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Autore: memi    21/06/2008    5 recensioni
C’era qualcosa di strano.
Anche così, nel dormiveglia, poteva avvertire chiaramente che c’era qualcosa che non tornava. Qualcosa che sfuggiva alla sua intorpidita comprensione. Eppure, nonostante tutto, gli era difficile riuscire a capire e a classificare di cosa si trattasse. Era come se i suoi sensi fossero rimasti troppo a lungo inattivi e adesso, costretti al risveglio, faticavano ad uscire dallo stato di letargo catatonico in cui erano oziosamente scivolati. Per un istante, mentre il formicolio alle mani si dipanava per tutto il braccio, Sasuke si chiese quanto avesse mai dormito.
Le sensazioni erano quelle anchilosate di un sonno infinito, tuttavia si sentiva stanco quasi non chiudesse occhio da una vita.

Torpore. E un'infinita stanchezza. Soltanto quello, mentre un'invincibile senso d'inquietudine (stranezza) si dipana lungo lo stomaco, fino al petto, giù per il cuore.
Sasuke centric. SasuSaku. Team 7.
Genere: Sovrannaturale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Straordinariamente, non sentiva dolore.

Né rimpianto, mentre stroncava altre vite, richiedendo di più, sempre di più. Perché era la sua katana ad esigerlo, a volere di più, ancora altro sangue. Infinito sangue a gocciolare dalla punta acuminata.

Eppure avrebbe dovuto provarne. Sul serio. Avrebbe dovuto. Sarebbe stato ineccepibile, sarebbe stato legittimo, sarebbe stato…giusto. Ecco, sarebbe stato giusto. Ma non veritiero, perché per quanto si sforzasse e per quanto potesse scavare in quel vuoto stagnatosi al posto del suo cuore, non c’era niente. N i e n t e. Nemmeno la traccia, per quanto minima, dei sensi di colpa. Quasi non fosse neppure lui, il responsabile di quel massacro. Quasi non avesse le mani macchiate indelebilmente di un rosso vivo, marchio della dannazione eterna.

E allora affondava, di nuovo, la katana. Distruggendo vite, spezzando speranze. Stroncando anche l’ultimo brandello di quel filo che lo aveva sempre tenuto legato a quel posto. A quella Foglia. Senza avere il benché minimo ripensamento, mentre gli ultimi respiri delle sue vittime gli ricordavano che sarebbe stato in possibile, d’ora in avanti, ritornare indietro. Ritornare ad essere uno di loro, uno della Foglia.

Forse per questo non faceva male?

C’aveva rinunciato, soltanto.

C’aveva semplicemente rinunciato, a voler essere uno di loro.

Soltanto questo…

Davvero…

Solo questo…

 

 

 

Of course

(Inside the paths)

 

 

C’era qualcosa di strano.

Anche così, nel dormiveglia, poteva avvertire chiaramente che c’era qualcosa che non tornava. Qualcosa che sfuggiva alla sua intorpidita comprensione. Eppure, nonostante tutto, gli era difficile riuscire a capire e a classificare di cosa si trattasse. Era come se i suoi sensi fossero rimasti troppo a lungo inattivi e adesso, costretti al risveglio, faticavano ad uscire dallo stato di letargo catatonico in cui erano oziosamente scivolati. Per un istante, mentre il formicolio alle mani si dipanava per tutto il braccio, Sasuke si chiese quanto avesse mai dormito.

Le sensazioni erano quelle anchilosate di un sonno infinito, tuttavia si sentiva stanco quasi non chiudesse occhio da una vita.

Lentamente, con la testa che andava per i fatti propri, si rimise seduto. La luce del sole bruciava, bruciava di un bianco stordente, e gli feriva gli occhi ancora troppo neri per riuscire a resistere a quel chiarore. Si accorse con uno stupore lieve, appena percettibile (una folata di vento ad increspare un mare altresì piatto), di non essere affatto stupito della sua inettitudine a reagire, a spalancare gli occhi nonostante la luminosità sfibrante come avrebbe dovuto fare.

Eppure lui non era un codardo. Non si era mai tirato indietro, non aveva mai fatto retrofronte neppure ad un passo dalla morte. Non si era mai lasciato intimorire dai pericoli e lui, a dire il vero, era una calamita in quanto a pericoli.

Intanto l’aria si era fatta più pesante, o forse era soltanto lui che riusciva a percepire sempre più – man mano che ne riacquistava la capacità – il sentore invisibile ma prepotente che qualcosa era per forza cambiato. Avrebbe voluto smettere di lambiccarsi il cervello a quel modo, sul serio, avrebbe voluto fregarsene e gettarsi quella sensazione alle spalle. Avrebbe voluto non provare niente, mentre invece ogni giorno lo richiedeva a combattere una lotta impari contro qualcosa che pensava di aver estirpato.

