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Autore: Japan_to_Peru    21/02/2014    8 recensioni
“Baciami!” gridò, avvicinandosi in fretta a me. “Vuoi farlo ingelosire o no?” tentò di convincermi.
Justin era lì, davanti a me, stava ballando con un'altra ragazza, ma continuava a fissarmi. In effetti, Ev aveva ragione, dovevo trovare un modo per mandarlo fuori di testa, non potevo continuare a soffrire per colpa sua, era il momento di fargli capire che la mia presenza non era scontata, non lo avrei aspettato per sempre.
“Ma lui sa che sei sposato!” strillai. Ero piena di dubbi, non ci riuscivo, non riuscivo a fargli del male.
“Non rompere, Jude.” Sbraitò Ev, appoggiando la sua mano sulla mia schiena ed appressandomi a lui. Stampò le sue labbra sulle mie e cominciò ad accarezzarmi il dorso.
Justin spalancò gli occhi e smise di ballare, il suo viso aveva acquisito un tono di tristezza, sembrava quasi che il mondo gli fosse caduto addosso. Cominciò a camminare verso di noi.
Evan avvicinò le sue labbra al mio collo e, fingendo di baciarlo, chiese “Che sta facendo?”
“Sta venendo qui.” Ribattei. Sicuramente mi avrebbe offesa, mi avrebbe odiata.
“Allora questa volta dobbiamo usare la lingua, ok?”
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Pattie Malette
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20- Mi ricordo della prima volta in cui ti ho vista.
 
Vidi qualcosa fatto di legno, aveva lo stesso colore del cavalletto che usavo per appoggiare le tele.
La pittura mi mancava tanto, così tanto da vederla in ogni cosa.
Mi mancava sedermi , cominciare ad costruire, nella mia mente, l’immagine da disegnare e poi, senza neanche pensarci, riportarla sulla tela. Mi mancava il profumo forte delle tempere, il suono dolce della matita nel momento in cui la sfregavo contro il lino. Mi mancava essere soddisfatta di me stessa alla fine di un disegno.
Se in quel momento avessi avuto una semplice matita ed un pezzo di carta, forse mi sarei sentita meglio, forse la situazione sarebbe migliorata di poco, forse, per alcuni minuti, non avrei percepito quel senso di vuoto che mi aveva invasa.
“Aiutami.” Borbottò Ev, ma non parlava con me, si rivolgeva ad un altro ragazzo.
“Aspettate, vi apro la porta!” esclamò Nick. Lui era ancora lì?
Che fastidio, si stavano precipitando tutti in camera mia, ma io non volevo loro, volevo solo Justin, niente altro.
Sospirai e nascosi il capo sotto al cuscino, facendo capire loro che non era il momento. Dovevano lasciarmi sola.
“Fate silenzio, ragazzi! Sta dormendo.” Li sgridò Evan, facendo zittire tutti. Non riuscivo a capire chi fosse il terzo ragazzo. Avevo riconosciuto la voce di Ev e quella di Nick, ma l’altro non aveva ancora parlato.
Bisbigliarono, tra di loro, qualcosa che non riuscii a capire,
La porta si chiuse, erano andati via, per fortuna. Mi avevano lasciata sola, io volevo restare sola, perché niente e nessuno sarebbe riuscito a salvarmi da quel buio pronto a travolgere la mia vita, nessuno a parte Justin, ma lui non sarebbe mai tornato.
Piansi ancora, ormai non c’era più niente da fare. Tenevo la testa sotto ad un guanciale e vagivo, come una bambina di cinque anni che aveva paura della notte, ma non poteva fare niente per evitarla.
Ogni lacrima che scendeva lungo la mia guancia consumava la pelle, quasi come se fosse fatta d’acido. Ero così debole, mi stavo lasciando andare, volevo lasciarmi andare, volevo sapere se qualcuno sarebbe stato in grado di prendermi.
Avvertii un tocco leggero sul mio braccio, sembrava quasi il suo, quello di Justin. Sentivo già  la sua mancanza, ogni singola cosa mi rammentava lui, anche una semplice carezza.
Sicuramente era Ev ad accarezzarmi, lui si rendeva conto del mio dolore, ma non sapeva più come maneggiarlo, non sapeva più come comportarsi con me, soprattutto in quel momento, perché ero diventata caratterialmente gracile, nessuno sapeva più come prendermi.
“Justin.” Borbottai, facendo capire al mio migliore amico che qualcosa non andava. Stavo cadendo, continuavo a cadere e non mi sarei mai fermata, perché la vita era questo, era solo un gran crollo in cui la gente non faceva altro che ferirsi.
Sono qui.” Sussurrò.
Era lui, la sua voce, l’aveva veramente pronunciato lui.  Era proprio lui, mi stava accarezzando le braccia, mi stava coccolando come aveva sempre fatto.
