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Autore: Ninfea 02    03/12/2004    6 recensioni
La famiglia Black. Sirius li ha davvero sempre odiati? Tutti? E se invece ci fosse stato, in un tempo lontano, un vero legame affettivo, sincero, con almeno qualcuno di loro?
Una mia personale versione sulla famiglia Black, uno squarcio sulle loro vite il giorno in cui Sirius decide di andarsene per sempre da quella casa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“NON USARE QUEL TONO CON ME, RAGAZZINO!”
Di nuovo. Quante volte era già successo in quei giorni? Bellatrix alzò gli occhi blu al soffitto, sbuffando. Aveva perso il conto, quelle litigate ormai erano normale routine.
“SEI SOLO UN ARROGANTE PIDOCCHIOSO!”
Gli strilli isterici di sua zia arrivavano fino al terzo piano dell’enorme villa di famiglia: un edificio stile vittoriano, ricchissimo, elegante, enorme. Eppure comunque troppo piccolo perchè Sirius e sua mamma potessero conviverci civilmente.
La ragazza era in camera sua, sdraiata sul suo letto a baldacchino, che cercava di fare controvoglia un dannatissimo tema di storia della Magia. Si infilò le dita nelle orecchie per cercare di concentrarsi nonostante le urla.
-… I clan degli Elfi Nordici erano sette: tre dalla Norvegia, uno dall’Islanda, uno dall’Irlanda, … E gli ultimi due, da dove cavolo venivano? …Finlandia? No…-
“TE NE PENTAIRAI, MALEDETTO! SEI LA NOSTRA VERGOGNA, SEI UN RINNEGATO!”
-… Dicevo, non è la Finlandia… Norvegia l’ ho già detta…-
Un rumore di passi affrettati sopra la sua testa, attutiti da morbide pantofole di pelliccia costosissima: anche Regolus aveva sentito le urla della lite. Come al solito si stava affacciando alla tromba della scalinata di marmo per assistere, il ghigno di soddisfazione dipinto sul visetto magro, che esprimeva sempre una gioia particolare in quei momenti, perché sapeva quello che sua madre stava per dire al fratello maggiore.
- Tuo fratello Regolus ha cinque anni di meno, ma si dimostra sempre superiore a te…- pensò Bellatrix.
“TUO FRATELLO REGOLUS HA CINQUE ANNI DI MENO, MA SI DIMOSTRA SEMPRE SUPERIORE A TE!”Urlò la signora Black, due piani più giù.
Stavolta una voce maschile rispose ringhiando una frase incomprensibile.
Bellatrix tese le orecchie. Voleva sentire che stava rispondendo Sirius, ma un altro rumore coprì le parole del cugino. Dalla camera accanto, sua sorella Narcissa raggiunse la porta, pestando rumorosamente i piedi; la spalancò e poi la sbatté violentemente.
SBOOM!
Era il suo modo eccentrico per far capire che la stavano disturbando. Probabilmente stava parlando attraverso il caminetto con una delle sue odiose compagne di scuola.
“Maledizione, NARCISSA!” una voce gracchiante aveva fatto da eco al frastuono della porta sbattuta. Probabilmente aveva disturbato lo zio Bilius, lo scapolo nullafacente della famiglia, che –Bellatrix poteva metterci la mano sul fuoco- se ne stava nella stanza imparte a quella dove Sirius e sua mamma stavano litigando, con l’orecchio incollato all’uscio, cercando di origliare.
La mora scrollò il polso e un orologio d’argento scivolò fino a cozzare con un tintinnio contro i suoi numerosi bracciali. Uhm… Stanno litigando da quasi cinque minuti… Se riescono ad arrivare a sette prima di sbattere la porta in faccia all’una o lanciare una fattura all’altro, hanno stabilito il nuovo record…
“VERGOGNA! SEI INDEGNO! INDEGNO! FIGLIO DEGENERE! COSA MI TOCCA SENTIRE! NON COMBINERAI MAI NULLA DI BUONO NELLA VITA!”
“SARO’ FIERO DI NON COMBINARE NULLA, PIUTTOSTO CHE ASSECONDARE I VOSTRI ASSURDI E IPOCRITI DOPPI FINI!” urlò di rimando la voce di Sirius.
“COME OSI! PORTAMI RISPETTO, SONO TUA MADRE!”
Bella, suo malgrado, si alzò improvvisamente, abbandonò la pergamena e la piuma d’aquila, mettendosi a sedere sul letto, attentissima. Ora arrivava la sfuriatona finale, lo sapeva.
Invece, inaspettatamente, la porta di camera sua si spalancò e ne entrò una ragazza avvenente, alta e slanciata, dai folti capelli biondo cenere lisci e fluenti raccolti in una codona di cavallo che le scendeva fino a metà schiena.
Narcissa la guardò torva, ferma sull’entrata, sbilanciata verso la maniglia, a cui era appoggiata.
“Ne avranno ancora per molto?” sbottò irritata.
Bellatrix alzò le spalle. “Di solito dura anche di meno, non so…”
L’altra sbuffò esasperata, picchiando la mano sullo stipite. “Merda! Si può? Non riesco nemmeno a parlare con Marissa per il casino che sta facendo quel cretino!”
“PROVA A RIPETERLO SE NE HAI IL CORAGGIO!”
“Ma si può sapere che cos’ ha fatto stavolta?” chiese la bionda nervosamente.
Sua sorella, che nel frattempo stava cercando di recuperare la piuma finita sotto al letto, rispose: “Boh… Comunque credo che anche stasera salterà la cena…”
CRASCH!
Rumore di vetri infranti.
Le due sorelle si guardarono negli occhi, sgranandoli, spiazzate. Narcissa boccheggiò, indicando il piano terra come a dire “…hai sentito anche tu?”. Bellatrix balzò in piedi e inforcò la scalinata di marmo, facendo i gradini a due a due. Atterrò dietro a Regolus che si era precipitato a sua volta, subito seguiti da Narcissa, che aveva fatto quasi un volo per via delle vertiginose ciabatte-zeppe griffate che portava ai piedi.
Corsero fino alla porta del salotto, spintonandosi a vicenda, accavallandosi, per mettersi uno sopra l’altro e assistere alla scena dalla fessura dell’uscio accostato. Loro zio Bilius, lì già da prima, reclamò il suo spazio con una gomitata nelle costole di Regolus.
Lo spettacolo aveva dell’incredibile: la signora Black al centro del salotto era pallidissima e incredibilmente muta, gli occhi sgranati carichi di una rabbia talmente incontenibile che non riusciva a esprimerla con le parole. Il labbro le tremava, così come l’indice della mano destra, su cui spiccava l’anello con lo stemma di famiglia, in quel momento puntato contro il ragazzo a due metri da lei.
Sirius era semplicemente furente: i capelli nerissimi coprivano la sua fronte, cadendo sugli occhi, dei quali lasciava intravedere solo qualche bagliore azzurrissimo e fiero. Stava con le braccia appoggiate sul tavolo, piegato in avanti, ansimando come un guerriero dopo la sua battaglia.
E a terra c’erano i frammenti del piatto di cristallo che, fino a cinque minuti prima, faceva sfoggio di sé sul tavolo centrale del salotto di gala. Quel piatto antico come il loro titolo nobiliare, donato loro secoli e secoli prima.
Quel piatto che recava dipinto lo stemma dei Black, che era il simbolo del loro sangue Puro.

