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Autore: A Modern Witness    03/03/2014    4 recensioni
Affido la vita di mia figlia, la sua felicità e il suo futuro a Jared Leto.
Perché lui?
Perché non i nonni?
Perché non Amelia?
Perché mamma?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Pioggia di ricordi'
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Capitolo 2.
Era venerdì quando era atterrata a Los Angeles ed erano passati tre giorni.
Ora, lunedì, avrebbe ricominciato a frequentare il college.
Scostò la tenda dalla finestra e poggiò la testa al vetro. Soli tre giorni e già era stanca, benché si fosse fossilizzata in quella camera per tutto il tempo. Nessuno l’aveva cercata da Londra, nessuno l’aveva chiamata dal piano di sotto.
Forse era stato meglio cosi. Forse no, non lo sapeva.
Chiuse gli occhi, stupendosi ancora del magone di lacrime che si portava dentro, convinta di aver consumato ogni singola goccia d’acqua che avesse in corpo.
Si era arrovellata per tutto il tempo sul da farsi. Aveva cercato una soluzione che portasse a vedere quella situazione sotto una luce più positiva, ma non riusciva vederci alcun vantaggio. Anzi, tutto sembra avvolto da una sottile coltre di pessimismo, il cui nocciolo era che doveva rinunciare alla sua vita per iniziarne una nuova. Tuttavia si sentiva troppo vuota per trovare le forze di stamparsi in viso un sorriso, per cercare nuovi amici o semplicemente per presentarsi ad una nuova classe.
Non sapeva neppure che ore fossero. Ciononostante, era già vestita per uscire.
Sapeva che Jared l’aveva iscritta alle stesse lezioni del corso d’arte che seguiva a Londra, unica cosa accettabile di tutto: sarebbe ritornata a riempirsi la testa con la sua passione per l’arte. Una magra consolazione, ma si era detta di provare a farla diventare il filtro per conoscere Los Angels. Forse in quel modo la città le sarebbe piaciuta di più.
Sentì qualcuno entrare, anche se non aveva sentito bussare. Tuttavia, chiunque fosse, aveva avuto l’accortezza di entrare quasi con timore, spalancando lentamente la porta.
«Oh, sei già sveglia…» Anthea chiuse gli occhi, innervosita semplicemente da quel tono di voce. Quasi sicuramente l’avevano costretto ad andare a vedere se fosse ancora viva o se si fosse già data alla fuga.
«…pensavo dormissi» continuò Jared.
Lei riaprì gli occhi, ma non si voltò. Il cielo fuori era abbastanza chiaro da essere prima mattinata, ma molto probabilmente non era proprio l’ora in cui una persona si alzava normalmente. Poco le importava, non aveva più voglia di stare distesa su quel letto a fissare il muro bianco. Tuttavia non aveva nemmeno tanto interesse ad uscire da quella stanza, semplicemente voleva essere lasciata in pace. Lontana da tutti quelli che vivevano in quella casa.
Sentì Jared sospirare, perché era andato lei? Aveva forse paura che non scendesse quel giorno?
«Hai fame?» Chiese il cantante esasperato. Sì, starle vicino gli faceva saltare i nervi, come poche volte gli era successo nella vita. Tuttavia Shannon lo aveva minacciato: se Jared non fosse andato di sua – quasi – spontanea volontà a parlare con Anthea, lo avrebbe preso di peso e li avrebbe chiusi a chiave in quella camera, finché non si fossero detti almeno “ciao”.
Anthea scosse la testa.
«C’è qualcosa che ti farebbe uscire da qui?» Le domandò, sembrando preoccupato.
Lei si girò, trovando subito gli occhi dell’uomo, che la fissarono con compassione. Molto probabilmente aveva gli occhi cerchiati di rosso per tutte le lacrime versate e lo sguardo vuoto, animato solo dalla disperazione.
«Non fingerti preoccupato» Lo accusò «Te lo si legge in faccia, che se fosse stato per te non ci avresti nemmeno messo piedi qui dentro. Sarai pure un attore, ma sei come le altre persone: se non te ne frega una cazzo di qualcuno, non puoi improvvisamente interessarti ad essa.»
Jared non lo negò, sarebbe stata ipocrisia.
«Hai ragione» Disse guardandola «A differenza tua, però, io ho fatto un passo avanti. Non credi di doverlo fare anche tu a questo punto? Non è così che si affrontano i problemi Anthea.» Parlò non calma, cercando di non tradire il fastidio che lo sguardo della giovane gli provocava: accusatore e arrabbiato.