Non se n’era andato, lui era ancora di fianco a me!
Tolsi in fretta il cuscino dal mio capo e lo osservai, sorrideva, era così bello.
Come avevo potuto dubitare di Justin? Come avevo potuto immaginare che se ne sarebbe andato? Ero stata così stupida, mi pentivo per aver pensato quello di lui, perché non mi avrebbe mai lasciata, soprattutto in un momento come quello.
“Perché piangi?” domandò, asciugando le mie lacrime e sorridendo ancora.
Mi raccolse  tra le sue braccia, come se stesse mettendo a posto i pezzi di un vetro rotto, come se li stesse attaccando perfettamente uno all’altro.
Lo strinsi con tutta la forza che avevo, ma non era abbastanza per fargli capire quanto tenessi a lui, quanto mi terrorizzasse la consapevolezza di poterlo perdere da un momento all’altro, anche solo per una parola di troppo.
 “Perché piangi?” insistette, spostandomi i capelli dal viso ed osservandomi come se non avesse mai visto niente di più bello.
Mi chiedevo come facesse a guardarmi con quegli occhi, io non mi ero neanche specchiata, ma sicuramente non avevo una bella cera.
Hai visto cosa ti ho portato?” chiese, indicando qualcosa con il suo indice. Mi voltai per osservare come fosse e trovai un oggetto inaspettato.
C’era il cavalletto, reggeva la tela di lino e, vicino a questi, i colori e i pennelli.
Non potevo crederci, l’avevano portata nella mia camera, mi avevano dato la possibilità di dipingere, di colorare i giorni monotoni che avrei passato in quell’ospedale. Mi avevano dato la possibilità di sentirmi libera, nonostante fossi rinchiusa nel mio stesso corpo.
Tutto questo era fantastico, mi stavano aiutando a riprendere la mia vita in mano, mi stavano aiutando a ritornare come prima.
Avevano capito tutto, mi avevano compresa, nonostante io non avessi mai parlato.
Portai le mani davanti alla bocca, in senso di stupore. Continuavo ad osservare quella tela, volevo sedermi lì davanti al più presto, volevo colorarla, avevo così tanto da disegnare, così tanto da raccontare, che neanche dieci disegni sarebbero riusciti a rinchiudere tutti i miei stati d’animo.
Io volevo ricordarmi di quel momento, di chi mi aveva aiutata, di chi tentava di fare di tutto pur di strapparmi un sorriso. Desideravo, però, tenere a mente anche i momenti più brutti, i pianti, le grida, così, quando mi sarei sentita triste, in futuro, questa esperienza mi avrebbe aiutata a capire che tutto si poteva superare.
 
Justin spostò una sedia vicino al quadro e, con delicatezza, mi prese tra le sue braccia, aiutandomi a raggiungere quella seggiola.
Io mi sentivo così felice, ero convinta che avrei cominciato immediatamente a dipingere, senza problemi.
Presi un pennello qualsiasi tra le mani e lo intinsi nel primo colore che capitava, non importava, dovevo dipingere e basta, perché era una necessità.
Cercai di tirare una linea sulla tela, ma il pennello mi cadde dalle dita. Sorrisi, ero emozionata, era normale, non dipingevo da tanto e mi sembrava strano. Era solo emozione.
“Potresti riprendermelo?” domandai a Justin, indicandoglielo.
Il suo viso era diventato di nuovo preoccupato, m chiedevo come mai.
Mi lasciò lo strumento tra le mani e rimase in silenzio, tentando di non farmi percepire la sua preoccupazione.
Provai di nuovo a tracciare una linea, ma ottenni lo stesso risultato.
Proprio ciò che temevo, non riuscivo più a dipingere a causa dei miei problemi motori.
Restai immobile, non volevo crederci, non potevo neanche praticare la mia unica passione, non potevo più fare niente. Continuai ad osservare quella tela bianca, come se mi stesse chiedendo di essere pitturata, ma io non riuscissi a soddisfarla.
Stavo per impazzire, era troppo. Stavo dicendo addio ad un pezzo della mia quotidianità, stavo abbandonando una passione che avevo coltivato da sempre.
“Forse è meglio se ritorno sul letto.” Bisbigliai, mentre la delusione mi consumava lentamente l’anima.
Come sarei andata avanti? Cosa mi avrebbe spinta a continuare?
Non avevo più la pittura, non mi rimaneva più niente.
“Ehi, guarda.” Cominciò Justin, riprendendo il pennello tra le mani, quasi come se avesse veramente qualcosa da mostrare. Diede un colpetto alle spatole in modo da far cadere tutti gli schizzi di colore sulla tela. “Questa è una vera opera d’arte! ” esclamò, rallegrandosi.
