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Autore: mikchan    22/02/2014    3 recensioni
*SEQUEL DI LIKE A PHOENIX*
Il tempo passa, la vita continua e i brutti ricordi diventano passato. Per tutti è così, anche per Amanda, giornalista in carriera, sfruttata dal suo capo, in crisi con se stessa e con i sentimenti che prova per il suo ragazzo e in cura da uno psicologo. Tutto questo, e Amanda lo sa, è dovuto proprio a quel passato che non l'ha abbandonata, alla perdita delle cose più importanti che avesse al mondo. Ma il passato ritorna, sempre, e per Amanda si ripresenta in una piovosa giornata invernale.
Saprà il suo passato darle un'altra opportunità, oppure è davvero tutto finito?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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21- WEDDING'S TALES

Le settimane successive passarono in un lampo.
Come aveva previsto la dottoressa, le nausee e l'indisposizione scomparvero gradualmente, permettendomi finalmente di dormire tranquillamente la notte e tornare in forma al lavoro. La gravidanza stava procedendo perfettamente: era ancora presto per affermare di essere completamente fuori dal pericolo dell'aborto, ma dentro di me sentivo che sarebbe andato tutto bene.
Me ne convincevo ogni volta che mi svegliavo al mattino e trovavo Adam al mio fianco. Ogni giorno, sempre di più, sentivo di fare parte di una famiglia. Adam mi faceva sentire amata e protetta, sapeva risollevarmi il morale quando non riuscivo a non vedere il bicchiere mezzo vuoto, mi appoggiava nelle mie scelte e mi aiutava se avevo bisogno. E, in cambio, non chiedeva altro che il mio affetto. A me non sembrava affatto uno scambio equo, ma non volevo discuterne con lui: tutto stava andando così bene che l'ipotesi di una litigata come avevamo avuto quella sera mi terrorizzava.
Il lato positivo era che mi ero convinta a non intromettermi nella vita di Austin. L'avevo rivisto più volte e una sera eravamo usciti tutti e quattro assieme e mi era sembrato felice. Sia Adam che Mr Klant avevano ragione: non potevo fare nulla di più che stargli accanto come amica ed era principalmente per quel motivo che ci trovavamo praticamente tutti i mezzogiorno per pranzare insieme. Malgrado tutto, Adam era contento di sapermi con Austin: con lui ero al sicuro e non rischiavo di rimanere da sola tutto il giorno com'era spesso successo da quando Jamie si era trasferita con il suo ragazzo e aveva dovuto abbandonare la redazione. Non avevo molti amici lì dentro, esclusa Claire che però era quasi sempre impegnata, anche a causa del successo che aveva avuto la mia rubbrica. Gli altri novellini come me erano gelosi della mia arrampicata e ultimamente mi avevano allontanata dal gruppo. Ma non me ne importava: con il resto dei colleghi avevo un buon rapporto e passavo in redazione solo il tempo necessario a non essere sbattuta fuori. Dopodiché, o uscivo a pranzo con Austin e, quando poteva, con Jamie, o tornavo a casa e aspettavo Adam insieme a Wulfie.
Non mi dispiaceva la mia nuova vita, avevo tutto quello che avevo sempre desiderato: pochi ma fidati amici, un lavoro, una casa, un uomo, un cane e anche un figlio in arrivo. C'era davvero qualcos'altro che potessi volere?
