inferta era uno stimolo ad andare avanti e raggiungere il suo obbiettivo.
Niall si fermò a metà tra il secondo e il terzo piano. Così aveva più possibilità di corrompere il suo malinconico pianista, o per lo meno lo sperava.
Si schiacciò nell’angolo del pianerottolo per non essere investito dalla massa di ragazzi che si apprestava a lasciare l’edificio per andare a rinchiudersi al caldo nei dormitori. Il vociare continuava imperterrito, come i minuti che scorrevano lenti trascinandosi placidi uno dopo l’altro senza sosta, senza lasciargli il tempo di respirare.
Okay, se l’avevano informato a dovere il ragazzo sarebbe dovuto arrivare a momenti, a differenza loro il corso di musica finiva le lezioni alle cinque in punto, ed ormai erano le cinque passate. Controllò l’orologio sbuffando. E se non fosse riuscito a vederlo? Se era già sgattaiolato all’ultimo piano? Se invece non si fosse recato a lezione quel giorno? Era passato troppo tempo dall’ultima volta che l’aveva visto ed era stato in sua compagnia. Ah! Tutta colpa di quel dannato balletto che gli stava dando più problemi che altro.
Ed eccolo, finalmente, scintilla di gioia a far esplodere i tristi pensieri che avevano iniziato a rosicchiare la mente di Niall.
Saliva lento, lo sguardo puntato sugli scalini.
Niall si piazzò innanzi a lui, gli occhi color nocciola lo trafissero, malinconici come sempre, furiosi, delusi magari. Lo ignorò completamente, il moro oltrepassò Niall come se non fosse lì, spense con la sua freddezza l’immenso sorriso che aveva teso le labbra del biondo. Oh no, se pensava di sbarazzarsi di lui con così poco si sbagliava alla grande.
  
«Hey!» lo richiamò iniziando a seguirlo lungo la scalinata. Niall non se lo sarebbe lasciato sfuggire dalle mani. «Aspetta un attimo dai!» urlò ancora affrettando il passo per poter restare dietro al ragazzo che procedeva come se niente fosse. «Zayn, per favore!» mormorò. Non avrebbe voluto giocare la carta del nome svelato in anticipo ma, per lo meno, servì a fermare il ragazzo che lo stava precedendo costringendolo a voltarsi verso di lui.
  
«Si può sapere che diavolo vuoi da me?» sibilò guardandolo dritto in volto.
  
«Un caffè» rispose semplicemente dicendo il vero, reggendo lo sguardo di totale indifferenza che gli era rivolto.
Il moro, Zayn, sgranò gli occhi scuotendo la testa prima di riprendere la sua salita. Un buco nell’acqua. Niall si morse il labbro inferiore indeciso su quali parole usare per convincere il ragazzo ad accettare il suo invito. Doveva accettare!
  
«Ti prego! Dieci minuti appena, poi potrai andartene e ignorarmi quanto vorrai, poi ti lascerò in pace e non ti darò più tormento, te lo giuro! Non verrò più nemmeno a disturbarti quando ti rinchiuderai la su, né farò null’altro che possa darti fastidio» riprese Niall con tono serio. Sapeva benissimo che non avrebbe potuto mantenere quella promessa, non ce l’avrebbe fatta a restare senza ascoltare e vedere Zayn, avrebbe dovuto trovare altri modi per perdersi in lui. Un gradino in meno a dividerli, i suoi grandi occhi chiari a supplicare il moro di acconsentire, la sinistra aggrappata al corrimano, protesa verso l’alto come un invito a seguirlo.


Niall ci impiegò più di cinque minuti prima di tornare indietro. Era come se la metà degli allievi del collegio si fosse riversato all’interno del pub che affiancava la scuola. In mano portava due tazze fumanti e procedeva sicuro in mezzo ai ragazzi, scoccava di quando in quando sorrisi rivolti a conoscenti, ragazzi che intravedeva per i corridoi durante lezione o chiunque incrociasse il suo sguardo. Era felice, si percepiva il suo buon’umore a colpo d’occhio, le profonde iridi azzurre risplendevano cristalline.

  
«Ecco, questa è tua, hanno messo anche la panna, spero ti piaccia, se no gliela porto indietro subito eh!» esordì mentre depositava la cioccolata innanzi a Zayn che lo ringraziò mormorando un flebile “va benissimo” intanto che il compagno si accomodava in fronte a lui. Era nervoso, inutile negarlo, si sentiva le mani ghiacciate e l’agitazione ruggirgli in fondo allo stomaco. Dover affrontare Niall, doverlo fare senza alcun mezzo che potesse aiutarlo a parlare, faceva sentir Zayn parecchio insicuro.
 
 «Come facevi a sapere come mi chiamo?» chiese dopo lunghi attimi di silenzio, forse con un tono un po’ troppo duro che, però, non intimidì il biondo, o almeno parve. Prima di rispondere Niall deglutì il sorso della calda bevanda pulendosi le labbra sporche con la lingua.
  
«Ho chiesto in giro» rispose facendo vagare lo sguardo ovunque tranne che su Zayn, come se fosse imbarazzato di confessare quell’intrusione probabilmente indesiderata. «Sai, non è stato molto difficile identificarti. Alto, scuro di carnagione, capelli neri, barbetta, tatuaggi ovunque sul braccio destro, occhi magnetici, pianista… Non ce ne sono molti che rispondono a questa descrizione» proseguì concedendosi un mesto sorriso. Al che, lo stomaco di Zayn fece l’ennesima capriola senza senso. Gioì e al tempo stesso si rattristò per quel gesto.
Vedendo che il moro ci metteva tanto a ribattere, il biondo abbassò il capo mortificato, strinse tra le mani l’alta tazza bianca prendendo un lungo sorso della cioccolata bollente domandandosi quanto ancora Zayn ci avesse impiegato prima di andarsene e lasciarlo solo. Lo percepiva che era a disagio, lo vedeva nelle dita che si torturavano tra di loro e nei denti che tormentavano le pellicine delle labbra rosse e screpolate. Arrivato a quel punto Niall si era convinto che per loro non ci sarebbe stata altra vita se non in quell’aula dimenticata da tutti. Doveva mettersi il cuore in pace e dirgli che i dieci minuti che era riuscito a strappargli sulla scalinata erano terminati e poteva tornare a nascondersi dietro il suo pianoforte. Solo che lui era così… Uno stimolo e ricerca, continua esplorazione e voglia di avanzare all’interno della foresta di pensieri che il moro custodiva dietro quegli occhi dolci e languidi.
Ancora prima che Niall potesse aprire la bocca per annunciare al ragazzo che aveva davanti che poteva andarsene e non gli doveva più nulla, questi lo precedette deliziando ancora una volta le sue orecchie con quella voce che lo aveva cullato nelle ore più profonde della notte.
  
«A questo punto dovresti dirmi qual è il tuo di nome non credi? Funziona così» borbottò spostando gli occhi dalle falangi al volto di Niall. Zayn vide chiaramente tutte le emozioni che gli tesero i muscoli: prima sorpresa, poi un pizzico di incredulità che gli fece sgranare gli occhi, stupore che lo lasciò qualche secondo perplesso per concludere con quel sorriso radioso che gli fece increspare la pelle attorno gli occhi. Ovviamente, il biondo si era spettato tutto tranne che quello.
  
«Horan. Niall Horan!» squittì allegro come un bambino. I flutti di malinconia, che erano giunti ad incupire l’oceano che Occhioni rinchiudeva nelle iridi, furono strappati via dalla voce di Zayn che, udita la risposta, scoppiò in una fragorosa risata.
  
«E dove tieni nascosta la pistola James Bond?» scherzò scuotendo la testa e sorrise. Ah che sorriso! Fu lampo che gli illuminò il volto e fece precipitare Niall nell’Inferno più bello che avesse mai visto, fu perdizione e inizio di una caduta che non avrebbe avuto fine imminente.
  