Stava cercando di essere forte, stava cercando di farmi vedere il lato positivo di tutto, anche quando questo mancava.
Feci la sua stessa mossa, non potevo rendere tutto così difficile, dovevo rassegnarmi ed andare avanti.
Sentii la sua testa appoggiarsi alla mia spalle, mentre le sue mani si adagiarono sui miei fianchi, per poi fasciare la mia vita e stringermi a sé.
Sentivo il suo cuore battere sulla mia schiena, il suo respiro sul mio collo, le sue braccia calorose stavano avvolgendo il mio corpo freddo.
Capii che aveva sentito la mia mancanza, captai tutti i suoi sentimenti nello stesso modo in cui lui, probabilmente, stava percependo i miei.
Era così bello avere di nuovo quel contatto con lui, proprio come all’inizio, come quando, nonostante la timidezza, eravamo riusciti a capirci come due persone che si conoscevano da sempre.
Ho avuto così tanta paura.” Mi confessò, senza lasciarmi andare.
“D… Di cosa?” domandai, appoggiando le mie mani sulle sue e cercando di intrecciare le nostre dita.
“Temevo che non ti svegliassi più.” Sussurrò, stampando le labbra carnose sulla mia guancia asciutta.
Io ero sveglia, ero sveglia solo e soltanto per lui, perché non meritava di soffrire ancora.
“Mi aiuti a ritornare sul letto?” lo pregai.
Volevo ritornare lì, restare su quella sedia era inutile, perché tanto non sarei riuscita a dipingere, non quella volta.
Justin fece ciò che gli avevo chiesto e, in seguito, si coricò vicino a me.
 
“Non mi hanno mai lasciato dormire qui con te, è stato orribile.”  Spiegò, continuando ad accarezzarmi i capelli. Aveva voglia di parlarne, di parlare con me, proprio come io avevo bisogno di ascoltarlo.
“Allora sai che ho fatto? Ho preso tutti i tuoi vestiti e li ho buttati sul letto, sentivo il tuo odore.” Spiegò, facendo calare le sue dita lungo il mio collo e vezzeggiandomi ancora. “Solo così riuscivo ad addormentarmi.” Aggiunse, imprimendo il labiato sulla mia fronte.
Mi immaginavo quel momento. Mi immaginavo lui che, in preda al panico, si recava vicino al mio armadio e ne tirava fuori tutti i vestiti, oppure mentre si buttava sul mio letto, vedendo, con la mente, me al posto di un semplice ammasso di magliette.
“Ora sei qui.” Bisbigliò, appoggiando improvvisamente la testa al mio seno. “Tutto ciò che avevo era questo cuore.” Sussurrò, chiudendo gli occhi e rimanendo in silenzio.
Mi sentivo così bene insieme a lui, mi sentivo la ragazza più fortunata del mondo, nonostante tutto.
Lui rimaneva in silenzio, non aveva più niente da dire, voleva solo restarmi vicino.
Il suo capo, in quel momento, sembrava più pesante del solito, forse perché il mio corpo non era più abituato ad un carico simile, anche se così piccolo. Avevo meno muscolatura, forse, visto che ero rimasta ferma per alcuni giorni.
Io, però, quel peso lo avrei sempre sopportato, non sarebbe mai stato un problema.
Ero la sua principessa, ero ancora la sua principessa, lo sarei rimasta per sempre.
Mi ricordo ancora il primo giorno in cui ti ho vista, sai?” interruppe quel silenzio, cominciando a massaggiare la mia pancia. “Portavi una camicetta color rosa antico, la tenevi dentro una gonna a vita alta, che purtroppo ti arrivava poco più in basso del sedere. Avresti dovuto vedere la faccia di mio padre.” Aggiunse, cominciando, poi, a ridere.
Si ricordava di tutto, si ricordava addirittura del colore della mia camicia, come se avesse saputo che, un giorno, sarei diventata così importante.
“Avevi i capelli raccolti in una treccia che ti arrivava fino a metà schiena e tenevi un blocchetto di fogli in mano. Stavi chiedendo agli addetti al trasloco di portare tutto nello studio.” Continuò, stupendomi ancora di più.  Si ricordava di tutto, di ogni singolo particolare. Era incredibile, di solito i ragazzi non si ricordavano neanche del colore degli occhi di una persona.
“E io ero sul punto di avvicinarmi a te e parlarti, ma poi mi accorsi di Arthur. Ti passò il braccio attorno ai fianchi e cominciò a coccolarti, in mezzo alla strada, in mezzo a tutti. Lo guardavo e mi rendevo conto di quanto fosse fortunato.” Dichiarò, alzando il capo e sorridendo, come se quel discorso lo rendesse felice.
E ora sei tutta mia.” Bisbigliò, cominciando a mordicchiarmi dolcemente il labbro inferiore.