“Non ci posso credere, l’ ha rotto!” sussurrò Narcissa.
“Stavolta tua madre lo ammazza sul serio…” bisbigliò lo zio Bilius all’orecchio di Regolus.
Fu con una voce stranissima e insolitamente roca che la donna cominciò, forse per la prima volta nella sua vita, a balbettare: “Che… Tu… Come … TU… TU…”
“La zia che non riesce ad articolare un insulto per Sirius non è un buon segno…” mormorò Bellatrix, quasi fra sé e sé.
Al centro del salotto, Sirius la fissava torvo, alzò il capo e lo scosse, facendo scostare i capelli di pece dal viso.
“TU… TU…”la smorfia sul viso della donna si contrasse scavando precoci rughe di rabbia sul volto ancora abbastanza giovane.
Il ragazzo fece un sorrisetto di scherno, odioso e superiore, come solo un bambino educato aristocraticamente,e aristocraticamente viziato, sa fare. “Cercate di calmarvi madre, non vorrete farvi venire un colpo apoplettico…”
La donna esplose:“TU… SEI IMPAZZITO?! CHE TI E’ PRESO, DEFICIENTE? TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE HAI FATTO?!? SEI… ABOMINEVOLE! SCREANZATO! IL PIATTO! IL PIATTO DI FAMIGLIA! STUPIDO IDIOTA, CHE CREDEVI DI FARE,EH??”
Pareva una leonessa che ruggiva. Anche se tutta fasciata in quel lungo e attillatissimo abito nero, sembrava piuttosto una scheletrica pantera.
A quelle frasi urlate, Regolus dietro la porta aveva sobbalzato per lo spavento.
Bella lo guardò. Lui aveva paura di sua madre, esattamente come lei e Narcissa temevano e riverivano loro padre.
L’unico davvero diverso era Sirius.
Sirius, sprezzante di qualunque forma di autorità, ambizioso, bramoso di libertà, assetato di vita.
L’unico che non voleva e non permetteva che lo comandassero.
Sirius il ribelle. Ribelle, e un briciolo arrogante.
L’unico… l’unico che non aveva sobbalzato, di fronte a sua madre incazzata nera.
La donna, senza smettere di urlare, si era chinata verso il pavimento, sconvolta, ammucchiando i frammenti del purissimo cristallo rotto dal figlio.
“DEFICIENTE! UN CRETINO! ECCO CHE COSA SEI, UN CRETINO! IL PIATTO… IL NOSTRO PIATTO… TU… L’ HAI ROTTO… L’ HAI FATTO APPOSTA! PERVERSO RAGAZZO! L’ HAI FATTO APPOSTA! VUOI FARMI MORIRE!”
Sirius sbuffò. Sua madre che si atteggiava a povera vittima, proprio non la reggeva. “Smettetela di recitare, una buona volta! Siete più falsa di giuda!” esclamò troncandole le parole in bocca.
La donna fece un passo in avanti, terribile e maestosa. “Questa te la faccio pagare… TE NE PENTIRAI AMARAMENTE, DISGRAZIATO!”
“MAI!” urlò Sirius alzando sfrontatamente il viso.
“Non me ne pentirò MAI! E’ il gesto migliore che io abbia fatto negli ultimi sei anni in questa casa! Quel volgarissimo coso…” ringhiò indicando i pezzi di vetro per terra “… E’ il simbolo della mia condanna! Lo stemma dei Black… Un mucchio di stronzate, ecco quel che rappresenta! Tutti i formalismi, le convenzioni, le etichette, i titoli che avete cercato di inculcarmi! La mia condanna!”.
Picchiò il piede per terra pestando ulteriormente le schegge cristalline.
« TE NE PENTIRAI! »
« COL CAZZO! » stavolta la voce di Sirius ebbe l’incredibile potere di sovrastare quella della donna, che ammutolì, colpita da tanta sfrontatezza. “Ne ho piene le balle di voi! Di voi, di mio padre, di mio fratello, dei miei cugini, di TUTTI! Delle cene di gala dove ognuno sorride come se avesse una paresi per poi sparare veleno su tutti i parenti non appena questi se ne sono andati! Dei balli pieni di salamelecchi! Delle stronzate sulla nobiltà e sul sangue puro! Dell’ossessione verso le origini dell’altra gente, come se voi foste perfetti! Delle falsità, delle menzogne, delle ipocrisie luccicanti e sfarzose dietro alle quali vi nascondete! Delle penose recite a cui devo assistere ogni giorno! SONO STUFO!” Si fermò, ansimando, per recuperare fiato.
Sua madre lo fissava stralunata. Con ogni probabilità il suo cervello lavorava febbrilmente e inutilmente per trovare una punizione abbastanza atroce per ripagare il ragazzo di tutte le cose che stava dicendo.

Dietro la porta nessuno fiatava. Narcissa pensava che stavolta la signora Black gli avrebbe lanciato una Maledizione Senza perdono, ne era quasi certa.
Sua zia aveva quello sguardo solo quando si apprestava torturare un elfo domestico.