«Simpatico» borbottò Niall con le guancie che acquisivano sempre più colore passando da una sfumatura rosata – causata dal freddo preso poco prima – ad un rosso scarlatto. «Almeno le presentazioni ora sono fatte» scrollò le spalle giocherellando distrattamente con il cucchiaio.
  
«Già. Almeno adesso so come si chiama lo strano ragazzo che viene a spiarmi tutte le volte che provo» disse in risposta Zayn abbandonandosi allo schienale della seggiola sulla quale si era accomodato. Con lo sguardo iniziò ad ispezionare lo spazio a loro circostante. Magari avrebbe intravisto Rebecah, la violoncellista con la quale aveva suonato un paio di pezzi, o John, quello strano ragazzo dai capelli verdi che andava sempre in giro con le cuffie nelle orecchie, o Larry magari, il suo rumoroso vicino di stanza, così Zayn avrebbe potuto dimostrargli che aveva altre conoscenze nel complesso scolastico che eludevano da lui e non “stava rintanato tutti i giorni in un angolo buio a parlare con il pianoforte” come lo sfotteva sempre il ragazzo.
  
«Hey! Io non sono strano!» ribatté prontamente Niall aggrottando la fronte in un’espressione che Zayn trovò terribilmente adorabile e tenera.
  
«Se lo dici te» commentò inarcando un sopracciglio.
  
«Illuminami allora, perché sarei strano?» chiese sporgendosi in avanti. I gomiti appoggiati sul piano del tavolino, la testa sorretta dalle dita intrecciate tra di loro. Lo sguardo non si allontanò un istante dalla figura del moro, lo studiò in tutti i suoi particolari: gli occhi che scattavano da un lato all’altro della stanza inseguendo questa o quella persona, il volto rilassato privo di qualsiasi ansia, c’era perfino quell’accenno di sorriso che nemmeno il suo immenso amore per la musica gli era riuscito a strappare in quell’ultimo periodo. Sembrava leggero, e bellissimo. Lo era bellissimo.
Fu un pensiero che venne fuori da solo, non ci fece nemmeno caso Niall. Cosa che catturò la sua attenzione per una frazione di secondo, invece, fu il cuore che tremò quando la concentrazione di Zayn tornò su di lui. Fu una scarica che partì dal centro del petto per diramarsi in tutto il corpo lasciandolo stordito. Quasi come quando all’età di cinque anni aveva preso la scossa, ma molto più forte, ed inebriante.
  
«Beh, intendo, chi te lo fa fare di restare la sopra? Non ti costringe nessuno, non suono nulla di così imperdibile, non parliamo, non facciamo nulla assieme, eppure continui a venire, lo facevi per lo meno, imperterrito, tutti i pomeriggi, ed io… Boh».
  
«Ora lo stiamo facendo!». Gli occhi chiari fissi in quelli di Zayn. Oceano che annegava in un mare di caramello fuso, o era il caramello a sciogliersi nell’acqua del mare, i due ragazzi non avrebbero saputo dirlo. Fatto stava che non era una semplice cioccolata quella, nel giro di mezz’ora stavano venendo fuori le parole che per venti giorni circa erano rimaste senza corpo.
  
«Ora stiamo facendo cosa?».
  
«Ora stiamo parlando. In questo momento stiamo facendo qualcosa assieme, io e te, qualcosa che non sia solo ascoltare il tuo silenzio che prende forma e colore con la musica o vedere quelle note straziate che cercano di esprimere una malinconia troppo grande per loro» rispose Niall spiegando. Lo sguardo di Zayn si intensificò, colto nel vivo, ora il caramello aveva iniziato a ribollire. Il biondo lo resse, non poteva lasciarselo sfuggire proprio ora che Zayn iniziava a lasciarsi andare, e poi doveva ancora chiedere al moro quello per cui l’aveva invitato. Doveva darsi una mossa.
Sospirando Niall si concentrò sulle parole migliori da rivolgergli, sapeva che non gli rimaneva molto di quella compagnia e doveva ottimizzare i tempi senza forzarli eccessivamente. Infondo quella era la prima volta che parlavano seriamente e sputare fuori un invito così su due piedi… Lo terrorizzava. Due “sì” nello stesso giorno, a distanza di nemmeno un’ora, da parte di una persona riservata come Zayn, sarebbe stato come vedere la luna tingersi di viola: impossibile.
Zayn non aveva minimamente toccato la sua cioccolata. Giaceva ancora intatta nella sua tazza bianca. Niall annuì tra sé e sé. I denti stuzzicarono un’ultima volta il labbro rotto per via del freddo e, con entrambe le mani appoggiate sul ripiano scuro, si diede la spinta necessaria per inseguire il criptico ragazzo che stava abbandonando il locale.
Fuori pioveva. Zayn era in mezzo alla strada, niente ombrello ovviamente, il colletto del giubbotto tirato su per ripararlo il più possibile dalle gelide folate.
Un respiro.
  
«Zayn!» lo richiamò a gran voce fermo sotto la pensilina del locale. Vedendolo arrestarsi cercò dentro di sé la forza per parlare. Chiuse gli occhi e lasciò che la voce oltrepassasse la loro barriera sfidando la pioggia e il vento. «Dopo domani ci sarà il balletto di Natale, e io avrò un assolo e mi stavo chiedendo, cioè mi farebbe molto piacere se venissi a vedermi, sarebbe importante per me. Non avrei nessun’altro e sarei davvero felice se accettassi. La cioccolata di oggi era un pretesto per poterti invitare perché non sapevo come fare ecco!». Niall tremava e sorrideva. Come si era aspettato Zayn non gli rispose e riprese ad avanzare verso il dormitorio scomparendo nel buio che era giunto.
L’aveva fatto, aveva chiesto alla luna di mutare la sua candida luce in una purpurea aurea che lo ricolmò di traboccante speranza.

***

Zayn si sentiva estremamente a disagio, era annoiato e non vedeva l’ora di poter abbandonare quella scomoda poltroncina rossa per tornare al caldo nella sua stanza. I ragazzi che si erano esibiti sul palco ottocentesco erano stati uno più bravo dell’altro, senza dubbio, ognuno aveva interpretato il proprio pezzo in maniera eccellente, per quanto poteva sembrare ad un occhio inesperto di danza come era quello di Zayn.

Hip-hop, jazz, classica e moderna. Ragazzi e ragazze, alcuni suoi coetanei, altri che dovevano avere all’incirca dodici anni e qualcuno che andava oltre i venti. Passi a due, singoli, intere crew, tutti da omaggiare con un caloroso applauso. Fatto stava che Zayn, dopo quasi due ore, con le mani che dolevano, un paio di pisolini alle spalle, il collo indolenzito, si ritrovò con il cuore che palpitava vigoroso contro le ossa della cassa toracica quando i suoi occhi si posarono sul nome del prossimo ballerino che avrebbe solcato la ribalta. Per l’ennesima volta lesse quegli aggraziati caratteri color borgogna ritrovandosi a sorridere.
  
