Anàmesa étoi – Across
the years
7-Heaven
“Oh - thinkin' about all our younger years
There was only you
and me
We were young and
wild and free
Cominciare una nuova vita non era solo un
modo di dire, e Kendeas se ne accorse subito mentre stava accanto a Saga.
Il Saint dei Gemelli era sempre silenzioso e
la sua presenza in casa si notava appena, sembrava proprio che si impegnasse
con tutte le sue forze per non esistere.
Kendeas credeva che, la notte che lo aveva
visto al cimitero quando era appena stato riportato in vita da Hades, fossero
stati l’oscurità ed i suoi occhi a confonderlo, invece lui aveva visto giusto:
i capelli di Saga avevano acquisito una nuova sfumatura, non grigia come la
cenere della sua anima malvagia e non limpida come il cielo della sua anima
buona.
Adesso i suoi capelli erano di un color
simile all’indaco, unica traccia visibile della sua discesa nel regno dei
morti.
Gli occhi no, per fortuna, erano gli occhi
che Kendeas aveva sempre conosciuto.
Occhi che avrebbe voluto poter scrutare più
spesso, peccato che Saga tenesse quasi sempre lo sguardo basso.
Per quanto riguardava i parenti di Kendeas lo
avevano accolto come un ospite, senza particolari commenti e senza fare niente
che potesse metterlo in imbarazzo, solo ogni tanto nonna Ifighéneia, che oltre
ad uno spiccato intuito femminile sembrava possedere un’altrettanto femminile
propensione al pettegolezzo, si lasciava scappare un mezzo sorriso quando li
vedeva insieme.
La prima sera Saga aveva seguito Kendeas
nella sua stanza e poi aveva guardato interrogativo prima lui e poi il letto.
Kendeas aveva provato una gran tenerezza di
fronte al suo imbarazzo.
:-Se te lo stai chiedendo, sì, dormirai con
me. C’è abbastanza spazio per tutti e due, e poi io voglio che tu stia
veramente accanto a me-:
Saga non aveva protestato e presto Kendeas ne
aveva capito la ragione: non appena lui aveva spento la luce sul comodino e la
stanza era piombata nell’oscurità, Saga si era raggomitolato contro il suo
fianco come un gattino.
Kendeas lo aveva accarezzato in silenzio.
Era stato il Saint dei gemelli a parlare per
primo, un mormorio indistinto poco più in basso della sua guancia.
-Come fai a stare tranquillo? Non pensi a
quello che ho fatto anche se sembravo un santo? Non pensi che potrei farti del
male?-
-No, Saga, io non ho paura di te. Quello che
ti è successo è colpa del fatto che hai dovuto sopportare cose che gli uomini
comuni neanche immaginano-
Saga si era irrigidito.
“Accidenti!
Ricordargli che ha fallito come Saint di Athena non è stata una mossa
azzeccata”.
-Saga, adesso ascoltami. Sai cosa vuol dire
alla lettera “schizofrenia”? “Frén” è la parte più profonda e delicata dell’animo,
quella che prova i sentimenti, mentre “skizo” lo sai anche tu che vuol dire fare a pezzi. La
tua è un anima spezzata. Adesso è il momento di rimettere insieme questi pezzi,
va bene?-
Saga si era limitato a sospirare e non aveva
opposto la minima resistenza quando Kendeas si era girato di fianco e gli aveva
fatto appoggiare la fronte contro la sua spalla.
Da quella prima volta ogni sera, prima di
addormentarsi, abbracciava Saga, lo accarezzava e gli parlava piano per fargli
capire che lui lo amava e basta, senza condizioni.
Sapeva per istinto che Saga aveva bisogno di
sentirsi amato ma che non avrebbe mai chiesto neanche il minimo gesto di
affetto perché era troppo convinto di non meritarne.
Inoltre Kendeas non aveva tentato nemmeno un
piccolo approccio fisico perché Saga era già abbastanza scombussolato; meglio
che per il momento la loro relazione rimanesse puramente platonica.
La sua pazienza venne ripagata poco a poco.
Kendeas ricordava ancora quello che Saga gli
aveva detto quando erano ragazzi, che avrebbe voluto partecipare alla sua vita
normale, e decise che il modo migliore era proprio quello, quindi coinvolse
Saga in tutte le più banali attività della casa.
Lo fece lavorare nel laboratorio con lui,
all’inizio solo come un gioco ma insegnandogli veramente a modellare delle
forme semplici, e poi lo portò nel frutteto dove gli insegnò come riconoscere i
frutti maturi da quelli che avevano ancora bisogno di tempo e a distinguere gli
alberi uno dall’altro in base alla forma delle foglie.
Gli fece conoscere ad occhi chiusi la
corteccia liscia del pesco e quella ruvida e dell’olivo, guidando le sue mani
prima sulla parte più antica del tronco e poi sui rami nuovi che erano spuntati
da poco, e gli fece incontrare l’odore balsamico dell’eucalipto, quello
tipicamente mediterraneo dell’alloro e quello pungente dei pini marittimi.
Gli fece sporcare le mani di terra e di
argilla, e Saga non sembrava per niente umiliato da quelle occupazioni, anzi a
volte a Kendeas sembrava che tirasse un sospiro di sollievo come a dire “Sono
qui ad innaffiare degli ortaggi invece che a mentire a tutto il mondo. Meno
male!”.
Saga lo seguiva senza mai una protesta,
parlando poco ma ascoltando con espressione attenta tutto quello che Kendeas
gli diceva.
Sembrava che tutto il mondo fosse nuovo per
lui, ed in effetti doveva essere proprio così perché si stava confrontando con
una realtà che era lontanissima da quella dei Saint, e quella nuova realtà era
un rifugio perfetto per la sua mente: concentrarsi per imparare cose nuove lo
distoglieva dal pensare agli ultimi tredici anni, e Kendeas era un’ottima guida
in quell’esplorazione.
Era paziente ma non lo trattava mai con
sufficienza, e se qualche volta rideva non era mai per prenderlo in giro.
Ogni tanto però, nonostante l’atmosfera
serena della casa, Saga si lasciava andare alla malinconia, soprattutto quando
prima di rientrare in casa si fermava sulla porta e guardava a nord, in
direzione del Santuario.
A volte era solo un’occhiata veloce, altre
volte si fermava a lungo.
Kendeas non lo disturbava mai in quei momenti
perché capiva perfettamente che il Santuario era stato tutta la vita di Saga,
nel bene e nel male, e capiva che lui sentisse così forte il richiamo verso
quel luogo.
Lo amava almeno quanto lo temeva.
