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Autore: sabrambr    22/02/2014    0 recensioni
Gli ospedali mi hanno sempre messo soggezione, vi regna il silenzio e forse per questo non voglio urlare. Non ancora.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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E mi sveglio. Non ho la minima idea di che ore siano, ma Fran è ancora a letto, quindi non è poi così tardi. Oggi che giorno è? Venerdì. Merda, devo andare a scuola. Mi sento come se avessi sbattuto la testa a terra talmente forte da farmi dormire per una settimana, mi rimbomba tutto e gli squarci di luce che passano attraverso la tapparella mi sembrano coltelli affilati. Ma quanto ho dormito? E’ tutto così in ordine in camera, anche la mia scrivania. Strano. Guardo l'orologio e sono le sette e un quarto. Strano che Fran dorma ancora, ma mi alzo senza far rumore per non svegliarla. Mi lavo la faccia con l’acqua fredda così energicamente che dopo ho dei segni rossi sul viso che fatico a togliere. Sembrano cicatrici talmente sono evidenti. Non userò mai più l’acqua fredda a prima mattina. In cucina prendo il latte e cerco la mia tazza preferita nella credenza, ma non la trovo. Strano. Poi mi accorgo di un bigliettino sul tavolo che ha l’aria di essere stato scritto troppo velocemente: “Sono andata a trovarla in ospedale. E’ molto grave. Appena ti svegli chiamami!” Ah già, zia Lilith è ricoverata in ospedale per una pancreatite acuta. E’ lì già da dieci giorni e speravo migliorasse, ma a quanto pare non è così. Cerco il telefono per chiamare mamma ma non lo trovo. Di solito è sul comodino ma adesso non c’è. Strano, ma sono troppo intontita per cercarlo bene, sono in ritardo per la scuola e mi giustifico pensando che quando tornerò per pranzo Fran mi aggiornerà. Mentre sono in strada, penso a zia Lilith. E’ giovane, ha trentasette anni e lavora in libreria. Mi è sempre piaciuta la sua libreria e l’ho pregata tutta l’estate affinché accettasse la mia richiesta di andare a lavorare per lei dopo il diploma. Adesso la libreria la gestisce suo marito, zio Alan. E’ simpatico ed è di poco più grande di lei: ha quarantaquattro anni. Zio Alan però è strano, lo conosco da cinque anni e mi ha sempre provocato una sensazione strana guardarlo negli occhi verdi acquosi. Ha un non so che di tenebroso, anche se i capelli brizzolati, un tempo neri, e le fossette sulle guance dicono il contrario. Non hanno ancora figli, lui e zia Lilith, anche se lei mi confessa sempre il suo desiderio di dare alla luce un maschio che somigli tanto ad Alan. E non si riferisce solo all’aspetto estetico o al suo carattere. Quando parliamo di questo, mi dice: “Alan è speciale. Ha un dono magnifico: quello di riuscir ad esaudire ogni mio desiderio. E’ una dote di pochi, e non va sfruttata per le futilità, ma se davvero desidero qualcosa di importante, lui fa in modo che accada. Te lo farò vedere, un giorno.” Ma quel giorno per zia Lilith non arriverà mai, perché la mamma ha scritto sul bigliettino che è grave. Grave può significare di tutto. Ritornerà nella nostra libreria, mia zia Lilith? Intanto sono arrivata al cancello della scuola, che però è stranamente chiuso. Mi chiedo se non sia un giorno festivo, ma poi mi giro verso il muro dove c’è il citofono e leggo un avviso: “I rappresentanti d’istituto del liceo Giovanni B. hanno ritenuto opportuno dedicare questo giorno, Venerdì 15 Febbraio 2013, alla memoria della recente scomparsa Ros” …e poi non si legge più. Qualcuno ha strappato il foglio e il nome non è visibile. Caspita, è morta una ragazza del liceo e i miei compagni non si sono degnati di avvisarmi. D’altronde loro sono così. Siamo uniti, ma non troppo. Le cose a lungo termine non piacciono a nessuno. E proprio parlando di lungo termine, mi ricordo di Teo. Teo è il mio ragazzo. E’ biondo, ma non proprio biondo alla David Bowie, più un biondo Brad Pitt. Ha gli occhi gialli. Sì, e sono magnifici. I suoi occhi sono sostanzialmente gialli, poi sono anche verdi, azzurri, blu, caramello e tutti i colori dell’arcobaleno. Teo è gentilezza e mascolinità insieme, è delicatezza e forza allo stesso momento. Teo è comprensione e savoir faire, è il bacio della buonanotte dato di sfuggita perché non può trattenersi in macchina sotto il palazzo a causa delle macchine che aspettano in fila. Lui è orecchie, occhi, naso, mani, spalle e bocca, tutte per me. Ma Teo è anche cocciutaggine, testardaggine, nevrosi e rabbia. Lui ha tutto questo dentro se, ed è meraviglioso. Torno a casa e Fran non c’è già più. Ha rifatto solo il mio letto, lasciando ancora scoperto il suo. Strano. Decido di prendere il tram e andare in ospedale da zia Lilith, mia madre e Fran. Il tragitto sembra interminabile. Mentre cammino i miei piedi iniziano a strisciare senza motivo sull’asfalto bagnato e le gocce che mi rientrano nelle scarpe mi danno uno strano senso di appagamento. Nel tram mi fiondo all’ultimo posto, quello in fondo, quello che mai nessuno vuole perché si dice che in questa città l’ultimo posto in fondo sia solo per i barboni e le prostituite. Io faccio leva su questa leggenda metropolitana e mi fingo una ROM, quando ho voglia di strapazzare le persone. Ma non oggi, perché oggi mi sembra un giorno così serio e cupo che pare mi stia dicendo: “Non rilassarti nemmeno per un secondo. L’aria di questo giorno è pesante e non ti conviene sottovalutarla". Fino a questo momento però, l’unica aria pesante che ho intenzione di snobbare è quella del tram sudicio. Arrivo al quarto piano accompagnata dal ronzio terrificante dell’ascensore, tanto minaccioso che, una volta illuminatasi la lucina del secondo piano, avrei voluto prendere a pugni la porta dell'ascensore per uscire e salire a piedi. L’ospedale odora stranamente di lavanda e le persone si muovono con una calma disumana. Vorrei urlare: “cazzo, c’è mia zia che sta morendo. Qualcuno vuole fare qualcosa?”, ma stranamente dalla bocca mi esce solo un piccolo suono soffocato, come quando sogni di annegare e vorresti chiedere aiuto, ma ti dimeni soltanto senza riuscire a parlare. Gli ospedali mi hanno sempre messo soggezione, vi regna il silenzio e forse per questo non voglio urlare. Non ancora.
  
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