«Problema? Forse Jared tu i problemi gli hai sempre risolti con tuo fratello accanto, ma io non ho più mia madre! E non ho fratelli a cui appoggiarmi, tanto meno i miei nonni o i miei amici. E sai perché?» Solo in quel momento, Anthea, si rese conto su quale consapevolezza si basasse tutto il suo astio per il cantate «Perché per qualche motto di egoismo o Dio solo sa cosa, hai accettato l’affidamento! Perché tu e mia madre avete deciso della mia vita e l’avete rivoluzionate senza il mio consenso. Ti rendi conto di questo?» Non c’erano più lacrime sul suo volto a quel punto, bensì un’aria corrucciata ed esasperata di essersi portata dentro quel peso per mesi, senza mai riuscire a buttarlo fuori. Ora che quelle parole aveva preso una forma, però erano ancora più terribili, perché le stava rivolgendo a Jared, il che voleva dire che lei aveva lasciato liberamente a quel l’uomo la possibilità di decidere cosa farne della sua vita.
E ora era in trappola.
Jared la guardò, furioso. Cosa ne poteva sapere lui di quello che lei voleva? Cosa pretendeva? Credeva davvero che per lui fosse un passeggiata tenersi in casa una persona che lo detestava?
«Dovresti limitarti a pensare alla tua musica e non a interferire nella vita di chi non conosci» Continuò la ragazza.
Il cantante si alzò dal letto e la raggiunse, fissandola dritto negli occhi. Voleva capire se quell’astio che stava dimostrando fosse ben radicato o solo uno scudo per difendersi da qualcosa di nuovo. Tuttavia fu inutile tentare, perché quello sguardo tradiva solo una freddezza che a diciassette anni non si dovrebbe nemmeno conoscere.
«Sarà quello che farò Anthea. Come hai detto tu non mi interessa che tu stia bene o male, sei una sconosciuta, non voglio intromissioni di nessun genere che possano mandare a puttane il mio lavoro. Perciò fai quello che vuoi, salvati da sola. Sii egoista e non accettare gli aiuti, mauna volta che avrai toccato il fondo sappi che io ti salverò in ogni caso, che ti piaccia o meno.» Detto questo si allontanò dalla ragazza, che fissò la figura dell’uomo sparire oltre la porta.

Il suo primo giorno all’Ucla – Università della California di Los Angeles – lo stava tranquillamente trascorrendo nella biblioteca dell’edificio, semi nascosta tra gli scafali e con la testa tra le mani.
Aveva tristemente scoperto che gli argomenti trattati alle lezioni,  cui era iscritta, li gli aveva già studiati e
non aveva la minima intenzione di riascoltarli, così la biblioteca le era sembrata la migliore soluzione. Un po’ per far trascorre il tempo, un po’ per nascondersi.
Per tutto il giorno aveva avuto l’amara sensazione che buona parte degli studenti sapesse chi era, perché fosse lì, dove vivesse e, soprattutto, con chi abitasse. Odiava quella sensazione di solitudine, mista a paura, tant’è che quasi rimpiangeva di non aver mandato al diavolo Jared quella mattina ed essersi chiusa in camera per non vederlo per il resto dei suoi giorni e non mettere piede al college.
Io ti salverò in ogni caso, il sangue le ribolliva  nelle vene ogni qualvolta quella frase le rimbombava in testa. Praticamente ogni mezzo minuto. Non riusciva a staccarsi da quelle parole, che avesse ragione? L’avrebbe salvata nonostante tutto? Si credeva davvero così potente da poter vincere qualsiasi sfida? Quanto detestava la determinazione di quell’uomo.
Si tolse le mani dal volto, quando sentì la sedia davanti a lei muoversi e un fruscio passarle davanti.
Le venne quasi da ridere, quando incontrò le irridi castane del giovane..
Lui la guardò con un mezzo sorriso«Aspetti qualcuno?» Chiese il giovane guardandosi attorno, mentre poggiava un bicchiere di carta colmo di caffè sul tavolo. Ad Anthea venne la nausea al profumo inebriante della bevanda. Da quant’è che non toccava cibo?
Lei lo ignorò. Dopotutto che fastidio poteva darle? Se aveva voglia di conversare aveva sbagliato tavolo e persona, quindi molto probabilmente si sarebbe defilato dopo avere riscontrato la poca loquacità della giovane.
«Di dove sei?» Le chiese il ragazzo, sorseggiando il caffè.
Le supposizioni di Anthea, trovarono conferma con quella domanda. In molti sapeva che lei era “quella nuova” trasferita in California, che poi come dannazione facevano a saperlo? Si ritrovò a sbuffare, mentre continuava ad ignorare il giovane davanti a lei.
«Mmh…dalla carnagione dovresti essere del nord Europa o forse Canadese» Iniziò a indagare il ragazzo.
Lei alzò gli occhi su quelli castani di lui, ma il giovane non reagì, bensì le rivolse un piccolo sorriso.