Un pomeriggio Saga era particolarmente
abbattuto mentre cercava con lo sguardo la sagoma dello Star Hill e delle
montagne intorno al Tempio di Athena.
Guardava lontano, seduto sulla panca nel
cortile sul retro, sotto il pergolato di glicine e gelsomino, bello e
malinconico come una statua antica.
Kendeas si azzardò ad intromettersi, per una
volta.
-Saga? Stai pensando al Santuario, non è
vero?-
Lui trasalì, forse perché preso alla
sprovvista o forse spaventato dalla domanda.
-In un certo senso. Mi domandavo se ho fatto
abbastanza-
-Abbastanza?-
-Intendo… ho fatto abbastanza per cancellare
le mie colpe?-
Kendeas cominciò ad avvertire un campanello
d’allarme.
Non gli piaceva la piega che stava prendendo
quella conversazione.
-Bè, vediamo un po’… sei stato per tredici
anni a torturarti nei rimorsi, poi ti sei suicidato, poi ti sei fatto passare
per traditore pur di portare a termine la missione di avvertire Athena dei
piani di Hades e poi, quando non avevi più un corpo con cui combattere, davanti
al muro del pianto hai bruciato la tua anima per permettere ai Bronze Saint di
raggiungere la dea. Che altro avresti dovuto fare?-
Saga continuò a guardare lontano.
“Smettila
di evitarmi, dannazione! Non eri tu che mi dicevi di guardarti in faccia quando
mi parlavi?”.
Kendeas scoprì con sorpresa di essere
arrabbiato, e la replica di Saga lo irritò ancora di più.
-Non lo so. A volte penso che neanche
nell’inferno esista un castigo sufficiente per me-
-Saga, tu all’inferno ci sei già stato-
Gli ricordò Kendeas.
-Forse avrei dovuto starci di più-
A quel punto perse la pazienza.
Fece un paio di passi per trovarsi di fronte
a Saga e lo scrollò forte dalle spalle.
-No, Saga, non hai fatto abbastanza! Se credi
che la soluzione per rimediare al male che hai fatto sia fare del male a te
stesso, allora non farai mai abbastanza-
Gli urlò addosso prima che Saga potesse
riprendersi dalla sorpresa.
-Non capisci, Saga? Nessuno vuole che tu
continui a punirti, non è questo che ti stiamo chiedendo-
Gli disse Kendeas deciso, ma comunque meno
duro di prima.
-E allora cosa? Che devo fare per liberarmi
di quello che mi è successo?-
-Intanto guardami. Voglio che mi guardi in
faccia quando ti parlo, hai capito?-
Now nothin' can take you away from me
We bin down that road
before
But that's over now
You keep me comin' back for more
Incredibile: il ragazzo di campagna che dava
lezioni di dignità al cavaliere d’oro.
Saga non sembrava avere nessuna intenzione di
sollevare la testa e meno che meno di incrociare il suo sguardo, allora Kendeas
dovette fare quello che aveva fatto Saga tanti anni prima, quando era lui
quello sicuro di sé e Kendeas era quello intimidito: gli prese il mento tra le
dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
-Saga. Tu devi fare la cosa più difficile
perché è proprio quella che non vuoi fare. Devi perdonare te stesso e devi accettare
che gli altri ti abbiano perdonato-
Lo sentì rabbrividire.
-E se non dovessi riuscirci?-
Gli chiese con un tono che racchiudeva tutta
l’incertezza e la fragilità del mondo.
Kendeas sorrise.
-Vorrà dire che dovrai sopportare questo per il resto dei tuoi giorni-
-Questo
cosa?-
Kendeas gli lasciò andare il mento e la
spalla che ancora gli stringeva e lo abbracciò.
La guancia di Saga era calda attraverso i
vestiti ed il suo respiro gli accarezzava delicatamente la pelle.
-Ah, certo, questo. Continuo a dimenticare che tu non vuoi proprio saperne di
lasciarmi andare-
Baby you're all that
I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that
I need
And I found it there
in your heart
It isn't too hard to
see
We're in heaven
Stavolta non era un tono a metà, con una
sfumatura positiva ed una negativa, era sollievo perché Saga si era finalmente
convinto che non sarebbe mai stato rifiutato.
Anche Kendeas era sollevato che tutto si
fosse risolto in quel modo perché si era pentito subito di essersi arrabbiato
con Saga, ed a pensarci bene non era precisamente che fosse arrabbiato con lui,
il fatto era che odiava vederlo ridotto ad un pallido riflesso del guerriero
simile ad un dio che era stato.
Ad ogni modo quel suo scatto era servito a
qualcosa, perché da quel giorno Saga ci mise più impegno nel lasciare andare il
passato per concentrarsi sul presente che stava vivendo.
La sera spesso, dopo aver cenato, stavano nel
cortile sul retro stesi sulla stessa stuoia di paglia intrecciata, a guardare
le stelle, e Saga gli insegnava a riconoscere le costellazioni come aveva già
cominciato a fare anni prima.
Raccontava le storie dei tempi del mito a
voce bassa solo per il suo compagno, e Kendeas in quei momenti, immerso nel
profumo del grano acerbo e della terra ancora calda del sole di luglio e mentre
teneva la mano di Saga, credeva di essere la persona più fortunata del mondo.
Gli sembrava che quei tredici anni non
fossero mai passati e che loro due stessero in quel modo da sempre.
Per Saga non era molto diverso: quella
situazione gli faceva rivivere il tempo della sua innocenza, quando vicino a
Kendeas si sentiva libero di essere una persona normale.
Guardava la volta del cielo stellato, un
infinito tappeto di velluto nero sparso di gemme sopra di lui, e si concedeva
il lusso di sentirsi piccolo davanti all’immensità.
E poi raccontare storie di altri personaggi
lo distoglieva dal pensare alla sua.
Fu proprio durante una di quelle
chiacchierate serali che Saga sorprese Kendeas.
-Sto bene in questo momento. Non so se
riuscirò mi a ringraziare abbastanza te e la tua famiglia per quello che state
facendo per me-
Gli disse in un sussurro.
A Kendeas saltò subito il cuore in gola
perché era la prima volta che Saga mostrava di aprirsi un po’.
Quando rispose la sua voce tremava
leggermente.
-Lo sai che non ci devi ringraziare, noi lo
facciamo perché…-
-Mi volete bene- Lo anticipò Saga –Nel tuo
caso più che bene-
Prima che Kendeas potesse aggiungere qualcosa
Saga riprese a parlare, con gli occhi rivolti alle stelle.
-Lo sai, appena mi sono svegliato qui a casa
tua avevo pensato di scappare. Sapevo troppo bene che tu non avresti potuto
trattenermi, ma proprio per questo mi sembrava una cosa terribilmente vigliacca.