Ed erano solo sciocchezze. Sul serio. Nient’altro che sciocchezze, adatte più ad una femminuccia che all’erede del clan Uchiha.

Stupido lui, a rimanerci tanto a pensare.

Sorrise e nella luce accecante della stanza, si sforzò di adattare il nero dei suoi occhi al bianco del sole. Che strano, aveva sempre pensato fosse giallo, il sole. Ma forse era un altro di quei stupidi luoghi comuni che t’insegnano da piccolo, quando sei ancora troppo inesperto per avere idee personali sul mondo.

Sasuke si alzò. Si alzò e la scarica che gli scosse le membra, lo trovò impreparato, costringendolo a ritrovare nel letto un fedele giaciglio.

Stava diventando un mollaccione, valutò, se non riusciva ad alzarsi nemmeno più da uno stupido letto.

Il pensiero bastò a fargli ritrovare quell’innato orgoglio da Uchiha, che gli fece spalancare gli occhi incurante della ferita inferta dal chiarore.

[Masochista di un Sasuke…]

In un primo momento, la tentazione di riabbassare le palpebre era semplicemente troppo invitante per non farci un pensierino. Ma dal momento che lui non era un codardo, Sasuke si costrinse a vincere la tentazione, per quanto doloroso potesse essere il contatto con la realtà. L’adattamento sopravvenne con lentezza esasperante, quasi con un ghigno ferino a voler piuttosto schernire la prova di coraggio offerta tanto gratuitamente.

La stanza in cui si accorse di trovarsi, era come la ricordava. Forse appena un po’ più polverosa. La foto sul comodino, però, era rimasta la stessa di quella che conservava nei meandri di una memoria creduta perduta.

Sasuke scosse la testa, ammonendosi per quella sorta di sentimentalismo non richiesto, e non gli parve strano più di tanto il ritrovarsi in quella stanza, mentre riprovava la fatica di alzarsi dal letto.

Ci riuscì e la porta era così vicina, che indugiare sembrava uno scherzo.

Ciò nondimeno, mentre le gambe vacillavano sulla soglia, si accorse di sentirsi spaesato. Quasi si fosse appena reso conto di essersi dimenticato qualcosa di rilevante. Di veramente rilevante.

Si guardò indietro, giusto per non avere rimorsi, ma non riuscì a trovare una risposta negli oggetti disposti con ordine austero lungo la stanza. Il letto, l’armadio, la scrivania, il comodino, la foto…tutto perfettamente in ordine. Nemmeno l’ombra di un’anomalia che avesse potuto mandarlo in allarme.

Ma allora perché, si domandò in uno sprazzo di lucidità, quella sensazione?

Forse stava solo diventando un credulone. Forse. O forse no, ma che senso aveva indugiare?

Lui non era un codardo.

Sasuke Uchiha…

…non era un codardo.

Il corridoio era stretto e in penombra come lo era sempre stato. Il parquet scricchiolante sotto i suoi passi strascicati. Le porte delle stanze, chiuse come il suo cuore.

Sasuke camminava, camminava in una casa che il suo fisico riconosceva senza il bisogno di ricordare, facendosi spazio verso una destinazione che si ostinava a non decidere. Solo, camminava, come se non avesse niente di meglio da fare. Come se non avesse altra scelta che quello, camminare.

E poi si fermò, così, all’improvviso, mentre la penombra lasciava di nuovo sfogo alla luce di avvolgerlo, abbacinante. Dolorosa. Un gioco eterno, indistruttibile, insaziabile.

I suoi piedi si erano bloccati come inchiodati al pavimento, mentre lo sguardo vagava, vacuo, lungo la stanza. Senza riuscire a provare dolore, senza neppure capire perché avrebbe dovuto provarne (ma avrebbe dovuto, almeno di questo ne era certo), senza sentire altro che un’illimitata stanchezza infiacchirgli le membra, già lungo le ossa, fino alle vene.

Eppure tutto era al suo posto. Niente di diverso o di compromettente. Era tutto dannatamente al suo posto, come avrebbe dovuto essere.

Nemmeno un piatto fuori posto, nemmeno un coltello, né una forchetta, né un bicchiere, né le bacchette.

A posto.

Tutto dannatamente a posto.

C’era davvero stato qualcuno, lì?