Beh, non mi sarebbe dispiaciuto riallacciare i rapporti con Liz. Nonostante tutto quello che avevo detto ad Adam e tutto quello che lei aveva detto a me, mi mancava tantissimo la sua compagnia. Non la vedevo da cinque anni, ma non avevo ancora scordato la sua risata cristallina e contagiosa e il suo modo estroverso e allegro di rivolgersi alla gente. Per questo motivo mi ero lasciata convincere da Adam a parlare con Charlie. Anche lui mi era mancato negli anni, ma avevo sempre avuto una certa paura a contattarlo, temendo di dovermi scontrare di nuovo sia con Liz che con Adam, che sicuramente era rimasto in contatto con lui. Era stata una vera gioia sentire di nuovo la sua voce e ancora di più incontrarlo una sera, dopo tutto quel tempo. Era molto cambiato, ma tutto sommato rimaneva un uomo affascinante. Si stava specializzando in pediatria, mi raccontò e dentro di me pensai che sarebbe stato il medico perfetto per il mio bambino. Poi, ovviamente, il discorso si trascinò su Liz. Charlie fu costretto ad ammettere che la sua fidanzata era rimasta molto segnata da quello che era successo: anche lei teneva molto alla mia amicizia, ma se aveva un difetto, era quello di non sapere perdonare i torti ricevuti. Dolce e carina all'apparenza, ma sarebbe stata capace di portarmi rancore per il resto della mia vita se non avessi fatto qualcosa.
Quello che non mi aspettavo, tuttavia, era di ricevere una telefonata proprio dalla mia ex-migliore amica qualche giorno dopo l'incontro con Charlie. E lei, senza tanti mezzi termini, mi ordinò di stare lontana da loro e di non provare più a contattarli. Dovevo ammettere che un po' mi ero aspettata una simile reazione da parte sua, ma avevo sperato che il tempo l'avesse aiutata a smussare la rabbia nei miei confronti. Evidentemente mi ero sbagliata e, dopo quel giorno, non provai più a ricontattarla. Avevo frignato sulla spalla di Adam per ore, dopo quella chiamata, scossa dall'avere sentito la sua voce dopo così tanto tempo, ma anche dalle sue parole.
Adam, dal canto suo, si era parecchio arrabbiato e, credendomi addormentata, quella stessa sera aveva richiamato Liz e avevano litigato pesantemente. In pratica, lui le aveva detto che era da stupidi infantili intromettersi in affari che non la riguardavano e farmi stare male per qualcosa che era successo anni prima. Le aveva anche fatto notare che, se lui aveva avuto la forza di perdonarmi, lei non aveva più nessun motivo di portarmi rancore. Non avevo sentito le risposte di Liz, ma dal tono della voce di Adam era chiaro che gli avesse risposto per le rime.
Mi dispiaceva non essere riuscita nemmeno a parlare tranquillamente con lei, ma, a mente lucida, mi ero resa conto che Liz, per prima, aveva rifiutato la comunicazione diretta con me. Non sapevo se era ancora effettivamente arrabbiata o se continuava a portare avanti quella sceneggiata per orgoglio, ma se non era disposta ad abbassare le armi io non mi sarei buttata in mezzo al campo senza protezioni. Io ci avevo provato, lei invece non ne aveva voluto nemmeno sapere. Una ben magra consolazione.
Intanto maggio era iniziato e aveva portato con se le prime giornate veramente calde. Ero contenta di poter riporre giacche e sciarpe, anche se presto non sarei più entrata nemmeno nei vestiti che avevo a causa della pancia. Nel giro di due settimane avrei fatto la visita che ci avrebbe rivelato il sesso del nostro bambino ed ero eccitata all'idea di iniziare a conoscerlo davvero. Avevamo deciso quale sarebbe stata la sua cameretta e Adam aveva già comprato culla e carrozzina, assecondato da mia madre che era arrivata a casa nostra con l'auto carica di scatoloni pieni di roba per bambini. Avevo perso un'intera giornata a frugare tra quei vecchi oggetti e vestitini e mi ero ritrovata a sorridere intenerita quando avevo riscoperto un album sotto tutte quelle cianfrusaglie.
