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Autore: A Modern Witness    21/02/2014    6 recensioni
Affido la vita di mia figlia, la sua felicità e il suo futuro a Jared Leto.
Perché lui?
Perché non i nonni?
Perché non Amelia?
Perché mamma?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Pioggia di ricordi'
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Capitolo 1.
Affido la vita di mia figlia, la sua felicità e il suo futuro a Jared Leto.
Perché lui?
Perché non i nonni?
Perché non Amelia?
Perché mamma?
 
Quelle parole le rimbombavano in testa come una sentenza di ergastolo.
Prese la valigia dal nastro e con un sospiro seguì il cartello che indicava gli arrivi. Sarebbe venuto lui a prenderla? E se non era lui chi sarebbe venuto? Shannon? Emma?
Voleva tornare a Londra, ma poteva non esaudire l’ultimo desiderio di sua madre?
S’incamminò verso l’ignoto affollato di domande che sembravano non avere una risposta, se non quella che il suo tutore sarebbe stato Jared Leto.
Cercò di camminare decisa, ma senza avere troppa fretta, non era impaziente di vivere a Los Angeles. A dirla tutta non aveva voglia di incontrare lui e tutto quello che lo circondava. Troppo caotico, troppa frenesia, troppo fuori dal mondo in cui lei era cresciuta.
Sospirò quando vide le porte automatiche aprirsi davanti a lei.
C’era tanta gente che scrutava gli arrivati: chi con i cartelli tra le mani, qualche madre con una mano nel cuore o chi semplicemente aspettava impaziente.
Lei osservò attentamente quella folla, cercando di individuare qualcuno di familiare o qualcuno che avesse in mano un cartello con scritto il suo nome. Tuttavia non c’era nessuno.
Strinse ancora più forte la mano attorno al manico del trolley e superò la folla, che intanto aveva cominciato ad allargarsi, a riempirsi di parole d’affetto, di saluti e singhiozzi di quelli più sentimentali.
Mentre lei rimaneva sola, come sua madre aveva deciso per lei. Aveva deciso di farle lasciare i suoi amici, le persone a lei più care, il suo cane, la sua casa, la pioggia londinese che tanto amava; l’aveva costretta a lasciare la sua vita senza aver possibilità di scegliere.
Camminava per l’aeroporto con la speranza di vedere qualcuno che la cerava o scorgere qualcuno che vagamente poteva conoscere, ma niente e lei si sentiva ancora più frustrata.
«Hey!» Nah, non stanno chiamando me.
«Tu con il trolley nero!» Non sei l’unica ad avere la valigia di quel colore.
«Dannazione…Anthea!»
Si fermò di colpo e si guardò attorno, prima di notare una donna con i capelli neri venirle incontro. La guardò attentamente, non riuscendo a focalizzare chi fosse.
Lei la raggiunse, soddisfatta di aver individuato la persona giusta. Jared era stato un po’ vago sulla descrizione, le aveva semplicemente detto che aveva i capelli lunghi e castani, non molto alta e che portava gli occhiali. Insomma, poteva essere chiunque.
«Sei Anthea?» Le chiese allargando un sorriso.
Lei non parlò subito, scrutandola con gli occhi grigi: chi era quella lì?
«Sì. Tu chi sei?» Chiese senza entusiasmo, insomma era una persona in più di cui ricordarsi il nome.
«Io sono Vicky, la moglie di Tomo. Piacere di conoscerti» Si presentò, allungando una mano alla ragazza.
Anthea osservò la mano che le stava ponendo e poi la fissò dritta negli occhi, prendendola alla sopravista «Non si dice piacere quando si incontra una persona nuova, non si può mai sapere se davvero sarà un piacere averla incontrata o no» Commentò la giovane, sistemando gli occhiali «In ogni caso sarei stanca, possiamo andare?».
Vicky l’ascoltò accigliata, mai nessuno le aveva detto tali parole e non si sarebbe di certo aspettata di sentirle da una diciassettenne. In ogni caso decise che non era necessario replicare, visto tutta la confusione e la fretta con cui si era svolto l’affidamento.
«Bene, allora andiamo. Poss…»
«No, ce la faccio da sola.»
 