“Sapete…” il tono con cui esordì Sirius fece trasalire tutti, perché era inaspettatamente tranquillo. “…Temo che non vi darò neppure la soddisfazione di una vendetta, madre. Perché stavolta me ne sbatto delle vostre punizioni.”
“VEDREMO COME TE NE SBATTI, RINNEGATO!”
“RINNEGATO,SI’!” urlò il ragazzo. “E sono fiero di esserlo! Questa casa mi fa schifo, voi mi fate schifo! E prima di contaminarmi ulteriormente, cara madre, IO ME NE VADO!”
"h! TU COSA…?!”
“Avete capito benissimo, me ne vado! Me ne vado di qui! E per sempre! Perché io, IO, ce l’ ho un onore!”
“TU NON HAI PROPRIO NULLA SENZA DI ME!”sibilò la donna.
“E allora preferisco mille volte non avere nulla, che avere tutto e dover pagare, quale prezzo, la mia fedeltà a voi!”
E Sirius avanzò sicuro verso la porta, la spalancò e la attraversò, a testa alta, burrascoso, fiero.
Bellatrix, che si era appiattita contro la parete per non essere travolta dal cugino, lo vide passare totalmente sconvolta. E per quanto ebbe una visione fugace del suo viso, non se lo dimenticò mai. Era rosso, coi capelli spettinati, ma gli occhi brillavano come non mai, e sorridevano. Il sorriso del trionfatore.
Il ribelle ha vinto.
Sua madre non sarebbe mai riuscita a spegnere il fuoco che brillava azzurro nel suo sguardo.
Fu una voce crudelmente stridula che lanciò l’ultima invettiva contro il ragazzo, che ora stava già salendo le scale.br> “TE NE PENTIRAI, SIRIUS!”
La voce della sconfitta.




La lunga tavolata era apparecchiata in modo perfetto. La tovaglia scendeva con pieghe perfette, i calici di cristallo riflettevano la luce dei candelabri in modo perfetto, le posate cozzavano contro i piatti con un tintinnio perfetto.
L’orologio scandì con nove precisi rintocchi l’ora esatta, senza che nessuna delle persone che stavano facendo finta di cenare gli prestasse attenzione. Erano un po’ in ritardo sull’orario solito di cena, per via di tutto quel… trambusto che c’era stato.
C’era persino un silenzio assolutamente, falsamente perfetto.

Il giovane zio Bilius, un uomo di circa trentacinque anni, la stessa chioma bionda di Narcissa e l’aria un po’ snob, era l’unico che mangiava sul serio, continuando a sorbire abbondanti cucchiate di zuppa. Doveva essere arrivato al terzo piatto.

Chi l’avrebbe mai detto che quel pazzo di suo nipote sarebbe arrivato a tanto? Certo, aveva sempre manifestato un temperamento vivace… Diciamo pure apertamente e spudoratamente contrario alla linea della famiglia. Ma non credeva che si sarebbe spinto così in là…
Bah! Affari suoi… Si divertirà, farà il giramondo squattrinato e romanticamente idealista per un po’, poi finirà per riconoscere che nella vita non si campa di sogni e aria, e che è molto più comodo abbassare un po’ la cresta e godersi il denaro, la posizione altolocata, i privilegi sociali… E le belle donne, ovviamente. Tutte cose che poteva trovare solo nella sua famiglia, lui lo sapeva bene… Dopotutto quel ragazzo gli ricordava un po’ lui a 17 anni… Finirà per disilludersi anche lui…


Con un sorriso dolce-amaro, lo zio Bilius scacciò i problema del nipote dalla sua mente, preferendo concentrarsi sulla bella dama di turno con cui avrebbe trascorso l’eccitante nottata al casinò più esclusivo della città… Come sempre.
Gli ideali, come l’amore, sono per gli illusi.


Narcissa sbriciolava svogliatamente un grissino nel piattino degli antipasti, sgretolandolo con le lunghe unghie laccate di blu metallizzato, colore in coordinato con il foulard di seta che aveva legato al collo e con la pesante riga di matita sopra le palpebre. Fissava lo zio Oscar senza togliergli gli occhi grigi di dosso.

Moriva di sadica curiosità, sapeva che il padre di Sirius non aveva la più pallida idea di che fare per risolvere la situazione: lei aspettava di vedere che si sarebbe inventato.
Un altro scandalo, come quello di sua sorella Andromeda, scappata di casa sette anni prima, era assolutamente da evitare. Lei era molto piccola, tanto che forse nemmeno più sapeva che faccia avesse sua sorella, però ricordava bene tutto il trambusto che ne era conseguito: le sfuriate di suo padre, le crisi isteriche della zia, le inutili e false rassicurazioni dello zio Oscar sul fatto che ‘presto si sarebbe ravveduta, è solo questione di tempo’…
Se fosse successo di nuovo un fatto del genere, i parenti di Edimburgo li avrebbero sfottuti a vita, e Nonna Eva, la patriarca della casata, ci sarebbe rimasta secca… Certo, forse così avrebbero messo finalmente le mani sull’eredità, sempre che la cara vecchietta non li diseredasse tutti quanti per la penosa figura che avrebbero fatto con altre famiglie Purosangue… Per non parlare delle chiacchiere della gente, e dei compagni a scuola, che vergogna! Non aveva certo intenzione di farsi rovinare ulteriormente la reputazione da quello scemo di suo cugino…
No. Decisamente lo zio doveva fare qualcosa.


Il signor Oscar Black sembrava sforzarsi enormemente per mangiare, ma il suo piatto era ancora praticamente intatto. Era un uomo sui quarant’anni, un tipo assolutamente ordinario, anzi il più ordinario di tutti lì dentro: capelli corti, brizzolati, pizzetto curato per nascondere la linea, un po’ debole del mento, un fisico non più giovane, ma che un tempo doveva essere stato molto atletico. Mentre prendeva il bicchiere, la sua mano tremava.