Sapevo che non avrei dovuto aprirlo e consegnarlo a mia madre, ma la curiosità era troppa e, seduta a gambe incrociate sul pavimento, avevo iniziato a sfogliare quelle pagine ingiallite. Era un album dei ricordi di mia madre. Conteneva tutta la sua vita, dalla sua nascita, alla scuola, l'adolescenza e l'età adulta. C'erano anche foto di lei con mio padre quando erano più giovani e mi persi qualche istante nel fissare il volto di quell'uomo sconosciuto che assomigliava così tanto a me. Non avevo avuto più sue notizie dopo quello che era successo otto anni prima e non ne volevo nemmeno. L'unica cosa di cui ero certa era che Adam sarebbe stato diverso. L'ultima foto ritraeva la nostra famiglia: mia madre, mio fratelo ed io, ancora neonata. Era una foto vecchia e scolorita, ma rappresentava tutto quello che avevo. Per questo motivo, con delicatezza, la sfilai dalle pieghe e la riposi tra i miei ricordi.
Maggio fu un mese pieno di belle notizie.
L'ecografia aveva scongiurato quasi sicuramente la possibilità di un aborto e ci aveva confermato che, nel giro di cinque mesi, avremmo avuto un maschietto in famiglia. Ero entusiasta della notizia: un maschio era proprio quello che desideravo. Sarebbe stato come Adam, ne ero certa e gli avrei voluto tanto bene quanto ne volevo al padre. Adam invece, era rimasto un po' deluso: lui desiderava una femmina da viziare, ma cercai di rassicurarlo, confessandogli che, se avessimo avuto un altro figlio, anch'io avrei voluto una bambina. Lei e il fratello avrebbero avuto un rapporto fantastico, come quello che si era instaurato tra me ed Alex negli anni e che, ultimamente, era più forte che mai.
Io ero appena entrata nel quarto mese quando ci giunse una lettera inaspettata: Jamie e Daniel, il suo fidanzato, ci avevano invitato al loro matrimonio, che si sarebbe tenuto a metà giugno.
Ero eccitatissima per la notizia e, per un attimo, desiderai anch'io potermi considerare la moglie di Adam e non solo la sua compagna. Ma sapevo che anche quel momento sarebbe arrivato, avrei solo dovuto portare pazienza.
Mi feci accompagnare da Lisa a fare shopping e mi divertii tantissimo, approfittandone anche per chiederle dei consigli sulla gravidanza e sui figli. Lei mi fu di grande aiuto, rispondendo ad ogni mia curiosa richiesta e proponendomi anche di iniziare anche ad informarmi sui corsi preparto. Anche la mia ginecologa me ne aveva parlato, ma Lisa mi spiegò meglio come funzionavano e mi diede l'indirizzo di quello che aveva frequentato lei con Alex quando era incinta di Dan.
Mi aiutò anche a trovare un vestito perfetto per la cerimonia: era azzurro e leggero, perfetto per l'estate, senza maniche, con una fascia intrecciata sul seno e il tessuto della gonna che scendeva morbito e lungo, coprendo in parte la pancia che stava iniziando a crescere. Acquistai anche delle scarpe con il tacco basso, ma comunque eleganti: sarebbe stato impossibile camminare in giro con i soliti trampoli, soprattutto perché negli ultimi tempi le caviglie tendevano a confiarsi se restavo troppo tempo in piedi o se mi affaticavo eccessivamente. Ogni volta Adam mi sgridava, finendo poi per massaggiarmi le gambe con dolcezza e, ogni volta, gli ripetevo che volevo essere autonoma e indipendente fino a quando ci sarei riuscita: in fondo ero solo incinta, mica malata!
Il giorno del matrimonio di Jamie il sole splendeva alto nel cielo ed ero forse più eccitata io della sposa stessa. Impiegai infatti un sacco di tempo a sistemarmi i capelli, rischiando addirittura di bruciarmi con la piastra e infilarmi il pennellino del mascara nell'occhio e uscendo di casa indenne solo grazie ad un miracolo.