«Jared non ci hai detto niente di Anthea è normale che siamo curiosi!» Continuava a ripetergli Shannon, che l’aveva obbligato a fermare le prove per l’album, per rendere lo studio accogliente almeno quel giorno.
«Non c’è niente da dire. E’ una ragazzina normale di diciassette anni, cosa vuoi che to dica che taglia di reggiseno porta? Glie lo puoi benissimo chiedere tu quando arriva!» Gli rispose acido Jared, senza guardarlo in faccia, preso a fare dell’altro con il computer.
Il batterista sospirò scocciato «Almeno assomiglia ad Sophia?»
A quella domanda vide Jared fissarlo truce «Non nominarla Shan! Se non fosse per lei io non sarei in questa cazzo di situazione a dovermi prendere la responsabilità di una adolescente» Sbottò il cantante «Quindi non dire mai più il suo nome, lei e i suoi maledetti sentimentalismi» Continuò, mentre tornava a guardare lo schermo del computer.
Shannon non demorse e gli si sedette accanto «Seriamente Jared, cosa ti passa per la testa? Ma hai sentito cosa hai appena detto? Anthea ha perso sua madre, sta cambiando città lasciando tutto quello a cui era più legata, per venire a vivere qui. Davvero la vuoi accogliere con tanta freddezza e disapprovazione per la scelta di Sophia?» Gli chiese il maggiore, cercando di ottenere l’attenzione del fratello che sembrava avere trovato qualcosa di più interessante anziché ascoltarlo.
Jared si passò mano sul viso «Non voglio essere freddo Shan» Spiegò girandosi verso il fratello «Anzi, ma Anthea porterà scompiglio qua dentro. L’ho vista è distrutta e sua madre l’ha costretta a lasciare tutta la sua vita, per affidarla a me, uno sconosciuto» Aveva gli occhi colmi di tristezza e rabbia mentre pronunciava quella parole «Non farà bene a nessuno averla qui. E detta sinceramente non sono per niente entusiasta di averla qui, proprio durante la registrazione del nuovo album. Non è il suo mondo, non è il mio mondo avere a che fare con una diciassettenne» Guardò il fratello, che sembrava avere compreso i pensieri che l’assillavano.
Dalla prima volta che l’aveva vista a Londra aveva capito che era tormentata dal dolore, ma troppo orgogliosa da farlo vedere. Anthea era in collera con la madre, e allo stesso tempo con sé stessa perché provava rabbia verso la madre ormai defunta.  Era arrabbiata perché non capiva la scelta di Sophia.
«Capisco Jared, però ormai è compito tuo… nostro prenderci cura di lei, non possiamo tirarci indietro» Sembrava convinto di quello che diceva, pensò Jared. Tuttavia lui non l’aveva vista, non l’aveva conosciuta non sapeva quanto dolore riempiva quegli occhi chiari.
Tornò a guardare il computer, non gli rispose e ritornò ad occuparsi di ciò che aveva lasciato.
Shannon aspettò una sua reazione, ma non vedendola arrivare si alzò e tornò in cucina da Tomo che per tutta la mattina che , con l’aiuto di Emma e Costance, aveva preparato cibo per un intero reggimento militare.
«Vicky mi ha mandato un messaggio» Disse Tomo girandosi verso l’amico «Stanno arrivando. Jared?»
Shannon non seppe cosa rispondere «Non lo so. Credo sia solo preoccupato, forse» Fece spallucce, guardando la madre che gli sorrise, cercando di confortarlo. Nessuno sapeva come avrebbe potuto reagire Jared.
«Si abituerà, vedrai.» Le parole della donna anticiparono il suono del campanello e sul suo volto si dipinse un sorriso «Vado io» Disse pulendosi le mani su uno strofinaccio e avviandosi verso la porta d’ingresso, mentre anche Jared si allontanava dal computer.
La porta si aprì e la voce di Costance non tardò ad arrivare «Benvenuta!» L’accolse la donna.
Anthea la guardò brevemente, ricordandosi che quella donna dalla  lunga chioma grigia era la madre dei Leto. Le sorrise semplicemente, giusto per non distruggere l’entusiasmo che le brillava negli occhi. Che poi cosa c’era da essere felici non lo sapeva.
«Come è andato il viaggio?» Continuò la donna, chiudendo la porta e avvicinandosi dalla ragazza.
Anthea vide Vicky lanciarle un’occhiata strana «Terribile, soffro di vertigini» Si limitò a dire, per poi accorgersi che l’entrata della casa si era gremita di persone.
Le vennero le lacrime agli occhi a guardarli. Perfetti sconosciuti a cui sua madre aveva lasciato la vita della propria figlia. Li guardò brevemente tutti, prima di trovare lo sguardo di Jared.
Aveva lo stesso sguardo di quando era venuto a Londra per firmare le carte dell’affidamento: freddo, preoccupato, scocciato. Lui non la voleva lì, ma nemmeno lei voleva essere lì, era stata un’imposizione detta da sua madre e nessuno dei due se l’era sentita di negare quell’ultimo desiderio a Sophia.
Le scappò una lacrima, che cercò di mascherare.
«Ti accompagno di sopra?» Si offrì Vicky, rompendo lo strano silenzio «Tomo..» E indicò il chitarrista «..ha preparato una ottima cena» Le disse con un tono, quasi, consolatore.
Tuttavia ad Anthea crebbe l’angoscia «Sono vegetariana» Affermò, tornando a guardare Jared che sembrò essere preso alla sprovvista. Non se lo era ricordato? Eppure Amelia, la migliore amica di sua madre, glie lo aveva detto.
Infatti Costance s’intromise «Non ci hai detto niente Jared?» Chiese la donna, con una nota di disappunto nella voce.
«In ogni caso non c’è solo carne nel menù» Si difese il cantante.
«Comunque io non mangio. Non ho fame» Avvertì Anthea prima di tornare guardare Vicky «Mi accompagni di sopra?» Chiese. La donna annuì e le fece strada verso le scale, mentre alle loro spalle tutti erano rimasti un po’ confusi.
La sua camera non era niente di speciale, non che si aspettasse un lusso sfrenato in così poco tempo, però nemmeno una sistemazione tanto provvisoria. C’era il minimo indispensabile, ricavato da chi sa quale parte della casa: un letto, con uno strano copriletto marrone e le lenzuola bianche, una cassettiera, uno specchio non molto largo e alto come la parte della stanza, una scrivania con un semplice lucina e la sedia.
«Non è niente di che, ma avrai sicuramente tutto il tempo per renderla più tua..»
A quelle parole Anthea non seppe rispondere e si girò semplicemente verso Vicky, mentre le lacrime scorrevano libere sul suo volto. La donna si fece avanti, ma Anthea scosse la testa «Esci, per favore» La supplicò, mentre si sedeva sul letto.
Vicky uscì e Anthea si sfogò, portandosi con la schiena contro il muro e le gambe al petto. Lasciò che i singhiozzi la travolgessero, che il dolore la spaventasse per ciò a cui stava andando incontro.
Quella camera non sarebbe mai stata sua, niente lì dentro sarebbe stato casa sua.
Casa sua era sua madre, erano i suoi amici e Londra, non con quegli sconosciuti a cui la sua vita ora collegata. Cosa ne sapevano loro di un’adolescente? Lei non era un CD da produrre, non era una folla di gente da entusiasmare, lei voleva essere tolta da quel baratro. Voleva tornare a Londra, perché lì avrebbe potuto accettare il lutto per la madre, che le sarebbe rimasto per sempre.
Invece era lì, da sola contro una città che creava solo illusioni.
 