Sasuke non lo ricordava. Non era neppure sicuro di doverlo ricordare, a dire il vero. E comunque non aveva voglia di stare a pensarci. Non aveva voglia di fare niente, a ben pensarci. Non aveva neppure voglia di sentirsi spaesato, per quanto avrebbe dovuto. Soltanto… Voleva soltanto rimanersene così, in piedi su quella porta, a fissare qualcosa che non c’era, che non capiva e che, probabilmente, non voleva lui per primo capire.

Se fosse stato un tipo pigro, avrebbe detto che era semplice apatia. Ma Sasuke non era nemmeno quello. Sasuke era tante cose, ma non quello.

“Ehi, bastardo, sonno pesante oggi?”

Sasuke si voltò in modo meccanico, quasi fosse stato un robot cigolante (un rottame vecchio, stanco di mille anni spesi in un letto che non avrebbe dovuto esserci), ma dal corridoio nemmeno la traccia di un cambiamento. Di un passaggio. Di qualcosa.

Stava impazzando, o erano solo i postumi del sonno. Doveva aver dormito parecchio, sul serio. Anche se lui, non dormiva mai così tanto la notte.

“Si può sapere che diavolo fai lì impalato?”

Un Sasuke un po’ meno stanco, si sarebbe spaventato, quanto meno sussultato nel ritrovarsi il viso accigliato di Naruto davanti agli occhi, nella propria cucina, a mangiare ramen al proprio tavolo. La verità era che non aveva la forza neanche per quello. Né la voglia.

“Comunque vedi di darti una mossa.” Cambiò ad un tratto discorso il biondo, dimenticandosi della domanda per ritornare a concentrarsi sulla ciotola fumante. “Che siamo già in ritardo. Per colpa tua. Bastardo!”

Avrebbe dovuto mandarlo al diavolo, a quel punto. Andava bene anche chiedergli di che diavolo stesse parlando in effetti. Tuttavia Sasuke se ne rimase in silenzio, nessuna esigenza travolgente a convincerlo a parlare, a lacerare quel sottile strato di trance in cui era cascato sin dal risveglio, nonostante il dubbio ad insinuarsi fluttuante nelle viscere.

Sasuke non era mai stato neppure una persona curiosa e di sicuro, non vedeva il motivo per cui cominciare ad esserlo (era stanco, era troppo stanco anche per quello, perfino per quello).

 

 

So, so you think you can tell Heaven from Hell,
blue skies from pain.
Can you tell a green field from a cold steel rail? A smile from a veil?
Do you think you can tell?

 

 

Le strade di Konoha erano affollate, ghermite di persone. Qualche bambino giocava a rincorrersi, tra le grida dei grandi che tentavano invano di mettere freno a tanta esuberanza. Qualcun altro chiacchierava amabilmente, due si salutavano distratti, il chiosco di ramen sovraffollato.

Come al solito.

Ancora come al solito.

Sasuke guardava la sfilza di volti con noncuranza, quasi con distacco, come se gli scivolassero addosso. Acqua. Niente più che acqua. Nonostante la percezione di sbagliato a raggrovigliarsi nello stomaco chiuso alla fame. Il pezzo fondamentale del puzzle, chissà dov’era finito, poi.

“Ciao, Naruto!” Il piccolo Konohamaru che da lontano salutava il suo idolo, scoprendosi come il diavoletto che aveva innescato la corsa.

“Ehilà!” L’Uzumaki gli sorriso, il solito esagerato anche in quello, mentre con una mano sventolava e menava l’aria.

Sasuke avrebbe voluto dirgli che era un idiota, davvero, se non si fosse appena accorto di qualcosa. In ritardo, certo, con i riflessi di un bradipo in stato confusionale. Ma pur sempre l’aveva notato ed ironia della sorte, il merito era proprio di quel ragazzino.

Oh, no, non Konohamaru. Non lui. Di un altro ragazzino. O presunto tale. Era difficile giudicare quando come metro di paragone, si aveva soltanto l’altezza.

Sasuke aguzzò la vista, in cammino, senza avere la forza e la voglia di fermarsi.

Aveva il cappuccio della mantella nera ben calcato sul capo, a nascondergli in modo sostanziale i tratti del volto e quindi a celarne l’identità. Ma era basso. Quasi quanto Konohamaru, perciò non poteva essere tanto più grande di lui. E lo fissava. Non Naruto, non la signora grassa lì accanto o l’inespugnabile chiosco di ramen. Fissava lui. Da sotto il cappuccio, nonostante gli occhi coperti in modo quasi totale da esso, lo stava fissando.