«Horan Niall, quarto anno di danza, si esibirà in un passo a due tratto da “Romeo e Giulietta” accompagnato dalla ballerina Prince Christine». Ancora una volta si chiese per quale motivo la voce gli tremasse in quella maniere e il cuore tuonasse così rumorosamente. La cosa stava prendendo una strana piega che non gli piaceva affatto.
Le luci si abbassarono, il brusio che era arrivato con il cambio di scena si trasformò in pochi istanti in religioso silenzio. Poi accadde tutto in sequenza: un’unica pozza chiara illuminò il palco, Niall avanzò leggiadro come una piuma sospinta dal vento piazzandovisi nel mezzo, era vestito di una bellissima stoffa verde intenso che faceva risaltare i capelli color del grano – ordinatamente pettinati all’indietro e non sparati in aria come al solito. Il cuore di Zayn ebbe l’ennesimo sussulto e, anche se sedeva in decima fila, riuscì a vederlo chiaramente il sorriso che increspò il volto del ragazzo quando il suo sguardo si depositò su di lui. La concentrazione ritrovata l’istante dopo. Subito una leggera armonia iniziò a vorticare nell’aria e Niall si mosse lasciandosi guidare da quella. E se per i precedenti centoventi minuti Zayn non aveva fatto altro che annoiarsi e vagare lontano con la mente, per quelli durante i quali fu il suo silenzioso ascoltatore a dar vita alla musica e parlare con la sua arte, a malapena batté ciglio. Non aveva mai visto il biondo danzare, non aveva mai potuto vederlo esprimere le sue parole mute di natura, ma ora che l’aveva davanti era certo di non aver incontrato in vita sua essere più splendente e aggraziato di lui.
Per Niall ballare rappresentava la stessa cosa che per Zayn era il pianoforte: una via di fuga, respiro e vita.
In ogni movimento che compiva si percepiva forza, in ogni piroetta o presa o passo di cui Zayn non avrebbe mai saputo il nome erano racchiuse speranza, gioia e quel briciolo di malinconia che rendeva il tutto più vero. Niall non stava semplicemente ballando, stava parlando con tutto il suo corpo, aveva delegato ai suoi arti il compito di comunicare e dire ciò che lui non era in grado. Le parole che non potevano essere espresse a voce, i pensieri incomunicabili, le fantasie troppo pure e oscure per uscire dall’antro in cui nascevano.
Vederlo così preso e concentrato fu come vederlo per la prima volta.
Percepirlo e scoprirlo per ciò che era.
Un frammento straziante che riprende i due amanti immolarsi per il loro eterno amore, bellissimo nella disperazione di cui era pregno.
Dopo non si sa quanto tempo, dopo infiniti minuti, due attori si accasciarono l’uno sull’altro. Le luci si spensero, la musica cessò. Troppo presto, ancora troppo presto, Zayn avrebbe voluto impedire ai tendoni di chiudersi e strappare i due ragazzi alla folla, avrebbe voluto opporsi e godere ancora e ancora di quella visione. Perché vedere Niall danzare e ricambiarlo dei segreti che gli aveva donato nei giorni che avevano condiviso non poteva essere limitato a quella decina di minuti.
La folla si alzò in piedi, un boato di applausi e incitazioni, “bravi” urlati e fischi d’approvazione. Zayn lo sapeva, sapeva che il sorriso che Niall sfoderò quando uscì a ringraziare assieme a tutti gli altri ragazzi del suo corso non era per nessuno lì dentro eccetto lui. Gli occhi azzurri fermi su Zayn per farlo affogare ancora una volta dentro di loro.
Fu quel sorriso e quella pressione che gravava sui polmoni del moro, che tennero compagnia al ragazzo mentre, assieme ad un’altra decina di persone, stava aspettando i performanti all’uscita sul retro. C’erano mamme, genitori, fidanzate, tutti che si complimentavano gli uni con gli altri per la bravura del figlio e poi c’era lui, leggermente in disparte rispetto tutti i presenti. Gli occhi erano fissi sulla piccola porta scura, la tensione a mordergli lo stomaco, per poi divorarlo completamente quando la luce dei retroscena proruppe nella notte di dicembre lasciando uscire i ballerini accompagnati dal loro chiacchiericcio. Niall era tra di questi, ma si staccò immediatamente dalla compagnia non appena si accorse della presenza del moro.
Zayn lo vedeva ancora risplendere della luce che l’aveva avvolto mentre danzava. Quella luce che gli fece aumentare il battito del cuore ed iniziò a scorrergli nelle vene.
  
«Hey!» lo salutò calorosamente fermandosi ad un palmo da Zayn. Quella vicinanza mise a disagio il moro che ballò da un piede all’altro ricambiando in maniera imbarazzata il saluto. «Io, non pensavo di vederti davvero, cioè intendo, sono felicissimo, grazie Zayn». Si aprì in un sorriso immenso infilando le mani in fondo alle tasche dei jeans, con cui aveva sostituito il costume di scena, per reprimere l’impulso di avvolgere tra le proprie braccia e stringere a sé il moro.
  
«Cosa ti fa credere sia davvero qui per te?» chiese curioso Zayn, con tono brusco, scrutando il ragazzino arrossire. Brutale, non era riuscito a trattenersi. Insomma, non poteva dargliele tutte vinte senza farlo patire un poco!
  
«Beh, perché io… » balbettò con l’entusiasmo che vacillò. Ma prima che Niall potesse finire di rispondere una terza voce si intromise interrompendolo. Il dubbio lasciato con la fame a rosicchiarlo.
  
«Hey Horan! Noi andiamo a prendere qualcosa da bere tutti assieme, tu e il tuo amico che fate: vi unite o andate a festeggiare da soli per conto vostro?» domandò il ragazzo che si era fatto avanti. Calcò particolarmente in malizia sull’ultima parte della frase.
  
«Non combinare troppi casini senza di me Jo mi raccomando! Ci vediamo domani prima delle partenze» rispose dopo pochi attimi Niall, dopo aver scoccato un’occhiata al ragazzo che aveva di fronte, sventolando in aria la mano per salutare Jo e il resto della sua compagnia prima di spintonare – sempre senza annullare la sua innata delicatezza – Zayn verso il lato opposto nel quale i ballerini si erano indirizzati.
Niall voleva stare un po’ solo con Zayn, era vero, non aveva grandi pretese per il resto della loro serata, non che si aspettasse chissà che cosa, gli sarebbe andato bene anche solo camminare uno al fianco dell’altro senza parlare, ormai era abituato al silenzio del suo compagno e aveva iniziato ad apprezzarlo.
  
«Potevi andare con loro, non eri obbligato a bidonarli per me» mormorò Zayn alzando le spalle, le mani infilate nelle tasche del trench nero, lo sguardo fisso davanti a sé e il cuore che palpitava ogni volta la spalla di Niall per sbaglio urtava la sua.
  
«E perdermi l’occasione di accompagnarti fino al dormitorio per scoprire dove dormi e poterti poi stalkerare come si deve? Neanche per sogno!» rispose scoppiando in una fragorosa risata, che si levò alta per la via che stavano percorrendo addobbata da luminarie colorate. Le guancie di Zayn si colorarono di una tenue sfumatura di rosso, cosa che non sfuggì ai chiari occhi di Niall che avevano continuato a sbirciare verso il ragazzo.
  
«Ma, ehm, uhm, tornerai a casa per queste vacanze?» volle informarsi Niall. Aveva colto l’imbarazzo che era sceso sul suo accompagnatore e si era insultato da solo per aver aggiunto ulteriore mole alle parole dette da Jo che già avevano messo a disagio Zayn.
Alla parola “casa” il moro venne trafitto dall’ennesima scarica, differente dalle fitte che gli avevano fatto contorcere il cuore le precedenti volte, questa aveva con sé persone e ricordi che avrebbero fatto meglio a rimanere lontani. Un addio detto troppo di fretta, mormorato tra un bacio e una lacrima, una promessa di rimanere per sempre sussurrata che sia lui che Liam sapevano non sarebbe stata mantenuta, la madre lasciata sola con le lacrime agli occhi. Casa, gli mancava terribilmente casa, ormai era più di un anno che non tornava in Inghilterra e no, non sarebbe tornato nemmeno quell’inverno.
Scosse la testa.
  
«Già. Nemmeno io» si strinse nelle spalle; Niall non era né dispiaciuto né felice di rimanere lontano dalla baraonda che si scatenava in casa sua durante le festività. Per quell’anno avrebbe potuto anche farne a meno.
Il resto del viaggio lo fecero in rigoroso silenzio. E rimasero in silenzio anche quando i loro passi risuonarono sordi all’interno dell’edificio che accoglieva le stanze dei ragazzi. Dei pochi studenti che erano rimasti una decina si apprestava a partire il giorno seguente, mentre gli altri, per svariate motivazioni, avrebbero trascorso il periodo delle vacanze all’interno del complesso dell’Academy of Realist Art.
Niall si fermò una volta giunto sul pianerottolo del terzo piano, l’ennesimo sospiro intrappolato nei polmoni.
  