E poi sapevo che avresti sofferto e non tolleravo che qualcuno soffrisse ancora
a causa mia-
-Poi ho cominciato a stare bene con voi, e mi
dicevo “io non merito tutto questo, ma se non lo merito allora perché il
destino me lo ha concesso?”-
Kendeas non riuscì ad aspettare la fine della
sua pausa.
-E adesso?- gli chiese -Cosa è cambiato,
Saga?-
-Io. Il mio modo di vedere le cose. Adesso
credo di aver capito: l’amore non è una questione di merito, non è una cosa che
si può scambiare o quantificare. È un dono. Possiamo solo scegliere se
ricambiarlo o no-
Kendeas sorrise.
-Bravo, finalmente ci sei arrivato-
-Neanche un piccolo riconoscimento per
l’immensa fatica che ho fatto?-
Accidenti, Saga che aveva provato a fare una
battuta!
Quella doveva essere la sua serata fortunata,
e forse, se tutti gli dei dell’Olimpo lo avessero aiutato…
Si sollevò su un gomito e si sporse quel
tanto che bastava per raggiungere il viso di Saga e posargli un bacio a fior di
labbra.
-Questo andava bene?-
L’espressione di Saga era più che sorpresa,
mentre Kendeas, da parte sua, aspettava la risposta tremando di emozione ed
incertezza.
Forse aveva forzato le cose, forse Saga non
era pronto, forse non era stata una buona idea…
-Sì… benissimo-
Non era a disagio, lo aveva accettato!
Da quel momento tutto sembrò più semplice.
La cosa più bella per Kendeas era assistere
alla metamorfosi di Saga.
All’inizio sembrava sempre all’erta e la
notte spesso Kendeas lo aveva sentito emettere un flebile lamento nel sonno, ma
man mano che i giorni passavano e che Saga lasciava sciogliere i nodi dentro di
sé, acquisiva una nuova sicurezza.
Stava affrontando un confronto impegnativo
con sé stesso, ma lo aiutava tantissimo sapere di avere tutto l’appoggio di
Kendeas e questo gli permetteva di lasciare che le ferite del passato
guarissero.
Le cicatrici le avrebbe portate senza dubbio
a vita, ma almeno dopo quasi un mese Saga sorrideva di nuovo.
***
Erano in laboratorio, e Saga stava guardando
Kendeas mentre modellava la creta sul tornio.
Sembrava gli piacesse guardarlo lavorare, e
spesso Kendeas lo aveva fatto provare a modellare qualcosa, come le prime volte
che si erano conosciuti.
Erano oggetti molto semplici, un piccolo
vaso, un piatto, una scodella, ma quando riuscivano bene Kendeas notava che gli
occhi di Saga ritrovavano una scintilla di vita.
-Io ho le mani indolenzite. Vuoi provare un
po’ tu?-
Gli chiese.
Lui alzò la testa improvvisamente
interessato. Sembrava un bambino a cui avessero dato il permesso di giocare con
qualcosa che desidera ma non osa chiedere.
-Bè, se tu hai finito…-
-Per il momento ho finito, sì-
Saga non se lo fece ripetere.
Andò a prendere un panetto di creta umida e
si sedette al tornio.
Kendeas era soddisfatto: Saga si muoveva ogni
giorno con più disinvoltura e non era più l’essere tormentato dei primi giorni
che era stato a casa sua.
Adesso, in certi momenti sembrava addirittura
sereno, come in quel momento che aveva cominciato ad ammorbidire la creta tra
le mani e la osservava cambiare forma.
Kendeas si trovò inspiegabilmente a pensare a
Kanon, mentre si puliva le mani dall’argilla con uno straccio bagnato.
Forse dopotutto Kanon, anche se era
indelicato e sfrontato, aveva capito di cosa Saga aveva bisogno meglio di
chiunque altro.
Una vita normale con qualcuno che gli volesse
bene, e sembrava che la sua idea avesse funzionato.
E lui come stava? Neanche per lui doveva
essere stato facile tornare in mezzo agli altri Saint.
Chissà se anche lui aveva degli incubi come
Saga?
Chissà se anche lui avrebbe avuto bisogno di
qualcuno che gli stesse vicino?
Kendeas guardò Saga che lavorava, le mani
eleganti che premevano sulla creta per modellarla.
Kanon aveva pensato a Saga, chissà se anche
lui pensava a suo fratello?
Decise che valeva la pena parlarne.
-Saga, c’è una cosa che devo chiederti. Com’è
il tuo rapporto con Kanon?-
Saga si contrasse come se avesse preso una
scossa e finì per rovinare la forma che stava creando.
Guardò Kendeas ed aprì bocca un paio di volte
ma non riuscì a dire niente.
-Non lo so. Non abbiamo mai parlato. Mi ha
rivolto la parola solo quando voleva convincermi a venire qui da te, e non è
stata una discussione lunga perché subito dopo mi ha colpito e portato qui di
forza-
-Vorresti rimproverarlo per averti riportato
da me?-
Gli chiese Kendeas con un sorriso.
-No, non proprio-
-Ascolta, io credo che Kanon sia dispiaciuto
per quanto ha fatto a te almeno quanto tu sei dispiaciuto per quello che hai
fatto a lui. Certo, non ha usato modi molto delicati, ma era veramente
preoccupato per te. È venuto a cercarmi per chiedermi di aiutarti, ed era
arrabbiato con sé stesso perché lui non era in grado di fare niente-
Saga rimase in silenzio a fissarsi le mani
rossastre per l’argilla che cominciava ad asciugarsi.
-Perché non vi incontrate?-
Provò ancora Kendeas.
-Che dovrei dirgli?-
-Bè… non lo so… magari niente, ma almeno gli
farai capire che non vuoi evitarlo. Non se lo merita, credimi-
Saga sospirò.
-Credo che ancora una volta abbia ragione tu-
I gemelli si incontrarono un paio di giorni dopo,
quando Saga trovò finalmente il coraggio di espandere il suo cosmo e di
raggiungere quello del fratello.
Quel pomeriggio stesso Kanon passò come per
caso davanti alla casa di Kendeas, solo che nel cortile c’era Saga ad
aspettarlo.
Era strano vederli di nuovo insieme. Erano
come uno strano riflesso in cui nella forza di uno si rispecchiava la fragilità
dell’altro.
Kendeas dalla finestra del laboratorio li
vide parlare un po’, poi entrare in casa, e nonostante fosse curioso di sapere
cosa avrebbero fatto una volta insieme decise che era meglio lasciarli soli a
chiarirsi.
Rimase a lavorare per più di un ora, poi
sentì la porta del laboratorio che si apriva e quando si girò vide che era
entrato Saga.