Lo poteva avvertire chiaramente, perché era uno di quei contatti visivi che potevano essere quasi tangibili. Lo sentiva addosso, sulla propria pelle, scuoterlo dentro e fuori come nessuno, nessuno mai era riuscito a fare.

“Si può sapere che hai? Oggi sei proprio strano, bastardo! Anche più del solito!”

Sasuke si voltò, perché il richiamo di Naruto aveva sempre l’effetto di stordirlo, e quando ritornò con lo sguardo al punto in cui aveva lasciato quegli occhi, si stupì di non trovare più nulla. La strada era perfettamente deserta lì, in quella zona. Come se non avesse mai visto niente, o nessuno.

Solo una manciata d’istanti ancora, prima di lasciar cadere la cosa. Non aveva importanza. Non gliene fregava niente comunque.

Acqua.

Soltanto acqua.

 

 

And did they get you trade your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees? Hot air for a cold breeze?
Cold comfort for change? And did you exchange
a walk on part in the war for a lead role in a cage?

 

 

“Allora vecchiaccia, che volevi?” Naruto sbuffò contrariato, guadagnandosi le occhiatacce di Shizune e di Kakashi.

Tsunade semplicemente sperò che lo sguardo potesse ucciderlo.

“Il Kazekage ha mandato un messaggero…”

“Scommetto Temari, così ne ha approfittato pure per vedere Shikamaru, tsk!”

L’Hokage gli gettò un’occhiata torva, preferendo tuttavia fare finta di nulla. “…per avvertirci che hanno avvistato dei membri dell’Akatsuki ai confini del Paese del Vento.”

“Non sapevo che Gaara fosse diventato un cacasotto.” Non perse occasione per stare zitto Naruto, di nuovo.

Sasuke di norma gli avrebbe assestato un pugno in testa per farlo tacere. Di norma. Quel giorno, rimase impassibile a fissare la scrivania ingombra di scartoffie davanti ai suoi occhi con aria annoiata, senza alcuno interesse per la faccenda.

Tsunade sospirò, chiedendosi per l’ennesima volta perché mai avesse deciso di accettare quell’incarico quando stava centomila volte meglio prima.

“Non è questo, ovviamente.” Sottolineò, aspra e inacidita dal sonno perso accumulatosi.

Sasuke la fissò, distratto, e poi guardò Shizune, infine Kakashi, il suo maestro.

La solita maschera, il solito occhio bendato, la solita aria (aria da Obito, ecco)

Doveva essere cambiato qualcosa?

Forse.

Probabile.

Non lo ricordava.

A dire il vero, a ben pensarci, erano molte le cose che non ricordava, quel giorno. Doveva aver preso una qualche botta in testa, o simile, per aver cancellato così tante cose in una notte. Si chiese quante altre ancora doveva aver dimenticato, ma lasciò perdere nel rendersi conto che era davvero infruttuoso soffermarsi su simili stupidaggine.

Era un Uchiha.

Doveva comportarsi da Uchiha, anche se quel giorno, tutto sembrava particolarmente strano.

“Ah no?”

Ritrattò.

Tutto, meno che Naruto.

Lui, purtroppo, era rimasto lo stesso idiota di sempre.

Tsunade si sforzò di controllare la voglia di ucciderlo apparsa inequivocabilmente ai suoi occhi, prima di concentrare le proprie attenzioni e le restanti energie verso di lui. Lui, che aveva pensato di essere quasi invisibile. O che l’aveva semplicemente sperato, difficile dirlo con esattezza.

“Niente di allarmante, comunque. Però li hanno riconosciuti e pensavo vi interessasse sapere che si trattava dei nukenin Kisame Hoshigaki e Itachi Uchiha. Soltanto questo.” L’Hokage lo fissava, ma era di nuovo soltanto acqua a scivolare sul suo fisico irrigidito.

Sbalordimento.

Solo… Solo quello. Sbalordimento.

“Non può essere.

Non può essere, io, l’ho visto io, è colpa mia, sono stato io, non può essere.

Lui non è, non è, e sono stato io.

Non può, non può.

Non può esistere…”

E di nuovo quello sguardo, a trapassarlo, invisibile. Perché non c’era nessun bambino, non c’era nessun altro a parte l’Hokage, e Shizune, e Kakashi, e Naruto. Ma quegli occhi, quegli occhi erano lì. Lo sentiva. Li sentiva.

 

 

How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.

 

 

“Sasuke, Naruto!”

Si fermarono, il primo per abitudine, il secondo per espressa volontà, mentre una capigliatura rosa si avvicinava trafelata nella loro direzione.

“Siete stati da Tsunade-hime?”