Si erano seduti a tavola tutti un po’ pensierosi e preoccupati. Ognuno di loro l’aveva vista, non tutti aveva colto la lacrima solitaria che per un momento era apparsa sul volto di Anthea. Tuttavia, ognuno di loro aveva visto il dolore di quella ragazza, ma la loro preoccupazione non poteva che andare anche a Jared.
Quella sera aveva deciso di non mangiare ed era uscito a bordo piscina, seduto sul divano in paglia.
Era addolorato per la perdita di Sophia, non poteva negare il fatto che le volesse molto bene. Gli venne da sorridere nel pensarla. Lei aveva sempre creduto in lui e anche ora che non c’era più, continuava a farlo, forse stavolta si sbagliava. Per lui era difficile accettare questa consapevolezza. Lui che credeva in tutto quello che faceva, lui che pretendeva le sfide impossibili, lui, Jared Leto, l’artista dalla mille sorprese.
Ma Jared? L’uomo di quarantuno anni ce l’avrebbe fatta?
«Jared…» Si voltò verso sua madre, che lo stava raggiungendo con qualcosa in mano «Tieni» Gli disse, passandogli quella che sembrava essere una tazza di camomilla.
«Non servirà a molto, comunque grazie» Disse prendendone un sorso.
«Ce la farai Jared, hai me, tuo fratello, Tomo, Vicky…» Lo incoraggiò, poggiandogli una mano sul braccio.
Lui accennò un sorriso, ma non le rispose.
«Aiutala, stalle vicino. Cerca di farle capire che Sophia non ha poi fatto una scelta così sbagliata…»
«L’ha fatta invece, mamma. Poteva lasciarla a Londra…»
La madre lo bloccò «No, questa è stata la scelta giusta» Sentenziò convinta Costance, lasciando interdetto il figlio «Con noi, Anthea ha la possibilità di riscattarsi. Porterà con sé sempre il dolore per l’assenza della madre, ma qui non sarà circondata da cose che la riguardano. La consoleremo certo, ma lei dovrà essere capace di voltare pagina e ricominciare a vivere, se fosse rimasta a Londra non ce l’avrebbe mai fatta. Qui non ha altra scelta se non quella di cambiare, sfogare il dolore, sprofondare, ma poi sarà in grado di rialzarsi.
Nessuno di noi conosceva Sophia bene, soffriamo per la perdita, ma abbiamo le nostre vite. Nessuno starà qui a ricordarle giorno per giorno la morte della madre, da domani noi continueremo le nostre vite, per quanto poco normali possano essere e lei si dovrà adattare a noi, come noi a lei.»
Sapere sua madre così determinata lo spingeva ad andare avanti. Costance aveva ragione, la lontananza dalla sua vecchia vita avrebbe di certo provocato un cambiamento in Anthea, positivo o negativo che fosse, ma avrebbe in ogni caso potuto liberarsi del dolore.
«Grazie, mamma.»
Costance si lasciò abbracciare dal figlio, ricambiando a sua volta, dopo di che ritornarono in caso, sotto lo sguardo di tutti.



Buongiorno a tutti! 
Non sono molto brava a presentare ciò che scrive, anche perchè parlando forse andrei dire troppo e svelare la trama della storia che si costruirà di capitolo in capitolo. Mmm... quindi, spero vi piaccia se avete qualsiasi cosa di dire: commenti/ bestemmie/ insulti/ tutto quelle che volete, lasciate pure un commento!.

Silence.

 
  
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