Maledizione, che gli era saltato in mente a suo figlio! Fare una scenata del genere a sua madre… Probabilmente lei li avrebbe schiavizzati tutti per tre settimane, per dar sfogo alla rabbia… Era sempre lei che comandava in quella casa, lui non né aveva tempo né voglia: c’era il suo lavoro, e poi altri interessi.
E d’altra parte, a lei piaceva da morire tiranneggiare. Cosa aveva detto lo psicologo? Personalità dominante. Sua moglie ha una personalità dominante. In altra parole disprezzava i deboli e adorava comandare.
Sospirò.
Dannazione, non si può mai vivere in pace. Lui chiedeva solo questo. Non gli costava nulla assecondarla, né gli pesava avere un ruolo paterno puramente di facciata. Ma, maledizione, quando accadevano queste cose, era sempre lui che ci andava di mezzo.
“Sei suo padre, prenditi le tue responsabilità! E’ colpa tua se quel disgraziato è uscito così!”.
Bugia, il suo primogenito non aveva preso proprio nulla da lui. Forse i capelli. Di sicuro non il carattere forte e orgoglioso, terribilmente orgoglioso.
Il signor Black scosse la testa. Cosa diamine poteva fare?
Una cosa era sicura. Lo scandalo era assolutamente da evitare. Il ragazzo non se ne doveva andare.
Dopotutto è solo un ragazzo, avrà fatto un colpo di testa, succede… Che diamine, quanti anni ha? 15? No, 16… Per diana, è più che normale avere degli scatti d’ira a quell’età! Una bravata… Una bravata come tante… Più tardi sarebbe andato a parlargli, forse gli era già passata… Figurati se uno a 16 anni se ne va di casa! Andromeda ne aveva almeno 18 quando era fuggita… No, no… Non sarebbe successo…


Più tranquillizzato da quel pensiero, il signor Black si decise a mangiare.


Accanto a lui, sua moglie era composta e in rigoroso ordine se non per un ciuffo di capelli castano scuri che era fuggito dalla crocchia dietro la nuca e ora le ricadeva a lato del viso liscio e pallido. Masticava nervosamente, le labbra serrate, le sopracciglia sottilissime aggrottate, lo sguardo fisso, muovendosi a scatti.

Quel ragazzo la pagherà… La pagherà, per la sua arroganza… Anni e anni a progettare, a calcolare ogni cosa, ogni dettaglio, pianificando perfettamente il futuro della stirpe, e poi… Uno stupido bamboccio orgoglioso demoliva tutto il suo lavoro! L’educazione rigorosa, le etichette, i capisaldi dell’aristocrazia, le tradizioni rigide… Tutto al vento!
Nessuno si era mai permesso di contraddirla, MAI. Non poteva perdere, non poteva dargliela vinta…


Di fronte a lei stava il cognato, Derrick, il padre di Narcissa e Bellatrix. E anche di Andromeda.
Mangiava lentamente, soffiando piano tra i baffi grigi sulla superficie del brodo nel cucchiaio d’argento, osservando i commensali coi suoi occhi di ghiaccio, freddi e tremendamente penetranti.

Suo fratello si illudeva se sperava di evitare lo scandalo. Era quello che aveva pensato pure lui. Sono ragazzi… Ricordi soffocati e volutamente, ostinatamente nascosti riaffiorarono da chissà dove.
Andromeda era innamorata di un volgare Babbano. Che schifo! Infatuazioni adolescenziali… Un paio di mesi chiusa in casa le avrebbero levato quei grilli dalla testa…
Sicuramente lui non si aspettava che sua figlia fuggisse nel cuore della notte.
Certo che invece il nipote era stato molto più plateale… D’altronde lui l’aveva sempre detto: quel ragazzo sarebbe finito male. Che bisogno c’era di scaldarsi tanto? Era una cosa risaputa da quando era stato messo a Grifondoro… Che ci si poteva aspettare da uno così? Questo era il meno peggio. Almeno potevano cancellarlo dall’albo famigliare. E smetterla di sentirsi immischiati nei suoi sporchi e vergognosi giri di amicizie…
Che se ne andasse. Era meglio per tutti.


Regolus accanto a sua madre era incredibilmente composto e silenzioso. Un bimbetto sugli 11 anni, molto immaturo, egocentrico, abituato ad avere tutto e più di tutto. Abituato a essere riverito e servito. E elogiato. E osannato. E sollevato sugli allori ogni volta che aveva accanto il fratello. Già… E se ora Sirius se ne andava davvero? Se ne sarebbe andato sul serio? Il suo cervello non poteva, suo malgrado, immaginarsi una casa senza Sirius.

Aveva una paura matta. Si rendeva conto, inconsciamente forse, che fin’ora gli era andata bene, perché i genitori era no stati tutti assorbiti delle ribellioni più o meno eclatanti del fratello, ma ora? Su chi si sarebbe sfogata sua madre? Chi sarebbe diventato il maggiore, quello su cui scaricare colpe e responsabilità? Lui? Oh, no! Gli stava bene tutto così com’era.
Regolus era il ritratto di suo padre: meno si chiedeva di lui, meglio era.
Stare nell’ombra, in pace, essere sotto la luce solo quel tanto che bastava per godersi un po’ di lodi a scapito di Sirius, godere di una posizione privilegiata a feste, cene, compleanni, occasioni noiose e mondane, vedersi arrivare tanti regali di gratificazione e incoraggiamento: questo gli piaceva. Adorava i complimenti, ma non voleva sbattersi per guadagnarseli.
No, no: esporsi? Esprimere un parere? Assolutamente no! Era abituato alla sicurezza di essere comunque il piccolo, il più coccolato, l’unico dei due che era Serpeverde, e perciò, a prescindere da qualunque cosa, il migliore, quello che aveva ragione… Ora si sentiva mancare il terreno sotto i piedi, pensando che il suo mondo perfettamente tagliato su misura poteva cambiare…
Merda! Sirius era uno stronzo, in modo o nell’altro riusciva sempre a metterlo nei guai.


Bellatrix fissava nel piatto, la forchetta linda e luccicante ancora stretta in mano.