Sakura non si era neppure fermata, senza nemmeno riprendere fiato, che già aveva iniziato con le domande. Sasuke fece una smorfia incomprensibile

[Stai sorridendo, Sasuke?]

mentre Naruto rispondeva per lui.

“Sì, proprio adesso.” Annuì, veemente.

“Oh.” E Sakura cercò l’altro, come sempre.

Le abitudini sono dure a morire, eh?

“Ve l’ha detto?” Domandò, nella voce la nota di un sospettoso dispiacere.

“Cosa?” Chiese a sua volta Naruto, ingenuo, prima di capire dallo sguardo mesto della compagna di team ancora, perennemente puntato sul volto del moro, di cosa si trattasse. “Ah, quello. Sì.”

Un colpo. Sasuke la vide sussultare e gli venne istintivo chiedersi il motivo di tanto fragore. Lei, che nemmeno era un’Uchiha, che si mortificava per quello mentre lui non era stato capace di muovere muscolo. Troppo, troppo stordito. Troppo confuso, per capire davvero.

“Sarebbe dovuto essere morto.

Sarebbe dovuto essere morto.

Itachi, sarebbe dovuto essere morto.”

“Sasuke, mi riaccompagni a casa, vero?”

Lui la fissò, sentendosi chiamare, perso in un mondo tutto suo. Sakura lo fissava con sospetto, Naruto semplicemente con sconcerto. Doveva aver perso qualche passaggio, chissà da quanto tempo avevano ripreso a parlare.

“Dovrei?” Domandò solo, ma non era una domanda retorica, era una vera.

L’aveva mai accompagnata prima? Prima di quel giorno, intendeva. Boh, non ricordava neppure quello. Neppure cosa avesse fatto il giorno prima, o quello prima, o quello prima ancora. Si sentiva ancora intontito, di un sonno inconciliabile con la realtà.

“Oh, Sasuke!” E Sakura rideva, come non l’aveva mai sentita, sprizzando un gioia che non riusciva a capire.

Avrebbe voluto chiederle come faceva, perché lo faceva, ma non poteva. Si era appena accorto che lei era cambiata. Forse lo era da tempo, forse era solo lui ad aver dimenticato. Ma gli sembrava diversa. Gli sembrava più…bella. Stava diventando sdolcinato, ecco la verità. Roba da fare schifo, se solo non fosse rimasto tanto spiazzato dal modo in cui lei appariva tanto diversa.

Quasi che la stesse conoscendo adesso per la prima volta.

“Ci vediamo domandi, Naruto?”

Le si era legata al braccio, con nonchalance (da quanto tempo, lo faceva?), ma le sue ultime attenzioni erano verso l’Uzumaki. Sasuke non ne era geloso, né turbato. Era confuso. Confuso, e basta.

“Sicuro, mia Sakura splendente! E tu non fare il solito bastardo, eh bastardo?” Naruto gli mostrò la linguaccia, un semplice gesto amichevole (fraterno, ecco, era quello il termine esatto), mentre si allontanava correndo verso un punto imprecisato di Konoha.

Sasuke lo fissò, senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione di stranezza del risveglio, mentre Sakura stringeva un po’ più forte la presa attorno al suo braccio.

“Andiamo, Sasuke?”

Di nuovo verso di lei, di nuovo a stupirsi di scoprirla diversa, di nuovo a cedere senza un briciolo di forza al suo volere. Lui che non aveva mai detto sì a niente. A nessuno.

Sakura però non aveva perso il vizio di chiacchierare. Quello no, decisamente. Era soltanto lui, che aveva perso il vizio di intimarle il silenzio. Oppure, aveva iniziato ad imparare ad ascoltare.

Lei gli aveva raccontato della sua giornata, di come quella svampita di Ino si fosse accorta, così all’improvviso, di provare forse qualcosa di più per un certo compagno di team dalle indubbie capacità ma da voglia di metterle in pratica pressoché uguale allo zero assoluto. Di come lei ne avesse riso. Di come l’altra le avesse fatto giurare e stra-giurare di non dire nulla a nessuno, soprattutto a lui, l’oggetto di un’ambigua contesa tutta al femminile tra due bionde dal carattere simile.

Sakura parlava, parlava, continuava a parlare e non si era accorta nel frattempo di essere arrivata davanti casa Haruno. Era stato Sasuke a fermarsi, un po’ per abitudine, un po’ per fatalità.

“Oh, sono arrivata.” Constatò dopo poco lei, sorridendo di nuovo prima di guardarlo con rinnovata preoccupazione. “Mi assicuri di stare bene?”

Lui la guardò, incerto della domanda. “Non dovrei?” Chiese, di nuovo, la solita domanda imparata a memoria.