Aveva un’aria esausta ma allo stesso tempo
felice.
-Grazie per avermi consigliato di
incontrarlo, Kendeas-
-Avete fatto pace?-
Che domanda idiota! Come se fossero stati due
bambini che avevano litigato per un giocattolo!
Invece Saga sorrise.
-Sì, abbiamo fatto pace. Vieni qui, ti faccio
vedere come è andata-
Kendeas girò lo sgabello e si sporse un po’
verso di lui senza fare domande.
Aveva imparato che fare domande era del tutto
superfluo.
Saga gli posò le mani sulle tempie ed a
Kendeas venne istintivo chiudere gli occhi, solo che invece di vedere nero,
vide…
“Ma questo
è il cortile! E Kanon. Sto vedendo tutto quello che è successo con gli occhi di
Saga”
Vide Kanon
fermarsi davanti a lui in silenzio.
-Vuoi
entrare un momento?-
Chiese
Saga esitante.
-Va bene-
Quella
casa ormai non aveva più segreti per Saga e lo portò subito in cucina, un
ambiente semplice ma intimo dove poter parlare in tranquillità.
-Sono
contento che ci siamo… incontrati-
-Non ci
siamo “incontrati” per caso. Io sono venuto qui perché tu mi avevi chiamato e
tu eri fuori ad aspettarmi da chissà quanto tempo-
Saga
abbassò la testa.
-Hai
ragione, scusami. Non ho ancora imparato a non mentire a me stesso-
Kanon fece
un gesto con la mano come se volesse scacciare qualcosa dall’aria.
-No,
scusami tu. Non volevo essere sgarbato-
Rimasero
un po’ in silenzio.
-Però devo
ammettere che non mi dispiace che ci siamo incontrati-
Disse
Kanon piano.
Saga prese
un po’ di coraggio.
-È vero
che sono stato io a chiamarti. Volevo parlare con te. Adesso siamo… possiamo
ricominciare, no? Abbiamo una nuova vita. In questa nuova vita io mi voglio
fidare di te-
Kanon lo
guardava sorpreso.
-E tu,
Kanon? Pensi di poterti fidare di me?-
Percepì la
paura del rifiuto che aveva Saga come se fosse stata sua.
-Non lo
avrei mai creduto- disse Kanon più che altro a sé stesso, poi lo guardò negli
occhi deciso
-Sì, Saga,
voglio fidarmi di te-
Sentì il
sospiro di sollievo di Saga come se fosse stato suo.
-Bene,
allora…-
Saga gli
tese la mano, una mano che tremava leggermente.
Kanon
sorrise, per la prima volta non con malizia o quel sorriso amaro o di scherno
che lo distingueva, forse con un po’ di tenerezza per quel tremito, e strinse
la mano di suo fratello.
Saga
annuì.
-Grazie,
Kanon-
Lui lo
tirò in avanti e la stretta di mano diventò un abbraccio.
Quando Kendeas riaprì gli occhi e le immagini
svanirono si accorse di avere gli occhi lucidi.
L’incontro tra i due fratelli, soprattutto
considerato tutto quello che c’era stato tra di loro, lo aveva commosso.
-Ti ha abbracciato! Non l’avrei mai detto!-
Saga sorrise.
Un’altra ferita che stava guarendo, un altro
pezzo della sua anima che era tornato al suo posto.
-Neanche io, a dir la verità-
***
Oh - once in your life you find someone
Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down
Ya - nothin' could change
what you mean to me
Oh there's lots that I could say
But just hold me now
Cause our love will light the way
Saga dormiva tranquillo.
Aveva la fronte
appoggiata alla sua spalla e nel sonno la sua mano aveva cercato quella di
Kendeas.
Ogni tanto gli sfuggiva
un sospiro, segno che stava per svegliarsi.
Kendeas non si alzava
mai prima che Saga si fosse svegliato per due motivi, il primo era che gli
piaceva guardarlo mentre dormiva, il secondo era che non voleva farlo sentire
solo.
Voleva essere lì, non
appena avesse aperto gli occhi, per rassicurarlo ogni giorno che davvero erano
di nuovo insieme.
:-Ehi… buon giorno, ghlikà-:
Sorrise Kendeas.
Anche Saga sorrise, o
meglio fece una buffa smorfia assonnata che voleva somigliare ad un sorriso.
Poi lo cercò.
“Sì!” Esultò Kendeas “Finalmente!”
Per la prima volta era
Saga ad abbracciarlo e a cercare di stringersi di più contro di lui.
Significava che voleva
tornare a vivere e che stava chiedendo il suo aiuto, per questo Kendeas rispose
con tutta la tenerezza di cui era capace.
Rimase ad accarezzarlo a
lungo, infischiandosene altamente che la tempra morale di un Saint di Athena
avrebbe dovuto essere superiore a cose come le coccole.
Lo strappo che c’era
stato tra di loro era quasi completamente rimarginato e sembravano essere
tornati indietro nel tempo, a quando erano ancora ragazzi di quindici anni.
:-Kendeas? Posso fare
una cosa?-:
:-Quello che vuoi-:
Saga lo guardò negli
occhi per un momento, prima di cominciare a sfiorare i tratti del suo viso come
faceva una volta quando si svegliavano insieme la mattina dopo aver fatto
l’amore.
Si fermò sulle sue
labbra e sembrò considerarle con particolare attenzione.
-Kendeas. Mi sei
mancato-
Chiuse gli occhi e
finalmente si decise a posare piano le labbra sulle sue.
Era il primo bacio dopo
quattordici anni.
Kendeas rabbrividì.
All’improvviso aveva la
mente vuota ed il cuore che martellava furioso nel petto, e l’unica cosa che
esisteva al mondo erano le labbra lisce di Saga.
-Ragazzi! Non vi
dovreste alzare? È tardi, sapete!-
La voce di nonna
Ifighéneia li fece sobbalzare, entrambi con il cuore in gola.
Si voltarono nello
stesso momento verso la porta, aspettandosi di trovarci la vecchietta che li
squadrava con aria di disappunto, invece per fortuna la porta era ancora
chiusa, solo che la voce squillante della nonna era capacissima di attraversare
il miglior legno senza perdere un minimo di intensità.
Kendeas si lasciò
ricadere sul materasso con un braccio sugli occhi.
-Accidenti che paura!
Per un attimo mi era sembrato che fosse entrata nella stanza!-
Sbottò.
Poi guardò Saga, che a
sua volta ricambiò lo sguardo.
In quel momento si
resero conto appieno che non era cambiato proprio niente: erano ancora loro,
due ragazzi innamorati ma imbarazzati all’idea di essere sorpresi dai parenti.