La cerimonia si sarebbe tenuta una villa poco fuori città, in un parco, che si affacciava su un lago stupendo e cristallino. La casa era una tipica costruzione ottocentesca, tinteggiata di ocra e con dei deliziosi fiori freschi sulle finestre. La facciata era stata ristrutturata recentemente e si affacciava su un enorme piazzale, al centro del quale svettava una fontana che scrosciava tranquilla, con l'acqua che scintillava sotto la luce del sole. L'interno era maestoso: l'imponente ingresso era interamente illuminato dalla parete a vetrate che dava sul cortile sul retro, dove si poteva vedere un giardino sconfinato e la piccola cappella costruita per la cerimonia di quel giorno.
Attaccata al braccio di Adam, seguii in silenziosa ammirazione il percorso segnato da un lussuoso tappeto di velluto rosso, perdendomi con sguardo luccicante nell'immensità della sala da ballo che attraversammo, in centro alla quale svettava elegante un magnifico lampadario, enorme e pieno di pietre e gemme colorate. Era il sogno di qualunque bambina trovarsi in un posto simile e per un attimo ritornai indietro con gli anni, immaginandomi i sontuosi balli e le feste che avevano animato quella sala secoli prima.
Una volta uscita sul piazzale sul retro, mi lasciai incantare di nuovo da giardino. Era davvero immenso e la foresta si estendeva a vista d'occhio, come se non dovesse più finire. Al centro del prato, poco più in basso, era stato allestito un piccolo chiosco, con delle sedie disposte ordinatamente e un altare, dietro al quale il celebrante e Daniel, il fidanzato di Jamie, stavano discutendo.
"È davvero stupendo, questo posto", commentò Adam, stringendomi al suo fianco mentre scendevamo gli scalini di granito.
"Meraviglioso", affermai.
"Conosci qualcuno?", mi chiese poi.
Mi guardai incontro, riconoscendo alcuni colleghi e incontrando subito lo sguardo di Claire, che sorrise, venendoci incontro. "Amanda, Adam!", ci salutò.
"Ciao Claire", ricambiai, dandole un bacio sulla guancia.
"Vedo che questo piccolino continua a crescere", commentò indicando il mio ventre.
Annuii, sorridendo. "Procede tutto alla grande".
"Ne sono contenta. Quando è prevista la nascita?".
"Verso inizio novembre", risposi.
"Non vedo l'ora di conoscerlo", ridacchiò.
"Anche noi", disse Adam stringendomi una mano.
"Forza, andiamo a sederci", disse Claire. "Jamie ci ha messe vicine, così possiamo commentare tutto", esclamò contenta.
Scoppiai a ridere e la seguii verso le sedie, tirandomi dietro Adam che non aveva smesso un attimo di stringermi la mano. Era silenzioso, ma tuttavia non mi feci domande: non conosceva quasi nessuno tra gli invitati e, nonostante fosse estroverso di natura, preferiva di gran lunga stare al mio fianco che andare in giro a presentarsi. O, almeno, questo fu quello che mi disse quando gli chiesi spiegazioni.
Pochi minuti dopo l'orchestra iniziò a suonare e Jamie fece il suo ingresso, avvolta in uno splendido abito avorio e accompanata dal padre. La cerimonia fu molto più che commovente. Piansi dall'inizio alla fine, così contenta che la mia amica avesse trovato la felicità e anche un po' invidiosa. Un anello al dito era quello che ogni ragazza desiderava e, checchè ne dicessi, il mio sogno segreto era di poter vivere quel momento dall'altra parte, come sposa, ovviamente di Adam. Eppure sapevo anche che non dovevo fargli pressioni: era già meraviglioso che fossimo tornati insieme dopo tutto quello che era successo e, se il destino avesse voluto, avremmo fatto anche noi quel passo. Prima o poi.
Dopo il fatidico sì e il meraviglioso bacio, ci spostammo tutti sotto l'enorme gazebo, dove erano sistemati i tavolini per il ricevimento. Sempre insieme a Claire, cercammo i nostri posti e, chiaccherando, aspettammo l'arrivo delle pietanze. Il banchetto fu delizioso, rallegrato anche dall'orchestra che non aveva smesso un attimo di suonare. Adam parlò pochissimo, concentrandosi sul cibo come se fosse la sua unica ragione di vita, ma non smettendo un attimo di cercare il contatto con il mio corpo: una mano sulla coscia, il braccio intorno alle spalle, scostare una ciocca di capelli dal mio viso, un piccolo bacio sulla guancia ogni tanto. Sembrava un cucciolo alla ricerca di coccole e ogni volta che incrociavo il suo sguardo mi si innondava il cuore di tenerezza e amore.