Sentiva che quella stanza era piena della presenza di Sirius. Come sempre, anche se lui non c’era, il suo nome e il suo pensiero aleggiavano lì su quel tavolo assurdamente perfetto, tra quelle persone falsamente serene.
Persone. Nemmeno parenti: persone.
Bellatrix non sentiva nessun tipo di affetto o calore umano in quella stanza. Non era una cena, era come al solito l’ostentazione delle buone maniere. Il ripasso dell’etichetta delle cerimonie o occasioni di gala.
Pensava a Sirius e non riusciva a cancellare dalla mente il viso del cugino, mentre usciva dalla stanza dopo la litigata con la zia.
Se ne sarebbe andato stavolta, oh sì. Lo aveva sempre detto, lo aveva sempre saputo.
Ora lo avrebbe fatto.
Se lo aspettava, no? Sirius non era fatto per quella casa, per quella vita… Già decisa e programmata, angusta, odiata, ma irreparabilmente assegnata dal destino. No, Sirius non era fatto per programmi ed etichette formali: Sirius era uno spirito libero, così diverso da loro, così invidiabilmente più sfacciato, più ribelle, più… coraggioso?
Forse sì.
Forse era esattamente una questione di coraggio…
Il coraggio di urlare con sua mamma. Di ribattere. Di subire anni di ingiuste punizioni e differenze.
Il coraggio di portare avanti ciò in cui si crede. Il coraggio di chiedere al Cappello Parlante di non essere messo a Serpeverde.
Il coraggio di non abbassare la testa e tacere, di non lasciarsi manipolare, di non accettare passivamente un’educazione basata solo sul valore del sangue Puro.
E ora il coraggio di andarsene via da quella casa.
Così sarebbe rimasta sola.
Davvero sola.
Perché Sirius era l’unico con cui aveva un legame vero, sincero. O per lo meno, l’aveva avuto in passato. Quando, piccola bambina sfacciata e impertinente, credeva ancora di poter decidere del suo futuro.
Quanto aveva giocato con Sirius… Stessa età, molto simili… Due diavoletti dagli occhi blu…
Un angolo del suo cuore traboccava ancora di ricordi d’infanzia, gelosamente custoditi: ricordi fatti di corse e gare, di lotte, di giochi dove lo spirito agonistico e la voglia di primeggiare li portava sempre a scontrarsi.
E quante litigate, e calci, morsi, Sirius che le tirava i capelli e lei che lasciava coi suoi pizzicotti segni blu sulle braccia del cugino.
E dopo le litigate, feriti nell’orgoglio, nascondersi e fare gli offesi…
E poi ripensarci. E andare a cercare l’altro, evitando accuratamente di chiedere scusa, che tanto comunque lo sapevano che si scherzava.
E le partite a Quidditch contro i figli dei Lanstrange. Sentirsi uniti e spalleggiarsi per fargli mangiare la polvere, per mantenere alto il proprio orgoglio, che i Lanstrange erano solo dei rammolliti, e loro erano i migliori.
E gli scherzi a Narcissa, quando gli mettevano i rospi nel letto.
E le storie di paura raccontate sotto le coperte in soffitta, quando fuori pioveva forte, e prendere la scusa del freddo per stringersi di più, quando in realtà tutti e due se la facevano addosso per il terrore.
E le giornate a casa dello zio Alphard…
Le risate per i suoi racconti, la complicità, imparare le parolacce, confidate nell’orecchio come segreti proibiti e perciò ancora più eccitanti…
La loro infanzia.
Sirius era stato più di un fratello per lei.

Se solo non fossero mai arrivate quelle maledette lettere da Hogwarts…
Sapevano entrambi in quale Casa avrebbero dovuto andare, in quanto Black. Il problema era che nessuno dei due ci voleva andare. Entrambi odiavano allo stesso modo il mondo vuoto e ricco in cui erano cresciuti.
Bellatrix ricordava bene quella promessa.
“… Facciamo che non ci andiamo, Bella. Non voglio andare con gente di merda come i Lanstrange.”
“Ma come facciamo, mio papà…”
“Possiamo chiederlo! Chiediamo al Cappello parlante un’altra Casa, una qualsiasi…”
“Non Tassorosso, è quella dei perdenti!”
“Ok, vabbè…”
“Mio padre mi ammazza se finisco a Grifondoro.”
“E allora chiediamo Corvonero!”
Sì.
Corvonero era perfetto. Essere assegnati lì significava avere un’intelligenza sopra la norma: le loro famiglie non avrebbero certo potuto lamentarsi per un cosa tanto eccelsa.
Ma poi, quando era stato il momento, qualcosa era andato storto.
Alla cerimonia dello Smistamento Sirius si era avvicinato baldanzosamente allo sgabello, per primo. Bella lo guardava, aspettando il suo turno. Con il sorriso affascinante e malizioso, il ragazzino si era calato il Cappello Parlante sugli occhi.
Solo che quello non aveva detto “Corvonero!”, come si aspettava lei.
Aveva urlato “Grifondoro!”.
Grifondoro…
Grifondoro!?
Si era sbagliato! Sirius, digli che si è sbagliato, noi non possiamo andare a Grifondoro!
No, bimba.
Tu ti sei sbagliata.
Perché tuo cugino Sirius è già al tavolo dei Grifoni che festeggia, mentre tu sei impalata, attonita, e non fai nemmeno un passo verso lo sgabello, anche se la McGranitt ti ha già chiamata per la terza volta.
Bella si era dovuta sedere, aveva preso il copricapo, l’aveva messo in testa.
Terrorizzata.
Perché non sapeva che fare, perché era sola.
Prima che l’enorme cappello le coprisse gli occhi, aveva incrociato lo sguardo blu di Sirius. Che le diceva di andare con lui.
Ma lì sotto era sola.
Oddio, ma che aveva fatto Sirius? Lei non poteva, suo padre l’avrebbe ammazzata! Non poteva assolutamente! Il cervello era un ronzio unico, mentre la vocetta del cappello ragionava su dove doveva essere smistata.
Perché? No, non doveva andare così! Io da sola, non posso…
Non posso proprio…
Mio padre…
Bellatrix chiuse gli occhi e segnò la sua condanna e il suo destino.
Chiese di essere mandata a Serpeverde.
Il cappello le fu tolto e le immagini presero a scorrere velocemente: battimani, applausi, ragazzi che si presentavano, benvenuta, mani da stringere, baccano… E gli occhi di Sirius. Delusi, spiazzati, addolorati. L’emozione incomprensibile per tutti, tranne che per loro, inesprimibile a parole. Solo un filo sottile, che teneva uniti i loro occhi blu.
Solo perché lei, in quel momento, non aveva avuto coraggio. E da allora, non lo ebbe mai più.
Bellatrix e Sirius si allontanarono, perdendosi forse per sempre.
Lui era diventato super popolare, un vero idolo di bellezza maledetta, circondato da un’affascinante alone di mistero gonfiato da tutte le leggendarie azioni illegali compiute coi suoi amici solo per il gusto di infrangere le regole, solo per amore del rischio…
Lei per essere accettata aveva stretto amicizia con le insulse damigelle dalla puzza sotto il naso, con le bellicose sostenitrici del precetto del sangue Puro, aveva finito per assimilarsi a loro, per ripetere i loro discorsi, per imitare i loro atteggiamenti, per seguire i loro interessi. Il fatto che qualcosa della sua persona ispirasse soggezione alla gente, (forse la sua forza, la sua determinazione, cresciute per la lunga solitudine interiore) la aveva avvicinata naturalmente al gruppo di ragazzi più potente, importante, arrogante e prepotente della Casa. Inizialmente si disprezzava per questo, per aver soffocato tutti i suoi i sogni e la sua anima, per essersi uniformata a quelli contro cui si era ribellata fino a poco prima. Ma poi aveva imparato che a regnare sovrani in quella parte del mondo non erano gli ideali, ma gli interessi e le apparenze: forse il suo destino era solo quello.