«Sei canadese?» Tentò nuovamente, interpretando la sua reazione come una risposta affermativa, all’ultimo paese che aveva nominato prima.
Lei non disse nulla. Pensasse quello che voleva, non avrebbe parlato con nessuno lì dentro, neppure con quello lì. Tuttavia il ragazzo non demorse, sembrava quasi divertito dalla situazione, cosa che stava mandato ancor più Anthea su tutte le furie.
«Forse non mi capisci, ma è strano perché tutti ormai capisco l’inglese. Va bene che siamo in America e noi americani abbiamo un pronuncia diversa e anche delle parole differenti, però non mi sembrava di averti fatto delle domande strane né di aver…»
«Sono inglese» Mormorò a denti stretti la ragazza, mandando al diavolo tutte le moine sul fatto di non parlare con nessuno, con quello lì sarebbe stato peggio tacere. Le sembrava d’essere destinata ad incontrare uomini talmente virili, da avere un logorrea peggiore di alcune pettegole.
Il ragazzo annuì, ma Anthea ne rimase stupita. Non era un sorriso di trionfo, come si aspettava: soddisfatto di avere ottenuto quello che voleva. Aveva semplicemente annuito e accolto l’informazione.
L’avrebbe preso a schiaffi: che problemi aveva? Prima si tormentava tanto per capire di cha nazionalità lei fosse e poi annuiva e basta. Come se gli avesse appena detto “ciao”.
Anthea afferrò la borsa e si alzò, ma si trovò nuovamente il ragazzo davanti e dovette cedere alla tentazione di guardarlo dalla testa ai piedi.
Portava il capelli corti di un castano cioccolato, mentre gli occhi erano di una tonalità più scura. La carnagione era meticcia e il volto era coperta da una leggera barba di pochi giorni. I lineamenti del volto erano bene definiti, ma si addolcivano non appena sorrideva.
«Io sono australiano» Iniziò con tono serio «Che t’importa? Niente, è solo per farti capire che tanti qui a Los Angeles sono di altre nazionalità, ma nemmeno questo di interesserà più di tanto. Ti voglio solo dare un consiglio: impara ad amare questa città, altrimenti ti annienterà» Anthea lo guardò accigliata.
Lui le sorrise per l’ennesima volta e poi si allontanò, mentre lei si risedeva al tavolo.
Se c’era una cosa che aveva imparato in quei mesi in cui sua madre era venuta a mancare, in cui era rimasta inerme davanti ai fatti, in cui contava i giorni che mancavano alla data che l’avrebbe allontanata da Londra per un tempo indefinito, una sola consapevolezza, vivida, spietata e ammaliatrice l’aveva dominata nell’anima: annientarsi, annullarsi e toccare il fondo era l’unico modo per esorcizzare il dolore.

Avrebbe dovuto chiamare Emma per farsi venire a prendere dopo le lezioni. Già, beh era tornata alla villa con un taxi, con la chiara intenzione di sparire fino al giorno seguente.
L’unico impedimento che aveva trovato nella realizzazione della sua idea era stata la cucina. Il giorno in cui era arrivata non si era nemmeno accorta che fosse l’ultima porta prima delle scale. Essersene accorta, aveva significato prendere atto che erano tre giorni abbondati, che non metteva niente sotto i denti.
La fortuna aveva voluto che in quella casa ci fosse un vegano.
Abbandonò la tracolla fuori dalla porta, sperando che in quello studio ce ne avessero ancora molto, per darle il tempo di preparasi un sandwich, degno di quel nome, e una buona dose di caffè bollente.
Sua madre l’aveva sempre abituata alla dieta vegetariana, forse l’unico periodo in cui le aveva fatto magiare della carne era stato durante l’infanzia, sotto stretta raccomandazione del pediatra, per garantirsi che Anthea crescesse in modo sano. In ogni caso la ragazza appena ne aveva avuto la possibilità aveva messo da parte la carne.
Quel ricordo le provocò una fitta alla stomaco, ma decise di placarla, almeno per il momento.
Aprì diversi scompartimenti della cucina prima di trovare del pane integrale in fette, mentre dal frigo ne estrasse un po’ di lattuga, pomodori e formaggio spalmabile. Niente di speciale, ma almeno lì dentro si faceva la spesa a differenza di Amelia.
Amelia, perché non si era ancora fatta sentire? Si chiese malinconica.
Adocchiò il bollitore, contenente ancora del caffè, e accese il fornello per scaldarlo, prendendo dalla lavastoviglie una tazza.
In breve si preparò il sandwich e il caffè fu caldo, lo versò nella tazza e fece per uscire.
Eccola lì la rabbia, sempre in agguato. Sentì il respiro farsi affannato davanti a quello sguardo compiaciuto, tant’è che fu costretta a poggiare piatto e tazza per non farli cadere, da quanto le tremavano le mani.