«Ascolta Zayn, io intendo, se per caso io ti invitassi a venire in camera da me, così per stare ancora un po’ assieme, io non ho sonno e tu? Non mi va di rimanere solo. E cioè, se non hai voglia o fretta di andartene, che ne so io, potresti anche entrare no? E’ così, un’ipotesi buttata lì» balbettò il biondo, con gli occhi puntanti sulle scarpe, troppo imbarazzato per poter guardare Zayn in volto. Il candore della sua pelle reso ardente dal rossore che gli stava facendo ribollire il sangue nelle vene.

   «
I soliti dieci minuti e poi mi lascerai in pace, potrò andarmene e ignorarti senza che tu mi dia ulteriore tormento?» ribatté Zayn e, sebbene il tono che sfoderò non fu proprio ironico come quello che gli era rimbombato nella testa  mentre formulava quella risposta, il sorriso che rivolse al giovane dalle ardenti gote seppe riempire Niall di gioia.


La stanza di Niall era più grande e spaziosa rispetto la sua, oltre che essere molto ma molto più disordinata, ma a questo Zayn decise di non badare particolarmente.

Una pila di vestiti da stirare era stata spostata dal letto del biondo a quello del suo compagno di stanza che, a detta sua, era partito quella stessa mattina per raggiungere la famiglia in Oklahoma, in modo da permettere ai due ragazzi di accomodarvisi su. Zayn si era seduto a gambe incrociate sul bordo, Niall steso dietro di lui era ancora intento a raccontare al ragazzo di quanto assurdo potesse essere il Natale in casa con parenti di ogni dove che si riversavano nel soggiorno della piccola villetta degli Horan.
  
«E questo è quanto. Intendo, mi piace stare con loro, ma nel corso degli ultimi anni me li sono sentiti sempre più stretti addosso. Come il colletto troppo piccolo di una camicia che toglie aria e più tenti di allargare più si stringe. Così domani sarà il primo Natale che passerò solo, lontano dalla mia famiglia» concluse con un profondo sospiro avvilito. Gli occhi fissi al soffitto non si sganciarono dal cono di luce che illuminava la bianca intonacatura. Aveva il braccio sinistro portato dietro la testa, infilato sotto al cuscino, quello destro invece si stava protendendo verso Zayn per passargli lo spinello che aveva rubato dal nascondiglio del suo compagno di stanza. Uno sbuffo d’ara bianca si librò davanti i suoi occhi.
Alla fine nemmeno quella volta Zayn si era trattenuto solo per i dieci minuti pattuiti, ormai era quasi un’ora che erano rincasati e il moro non mostrava segni di volersene andare. Magari, tutto sommato, si trovava bene lì con lui. Ecco, nell’esatto momento in cui Niall formulò questo pensiero si sentì estremamente leggero, percorso da un fremito e sorrise arrossendo per gli occhi scuri del compagno che si erano adagiati su di lui.
Con i capelli scompigliati, le maniche della maglietta bianca fatte su fino al gomito, con gli occhi che lo scrutavano nel profondo e lo facevano sentire estremamente vulnerabile, che lo facevano sentire compreso e completo come solamente con la danza accadeva. Niall si sentì tremendamente attratto da lui e dalla sua bellezza, come la luna con la terra, lo sentiva necessario e fondamentale. Le labbra rosee che Zayn si ritrovava erano state create apposta per baciare, le mani fini per donare carezze, gli occhi screziati per far arrossire e quella voce calda e profonda per sussurrare infinite volte il suo nome, solamente il suo, ne era certo.
Niall scosse la testa cercando di annullare la voce che gli rintoccava nelle orecchie. Attribuì tutti quelle fantasticherie e vani pensieri all’erba fumata, senza dubbio era colpa sua. Lei che gli aveva reso mellifluo il cervello scavando a fondo dentro di lui.
  
«Completamente solo non lo sei Niall, ne lo sarai mai. Qualcuno con te ci sarà sempre, che tu possa percepirlo o meno. Celata nell’ombra, pronta a sorreggerti, una mano è sempre protesa verso di te, le sue dita intrecciate con le tue leggere come l’aria» ribatté il moro con voce pastosa cercando di consolare il ragazzo alle sue spalle e gli sorrise, perché l’aveva letta la malinconia nascosta nel chiaro azzurro di Occhi d’Oceano e non aveva potuto far altro che cercare di alleviarla.
Niall annuì fermandosi ad osservarlo mentre si portava la cartina bianca alle labbra, inspirava profondamente con gli occhi chiusi, lo vide deglutire e poi lasciar andare il fumo dalla bocca leggermente schiusa. La sua mente gli somministrò l’ennesima immagine delle loro labbra sovrapposte, a respirare l’una nell’altra e lo stomaco gli si contorse dolorosamente. Fu anche per questo che negò con un cenno del capo la canna ormai finita che Zayn gli stava restituendo. Sapeva che ormai la porta delle sue fantasie era stata aperta, e voleva evitare che fuoriuscissero tutte quante. Gli sarebbe stato impossibile trattenersi. Già così era abbastanza difficile.
Senza tante cerimonie il moro prese l’ultimo tiro prima di spegnerla accartocciandola sul davanzale in marmo della finestra che si trovava accanto al letto del biondo. Poi si lasciò cadere, stendendosi, stanco e senza alcuna voglia di muoversi da lì. Zayn si ritrovò estremamente vicino al caldo corpo di Niall condividendo con lui quello scomodo letto da una piazza fin troppo piccolo per loro due, due estranei che avevano troppo in comune.
Niall si sistemò su un fianco mentre Zayn voltò il capo in maniera da poter guardare il ragazzo che lo aveva ospitato.
Bello, bellissimo, molto di più.
Più rimaneva immerso nel marrone degli occhi di Zayn più Niall si rendeva conto che per lui non c’erano più speranze. Era andato. Infatuato di un triste pianista che si limitava a regalargli note sofferenti e dieci minuti che si estendevano per mezz’ore. Cotto.
Deglutendo a vuoto portò la mano sulla guancia ispida del ragazzo che aveva al fianco, era calda al tatto. Gli accarezzò la mascella muovendo delicatamente il pollice mentre spostava il volto sul cuscino per averlo più vicino a quello color caffelatte. Gli occhi conficcati gli uni negli altri non avevano intenzione di mollare la presa, nessuno dei due ragazzi aveva intenzione di cedere. Ora Niall percepiva chiaramente il respiro di Zayn andargli a sbattere contro il volto, ed inspirò avido quell’aria che fino a pochi istanti prima era appartenuta ai polmoni del moro. Ed era forse la più buona e velenosa avesse mai respirato.
Le punte dei loro nasi si sfiorarono. Procedeva cauto. Niall attese nervoso di vedere quale espressione o che reazione avesse avuto Zayn, ma questo si mantenne immobile. Glielo vedeva riflesso negli occhi quello stesso desiderio che rendeva ardenti i suoi pozzi azzurri. Il cuore nel suo petto stava esplodendo, non l’aveva mai sentito battere così forte, schiantarsi così dolorosamente contro la cassa toracica facendogli tremare tutte le ossa. Niall era certo che se avesse potuto avrebbe sfondato tutto quanto per piombare direttamente nelle mani di Zayn dove sarebbe rimasto per sempre, magari avrebbe infranto anche il petto del moro per andare a danzare con il suo di cuore.
Sempre più teso il biondo si inumidì le labbra secche con la punta della lingua prima di posarle, delicate e dolci come un petalo di rosa, su quelle leggermente schiuse e pronte ad accoglierlo di Zayn. Le premette con forza e disperazione senza aver il coraggio di andare oltre e approfondire quel primo tocco rubato alla Vigilia di Natale. Qualche istante, i loro dieci minuti, quelli che i seimila secondi di cui erano composti li sforavano abbondantemente estendendosi in maniera indefinita nel tempo.