Appena la coppia di sposi aprì le danze, trascinai Adam in pista e mi lasciai stringere mentre dondolavamo sul posto. Era dalla festa di Natale che non ballavamo insieme e per un attimo mi sorpresi del poco tempo che era effettivamente passato: erano davvero successe così tante cose in sei mesi?
"A cosa pensi?", mi sussurrò Adam all'orecchio.
Sorrisi. "All'ultima volta che abbiamo ballato insieme".
"Non è un ricordo tanto piacevole", mormorò.
"Effettivamente è stata una serata strana".
"Strana è riduttivo".
"Beh, è iniziato tutto da lì, non credi?".
Adam esitò un attimo, poi annuì. "Già", mormorò.
"Che hai oggi?".
"Niente, sono solo sovrappesiero".
Sospirai, appoggiando la testa al suo petto. "Se vuoi parlarne io ci sono".
Adam mi strinse a se. "È solo un problema al lavoro".
"Ti hanno licenziato?", esclamai preoccupata.
"No, non è quello".
"Okay, allora cambiamo argomento".
"Ti ricordi Chantal?", sussurrò poco dopo.
Mi irrigidii. "Come potrei dimenticarla?", chiesi retorica.
Adam sospirò, appoggiando il mento sulla mia testa. "Non la smette di ronzarmi intorno. Non so più cosa fare", ammise.
"Ma non gli hai detto di essere impegnato?", sbottai irritata.
Adam mi lanciò un'occhiataccia. "Secondo te?".
Sbuffai. "E allora cosa vuole ancora".
"E che ne so!", esclamò.
"Se vuoi ci parlo io", proposi.
"Il tuo parlare non implica prenderla a botte, vero?".
Ridacchiai, alzando le spalle. "Dipende tutto da lei", ammisi candidamente.
"Lascia stare, troverò un modo".
"Sei sicuro di non volere il mio aiuto?".
"Preferisco non vederti in mezzo a una rissa", disse con un sorrisetto. "E poi devi stare tranquilla, lo sai".
Sbuffai. "Che palle, Adam. Non muoio mica se tiro qualche sberla".
Lui scoppiò a ridere. "Certo che no. Ma evitiamo di provare questa teoria, d'accordo?".
Sbuffai di nuovo. "Come sei noioso".
"Mi preoccupo per voi", disse solo.
"Lo so. A volte però esageri, sai?".
"È perché vi amo".
Mi lasciai sfuggire un sorriso. "Dove l'ho trovato un tipo come te?", mormora a me stessa.
"In sconto al supermercato", scherzò. "C'era il prendi due, paghi uno".
"E dov'è il secondo?".
"Qui", rispose, accarezzandomi la pancia. "Il mio piccolo ometto", disse emozionato.
"A proposito, come lo chiamiamo?".
Adam mi guardò sorpreso. "Accidenti, non ci avevo pensato!".
"Non avevi pensato che tuo figlio avrebbe avuto bisogno di un nome?".
"Beh, sì. Ma non saprei quale scegliere".
"Io avevo pensato a qualcosa di particolare".
"E io di semplice".
Risi. "Partiamo bene".
"Che ne dici di chiamarlo come tuo padre?", proposi.
Lui scosse la testa. "Ci ha già pensato mia sorella", mi ricordò.
Mi morsi un labbro, pensierosa. "Uhm... che ne dici di...".
"Chiamarlo come tuo fratello?".
"Alex?".
"Sì, è un bel nome".
"Perché dobbiamo scegliere il nome di un familiare?".
"Non lo so. Di solito non si fa così?".