Chiusi gli occhi. Era così bello, fingevo di trovarmi in camera mia, cercavo di immaginare le pareti piene di foto, gli scaffali occupati dai libri, le lenzuola morbide e colorate, il cuscino soffice e  quell’atmosfera tranquilla che non percepivo da giorni, ormai.
Lui era in grado di farmi sentire a casa, nonostante tutto.
Aprii di poco gli sguardi e, appena vidi il muro bianco, una stana tristezza mi colpì.
Non volevo più stare lì, volevo tornare a casa.
“Jude.” Mormorò Justin, allontanandosi di poco. Forse si era accorto che qualcosa non andava. Non ne potevo già più, ero esasperata, cambiavo stato d’animo nel giro di pochi secondi, senza neanche spiegarmelo.
In un attimo le faccende sembravano perfette, subito dopo, mi sentivo a terra, vuota, distrutta, senza futuro.
“Voglio ritornare a casa.” Mi lamentai, quasi cominciando a piangere.
Justin sospirò e scosse la testa, come se stesse cercando di farsi venire in mente qualche idea. Non sapeva più che fare con me e lo capivo, non era facile prendersi cura una persona così emotivamente instabile.
Passò le dita sulle mie palpebre, in modo da farle chiudere. Cominciò ad accarezzarmi dolcemente la fronte, quasi come se volesse farmi dormire. Mi stava rilassando, ce la stava facendo, con un semplice gesto.
“Immagina di essere nella tua camera.” Sussurrò, con tono soave. Il suo tocco era così rasserenante, era come un bicchiere d’acqua dopo ore intere passate a camminare nel deserto.
“Ti ricordi come facevamo ogni sera?” domandò, sapendo già la risposta. Era ovvio che me lo ricordavo. Mai e poi mai avrei potuto scordare quei momenti tanto sereni al suo fianco.
“Mi sdraiavo vicino a te e tu ti appoggiavi al mio petto.” Sussurrò, prendendo il mio capo prudentemente tra le mani e spostandolo sul suo torace. Stava cercando di ricreare quell’atmosfera, quella in cui l’amore fluttuava nell’aria come nelle nostre parole, era fantastico.
“E scherzavamo, io ti facevo il solletico e tu non riuscivi più a respirare talmente ridevi. Era così bello vederti sorridere in quel modo. Ogni volta che ti vedevo felice ne ero orgoglioso, sapevo di essere la causa di quel sorriso che tanto amavo.” Bisbigliò. Io lo ascoltavo, la sua voce era così dolce che, in quel momento, avrebbe anche potuto offendermi, ma io non me ne sarei accorta.
Le sue parole erano probabilmente le più dolci esistenti, non tanto per il modo in cui le articolava, ma per come le pronunciava.
Sorrisi, ce l’aveva fatta. Mi aveva resa allegra di nuovo.
Appoggiai anche la mani al suo torso, cominciando a tastare il tessuto soffice della sua maglietta ed accarezzandolo, forse non in un modo così delicato a causa dei miei problemi, ma restavano pur sempre delle carezze.
“R… Resta con m… Me oggi.” lo pregai, sperando che mi ascoltasse.
“Non posso, i dottori non mi lasciano.” Ribadì subito, prima ancora che potessi illudermi.
Restai in silenzio, avrei voluto restare con lui tutta la notte, sapevo che non sarei riuscita ad addormentarmi, avevo bisogno di stare al suo fianco.
“Facciamo così, chiamami appena ti svegli, così potremo darci il buongiorno. Sarà come stare insieme.” Propose, continuando a passare lentamente i suoi palmi sulla mia schiena. “E se sarò io a svegliarmi per primo, correrò a dare il bacio alla mia Bella Addormentata.” Mi promise, rallegrandomi ancora. Era così dolce, sembrava il protagonista di un libro, forse un principe azzurro, o forse un semplice ragazzo dei nostri tempi che, nonostante le difficoltà, si comportava come un vero e proprio reale.
“Perché io ti amo.” Aggiunse, scandendo bene quelle ultime due parole.  Erano così piene di sentimento, forse ancora più della prima volta in cui me le aveva pronunciate.
Tra noi era cambiato tutto, ma non l’amore.
Quello era rimasto lo stesso.
 
-Ciao ragazze! Come state? Spero bene!
Ecco qua, a quanto pare Justin non è scappato via, è semplicemente andato a prendere l’occorrente per far dipingere Jude.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero di trovare qualche vostro parere.
Per qualsiasi cosa, come sempre, mi trovate qui (potete anche chiedermi qualche piccolo spoiler se ci metto tanto ad aggiornare)http://ask.fm/KejsiJ
Grazie mille per aver letto anche questa piccola parte della mia storia, vi amo!
  
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