Sakura arrossì, sotto al suo sguardo penetrante, ma lui non distolse la presa. “Beh, per…per Itachi.”

Qualcosa lo colpì, di nuovo, l’ennesima volta. Sasuke pensò che stava dimenticando qualcosa d’importante, stavolta, se lo sentiva. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a rimembrare collegamenti capaci di aprirgli la mente. Di indurlo a ricordare. Perciò annuì con il capo, trovandosi incapace ad utilizzare la voce, o meglio, ad utilizzare toni bruschi.

“S-Sono contenta. Sai, ero in pensiero. Quando l’ho saputo, ho pensato che…ecco, che tu volessi fare una pazzia. U- Un’altra.” Puntualizzò Sakura, ancora rossa in viso, lo sguardo ostinatamente basso.

Sasuke la fissò, senza riuscire a fare altro, mentre la scia di una domanda non detta defluiva come un macigno tra di loro.

Avrei

Dovuto

?

“Sasuke?”

“Uhm?”

Sakura iniziò a contorcersi le mani, chiaro sintomo che era nervosa. “M-Mi prometti che non te ne andrai più?”

Lui era perplesso, confuso, ma annuì. Davvero, non capiva. Gli sembrava di vivere fuori dal mondo, di aver vissuto in un oblò per tutto quel tempo.

“N-Niente più pazzie? Me lo premetti, Sasuke, vero?” Lei aveva alzato la testa, stavolta, guardandolo nel profondo degli occhi neri con un coraggio che lui non aveva mai saputo attribuirle.

Ed era semplicemente troppo fragile quello sguardo per poterle dire di no. Per poterla deludere. Per avere la forza di spezzarla.

“Okay.” Acconsentì, soltanto, senza riuscire a trovarsi fuori luogo, perché lui non faceva mai simili promesse, lui non doveva rendere conto a nessuno.

Sakura gli sorrise e il viso le si illuminò, con gli occhi di Foglia che sembravano smeraldi preziosi, e Sasuke la sentì qualcosa agitarsi dentro di lui, muoversi come un serpente strisciante ad infierire sullo stato catatonico da cui non riusciva ad uscire.

Poi lei fece una cosa, una cosa strana a dire il vero, che lui non riuscì a capire.

A spiegare.

Sakura lo aveva baciato.

Così, facendo leva sui piedi per arrivare alle sue labbra e cancellando quel breve distacco che li aveva sempre tenuti lontano. Come lui aveva sempre voluto?! Forse, un altro dubbio ad aumentare la confusione.

Lei lo aveva baciato e senza pretendere troppo, senza chiedere di più, era scivolata via ancora prima di lasciargli il tempo per capire. Per gustarne il sapore dolce delle labbra. E gli aveva sorriso, quasi fosse stata un’abitudine per lei, prima di entrare in casa e lasciarlo a marcire lì, sul marciapiede. In una strada che mai gli era apparsa tanto diversa e uguale insieme.

Poi i piedi si mossero da soli. Le gambe, avanzavano senza un ordine preciso. Le mani, che cercavano solide la sicurezza delle tasche della divisa nera e verde che solitamente indossavano i sensei (strano, non si era accorto nemmeno di quello).

C’erano così tante domande, così tante perché che non trovava la forza di mettersi a catalogare. Ad ascoltare. Perché la luce era ancora accecante e il nero dei suoi occhi, nonostante tutto, non riusciva ad abituarsene. Perché Naruto mangiava ramen al suo tavolo, e Itachi si faceva vedere al Paese del Vento, quando non avrebbe nemmeno potuto esserci. E Sakura lo baciava. Sì, Sakura lo baciava. Mentre la sensazione, quella, rimaneva sempre la stessa. Ancora la stessa. Da quella mattina.

E Sasuke non lo vide neppure, il Gatto avvicinarsi. Non lo sentì quasi, lo scontro con il suo braccio. Ma si voltò, ugualmente, perché un brivido che percorre la schiena è difficile da riuscire a provare quando ti senti così stanco.

Il Gatto lo fissava.

Senza un volto, senza un nome, né un perché.

Lo fissava.

Istintivo, chiederselo.

Lo conosceva?

Ma poi il Gatto proseguì, voltandosi, rivelando una capigliatura nera come la notte più cupa da sotto al cappuccio cascato sulle spalle prima di ritornare ad infilarlo, così come si conveniva.

Lo conosceva?

Non lo sapeva. Non… Era tutto così…

Di nuovo quegli occhi, quello sguardo a trapassarlo da parte a parte.