Kendeas vide la risata
formarsi negli occhi di Saga ancora prima di sentirne il suono, ed anche a lui
all’improvviso venne una strana voglia di ridere.
Cominciarono a ridere
nello stesso momento, prima piano, cercando di soffocare il rumore e
l’imbarazzo, poi senza alcun controllo fino a restare senza fiato, e lasciarono
che quella risata spontanea lavasse via quello che restava della tensione e
della paura come la prima pioggia di settembre lava via la polvere che si
accumula nei mesi di siccità.
-Ahi… mi fanno male le
costole-
Protestò Kendeas quando
si furono un po’ calmati.
Saga ancora sorrideva.
-Un po’ mi sento in
colpa per tua nonna. Voglio dire, se sapesse…-
-Hem…
guarda che lei “sa”-
Saga sgranò gli occhi.
-Aspetta… mi stai
dicendo che lei…-
-Sa di noi due, sì-
Saga diventò rosso come
Kendeas non lo aveva mai visto.
Un Gold Saint rosso per
l’imbarazzo, e lui era l’unico ad avere il privilegio di assistere a quello
spettacolo.
-E non… non… non dice
niente?-
Chiese pianissimo Saga.
-No, non le dà
minimamente fastidio. Ma non è un buon motivo per ignorare che ci sta chiamando
per la colazione-
Andarono a lavarsi a
turno, prima Saga e poi Kendeas.
Saga era
straordinariamente veloce quando si trattava di lavarsi, ma ad un commento di
Kendeas aveva borbottato qualcosa di indistinto a proposito di “bagni di
purificazione” e di averci messo anche troppo tempo.
Lui non aveva capito e
non aveva voluto insistere.
A colazione non
parlarono molto, come sempre del resto, in compenso bastava che incrociassero
un attimo lo sguardo per mettersi a ridacchiare.
Non era mai successo
prima, e visto che avevano quasi trent’anni non era sicuramente quello il
comportamento che avrebbero dovuto tenere, ma il peggio doveva ancora arrivare:
cominciarono a farsi i dispetti sotto il tavolo come due bambinetti.
In seguito Saga avrebbe
giurato che era stato Kendeas a cominciare con un pizzicotto sul ginocchio,
invece Kendeas non avrebbe mai cambiato la sua versione che era stato Saga per
primo a strofinare le gambe contro le sue un paio di volte di troppo.
Il risultato in ogni
caso furono parte del succo di frutta rovesciato sul tavolo e briciole di
biscotti ovunque, oltre ad una nonna che minacciava di cacciarli fuori dalla
cucina a colpi di ramazza.
Nonna non faceva la
minima differenza tra Saga e Kendeas, ormai li considerava tutti e due suoi
nipoti, anche se non si capiva bene se perché sapeva della loro relazione e
quindi perché aveva accettato la
parentela acquisita, oppure perché ormai, data la sua età ed il suo carattere,
le gerarchie avevano per lei un valore molto relativo.
Non le importava che
Saga fosse il traditore, ma non le importava neanche che fosse un Saint della
casta più alta quando si trattava di richiamarlo su qualcosa.
Fuori, lui poteva anche
essere wanax Saga e tutto, ma in casa
sua era lei a comandare, e non c’erano santi di nessun tipo che potessero farle
mollare l’autorità all’interno delle mura domestiche.
Da parte sua Saga
sembrava essersi affezionato alla nonna proprio per il suo modo di trattarlo
assolutamente informale.
Per lei entrambi erano “pai”,
ragazzo, quando li chiamava, e spesso se erano tutti e due nelle vicinanze e
non si capiva a quale dei due si riferisse, capitava che rispondessero
entrambi.
-Adesso basta voi due!
Filate a fare qualcosa di utile invece di stare qui a sporcarmi la cucina!-
Ed aveva ragione di
cacciarli, perché era iniziata una pericolosa battaglia a base di briciole
bagnate.
-Va bene, scusa, yayà-
-Ma che scusa e scusa!
L’ho visto che stai ancora sghignazzando!-
Agguantarono altri due
biscotti ciascuno ed uscirono dalla cucina prima di fare altri danni o di fare
arrabbiare seriamente la nonna.
-Allora? Che facciamo?-
Chiese Saga.
-Bè, a quest’ora il laboratorio
è occupato da zio Kostas e non ha senso che ci andiamo anche noi. Possiamo
andare a vedere se c’è frutta da raccogliere. Forse qualche pesca è già matura,
o le albicocche… o forse le ciliegie-
-Va bene, ti seguo-
Nel frutteto il caldo di
luglio iniziava a farsi sentire.
Il sole pizzicava sulla
pelle anche se era ancora mattina presto e loro cercavano di camminare il più
possibile all’ombra degli alberi.
Quasi senza accorgersene
arrivarono vicino all’albero dei fichi che aveva segnato il loro primo incontro
ed anche qualcuno negli anni seguenti.
-Ehi, Saga, cosa ti
ricorda questo albero?-
Gli chiese Kendeas.
Vide Saga sorridere nei
giochi di ombra e di luce tra le foglie.
-Vediamo un po’… ah,
certo! Mi ricorda due mocciosi che si sino fatti una promessa e che l’hanno
ricordata per sei anni-
-È vero-
Confermò Kendeas con un
sorriso nostalgico.
Riusciva quasi a vedere
sé stesso e Saga da bambini sotto quell’albero, quando il massimo dei loro
problemi era come riuscire a raggiungere quei frutti dolci che però stavano
troppo in alto per la loro età.
-E poi mi ricorda una
persona speciale-
Saga si voltò verso di
lui e per la seconda volta in pochi giorni riuscì a sostenere il suo sguardo.
I suoi occhi blu o forse verdi avevano recuperato
tutta la loro intensità.
-Un ragazzo
straordinario che aveva paura di un castigo divino perché aveva osato baciare
uno dei sacri guerrieri della Dea Athena-
Kendeas arrossì e fu lui
a distogliere lo sguardo imbarazzato.
-Ora non vorrai
prendermi in giro per quello dopo tanti anni-
Borbottò.
-Non ti stavo prendendo
in giro-
Quando rialzò lo sguardo
Saga era di fronte a lui, ed era molto, molto
vicino, tanto che poteva vedere ogni dettaglio dei suoi occhi, dai riflessi
dell’iride alle ciglia.
Successe esattamente
come la prima volta, cioè senza che Kendeas se ne rendesse conto: un passo lui,
un passo Saga, e le loro labbra si erano unite con molta più sicurezza e
decisione rispetto alla mattina.
Si cercarono tutti e due
impazienti di condividere di nuovo ogni respiro.