"Mia nonna si chiamava Amanda", ammisi.
"Ma possiamo anche scegliere un nome diverso", aggiunse Adam.
"Credo sia meglio così. In fondo avere due Alex sarebbe un po' troppo. E anche lui ha scelto un nome che non aveva nulla a che fare con la famiglia".
"Ci pensiamo quando arriverà il momento, che ne dici?".
Sospirai. "Volevo essere pronta".
"Sono convinto che quando lo vedremo per la prima volta capiremo il nome perfetto per lui".
"Ne sei certo?".
Adam sorrise. "Assolutamente".
"Allora mi fido di te", sussurrai, appoggiando di nuovo la testa sul suo petto.
"Sei stanca?", mi chiese apprensivo. "Vuoi tornare a sederti?".
Era vero che mi infastidiva la sua continua preoccupazione, ma a volte era estremamente dolce e mi lasciavo andare, facendomi coccolare come se fossi una bambina. Per quello annuii e mi lasciai trascinare verso il nostro tavolo, dove Claire stava parlando con un uomo che non avevo mai visto. Sapevo che non era sposata e nemmeno impegnata, ma, nonostante la sua avvenenza, non l'avevo mai vista accompagnata da qualcuno.
Claire ci presentò Sean, un suo vecchio collega e cugino di Daniel, il marito di Jamie. Quando si dice che il mondo è piccolo! Parlammo tranquillamente tutti insieme, soffermandoci su argomenti leggeri e divertenti, ma non mi sfuggirono le occhiate che i due si lanciavano e mi ripromisi di chiedere a Claire cosa ci fosse sotto.
Il ricevimento passò in un lampo, tra l'emozionante taglio della torta e il lancio del bouquet, che fu preso da una delle damigelle della sposa, e arrivò presto il tempo di congedarci. Io ero stanca morta, con i piedi a pezzi e la schiena dolorante e, come sempre in quelle occasioni, Adam era diventato talmente preoccupato da risultare noioso.
Salutammo gli sposi e Claire, avviandoci poi verso casa. Mi addormentai in macchina, cullata anche dalle note della musica che passavano alla radio e fu Adam a portarmi in casa, sfilarmi il vestito e mettermi sotto le coperte.
Quando mi svegliai, qualche ora dopo, Adam era seduto accanto a me, con il computer sulle gambe e gli occhiali sul naso. Lo vedevo molto raramente con quelli, perché preferiva le lenti a contatto, ma dovevo ammettere che gli conferivano un'aria seria e attraente.
"Ti sei svegliata", disse incontrando il mio sguardo.
Sbadigliai, mettendomi seduta. "Scusa, non volevo addormentarmi".
"Non importa", rispose, concentrandosi di nuovo sullo schermo.
"Che fai?", gli chiesi curiosa.
Lui sorrise. "Controllo alcuni dati di una paziente".
"Non è tardi per lavorare?", domandai, appurando che fossero le undici di sera passate.
Sospirò. "Lo so, ma non riesco a dormire".
"Come mai?".
"Non saprei", mormorò solo.
"Oggi sei piuttosto pensieroso. Ancora problemi con Chantal?", chiesi, riferendomi alla nostra conversazione di quel pomeriggio.
"No, lei non c'entra". Poi prese un altro respiro. "È questa ragazza", disse. "Non so come aiutarla".
"È una tua paziente?".
Lui annuì. "Una ragazzina", disse solo.
"Non puoi parlarne con me, vero?".
Si morse il labbro, scuotendo la testa. "Mi piacerebbe, ma purtroppo non posso".
Lo guardai un attimo negli occhi. "Chiedi aiuto a Mr Klant", dissi semplicemente. "Lui mi ha aiutato tantissimo e sono convinto che avrà una soluzione anche per te".
"Gli parlerò", affermò, chiudendo poi di scatto il portatile. "Che ne dici ora di dormire un po'?".
Scossi la testa. "Ho fame", ammisi con un sorriso.
"Fame di cosa?".