Sasuke si voltò, di scatto, e la mantella nera scivolò dispettosa al suo sguardo, riparandosi al buio di un vicolo. Gli sembrava di sentire quelle labbra mentre ghignavano, mentre ridevano di lui, lui che stupidamente aveva preso ad inseguirlo, a cercarlo. Lo stava denigrando, eppure ciò nonostante gli stava dando il vantaggio di seguirlo. Perché? Perché?

Il perché, lo sapeva.

Sa

Tutto.

Sa

Tutto.

Sa

Tutto.

L’Incappucciato lo stava aspettando. Oltre il vicolo. Aspettava lui, e intanto ghignava, lo poteva sentire anche da lì, alla luce sinistra di quel lampione.

Sasuke non aveva bisogno di domande, né di parole. C’era consapevolezza in lui. Per la prima volta da quando si era alzato, quella mattina, sapeva perfettamente quello che stava succedendo.

“Ti è piaciuto?”

Sussultò, seppur impercettibilmente. Senza rispondere. Cercando uno sguardo che si ostinava a nascondersi dietro un cappuccio troppo, troppo grande per lui.

“Sasuke.” Un ghigno, un altro, e forse una risatina celata abilmente, ma lui rimase composto, lasciandosi penetrare (perché era impossibile, impossibile lasciarsi scivolare). “È stato bello, vero? Nessuno che ti guardava diverso, o come…”

“…un nukenin.”

L’Incappucciato sorrise, anche così, dal buio del vicolo dove la luce non riusciva ad arrivare. “Esatto.”

Sasuke non si mosse, ma gli occhi continuavano a scrutare quel cappuccio alla ricerca di un volto. Di un perché. Senza trovarne, infondo ci vuole estrema abilità a finire i puzzle.

“Stai iniziando a capire.” Non era una domanda, era una constatazione.

Sasuke annuì, un automa in balia degli eventi.

“Non sono un codardo, non sono un codardo, non sono un codardo.”

“È soltanto una possibilità. Ciò che avrebbe potuto essere. Soltanto questo, Sasuke. Non è reale. Nemmeno il bacio di Sakura, lo era. Lo sai bene.”

Sasuke annuì, di nuovo, incapace di fare altro, mentre l’Incappucciato continuava a sorridere, enigmatico.

“Avrebbe potuto esserlo. Ma tu hai preferito un’altra via, un altro percorso. Vero Sasuke?”

Annuì. Ancora. Automa.

“E cosa ti è rimasto?”

Sorriso. L’ennesimo.

“Cosa ti è rimasto?”

Insistente. Era insistente.

“Cosa? Cosa ti è rimasto tra le mani?”

Era duro. Era irrisorio. Era…consapevole.

Niente. Niente, Sasuke. Niente.”

E di nuovo annuire. Meccanicamente. Automa.

“Non sono un codardo, non sono un codardo, non sono un codardo.”

“Lo sapevamo entrambe, che sarebbe finita così. Ricordi? Quel giorno, quando hai deciso che la Foglia non era affar tuo e hai lasciato che Madara lo uccidesse.”

“Di chi stai parlando?” Stavolta era impossibile rimanere in silenzio. Aveva bisogno di sapere. Sasuke aveva un dannato bisogno di sapere. “Di chi stai parlano? Rispondi.”

L’Incappucciato ghignò, cinico. “Naruto.”

Una parola era sufficiente. Una parola poteva bastare per far crollare il castello. Soltanto una parola, e il risveglio dei sensi accelerava l’andatura.

“No, no, no, no, no, no, no, no…”

“È inutile, sai? C’ho provato. C’ho provato anch’io. Ma è tutto inutile. Dovresti saperlo, Sasuke. Avresti dovuto impararlo, quando hai deciso che nemmeno lei meritasse le tue attenzioni.”

Sasuke sgranò gli occhi, il panico che divampava come il fuoco perenne. Il serpente nelle viscere, stava mangiando tutto. Tutto.

“Non sono stato io. N-Non sono stato io.” Mormorò solo, la voce ridotta ad un sussurro, ma non aveva bisogno di cercare quel volto, per capire che stava annuendo.

Era stato lui.

Era stato lui.

Lui.

“Hai lasciato che si uccidesse, non ricordi? Quando era venuta ad implorarti di ripensarci. Dopo che tu, le avevi distrutto ogni speranza.”

L’Incappucciato sogghignò, stavolta, quasi scanzonato e a Sasuke l’aria si era fermata nei polmoni, il cuore si era arrestato, e le orecchie esigevano soltanto il silenzio.

“Sei stato tu. Tu. Tu.” Biascicò, arretrando di un passo, quando quello sorrise maligno.