   «
Io lo so, Zayn, che finché ci sarai tu a sorprendermi e la tua musica a riecheggiare nell’aria non sarò mai solo» dichiarò a pochi millimetri dalle labbra di Zayn prima di allontanarsi da lui e appoggiare il capo nell’incavo del suo collo lasciandosi andare ad un profondo sonno privo di incubi e sogni, pregno della presenza del ragazzo che lo strinse a sé tutta la notte.

***

Il giorno di Natale non fu nulla di speciale. Tutti i ragazzi furono invitati – costretti – a partecipare al pranzo che le donne che servivano in mensa avevano cortesemente cucinato per loro. Fu un banchetto abbastanza sobrio, nulla di speciale o fuori dall’ordinario. Il salone dove i ragazzi si deliziarono delle prelibatezze preparate unicamente per quel gruppetto di una trentina di giovani era stato addobbato con ghirlande colorate e vecchi festoni.

Tutto sommato non era stata una brutta giornata.
Zayn e Niall si erano appena sfiorati. Seduti ai capi opposti del tavolo si erano scambiati un sorriso, un fugace cenno, per il resto avevano condotto due esistenze diverse: Niall intento a chiacchierare con una deliziosa brunetta, Zayn ad ascoltare le insensate chiacchiere di Nick – bassista di primo anno che l’aveva preso un po’ come suo mentore. Ed era rimasto con lui tutto il giorno, vagando per le vie festose di Boston tornando in dormitorio solo per le nove di sera.
Il bacio che Niall gli aveva dato l’aveva completamente resettato. Il loro sfiorarsi, quelle labbra terribilmente morbide, il calore del corpo del biondo premuto addosso al suo, il cuore che aveva palpitato talmente forte da poter essere udito perfino dall’altro capo del dormitorio, la voglia irrefrenabile di affondare le dita nella pelle lattea di Niall e accarezzarlo ovunque, baciarlo ovunque, assaporarlo, scompigliarglieli lui i capelli chiari e sporcare la sua purezza.
Non ci avrebbe più pensato, certo, perché non era successo nulla e non ci sarebbero state complicazioni nel loro rapporto, che alla fine non era un vero rapporto ma soltanto un continuo incontrarsi e stare assieme casuale.
  
«Buon Natale!» urlò pieno di gioia il biondo allungando verso Zayn, che era appena entrato nell’aula dall’antico pianoforte, un pacchetto incartato con carta oro e un gigantesco fiocco rosso posto al centro. Il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre contraendo i muscoli del volto in un’espressione crucciata non capendo cosa tutto quello volesse dire.
  
«E’ per te, solo un pensierino. Intendo, nulla di che, l’ho visto ieri sulle bancarelle in centro e ho pensato di prendertelo». Niall scrollò le spalle tenendo lo sguardo fisso su Zayn che ancora teneva gli occhi incollati sul suo regalo. Non si mosse, ne dava segni di voler accettare il piccolo pacchettino. Il biondo avanzò consegnandoglielo direttamente in mano. «E’ davvero una stupidaggine. Per favore, accettalo» insistette. Gli occhi chiari e sinceri a implorare Zayn. A violarlo e riempirlo della voglia di baciarlo ancora e stringersi a sé e assaporare la sua pelle che aveva represso con tanta maestria. No, non poteva pensarla così! Agitò la testa con veemenza, oltrepassò Niall ancora fermo sulla soglia e andò ad abbandonare le sue cose al solito posto. In mano stringeva il piccolo dono, era soffice al tatto.
Sedendosi sul suo sgabello Zayn lo scartò. Una cuffia di lana grigia, sul risvolto era stata cucita la scritta “fuck all” che lo fece sorridere divertito.
  
«Beh, io… Grazie, è davvero carina» disse facendosela rigirare tra le mani. Gli piaceva davvero, era simpatica. «Io non ho nulla per te però» aggiunse abbassando lo sguardo. Non gli era proprio passato per la mente che qualcuno avrebbe potuto fargli un regalo, tanto meno Niall, e Zayn non si era adoperato per cercare un qualcosa da fare a quei ragazzi con cui passava un po’ del suo tempo. Era una frana nel fare i regali.
  
«Non importa! Non è che i regali si fanno per ricevere qualcosa indietro, si fanno perché… Sì insomma perché sì» squittì il biondo scrollando le spalle. «Però, se proprio vuoi… Sai, mi è sempre piaciuto il pianoforte, solo che sono totalmente negato. Magari con l’insegnante giusto… » propose richiudendo la porta per lasciare che nulla e nessuno potesse intromettersi nella loro stanza, e disturbarli in quel momento in cui si mettevano a completa disposizione l’uno per l’altro. Si fermò a debita distanza aspettando che fosse Zayn a dargli il permesso di avvicinarsi e potersi accomodare accanto a lui. Rispettare i suoi spazzi, prima regola. Era un po’ come un gatto diffidente Zayn, il quale deve darti il suo permesso prima di potergli fare le coccole. E Niall lo voleva coccolare, lo voleva stringere a sé ancora come la notte della Vigilia per sentirlo e averlo, per questo avrebbe aspettato tutto il tempo necessario muovendosi con calma e cautela.
  
«Questo vuol dire che non mi libererò facilmente di te vero?». Un ghigno divertito gli increspò le labbra. Tutto sommato gli piaceva quel biondino.
  
«Oh, beh, io intendo, se, se vuoi io… » balbettò gesticolando mentre arretrava di un passo e indicava con le mani la porta di legno scuro.

Scuotendo la testa Zayn sbuffò facendosi di lato. Liberò un po’ di spazio sullo sgabello e batté la mano sulla pelle nera per invitare Niall a raggiungerlo.

  
«Muoviti prima che cambi idea».
In men che non si dica Occhioni era accanto a lui. I capelli chiari risplendevano sotto la luce artificiale dei neon, gli occhi azzurri riluccicavano cristallini, un invito a tuffarvisi dentro e sguazzare nei pensieri che celavano.
  
«Okay, ora che devo fare?» domandò eccitato. Fece schioccare le dita intrecciandole tra di loro prima di posarle sui tasti e premerli a caso. Note sconnesse tra di loro si levarono nell’aria provocando un sorriso compiaciuto al biondo.
  
«Nulla. Sta fermo immobile. Non toccare niente» impose quasi innervosito tacendo e mettendo a posto le mani di Niall. Toccarlo fu ricevere mille e mille scariche lungo la schiena, il calore della pelle del ragazzo si estese e si diramò dentro il corpo di Zayn facendogli tremare il respiro per la frazione di qualche istante. Al che Niall borbottò un sommesso “va bene” lasciando ricadere le mani in grembo e sbuffò mettendo un piccolo broncio.
Il pianista lo calcolò fin lì.
C’era un momento critico nel vivere di musica ed era l’ingresso in questo mondo, ed era forse anche l’istante che Zayn temeva maggiormente. Già più di una volta aveva sbattuto il naso contro il muro, più di una volta la sua stessa incapacità di esprimersi, di dar libero sfogo ai propri pensieri e lasciare che il bollente magma di emozioni che gli scorreva dentro le vene potesse venire alla luce l’aveva fatto capitolare.
Era un momento sacro.
Il respiro di Niall era regolare al suo fianco. La brezza pronta ad aiutarlo a volare e sorreggerlo senza lasciarlo precipitare questa volta.
Le note scivolarono fuori dal nulla, pacate e armoniose, riempirono la stanza nello stesso modo in cui l’acqua riempie una bottiglia: con lentezza, partendo dal basso per colmare qualsiasi spazio voto fino a inondarla del tutto.
Niall non era mai stato così vicino a Zayn come quel pomeriggio.
Ora le sentiva chiare e limpide le sue parole, quelle che temeva di pronunciare, quelle che parlavano di addii, di lontananze, lacrime e separazione. Parlavano di un nuovo incontro, di speranza, di azzurro e sorrisi. I chiari occhi erano rapiti dal movimento delle dita sui tasti, volteggiavano in una danza delle più belle, si muovevano con tale maestria! Niall ci lasciò il cuore tra gli spazi vuoti di una nota e l’altra, per quanto gliene fosse rimasto.
  