Stasera Sirius se ne sarebbe andato.
Di nuovo sarebbe rimasta sola…
Poteva permettere questo?
Qualcosa nel suo petto, si ribellò repentinamente. Il suo cuore accellerò il battito.

Con una scusa banale, Bella si alzò improvvisamente da tavola.




SBAM!
La porta della camera si aprì di botto finendo contro la parete.
Sulla soglia, una ragazza dalla carnagione chiara, i lineamenti decisi ma nello stesso tempo fini, segni di una beltà antica e nobile, capelli neri come l’ebano, lisci e lucidi che cadevano morbidamente sulle spalle. Al centro, chino su un baule stracolmo di vestiti, un giovane attraente, la stesse chioma color pece dell’altra che scendeva un po’ più lunga di come si conviene, con ciuffi che spuntavano da sotto i lobi delle orecchie.
Gli occhi dello stesso blu, sgranati. Quelli di lui corrucciati e ancora brucianti per la rabbia della sfuriata. Quelli di lei, preoccupati e determinati.
Sirius distolse lo sguardo dalla cugina e tornò a rivolgerlo ai capi d’abbigliamento gettati alla rinfusa nel baule. Doveva farci stare ancora lo stereo, perciò si mise a comprimerli.
Bella chiuse la porta alle sue spalle, incrociò le braccia e non si mosse.

“Allora fai sul serio…”
Lui sbuffò, senza guardarla in faccia. “Domanda retorica, conosci già la risposta.”
Lei si morse il labbro.
“Ascolta Sirius…” cominciò cautamente, scegliendo bene le parole, mentre con le mani si sistemava le ciocche dietro le orecchie. “… Rifletti con lucidità…” “Sono stufo di ascoltare! E sono stufo di riflettere!” esclamò lui alzando la voce “Ora è il momento di agire!”
“Ah, sì? E sentiamo, cosa hai intenzione di fare?” chiese la ragazza, tornando nuovamente ad incrociare le braccia.
Lui la fissò, deciso: “Non hai sentito bene da dietro la porta? Zio Bilius faceva troppo casino? ME NE VADO! Vado via da questa casa, e stavolta per sempre!”
“Uhm… E dove avresti intenzione di andare?”
“Questi sono fatti miei! Da quando in qua ti preoccupi per me?”
Bellatrix strinse gli occhi a due fessure. “Tu vuoi andare a stare dallo zio Alphard, non è così? E’ la soluzione più semplice e comoda.”
Sirius la guardò, chiudendo la bocca.
Lei proseguì: “Beh, toglitelo dalla testa. Non puoi andare là.”
Il ragazzo fece un sorriso sarcastico, sbuffando: “E perché?”
“Perché no.” Allargò le braccia spazientita. “Insomma, non capisci? Lo zio ha già passato tante grane con la famiglia per via della sua vita non proprio secondo i canoni dei Black… Già lo escludono da ogni faccenda, tagliandogli sempre le gambe o mettendolo in difficoltà appena ce n’è l’occasione! Hai dimenticato quando hanno fatto di tutto per prosciugargli il conto alla Gringott con la scusa del fallimento delle azioni? Lo zio stava per finire davvero sul lastrico!
E nessuno lo avrebbe aiutato, lo avrebbero lasciato per strada! Lo odiano già ora! Figurati se ora tu vai a stare da lui! Forniresti il pretesto tanto sognato per dargli completamente il colpo di grazia! Gli renderebbero la vita impossibile, lo sai! E oltretutto, ora non sta nemmeno molto bene, non è più giovanissimo…”
Era raro sentire Bellatrix parlare così tanto e a raffica, era una che non amava i discorsi, soprattutto con lui. Erano anni che non parlavano seriamente, si limitavano alla frasi di circostanza o a poche sfrecciatine a scuola; o, meglio ancora, al silenzio.
Eppure, in tutto quel tempo, non era mai stato un silenzio vuoto, il loro. Anche se si ostinavano a far finta di niente, non era vero che fra di loro non c’era nulla. I loro occhi non avevano mai smesso di sbirciarsi, di capirsi, di comunicare. Anche per pochi, brevissimi, rarissimi attimi capitava ogni tanto che i loro zeffiri blu si incontrassero, sfiorandosi, mescolandosi per pochi istanti nello stesso blu, rispecchiandosi. E quelle fugaci occhiate sembravano talvolta rispolverare qualcosa di assopito, qualcosa che in quel momento parve risvegliarsi, qualcosa che si stava risvegliando, altrimenti Bella non sarebbe andata nella stanza di Sirius e Sirius non si sarebbe fermato ad ascoltarla.
Il ragazzo non rispose subito. Ma abbassò gli occhi.
Lei aveva ragione.
Tornò a posare lo sguardo sulla cugina.
Aveva incrociato le braccia per l’ennesima volta, come faceva sempre, anche a scuola, per darsi quell’aria dura e minacciosa che le riusciva tanto bene. Certe volte sembrava davvero avere forza da vendere. La sua sicurezza era temuta e rispettata, ad Hogwarts. Non vacillava quasi mai. Proprio per quel “quasi” evitava con cura di fissare negli occhi il cugino e di parlargli insieme.
“E allora vorrà dire che intanto andrò da James!” esclamò il ragazzo come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, poi riprese: “Non puoi, Sirius. Hai avuto fegato, hai battuto tua madre, hai vinto comunque… Ma non puoi andartene di qui.”
Sirius alzò di scatto la testa, un lampo blu nello sguardo: “Non avrò mai vinto, finchè resto qui a subire! Mai!”
Bella sorrise, ironica. “Subire? Per quanto sia assurdo, tu sei l’unico che qui dentro può dire orgogliosamente che non subisce nulla… Né l’autorità dei tuoi, né le regole della famiglia, né l’educazione, né le decisioni, né gli obblighi sociali…”
“MA A ME NON BASTA! Non mi basta più! Non ho più undici anni! Sono quasi adulto, posso e voglio cavarmela da solo! Se continuo a star qui, finirò per odiare me stesso per la mia ipocrisia e vigliaccheria, non potrei più guardarmi allo specchio! Perché io questo posto lo disprezzo! Lo disprezzo! Questo posto, e tutte le persone che lo abitano! Tutti, tutti i Black di questa casa!”
“Caro mio, dimentichi che anche tu sei un Black…” lo interruppe lei “Tu non capisci! Credi davvero di poter andar via così? C’è qualcosa di più che ti tiene legato qui, oltre alla forzata dipendenza dai tuoi… Il tuo sangue, Sirius! Che tu lo voglia o no, quello non lo puoi cambiare… Ed è il sangue nero dei Black che scorre in te…”
“Già… Il tanto privilegiato Sangue Puro!” sbottò lui, quasi schifato.
“Puro, sì! Ma anche se lo odi fa parte di te! E, Sirius, non ti basterà andar via di qui per cancellarlo!”