La consapevolezza. Ecco cosa gli era mancata. I ricordi, che portavano alla consapevolezza.

“No, non io, Sasuke.” Lo corresse l’Incappucciato, passo dopo passo sempre più vicino alla luce. “Ma noi.”

E il sangue si gelò nelle vene, il vento smise di soffiare, il mondo si fermò, mentre il cappuccio scivolava dalla fronte e quella cosa assumeva una forma. Un volto. Un nome.

“S-Sei…”

“Sono te.”

La verità era sconvolgente almeno quanto vedere il proprio volto, o almeno quello che un tempo era stato il proprio aspetto, catapultato come per magia dinanzi ai tuoi occhi.

Sasuke adesso li sentiva i brividi. Fitti. Infimi.

“Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile.” Continuò a ripetere, tracciando linee concentriche sulle tempia, con le dita. I capelli strizzati a voler implorare il silenzio. Dov’era, dov’era finito il torpore di prima? La pace, il senso di tranquillità indefinita? Andava bene anche quella sensazione relegata in un angolo, onnipresente questo sì, ma non fastidiosa come scontrarsi con l’ebano dei propri occhi, senza avere uno specchio.

Era follia.

Follia.

Pura follia.

“Non sono un codardo, non sono un codardo, non sono un codardo.”

Non poteva essere vero. Non poteva, non poteva essere davvero un…

Lui non era…

…un codardo.

Non era…

…un codardo.

Non era…

Sangue. Sangue. Un lago di sangue.

Era immerso nel rosso e le mani… Si guardò le mani e le scoprì macchiate. Di un rosso vivo. Sangue. Altro sangue. Infinito, indelebile, non riusciva a ripulirsene, se ne sentiva imbevuto, avvolto.

“Non sono un codardo, non sono un codardo, non sono un codardo.”

E le urla, dolore, dolore, grida di paura e di dolore. Basta, basta, per pietà, basta!

“Non è colpa mia, non è colpa mia, non sono un codardo.”

Il suono di uno scontro e ancora sangue, altro sangue, sempre sangue.

“N o n s o n o u n c o d a r d o.”

E poi più niente. Così, all’improvviso. Tutto il dolore, e le grida, e quel sangue, era tutto scomparso.

La luce. Soltanto la luce e…

…e poi, il buio.

[Avresti dovuto saperlo, Sasuke, avresti dovuto capirlo che non sarebbe rimasto più niente. Più niente, Sasuke. Niente.]

 

Codardo.

 

 

 

 

 

N/A

Dopo tante flash, finalmente una one-shot. Dal tema controverso, a dire il vero, piuttosto strana temo. Ma è venuta fuori così e mi dispiaceva modificarla. Il finale, non so, lo vedevo così. Come una fine dell’inizio, e tutta quella stanchezza, non è altro che il riflesso di una vita passata nel rimpianto e nel rimorso per aver seguito la via della vendetta, piuttosto che l’altra.

Ecco, questa è solo una trasposizione di ciò che, secondo me, sarebbe potuto essere se Sasuke avesse deciso di non tradire. Di ritornare sui suoi passi. Anche se in chiave di “universo parallelo”, in cui lui è così stordito e stanco dagli avvenimenti, che non riesce a capire il cambiamento, anzi, a concepire.

È soltanto un altro percorso.

Anche se adesso sono davvero poco soddisfatta del risultato. Ma comunque, come dicevo, mi dispiace modificarla. Voi che dite?

Ah, faccio un piccolo spazio spoiler.

[Che diavolo sta combinando Kishimoto? Gli sono saltati i neuroni per caso? Mah, non ci capisco più niente. Adesso con la decisione di far tradire Sasuke ancora di più, poi…boh. Almeno Itachi e Naruto ci fanno la loro porca figura! Bello l’ultimo capitolo, specie la parte in cui si incontrano. *-* Ma per il SasuSaku…carenza! Drastica carenza. Deve proprio farsi perdonare, eh! Okay, la chiudo qua.]

Ringrazio in anticipo chiunque si azzardi a leggere. L’idea mi piaceva, il risultato un po’ meno, ma dubito di riuscire a fare di meglio. Perciò la posto così e ancora grazie, a tutti!

Oh, il Gatto era Sai. In qualità di ANBU. E il contatto che gli ha provocato una ventata d’aria, era una reminescenza, una specie di ricordo.

Ecco, adesso è davvero tutto. Alla prossima! Baci.

Memi J

 

[Disclaimer: Naruto © Kishimoto. “Wish you were here” © Pink Floyd.]

 

  
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