«Sai leggere la musica?» domandò Zayn allentando la danza sul candore.
  
«Eh? Io… No» ammise colorendosi di rosso per l’imbarazzo causato da quella domanda.
  
«Meglio. Tanto sto improvvisando» scrollò le spalle osservando con la coda dell’occhio Occhi d’Oceano andare a fuoco. Dovette trattenersi dal sorridere intenerito da quella scena.
  
«Tu, sai inventando tutto sul momento?» chiese sbalordito. No, non potava crederci, quella suonata non poteva essere stata inventata così su due piedi, tirata fuori dalla sua mente in quel momento, era troppo… Boh, non aveva nemmeno le parole.
  
«Sì, perché? A te non capita mai di ballare così solo perché ti va compiendo passi a caso senza badare a quello che stai facendo?» lo interrogò guardandolo curioso. Fu un salto nel vuoto con tanto di farfalle nello stomaco quello sguardo. «Mano destra, queste tre dita, hai sentito la melodia no? Ecco, continua a farla tu» aggiunse spiegando a Niall quello che avrebbe dovuto fare. Gli prese la mano, la posiziono su tasti che sarebbero stati di sua competenza, quelli che prima Zayn stava suonando con la sinistra, e lo lasciò fare mentre lui si dedicava a continuare la sua parte.
Per essere la prima volta che Niall suonava non se la cavò poi così male, riuscì a mantenere il ritmo, il volto concentrato mostrava a Zayn tutto l’impegno che ci stava mettendo per riuscirci e non far stonare quella canzone che stava nascendo da loro. Non avrebbe più abbandonato la sua testa, Zayn ne era certo, vedeva tutte le note che stavano uscendo impresse nero su bianco dietro i suoi occhi. Era da troppo tempo che non faceva una cosa del genere.
  
«Era da tanto che non avevo l’ispirazione per suonare in questa maniera» confessò, non lo seppe nemmeno il perché, semplicemente come quelle parole avevano preso forma nella sua mente erano uscite dalle labbra. Al che la concentrazione di Niall si sciolse portata via come legno disperso tra i flutti di un fiume in piena dal sorriso che gli solcò le labbra.
  
«Ti servivo io insomma» scherzò il biondo, mai si sarebbe aspettato che Zayn confermasse quella sua illusione tramutata da battuta.
  
«A quanto pare non hai tutti i torti» mormorò leggermente messo a disagio fermandosi ad osservare le dita che avevano ripreso vita. Le manette che l’avevano tenuto intrappolate svanite nel nulla. Affogate in quegli occhi che lo stavano accarezzando. «Però ora non iniziare a darti delle arie eh!» scherzò cercando di colmare il silenzio carico di imbarazzo che era sceso su loro due. Un timido sorriso gli increspò le labbra. Con una spallata cercò di far riprendere il biondo che pareva caduto in uno stato catatonico.
  
«Era la nostra ballata allora questa? Dobbiamo assolutamente trovarle un nome! Qualcosa di epico, ma semplice». Si riprese tutto concitato mettendosi a sedere a cavalcioni in modo da poter guardare bene il pianista, che si lasciò sfuggire un’argentina risata che risuonò per tutta la stanza.
  
«Ci penseremo, una cosa per volta Occhioni» l’apostrofò inclinando il capo verso destra per poterlo osservare.
  
«Grazie» borbottò timidamente stringendo il nodo dei loro sguardi concatenati. Poi si sporse in avanti, le mani frapposte tra le sue gambe aperte e la coscia di Zayn, sfiorando in un veloce bacio la guancia del moro. Morbida e calda.
I muscoli si tesero sotto le labbra sottili. Il cuore non ci capì più nulla e prese a galoppare come se avesse il demonio alle spalle. Il vaso di Pandora scoperchiato e il bisogno di avere di più a premere su ogni centimetro della pelle del pianista.
Lentamente Zayn si voltò per guardare Niall in faccia.
Piccolo e radioso.
Cucciolo che in sé aveva la forza di un uragano.
Un soffio tra di loro. La stessa aria condivisa.
Un filo a dividerli.
La presenza di Niall a corrodere il moro da dentro.
Necessario e indispensabile.
Un bacio. Il secondo, un nuovo volo, lontano.
Caramello a galleggiare nel mare.
Acqua nella quale Zayn scorse un sacco di spazio libero che lo terrorizzò.


***

Alla fine Zayn era scappato.

Prima che Niall fosse troppo vicino e potesse accorgersi del frenetico batticuore che aveva preso a suonare come un tamburo dentro il petto di Zayn, se ne era andato. Per sfuggire a quel contatto, per sfuggire a se stesso, a quello che nascondeva dentro, ciò che il biondo sapeva far accendere e rischiarava quei frammenti nascosti dal buio.
Era scappato e ora sentiva il peso di quella fuga a pesargli sul corpo.
Aveva avuto paura, sì. Aveva temuto quel nuovo contatto, era stato spaventato dal pensiero di poter essere strappato nuovamente a se stesso. Niall l’attirava a sé come una calamita, era una presenza solida che faceva tremare tutto il resto, due occhi azzurri che avevano cancellato e lavato via la sua solitudine, che l’avevano fatto affogare dentro di loro.
Ed ora seduto sul pavimento del corridoio si stava chiedendo per quale dannato motivo era scappato cinque giorni prima, ma ancora di più si interrogava sul perché si ritrovasse lì in quel momento. Cosa si aspettava di risolvere poi!
Lo stomaco gli ruggiva in gola, il cuore tremava come una foglia in autunno schiacciato contro i polmoni.
Se ne sarebbe andato, probabilmente, sì.
Si sarebbe alzato e avrebbe abbandonato quella postazione dopo l’ora e mezza che aveva passato attaccato a quella porta, già, avrebbe lasciato tutto pronto a rintanarsi nella sua stanza se solo una voce proveniente dalla rampa delle scale non l’avesse fermato immobilizzandolo.
Gli era mancata quella voce.
Ancora di più gli era mancata la figura di Niall, portava con sé tranquillità, stabilità, tutto ciò di cui Zayn necessitava in quel momento.
Era nuovamente in compagnia della brunetta del pranzo di Natale. Un braccio appoggiato attorno alle sue spalle, la gelosia dentro Zayn a fargli ribollire il cervello. Geloso di quella stretta, geloso del sorriso che stava tendendo le labbra del ragazzo, geloso della serenità che vestiva, geloso del fatto che non era lui che lo stava facendo ridere.
Geloso di lui.
La risata che aveva accompagnato l’ingresso dei due si bloccò non appena il biondo si accorse di chi era appollaiato davanti la sua stanza. Ne fu sorpreso.
Zayn si alzò in piedi strusciando la schiena contro il pannello in legno. L’unico rumore che si percepì.
  
«Beh, hem, io vado» squittì la ragazza prima di dirigersi verso il fondo del corridoio continuando a lanciare furtive occhiate ai due ragazzi fermi uno innanzi all’altro. Non ricevette risposta.
La tensione serpeggiava tutt’attorno a loro.
  
«Quindi?» chiese dopo un tempo infinito il biondo. Le mani infilate in fondo nelle tasche del giubbotto di jeans, gli occhi chiari non osavano sfiorare il volto di Zayn.
  
«Quindi» iniziò incerto il mulatto inspirando a fondo. «Io volevo, mi spiace» sibilò torturandosi le dita delle mani. Il cuore batteva così forte che a stento riusciva a sentire il suono della sua stessa voce. «L’altro giorno io, ho avuto paura» confessò.
  
«Okay. Quindi?» ribatté in tono sostenuto. Aveva tutte le ragioni di avercela con lui, Zayn ne era pienamente consapevole, non era andato lì ad implorare il perdono di Niall.
  