"Non lo so, qualunque cosa di commestibile".
Adam sorrise. "Vado a prepararti qualcosa. Stai qui", disse scostando le coperte dalle gambe e alzandosi.
"No, vengo con te", disse invece, alzandomi anch'io e seguendolo fuori dalla camera.
Lui mi guardò divertito e scosse la testa, scendendo le scale e accendendo la luce in cucina.
"Allora, vediamo cosa offre la dispensa", mormorò aprendo il frigorifero mentre mi sedevo sul tavolo.
"Un panino?", mi chiese mostrandomi una confezione di prosciutto.
Scossi la testa.
"È avanzata della pasta", continuò.
Scossi di nuovo la testa.
Adam chiuse il frigo e aprì l'armadietto dei dolci. "Biscotti?".
"No".
"Grissini?".
"No".
"Nutella".
"Sì, la Nutella", esclamai, saltando in piedi.
Adam scoppiò a ridere, afferrando il vasetto e il pacco di pane. "Diventerai una botte, Mandy. È quasi finito anche questo barattolo".
Misi il broncio, incrociando le braccia. "Fa niente. Per la Nutella questo ed altro".
Adam rise di nuovo, porgendomi una fetta di pane cosparsa di crema al cioccolato.
"Grazie", mugugnai, dandogli poi un grosso morso.
"Dovresti mangiare più salutare", mi sgridò, preparandosi intanto una fetta di pane e Nutella anche per lui.
"Questo è l'unico vizio che mi concedo", ribattei. "Non rinuncio al cioccolato".
"Sei proprio drogata, vero?", chiese ridendo.
Alzai le spalle, dando un altro morso. "Purtroppo sì".
Finimmo il nostro spuntino e, dopo aver sistemato la cucina, tornammo a letto, infilandoci sotto le coperte.
"Ti sei divertito, oggi?".
"Sì", rispose semplicemente, facendomi accoccolare sul suo braccio.
"Anche se non conoscevi nessuno?".
"Sì", ripeté.
Io rimasi in silenzio, immergendo il volto nel suo petto e chiudendo gli occhi.
"Un giorno succederà anche a noi", lo sentii sussurrare.
"Me lo prometti?", mormorai.
"Te lo giuro".




Salve genteeeee!
Finalmente il mio amato computer è tornato e riesco ad aggiornare! Spero che nel frattempo non mi abbiate riempito di insulti, pomodori &co.
Questo capitolo è un po' di passaggio e un po' importante, lascio a voi il compito di decidere cosa.
Purtroppo ci avviciniamo alla fine e -non uccidetemi- mancano solo altri tre capitoli, epilogo compreso, al termine della storia. So che non è stata molto lunga, ma ha raggiunto il suo obiettivo, ovvero quello di fare rincontrare Adam e Amanda e far rinascere la loro storia d'amore. Quindi vi lascio un piccolo spoiler del prossimo capitolo, nella speranza che non mi abbandoniate proprio alla fine!
Ah, ne approfitto per farmi un po' di pubblicità: ho pubblicato il continuo della storia "Di guardoni, papere e fumetti" e anche un'altra song-fic su Lovely Complex. Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto (questa volta davvero!)
mikchan


SPOILER...
Capitolo ventidue: OLD AND NEW MEMORIES
[...] "Sa, Amanda, è davvero molto cambiata dalla prima volta che è entrata in questo studio".
Lo guardai sorpresa. "In realtà non più di tanto, mi creda".
"Invece ne sono certo. Cinque anni fa era una ragazzina spaventata e distrutta, che non riusciva nemmeno a pronunciare il nome del suo ex fidanzato senza scoppiare a piangere. Poi, piano piano, si è rialzata. Ne è stata in un certo senso obbligata, me ne rendo conto, se non voleva continuare a passare la sua vita nei rimpianti. Ma ha avuto la grande forza di mettersi di nuovo in cammino".
"Non sono stata così forte", obiettai. [...]
  
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