Kendeas all’improvviso
ebbe paura di essere immerso in un sogno, una di quelle illusioni crudeli che
gli dei tessono per irretire la mente dei mortali.
Continuava a ripetersi
che era davvero Saga a baciarlo, che erano ancora loro, e che l’amore che li
univa aveva superato il tempo, la follia e la morte, ma non bastava: aveva
l’irragionevole paura che tutto quello presto gli sarebbe stato strappato via e
che lui si sarebbe risvegliato da solo e in lacrime come era successo tante
volte negli anni dell’assenza di Saga.
-Kendeas? Che cosa c’è?-
Lui non rispose, lo
baciò di nuovo, solo che stavolta era un bacio che sapeva di disperazione.
Si accorse di avere il
viso bagnato di lacrime quando un filo di vento gli fece raffreddare le guance.
-Kendeas, ghilikà, che succede?-
Saga gli aveva preso il
viso tra le mani e lo scrutava preoccupato.
Non sapeva che
rispondere: come poteva spiegargli che il peso di anni ed anni in cui aveva
avuto paura di averlo perso per sempre gli stava cadendo addosso proprio nel
momento in cui si erano ritrovati?
-Niente… niente, lascia
stare, sono io che sono uno stupido-
Provò a svicolare, ma
Saga lo trattenne.
-Kendeas, chi piange non
lo fa perché è stupido-
Kendeas sentì gli occhi
che pizzicavano nuovamente e voltò la testa dall’altra parte.
Non voleva farsi vedere
piangere, primo per non fare la figura del debole e secondo perché non voleva
farlo pesare a Saga.
Si allontanò di un paio
di passi e si passò rapido il dorso della mano sugli occhi per cercare di
limitare il danno.
-Kendeas, guarda che ti
ho visto. È il Saint di bronzo del Drago quello cieco, non io-
-No, non è niente, è
passato-
Prima che avesse il
tempo di voltarsi sentì Saga che lo abbracciava da dietro.
Aveva le sue mani sul petto
unite all’altezza del cuore ed il mento posato sulla sua spalla, mentre le
ciocche color indaco gli accarezzavano il viso ed il collo.
-Mi dispiace, è stata
colpa mia-
Disse Saga a voce bassa.
Ecco, esattamente quello
che lui voleva evitare.
-Ti chiedo scusa per
tutto quello che hai passato. Mi dai il permesso di rimediare?-
Le sue mani.
Quanto erano calde le
sue mani e quanto gli erano mancate.
Kendeas si rigirò tra le
sue braccia e lo strinse a sua volta.
-Resta con me, Saga.
Voglio che resti con me-
-Certo che resterò con
te, Kendeas. Te lo avevo già promesso una volta che non ti avrei mai lasciato,
ricordi?-
N'
baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven
Lui annuì.
Rimasero a lungo in
silenzio, tutto il tempo necessario affinché Kendeas ritrovasse la giusta sicurezza.
Quando venne il momento
di tornare a casa Saga gli tese la mano.
Kendeas provò declinare
l’offerta perché gli sembrava una cosa troppo infantile, ma Saga sapeva essere
molto persuasivo: o si gli permetteva di prendergli la mano oppure lui lo
avrebbe riportato a casa in braccio.
A Kendeas venne quasi la
tentazione di fargli mettere in atto quella minaccia, ma alla fine decise che
era meglio limitarsi e si lasciò riportare a casa mano nella mano con le dita
intrecciate a quelle di Saga.
Dopo pranzo lo zio di
Kendeas lo chiamò in laboratorio.
-Ragazzo, vedi quello
scaffale di oggetti nuovi?-
Erano vasi piccoli ma
soprattutto utensili da cucina.
-Sì, zio-
-Bene. Devo chiederti di
consegnarli oggi pomeriggio-
Kendeas ci rimase un po’
male.
Un giro di consegne
voleva dire un pomeriggio fuori casa, e siccome Saga non aveva ancora accettato
di uscire e farsi rivedere in pubblico, avrebbe significato anche un pomeriggio
senza Saga.
-È proprio necessario?-
Chiese, sperando fino
all’ultimo di evitare l’incombenza.
-Temo di sì, figliolo.
Vedi, alcuni avrei dovuto consegnarli già ieri, ma alla fine Atlante era
esausto e non me la sono sentita di sforzare troppo quella povera bestia-
Il pensiero del vecchio
asino che barcollava per la fatica fece pentire immediatamente Kendeas del suo
tentativo egoista.
-Capisco. E va bene,
zio, ci penserò io-
Aveva cominciato a
sistemare le terraglie in pile ordinate quando si accorse che zio Kostas era
ancora dietro di lui.
Sembrava che lo stesse
scrutando con attenzione ed anche un po’ imbarazzato.
-Zio? C’è qualcosa?-
-Eh? Come? Oh, bè, io mi
stavo solo chiedendo… come mai ti sei interessato tanto a wanax Saga?-
Kendeas si sentì
impallidire a quella domanda.
D’accordo, sapeva che
prima o poi avrebbe dovuto chiarire le cose anche con zio Kostas, ma non era
preparato a farlo in quel momento!
“Accidenti, e adesso come glielo dico? Lo zio è anziano, non è che
gli prende un colpo?”.
-Mi sembra che voi due
siate molto uniti-
Gli disse lo zio.
“E va bene. Ora o mai più!”.
Kendeas prese un bel
respiro.
-Io lo amo-
Temette che da un
momento all’altro lo zio sarebbe crollato a terra per un infarto fulminante,
invece lui si limitò a prendere atto della cosa con un -Ah-
Kendeas rimase a
guardarlo un po’ sconcertato.
Non poteva essere tutta
lì la reazione dello zio, dopotutto aveva appena appreso che il suo unico
nipote non avrebbe mai messo su una famiglia con una moglie e tanti bambini
come lui sperava.
-Ma tu guarda… una volta
tanto quella pettegola di tua nonna racconta una cosa che non si è inventata. E
va bene, ragazzo, come sei felice tu-
Ed uscì dal laboratorio,
lasciando un Kendeas abbastanza confuso.
Era stato lo zio ad
intuire qualcosa e poi aveva chiesto conferma alla nonna, oppure era stata lei
a spiegargli la situazione?
Decise che in fondo non
gli importava poi molto e che in ogni caso non avrebbe mai avuto il coraggio di
chiedere conferma a nessuno dei due.
Aveva quasi finito di
sistemare gli oggetti in pile ordinate quando entrò Saga.