«Quindi ho capito che è stato stupido da parte mia andarmene così e sparire in quella maniera» proseguì.
  
«Sulla parte dello stupido concordo».
  
«E volevo scusarmi con te, e dirti che capisco se non vorrai più venire a darmi il tormento, ma che ho capito anche che a quel punto dovrei iniziare a farlo io con te. Solo questo» andò avanti. E aspettò, con il ruggito in gola e il terremoto nel petto, che una risposta gli venisse data. Aspettò che Niall gli sorridesse come aveva sempre fatto con lui e gli dicesse che era okay e che si sarebbero visti il giorno dopo nella stanza dell’ultimo piano per riprendere la loro suonata interrotta a metà, perché Zayn l’aveva trascritta appena tornato in camera, e la teneva sul comodino accanto a sé, e gli piaceva, gli piaceva tanto. Si era sentito meno solo con lei, quelle note che riecheggiavano nella notte quando non riusciva a prendere sonno, era come se Niall fosse sempre con lui a sorridergli e stringergli la mano.
Ma non giunse nulla. Eccetto il silenzio non vi fu niente.
Una alla volta le speranze che Zayn aveva covato nel profondo dei suoi sogni caddero come falene che si avvicinano troppo al fuoco.
Doveva farsene una ragione, prendere i suoi cocci e andarsene.
Sospirò pesantemente.
Le mani si aggrapparono al corrimano per trascinarlo nella sua stanza dove si sarebbe lasciato consolare da una ballata senza fine.
  
«Zayn aspetta!». Il richiamo tanto aspettato giunse. Folata d’aria fresca. «Puoi tornare qua un attimo?».
Di nuovo uno di fronte all’altro. Uno nell’altro.
  
«Scusa» sussurrò nuovamente il moro.
Gli occhi di Niall a riempirsi di lui, a mostrargli quel posto riservato solo per Zayn. E sorrise. Era come se avessero versato della benzina nelle vene di Zayn e gli avessero dato fuoco. Come se quello stesso sorriso fosse stato la miccia che aveva dato il via al falò che prese a imperversare nel corpo del moro.
Le labbra di Niall erano soffici e delicate come Zayn se le ricordava. Si dimostrarono timorose e sorprese quando si ritrovarono premute contro quelle che una manciata di giorni prima avevano cercato invano. Il contatto dei più semplici. La pressione appena accennata aumentò quando Niall fece passare attorno al collo del moro le braccia per attirarlo a sé. Immediatamente le mani di Zayn corsero a stringere il biondo per i fianchi facendolo arretrare fino al muro dove lo intrappolò. Il fuoco nelle vene diventato ardente focolare che divampò incendiando tutto quanto. Il corridoio in cui si trovavano, l’intero edificio, l’aria attorno a loro, i loro corpi che si scontravano in quella maniera per la prima volta.
Tutto esplose quando Zayn si decise ad approfondire il tocco chiedendo il tacito consenso di Niall per accedere alle sua bocca. Le labbra si dischiusero timorose lasciando che le lingue dei due giovani si incontrassero per la prima volta. Si sfiorarono e si cercarono. Zayn, intraprendente, tracciò il contorno della corona dei piccoli denti del biondo, gli solleticò il palato, per poi far intrecciare le loro lingue in un bacio che in sé aveva tutta l’assenza e la solitudine che aveva logorato i due ragazzi durante il periodo in cui erano rimasti separati.


Niall si lasciò scivolare a terra, la schiena contro il muro, le dita intrecciate tra di loro. Aveva ancora il cuore che palpitava come un dannato dentro la cassa toracica e il sangue che portava ovunque l’aria respirata da Zayn. Lo sentiva dentro di sé: l’ossigeno di ogni cellula, il buio di ogni anfratto e il silenzio di ogni antro scuro del suo essere.

  
«Quindi?» domandò ancora con la voce flebile. L’unica cosa sensata che gli era passata nella testa.
  
«E’ la domanda del giorno per caso?» ribatté accovacciandosi davanti a lui. Sorrise mestamente cercando di catturare gli occhi azzurri nei suoi.
  
«No, no» scosse la testa passandosi le mani sul volto. «Solo che io, intendo, prima ti bacio e rimani con me tutta la notte, poi provo a rifarlo e scappi via scomparendo per quasi una settimana, adesso ti fai trovare qua e mi baci tu. Io, cosa vuol dire Zayn? No perché ci sto capendo poco. Sparirai ancora adesso?» proseguì. Forse era il suo turno di scappare ora? O per caso dopo questo il suo pianista si sarebbe dato alla macchia svanendo nel nulla? Non avrebbe potuto accettarlo. Non dopo che si era messo in gioco in quel modo.
  
«Te l’ho detto, mi serviva una motivazione per non lasciarti andare, per questo ti ho baciato. Perché non sei più uscito dalla mia testa. Ma, se non vuoi io… ». Zayn non riuscì a terminare la frase che il biondo si era catapultato di nuovo tra le sue braccia impedendogli di concludere. L’ennesimo bacio a stampo che si colorì per il sorriso che Niall non riuscì a trattenere.
  
«Ho così tante farfalle nello stomaco che se ora mi buttassi giù da una finestra correrei il rischio di spiccare il volto!» rise, le guancie rosse ardevano. Come se avesse potuto non volerlo! Che folle idea. Era stato attratto da lui dalla prima volta che l’aveva visto. Da quando l’aveva sentito parlare non aveva fatto che sognare la sua voce. Ed ora era lì, tra le sue braccia, a ricambiare quel bacio, a stringerlo senza alcuna intenzione di volerlo lasciar libero.
  
«Addirittura? Beh, allora è meglio tenerti ben saldo a terra non credi?» commentò, il volto radioso, stringendo nella sua la mano destra di Niall.
  
«Già. Senti, Dave non è ancora tornato, ti va di entrare?». Un enorme sorriso pieno di speranza e gioia tese i muscoli del volto del biondo che, se possibile, acquisì un’ulteriore sfumatura di rosso. Imbarazzato da quella richiesta Niall abbassò gli occhi nascondendosi dietro la risata che riecheggiò nel corridoio quando il moro lo fece alzare da sé.
Delizioso, tenero e perfetto, queste sarebbero state le parole che Zayn avrebbe usato per descrivere Niall in quel momento se gli fosse stato chiesto.
  
«Magari giusto per dieci minuti» scrollò le spalle seguendo Niall.

Il suo riscatto.


***

La fine dell’anno accademico ormai era alle porte. Mancavano tre settimane e tutto sarebbe terminato per dare inizio ad una lunga estate priva dell’incombenza di qualsiasi corso da seguire, brano da eseguire e lezione da preparare. La gioia serpeggiava per i corridoi del dormitorio e dell’accademia. Scoppiettava allegra come un ceppo secco nel camino il giorno di Natale.

Zayn stava tornando alla sua camera dopo una lunghissima lezione di musica che gli era parsa interminabile. Attesa resa ancora più straziante dal momento che quella sera sarebbe dovuto uscire con Niall per festeggiare il loro quarto mesiversario. Era stata tutta un’idea del biondo, a Zayn sarebbe bastato anche rinchiudersi in camera a guardare un film con pop-corn e il ragazzo da stringere tra le braccia e ricoprire di baci. Si accontentava di poco lui, era per le cose semplici. Ma Niall, come sempre, era riuscito a strappargli quella serata mondana, usando anche la scusa che almeno, in quella maniera, sarebbe riuscito a distrarsi dalla chiamata dal balletto per cui aveva fatto un’audizione che non voleva arrivare. Per Niall essere accettato in quella compagnia sarebbe davvero stato importante, vi aveva riposto tutte le sue speranze e si stava sforzando di apparire sollevato e spensierato anche se, il suo cuore, era tutt’altro che leggero e privo di ombre.
I due giovani avevano deciso di incontrarsi per le sette e mezzo, per questo Zayn fu particolarmente sorpreso di vedere Niall accasciato davanti la porta della sua stanza, il capo chino e il cellulare stretto tra le mani tremanti.
Nemmeno a dirlo, non appena lo vide un sorriso si dipinse sulle sue labbra.
  