Io ti salverò in ogni caso.
Ti salverò.
In ogni caso.
Potevano esserci parole peggiori dette da quell’uomo?
«Posso mangiare qui con te?» Le chiese, indicando i due sgabelli accanto all’isola della cucina, oltre la quale si trovava Anthea.
«Non avevo intenzione di mangiare qui» Le era passata la fame.
«In camera non ci mangi, mi dispiace» L’avvertì Jared, continuando a mantenere lo sguardo in quello di lei.
Anthea alzò le spalle, come se la cosa non la interessasse «Godi la cena, Jared» Gli disse, allontanandosi da caffè e sandwich, non glie l’avrebbe data vinta per nessuna ragione al mondo.
Cercò di uscire, ma lui la bloccò.
«Non puoi continuare a non mangiare» Sembrava davvero preoccupato, si ritrovò a pensare Anthea e quasi cedette sotto quello sguardo azzurro. Tuttavia, lui la mollò quando lei non gli rispose e con stizza si riprese la tracolla e salì al piano di sopra, in tempo per evitare Shannon e Tomo, che dopo aver congedato tutti per la quella sera, raggiunsero Jared, ancora fermo all’entrata della cucina.
«Jared?» Il cantante si voltò verso il fratello «Cosa ci fai fermo lì?» Gli chiese, superandolo ed entrando in cucina.
«Hai preparato tu questi?» Chiese Tomo, indicando sandwich e caffè.
«No, li ha preparati Anthea. Erano la sua cena» Spiegò Jared, ricevendo di rimando un’occhiata perplessa dall’amico, mentre Shannon lo fissava truce intuendo ciò che era successo.
«Erano?» Ripeté Tomo.
Jared annuì, ma non appariva minimamente toccato dall’aver usato un tempo passato «Voleva cenare di sopra, ma le ho detto che non poteva. Così ha preferito digiunare anche oggi» Spiegò il cantante.
Tomo e Shannon si scambiarono una fugace occhiata preoccupata, entrambi sapevano che non si poteva continuare così e se Anthea non aveva nessuna intenzione di venirgli incontro volontariamente, dovevano almeno provare ad assecondarla nelle piccole cose.
Il batterista prese in mano il piatto e la tazza, sotto lo sguardo perplesso del fratello «Shan?»
«Sta zitto Jared» Lo riprese il maggiore, uscendo dalla cucina e salendo al piano di sopra.
Davvero non riusciva a spiegarsi il comportamento di Jared e oltre tutto l’atteggiamento del fratello lo mandava in bestia. Dopotutto non era stato lui ad accettare l’affidamento? Era stata una sua libera scelta quella di far trasferire Anthea a casa loro, quindi quel comportamento di astio e totale indifferenza di Jared non si spiegava.
Cercò di bussare alla porta e non ci volle molto prima che Anthea apparisse alla porta.
Lo fissò e per la prima volta da quand’era in quella casa, Shannon, poté vedere quegli occhi chiari brillare. Il batterista ne rimase piacevolmente soddisfatto, forse quella era la strada giusta per addolcirla.
«Sono d’accordo con mio fratello sul fatto che non debba mangiare qua sopra, da sola, Tuttavia non posso accettare di lasciarti morire di fame» Le porse il piatto e la tazza, ma Anthea esitò un momento, chiedendosi quali conseguenze ne sarebbero derivate.
«Non ti sto chiedendo di cenare con noi, ma se vuoi o, meglio, se ne hai piacere posso chiedere alla cameriera di lasciarti qualcosa in forno per quando torni la sera e per la mattina beh… » Sembrava in difficoltà
Anthea prese sandwich e caffè «… farò colazione al bar del college. Grazie» Non accettò né rifiutò l’offerta fattagli dal musicista, un po’ perché non glie la voleva dare vinta, ma soprattutto perché aveva talmente tanta fame che se non avesse messo qualcosa sotto i denti non sarebbe nemmeno riuscita  dormire.


NDA:
Inizio con….perdonatemi il ritardo! Il fato, destino, chiamatelo come volete è contro di me ultimamente e ha ingiustamente chiamato in causa la fan fiction.
Comunque, nuovo personaggio, Craig… che ruolo avrà? Ditemelo voi.
Oltre a questo, c’è una cosa fondamentale da dire: OSCAR come Miglio Attore Non Protagonista, io non posso che dire “speriamo non abbia un effetto catastrofico sull’ego della Divah, anche se è stata più che meritato!”.
Colgo l’occasione, anche, per ringraziare chi ha recensito il primo capitolo e colore (anime coraggiose) che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite *w*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e son ben accette qualsiasi tipo di recensione.
Un saluto,
alla prossima (si spera presto, incrociate le dita)
Silence.

 

  
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