Il cugino parve fermarsi un attimo. Forse era vero…
Forse aveva ragione…
Erano solo storie allora? Quello in cui credeva lui, erano solo illusioni?
In cosa credeva lui?
Un flash attraversò la sua mente. James… Remus… Peter… In loro credeva. Nella loro amicizia. Nelle nottate in giro per la scuola. Nelle corse sotto il mantello dell’invisibilità. Nei guai che combinavano. Nelle punizioni affrontate assieme. Nelle loro promesse.
No. Lui era differente dalla sua famiglia.
Scosse la testa e quando parlò era più calmo: “Forse no. Non potrò cancellarlo, dovrò portarmelo dietro, temo… Ma sarò io a scegliere la mia vita, sarò io a dare un valore vero al mio sangue…”
Bellatrix rimase senza parole. Ora non sapeva più davvero che ribattere.
Sirius aveva vinto ancora. Anche con lei.

Di nuovo scese il silenzio. Il ragazzo ricominciò a schiacciare i vestiti nel baule, tanto per fare qualcosa.
“Se non li pieghi, non ci entreranno mai…” mormorò Bella, per poi bloccarsi subito.
Anche Sirius si era fermato.
Sembrava di essere tornati indietro nel tempo,a sei anni prima, quando stava preparando per la prima volta il baule per Hogwarts. E lei era entrata in camera sua, e come al solito si era messa a criticare.
La voce era uguale, la frase era uguale. Persino la posizione dove si trovava lui era la stessa.
Che le aveva risposto allora? Probabilmente “Non mi rompere, Bella!”… L’ennesima litigata… La solita storia. Ma non poteva più rispondere così ora, erano cambiate troppe cose, loro avevano smesso di litigare… Ma aveva smesso anche di essere amici.

Forse.

“Non doveva andare così…” cominciò Sirius a bassa voce.
Bellatrix fece un sorriso amaro, lo sguardo perso nel vuoto. “Molte cose non sono andate come ce le aspettavamo…”
I loro occhi si incrociarono. La stessa domanda si sette anni prima splendeva nelle iridi blu.
“Perché non sei venuta con me a Grifondoro?”
Quel giorno… La Sala grande strapiena, centinaia di occhi puntati addosso, il Cappello Parlante…
“Perché tu non sei andato a Corvonero?”
Il Cappello Parlante sussurrava nella testa… Il loro destino dipendeva da lui…
“Perché lui mi ha detto che dovevo puntare alto, che non dovevo fermarmi. Che non dovevo vergognarmi di quello che ero. Ma ha anche detto che potevo rifiutare. Se uno rifiuta categoricamente, non lo assegna alla Casa che lui, il Cappello, pensa. Io ho deciso di non rifiutare.”
Bella abbassò il capo, i capelli neri scesero a nasconderle il viso.

“Io non ne sono… Stata capace. Lui bisbigliava che vedeva troppa indecisione, che era difficile, che mi avrebbe ascoltato. Ma… io… Non ne ho avuto il coraggio. Non potevo sopportare di sentirmi ancora rifiutata da mio padre, volevo che lui fosse fiero di me.”
Il padre di Bella aveva sempre palesemente preferito Narcissa, la più somigliante alla madre morta.
“Questa è la differenza tra me e te.” Disse Sirius. “Sei sempre stata devota ai tuoi. Tu volevi bene alla tua famiglia.”
Sirius e Bellatrix si erano sempre spalleggiati e sentiti fratelli: probabilmente perché entrambi erano sempre sminuiti dai rispettivi genitori. Solo che a Sirius non importava niente di niente: aveva lo zio Alphard e questo gli bastava. Bella, invece, suo malgrado, era sempre stata succube di una persona: suo padre. Quando sua madre era morta, lei era molto piccola e quel vuoto non era mai stato colmato. Derrick Black si era serrato nel suo dolore, e l’unico spiraglio di affetto era riservato sempre e solamente alla piccola Narcissa. Una differenza che aveva pesato molto sul cuore dell’altra figlia. Bellatrix non sapeva se ancora voleva bene a suo padre, ma era certa di ammirarlo ancora molto, come in passato: lui era grande, potente, deciso, terribile. Tutto quello che lei avrebbe voluto essere. Tutto il contrario di quello che si sentiva ogni volta che stava con lui.
“La differenza…” fece lei, alzando la testa “… è che tu sei coraggioso… E io no.”

“Ecco perché tu, Sirius, te ne andrai… E io rimarrò qui. Perché tu sei un Grifondoro e io una Serpeverde. Perché tu deciderai della tua vita, mentre io la accetterò e basta.” Sorriso amaro. “Sappiamo entrambi cosa ci attende in futuro.”
“Tu puoi ancora decidere!” provò a spronarla Sirius “Tu.. sei diversa da tutti loro!… Io lo so! Noi.. Noi lo sappiamo…”
Bellatrix guardò la divisa del cugino, gettata sopra la pila di vestiti nel baule. La sciarpa giallo-rossa.
“Non è vero… Ho già deciso. Anzi abbiamo già deciso. Sono venuta qui per farti cambiare idea, ma anche tu avevi già preso la tua decisione. L’abbiamo fatto il giorno dello Smistamento, ad Hogwarts. E non possiamo certo tornare indietro.”
Il silenzio li avvolse. Evitarono di guardarsi per avevano entrambi gli occhi lucidi. Erano rimasti gli stessi bambini orgogliosi, almeno in quello.