-Mi pare di capire che
oggi pomeriggio sei fuori-
-Sì, Saga, mi dispiace
tanto ma devo assolutamente…-
-Ehi, ehi, calma, non ti
sto rimproverando perché fai il tuo lavoro-
Kendeas guardò
sconsolato tutta la roba che doveva consegnare.
Gli ci sarebbe voluto
tanto tempo…
-Lo so, è che io pensavo
di poter passare il pomeriggio con te-
-Lo speravo anche io in
realtà-
Il tono di Saga era più
allusivo e Kendeas si sentì le guance accaldate.
-Bè, sono poche ore, un
pomeriggio passa in fretta-
Immediatamente si rese
conto di essersi cacciato in una situazione ancora più imbarazzante perché
l’ovvia continuazione era “un pomeriggio passa in fretta e poi arriva la sera”.
Saga gli si avvicinò.
-Vorrà dire che ti
aspetterò-
Kendeas sentì ognuno dei
sottintesi di quel tono basso e si sentì scuotere da un brivido caldo.
Annullò in un attimo la
distanza che li separava e di nuovo si impossessò delle labbra di Saga calde e
dolci come il miele.
Rimase sorpreso dal
riscoprire come i loro corpi aderissero alla perfezione uno all’altro.
Le due metà della conchiglia, fatte per stare insieme.
Ma non era ancora il
momento. Purtroppo. Si staccò a malincuore.
-Ci vediamo stasera-
Mormorò piano al suo
orecchio, prima di uscire in fretta dalla stanza per non cadere in tentazione.
***
I've
been waitin' for so long
For something to arrive
For love to come along
Quella sera nella loro
stanza c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Entrambi non avevano
dimenticato il bacio di quella mattina, e neanche quello che era successo nel
frutteto. E neanche nel laboratorio.
Ora restava da vedere
cosa avrebbe portato la notte amica dei ladri e degli amanti.
Mentre aspettava che
anche Saga si vestisse per la notte, Kendeas si lasciò cadere sul letto con le
mani incrociate dietro la testa e rimase a fissare il soffitto.
Era il caso di fare la
prima mossa? Saga era davvero pronto per recuperare anche l’aspetto più intimo
del loro rapporto oppure lo avrebbe assecondato solo perché non aveva il
coraggio di esprimere un eventuale disagio? E poi… come sarebbe stato dopo
quattordici anni?
Queste domande diventarono
un nodo in fondo allo stomaco quando Saga rientrò nella stanza.
Kendeas lo vide piegare
i vestiti ordinatamente e posarli vicino ai suoi sulla cassapanca accanto al
letto.
Gli lanciava occhiate di
sfuggita nella luce scarsa della lampada ad olio per evitare l’indelicatezza di
fissarlo con troppa insistenza, ma durante una di queste occhiate i loro
sguardi si incontrarono in maniera imbarazzante e Kendeas avrebbe giurato che
c’era una traccia di rossore sulle guance del Saint dei Gemelli.
Saga si mise a letto
accanto a lui.
-Sono contento di essere
qui-
Disse ad un certo punto.
Prima che Kendeas fosse
riuscito a trovare qualcosa da rispondere Saga continuò.
-Non so davvero
immaginare come avrei fatto se tu non mi avessi preso in casa tua-
Kendeas decise che non
era il caso di dire niente perché qualunque cosa sarebbe stata inadatta, invece
cercò la mano di Saga e la strinse.
Lui ricambiò la stretta
e cominciò ad accarezzargli il dorso della mano con il pollice.
Kendeas si sentiva
strano, come se tutti i suoi sensi si fossero acuiti: gli sembrava di sentire
nel buio il respiro di Saga, il fruscio dei suoi capelli sul cuscino e sotto le
dita ogni minimo particolare della sua pelle.
Aveva già provato quelle sensazioni. Anni prima, quando erano
ragazzi.
Quando era alle prese con concetti che riusciva ad esprimere solo
con una parola antica che non tutti avrebbero riconosciuto.
Pothos.
Il corpo di Saga odorava
del sapone fatto in casa con olio d’oliva, mirto e scorza di limone.
Kendeas sapeva che anche
lui aveva addosso quell’odore e si domandò se anche Saga lo sentiva, e
soprattutto si domandò se anche a lui faceva quello strano effetto.
Gli piaceva quel profumo
su Saga, e senza pensare si voltò verso di lui, gli mise il viso nell’incavo
del collo e lo aspirò a fondo.
-Kendeas-
Lo chiamò.
Il suo respiro si era
fatto rapido.
-Saga-
Non c’era bisogno di
nessun invito, andarono uno incontro all’altro per istinto e perché non
avrebbero potuto aspettare oltre.
Si cercarono con le
bocche, con le mani, con tutto il corpo, mentre il sangue cominciava a
ribollire nelle loro vene.
-Avresti potuto evitare
la fatica di rivestirti-
Disse Kendeas con un
sorriso malizioso.
-L’ho fatto solo perché
tu potessi spogliarmi-
Gli rispose Saga a tono.
Presto le canottiere
finirono sul pavimento e loro si ritrovarono pelle contro pelle.
Il loro corpo era un po’
cambiato in quegli anni e sembrava che ognuno dei due non vedesse l’ora di
riscoprire l’altro alla ricerca di cosa era rimasto uguale e cosa era nuovo.
-Saga. Voglio vederti.
Per favore, spogliati per me-
Saga annuì e lentamente
si sfilò quello che restava dei vestiti.
Rimase sul letto senza
imbarazzo per il fatto di essere nudo, e la luce calda della lampada dipingeva
con cura ogni linea del suo corpo ed i riflessi nei capelli.
Era ancora, adesso più
che mai, Saga ìsos
theòis.
-Ora tocca a te-
Kendeas obbedì perché
era ipnotizzato.
Ricordava ancora la loro
prima volta, quando erano ancora adolescenti che a malapena si rendevano conto
di quello che stavano facendo.
Si spogliò e rimase
anche lui nudo sotto lo sguardo di Saga.
-Come sei bello-
Mormorò lui mentre gli
accarezzava la guancia.
A Kendeas venne un po’
da ridere.
-No, Saga, stai
sbagliando. Qui sei tu quello perfetto-
Saga diventò
improvvisamente serio.
-No, sei tu che sbagli-
Si sporse sopra Kendeas
e lo baciò.
I suoi capelli gli
cadevano addosso e lo accarezzavano come fili di seta.
-Sei tu quello perfetto-
Dalla bocca Saga passò a
baciarlo sul collo.
-Sei tu quello che ha
sempre avuto fiducia in me-
Kendeas ascoltava,
incapace di articolare niente di sensato.
-Sei tu che mi amavi
anche quando sapevi cosa ero-
Gli posò le mani con i
palmi aperti sul petto e Kendeas sussultò come per un elettroshock.