«Hey Horan. Perché questa scena non mi è nuova?» scherzò avvicinandosi al biondo che non si mosse di un solo centimetro. Tutto quello gli fece tornare alla mente la notte in cui aveva deciso di smetterla di pensare e lasciarsi andare, di farsi trasportare lontano in posti che non aveva visitato dai flutti freschi che Niall custodiva nelle iridi.
Ricevuta alcuna risposta il sorriso del moro iniziò poco alla volta a svanire. Un’arcana paura l’avvolse stringendolo nelle sue spire.
  
«Niall, tutto bene?» chiese preoccupato inginocchiandosi davanti al moroso stringendogli le fredde dita nelle proprie.
 
 «Partirò Zayn, tra qualche giorno partirò e lacerò l’accademia. Mi, mi ha chiamato la compagnia per la quale avevo provato. Mi hanno preso ed io, io me ne andrò. Sentiti libero di vivere come meglio preferisci» balbettò, la voce spezzata dai singhiozzi, le guance graffiate dalle lacrime che non avevano smesso un solo istante di sgorgare dal mare che custodiva nello sguardo. Piangeva per la felicità, stava mostrando tutta la disperazione che l’aveva soffocato per il dolore che avrebbe causato a Zayn e a se stesso. Piangeva Niall, piangeva stretto tra le braccia di Zayn che rimase immobile a quella dichiarazione, l’ennesimo addio da subire.
C’era acqua fredda dentro lo sguardo di Niall, densa, profonda e senza onde. Se in quel momento si gettava una pietra i uno dei suoi occhi, sarebbe affondata per sempre, non ci sarebbe stato un fondo da raggiungere, nessuno schianto che sarebbe risuonato, avrebbe continuato ad affondare, ancora, in eterno. Così Zayn stava precipitato, senza paracadute, senza ancora a cui aggrapparsi. Stava precipitando senza fine nel mare racchiuso negli occhi di Niall, ancora e ancora, senza mai poter raggiungere il suolo, senza mai potersi liberare veramente di lui.
Riscatto e dannazione.

La luna sfiorata con un dito e subito dopo persa.





     ***

Oh, ah, okay, ciao!
Non ti si sono corrosi gli occhi arrivando qua in fondo, complimenti, stomaco forte il tuo!
E' sempre una cosa troppo complicata per me fare la seria una volta giunto il momento di scrivere le note finali, è più forte di me. Babbè.
Insomma, allora, il titolo, "Selene", alla fine, eccetto un paio di riferimenti fatti alla luna (perchè, per chi non lo sapesse, Selene per gli Antichi Greci era la Dea che col suo carro trasportava la luna in alto nel cielo la notte), non è che c'entra molto, ma questa è una storia un po' buffa, no strana, no nemmeno però ve la dico lo stesso. In pratica, inizialmene questa OS doveva intitolarsi "No Sense" perchè per me non aveva alcun senso e non avevo la più pallida idea di come chiamarla e più scrivevo (alla strepitosa velocità di due frasi al giorno tipo da notare) meno aveva senso per me, poi una sera (indefinita nel tempo passato) gli Alpini hanno fatto questa "Serata Sotto Le Stelle" a cui ho partecipato (che poi era nuvoloso e le stelle non le abbiamo potute vedere e quindi hanno dirottato il tutto su un PowerPoint sulla luna per l'appunto) e, mentre sonnecchiavo su una scomodissima sedia di plastica verde persa nei miei mondi, hanno nominato Selene e ho avuto la famosa fulgorazione. Mi sono girata verso Chiara (la famosa ChiaraLuna93, ormai credo abbiate capito che siamo come due amebe che si accozzano l'una all'altra in pratica!) e le ho sussurrato in maniera non poco discreta: "E' lei!". E così è nato il titolo. Folle e senza senso per l'appunto.
Per il resto, nulla, ho "tradito" i miei amati Ziam per gli Ziall (che devo dire hanno fin troppo fascino e mi è piaciuto fin troppo scrivere di loro) e quindi nulla. Bwaa *piange disparata in un angolo*
All'inizio Zayn era in crisi totale: lui che non riusciva a suonare, io che non riesco a scrivere decentemente. I suoi tasti bianchi e neri che lo fanno precipitare nel Limbo, la mia tastiera nera e bianca che mi stordisce con il suo mutismo.
Il finale non poteva andare diversamente. Ci ho provato a pensare ad un happy end ma non è venuto fuori, sorry. Ci resto male tutte le volte che ci penso, e mentre lo scrivevo (ieri cioè, invece che studiare sociologia che avevo l'esame oggi io brava cogliona scrivevo) avevo i lacrimoni, no non è vero ma più o meno ero lì.
E tipo ora, uso troppe volte tipo lo so, quindi tipo, nulla.
Commentare da sola i miei scritti è davvero una cosa che non mi piace fare.
Volevo ringraziare
Chiara, la mia ponpongì che mi spinge a continuare a scrivere, a non demoralizzarmi, che mi aiuta nei momenti di crisi (tipo una frase sì e l'altra pure) e mi da quella spintarella, che assomiglia più al delicato tocco di un treno merci in corsa (sue testuali parole), necessaria per pubblicare quindi, ribadisco, se volete prendervela con qualcuno è lei da incriminare! Se non era per lei questa storia finiva nell'angolo buio della mia chiave USB assieme a tutte le altre storie abbandonate (non so quanto meglio sarebbe stato). Ecco, perchè dovevate sapere che prima dell'ultimo spezzone avevo previsto di inserire una scena abbastanza rossa, senza abbastanza, era rossa e basta, dove il piccolo e delicato fiore che è Niall si concedeva per la sua prima volta a Zayn, ma non avevo lo sbatti di scriverlo quindi pazienza. E la cosa mi aveva mandato abbastanza in crisi costringendomi a buttare (quasi) la spugna.
Sto usando anche un fracco di volte le parentesi tra l'altro.
Devo rileggere cosa ho scritto prima perchè ho perso il filo del discorso.
In sintesi, gazie a lei che è tutto per me e mi ha fatto cambiare idea.
Un immenso grazie va anche alla mia
Ovy. Lei è me molto semplicemente, e lo sa quanto le voglio bene, quanto sia importante e quanto mi fa star bene averla trovata. Ovy è (anche) per te questa storia, perchè come abbiamo detto tempo fa alla tua seduta dalla Piscovyga, non le devi temere le parole, mai. Sono l'arma più potente che tu possegga e devi farle splendere.
E alla fine, ultima ma non ultima, ringrazio anche la dolce Fra(Acida) o
Pulcino o Baobab o qualsiasi altro appellativo le abbia affibiato (scusa, è più forte di me farlo!) e non ricordo, perchè anche se non lo sa, e magari non leggerà, nelle nostre chiacchierate un po' riesce sempre a ispirarmi e darmi spunti per creare qualcosa anche solo scherzando sui furti di benza che dovremmo farci una sera o l'altra. Correggo ora, lo aggiungo, non è mai troppo tardi, tu sei la seconda destinataria della dedica, la terza riga non te la ruberà nessuno, sarà sempre lì per te. E inoltre volevo ringraziarla infinitamente e mandarle un immenso bacio per lo splendido regalo che mi ha fatto: il banner, che quando l'ho visto si è impossessato del mio cuore e in pochi fotogrammi racchiude tutta l'essenza della storia.
Prima o poi imparerò a tagliare corto ed essere sbrigativa senza lasciarmi andare a tutte queste chiacchiere, lo prometto! (non ce la farò mai abbiate pazienza)
Sto ridendo da sola per le sciocchezze che ho scritto e la demenza che tiro fuori in queste ocasioni.
 Lasciamo perdere come se non avessi parlato. Non sono sempre così! So essere anche seria quando mi ci impegno!
Ora me ne vado davvero.
Addio.

xx
Fee. 

  
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