Sirius chiuse il baule, con un suono secco. Si avvicinò al letto e prese il mantello grigio, se lo buttò sulle spalle e trafficò con la spilla in bronzo per chiudelo.
Si voltò verso la cugina. “Sei l’unica che, in fondo in fondo, avrei voluto salutare prima di andare via.”
Sorrise ironica “… Sono la tua parte cattiva.”
La abbracciò improvvisamente, convulsamente, stringendola forte.
Senza parole, senza lacrime.
Solo, avvolti dall’alone di miriadi di indescrivibili, inesprimibili ricordi, frammenti di un tempo perduto.
“Pensaci… Non è mai troppo tardi per fare marcia indietro.”
“Per me è troppo tardi, Sirius.”
“Ti cambieranno, Bella. Lo sai cosa sta accadendo, ti prenderanno e ti succhieranno l’anima.”
“Lo so…”
Lo sapeva. Lo sapevano entrambi.
Si staccarono.
Bella puntò gli occhi decisamente da un’altra parte.
“Ho sempre odiato farmi vedere a piangere da te.”
Sirius annuì.
“Anch’io. Sarà meglio che vada.” Le sembrò che avesse una voce strana.
Superò la ragazza, infilandosi il mantello. Non si voltarono.
Sirius scese le scale facendo il maggior rumore possibile, trascinando il baule che grattava sul pavimento nella viva speranza di rigare il marmo della scalinata.
Dalla Sala da pranzo i mormorii educati cessarono di colpo.
Tutti seppero che Sirius se ne stava andando davvero, ma nessuno si mosse.
Lui percorse il corridoi di ingresso a testa alta calpestando, per quella che sperava fosse l’ultima volta nella sua vita, il soffice tappeto rosso cupo che copriva il pavimento. Arrivò al portone in legno di quercia, tirò la maniglia di scintillante ottone e lo aprì.
Uscì, sbattendoselo alle spalle.
Aspirò l’aria fresca e profumata della notte blu che lo avvolgeva, lasciando che il vento leggero soffiasse tra i suoi capelli accarezzandogli la fronte.
Aprì gli occhi gustando la bellezza degli alberi carichi di foglie verdi che fremevano nella brezza estiva, l’erba scintillante per la rugiada, la luna bianca e luminosa alta nel cielo.
Ebbe come la sensazione di aver rinchiuso tutti gli anni bui di ingiustizie e rabbia della sua infanzia dietro quella porta.
Libero… Ora era davvero libero! Il mondo… La sua vita… Lo attendevano…
Sentì un’irrefrenabile eccitazione invaderlo, mentre il pensiero dell’accoglienza del suo migliore amico gli riempiva il cuore di speranza.
Saltò sul suo manico di scopa ultimo modello, e sparì in volo sopra la città di Londra.

Nel momento in cui il portone aveva sbattuto, Bellatrix aveva sentito una fitta al cuore, da qualche parte imprecisata, ma seppe che doveva essere una ferita molto profonda. Quella porta si era chiusa imprigionando per sempre anche l’ultimo soffio di vitalità della sua anima.
Cacciando indietro lacrime e tumultuosi sentimenti, si avvicinò alla finestra e scostò la tenda.
Vide Sirius che si sollevava in aria e sfrecciava via, verso l’orizzonte.
Se n’era andato.
Per sempre.
Rimase a fissare il cielo e tutti i puntini luminosi delle stelle. Inconsciamente, meccanicamente risalì la volta celeste con lo sguardo fino a trovare la sua costellazione.
Orione. Il titano che sfidò gli dei… Era una delle storie che raccontava lo zio Alphard.
Agli antipodi della sua scia luminosa, stavano due stelle piccole, che in quel momento, però, brillavano più delle altre.
Sirio e Bellatrix.
Gli opposti che si attraggono.
Grifondoro e Serpeverde.
Le stelle che li univano da quando erano nati.
Con rabbia, Bellatrix cancellò le lacrime che le rigavano il viso.
Detestava piangere.




Sirius Black si trasferì dal suo amico James per quell’estate, dopodiché andò ad abitare da solo in un bell’appartamento, comprato grazie ai soldi lasciatigli in eredità dallo zio Alphard, morto l’anno seguente. Finì Hogwarts diplomandosi con buoni voti, e frequentò l’accademia degli Auror entrando a far parte dell’Ordine della Fenicie per combattere in prima linea contro Voldemort.
Bellatrix Black terminò la scuola e sposò l’uomo che aveva scelto suo padre per lei, Rodolphus Lanstrange, senza mai amarlo realmente. Divenne Mangiamorte a 18 anni, e da subito si distinse come una delle migliori e delle più spietate. Uccise molte persone, ne torturò molte altre. Le capitò anche di scontrarsi contro Sirius. Ma non lo ferì mai.

Le loro stelle splendono brillanti e vive su nel cielo, sfolgoranti come i loro nomi, gelose custodi di una storia che non fu mai raccontata, sepolta nel cuore di due bambini strappati alla loro infanzia.
Sirius e Bellatrix.



Ciao a tutti! Siete arrivati fino in fondo? Spero proprio di sì!!! Tengo molto, molto, molto a questa one-shot e attendo perciò tanti pareri.
Sirius e Bellatrix secondo me sono una coppia affascinante… Sì, so che Bellatrix poi lo ha praticamente ammazzato in HP e l’ordine della Fenice (anche se non mi rassegno all’idea!), però immaginate di ambientare questa storia anni prima che accadesse tutto ciò, prima anche che nascesse Harry… E ammettiamo che Bellatrix sia diventata così spietata solo in seguito…
Beh, è solo un ideuzza come tante… Ma spero che vi sia piaciuta!
Ditemi se per caso è non è chiara, se non si capisce nulla, o se ho reso invece l’idea che volevo dare sul rapporto fra i due cugini…
Per quanto riguarda “Quando tutto è cominciato” (a proposito, so che c’è un’altra ff che si intitola così, ma, vabbè, pace…), probabilmente fremete per sapere il seguito, ma ho bisogno di ancora un po’ di tempo… Diciamo che a metà mese, cmq, avrò aggiornato di sicuro!
Bacioni a tutti e… RE-CEN-SI-TE!!!!
  
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