-E sei tu che mi hai
fatto vivere di nuovo-
Sotto le mani di Saga il
suo cuore batteva ad un ritmo impossibile.
Improvvisamente si rese
conto che lo desiderava con un’intensità tale da essere dolorosa.
Con uno scatto di reni
ribaltò le loro posizioni e lo baciò come non lo aveva mai baciato, come se ne
andasse della sua vita.
Saga rispose
afferrandogli i fianchi e spingendosi contro di lui.
Ormai non c’era più
posto per la ragione, era solo Eros a guidare le loro mosse.
Le mani di Kendeas
premevano ogni centimetro del corpo di Saga per scoprire e riscoprire le sue
reazioni, perché voleva capire che aspetto aveva edonè su di lui.
Lui era un artigiano ed
in quel momento stava modellando una materia viva, calda e pulsante, che a sua
volta ricambiava le attenzioni.
Non riusciva a percepire
altro che sé stesso e Saga, c’erano solo loro uniti in una danza antica e
sfrenata fatta di gemiti rochi, ansiti e muscoli tesi.
I loro corpi avvinghiati
uno all’altro si cercavano, si separavano per pochi attimi e poi si univano
ancora.
Se solo avesse potuto durare per sempre.
Entrambi scottavano,
ansimavano e tremavano come se stessero bruciando di febbre.
Saga si inarcò più forte
contro di lui.
Sentirlo vivo nel
battito del suo cuore impazzito e nel respiro veloce che si infrangeva sulla
sua pelle per Kendeas era un miracolo.
Non fermarti.
Non adesso.
Lo sentì tendersi e
scattare, e provare ad articolare qualcosa, ma dalla sua gola uscì solo un
gemito più intenso.
Quel suono Kendeas lo
aveva sentito tante altre volte.
Gli bastò quello e
sentire il calore di Saga sul suo corpo per arrivare al limite: affondò il viso
nella sua pelle calda e gridò anche lui.
Rimasero a lungo
immobili ad aspettare che i battiti tornassero normali e a prendere lunghi
respiri profondi.
Dopo un po’ Saga si
mosse per accarezzargli il viso.
-Kendeas. Io ti amo-
Lui sorrise.
Certo, lui lo sapeva che
Saga lo amava, ma il fatto stesso che sentisse il bisogno di dirglielo in quel
momento che era esausto e lottava contro il sonno era una cosa bella.
-Anche io ti amo-
Gli posò piano un bacio
sulla tempia.
Saga gli passò un
braccio attorno alla vita e chiuse gli occhi. Poco dopo il suo respiro aveva
preso il ritmo calmo e profondo del sonno.
Kendeas sorrise.
Il sonno stava chiamando
anche lui per farlo addormentare ancora una volta accanto a Saga.
Il suo ultimo pensiero
coerente fu che nella notte avrebbero potuto sentire freddo e che sarebbe stato
meglio avere addosso qualcosa, così allungò una mano dietro di sé per
recuperare un angolo di lenzuolo a coprire entrambi, e nel farlo, dopo che ebbe
aggiustato la stoffa anche su Saga, decise che non aveva la minima voglia di
ritirare il braccio e lo lasciò intorno alle spalle del suo cavaliere.
Si lasciò cullare dal suo
calore, dal suo respiro e dalla carezza dei suoi capelli fino alla soglia del
sonno perché voleva assaporare ogni momento.
Sapeva che presto Saga
avrebbe dovuto riprendere il suo posto trai i sacri guerrieri di Athena e
sarebbe tornato ai suoi doveri di Saint ma la cosa non lo preoccupava:
dopotutto il loro amore aveva superato prove ben più difficili, attraverso gli
anni.
Now
our dreams are comin' true
Through the good times and the bad
Ya - I'll be standin' there
by you”
(Heaven
– Bryan Adams)
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RINGRAZIAMENTI.
A tutti quelli che hanno letto la nostra storia, a … che l’hanno
messa tra le preferite/seguite/ricordate.
Risposte alle recensioni:
Arcadia_SPH: Macciaooo!!! Per la serie “tutto è
bene quel che finisce bene” finisce bene anche qui, per fortuna! Ci dispiace
per averti fatto prendere degli infarti a tratti xD
Solinari: Cara, eccoti qui *-*
povero Kendeas, non paragoniamolo a Shun, almeno lui fa qualcosa xD essì, Saga è un figo,
fortunato il nostro artigiano che l’ha beccato :3
Calhin: Bentornata ^^ naah, non piangere, alla fine si è risolto tutto tra
abbracci vari, non poteva andare meglio, no? ;)
Toushiro_Hitsugaya: Ciao ^^ ci fa piacere che
ti sia piaciuta la storia, in genere è difficile farle apprezzare ai non-amanti
del genere ^^ Hahaha, sì, la nonna è la migliore xD
Scusatemi tanto, ragazzi,
se sono andata direttamente al succo della cosa, il fatto è che tre interrogazioni
e un compito di lunedì incombono sulla mia testolina e devo fiondarmi a
studiare! X__X
Grazie per averci
seguito! E adesso… *arrotola un giornale e rincorre Mako*
a noi due!
Angolo delle scemenze di Mako
Scemenza numero 1: Ragazzi, avreste dovuto vedere il documento di Word di questo
capitolo quando ancora era in fase di lavorazione!
Mi spiego: io aggiungo i vari pezzetti in modo disordinato,
prima un pezzo alla fine, poi l’inizio, poi varie altre modifiche, e siccome la
mia povera sorcia ogni volta dovrebbe rileggere tutto
per trovare le (poche) righe nuove, allora io faccio ogni aggiunta di un colore
diverso, così lei le vede subito.
Risultato: prima due righe rosse, poi, sei o sette verdi, e poi
ancora blu, verde chiaro, viola, azzurro, arancione… praticamente un’opera di
arte moderna XD andrò a proporla al professor Caroli!
Scemenza numero 2: Rory mi minaccia =( se non avessi
finito il capitolo entro oggi mi avrebbe cacciata da casa *me in versione palla
di polvere intristita della pubblicità dello swiffer*
Adesso cose serie:
Numero 1: la canzone che da il titolo al capitolo è “Heaven”
di Bryan Adams, e l’ha scovata la mia sorcia. Prego,
ringraziate Rory.
Numero 2: mentre scrivevo alcune parti molte volte avevo in mente il
libro “La canzone di Achille” di Madeline Miller, che mi permetto di
consigliare ai fan delle cose greche e dello shonen-ai.
Numero 3: abbiamo deciso di inserire anche Kanon perché è una parte importante
della storia personale di Saga e perché è un personaggio che merita stima
incondizionata.