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Autore: DarkSide_of_Gemini    22/02/2014    3 recensioni
"-Io posso venire quando voglio qui. Domani torni?-
-No-
Aveva usato un tono perentorio, non adatto ad un bambino della sua età.
Sembrava abituato a farsi obbedire ad un minimo cenno, aveva assunto una vaga espressione di minaccia.
Kendeas ci rimase male, ma non si perse d’animo.
-E dopodomani?-
-No. Mai più. Mai più fino a quando non avrò terminato il mio addestramento-"
Due bambini, un lungo periodo di attesa, una promessa da mantenere.
E' così che inizia la storia di Saga e Kendeas, il primo Gold Saint dei Gemelli, l'altro un ragazzo comune, come tanti.
La storia di un amore nato per caso e capace di durare tutta la vita e oltre la morte, attraverso difficoltà, tradimenti, bugie.
Attraverso gli anni.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Anàmesa étoi – Across the years

7-Heaven

 

“Oh - thinkin' about all our younger years

There was only you and me

We were young and wild and free

 

Cominciare una nuova vita non era solo un modo di dire, e Kendeas se ne accorse subito mentre stava accanto a Saga.

Il Saint dei Gemelli era sempre silenzioso e la sua presenza in casa si notava appena, sembrava proprio che si impegnasse con tutte le sue forze per non esistere.

Kendeas credeva che, la notte che lo aveva visto al cimitero quando era appena stato riportato in vita da Hades, fossero stati l’oscurità ed i suoi occhi a confonderlo, invece lui aveva visto giusto: i capelli di Saga avevano acquisito una nuova sfumatura, non grigia come la cenere della sua anima malvagia e non limpida come il cielo della sua anima buona.

Adesso i suoi capelli erano di un color simile all’indaco, unica traccia visibile della sua discesa nel regno dei morti.

Gli occhi no, per fortuna, erano gli occhi che Kendeas aveva sempre conosciuto.

Occhi che avrebbe voluto poter scrutare più spesso, peccato che Saga tenesse quasi sempre lo sguardo basso.

Per quanto riguardava i parenti di Kendeas lo avevano accolto come un ospite, senza particolari commenti e senza fare niente che potesse metterlo in imbarazzo, solo ogni tanto nonna Ifighéneia, che oltre ad uno spiccato intuito femminile sembrava possedere un’altrettanto femminile propensione al pettegolezzo, si lasciava scappare un mezzo sorriso quando li vedeva insieme.

La prima sera Saga aveva seguito Kendeas nella sua stanza e poi aveva guardato interrogativo prima lui e poi il letto.

Kendeas aveva provato una gran tenerezza di fronte al suo imbarazzo.

 

:-Se te lo stai chiedendo, sì, dormirai con me. C’è abbastanza spazio per tutti e due, e poi io voglio che tu stia veramente accanto a me-:

 

Saga non aveva protestato e presto Kendeas ne aveva capito la ragione: non appena lui aveva spento la luce sul comodino e la stanza era piombata nell’oscurità, Saga si era raggomitolato contro il suo fianco come un gattino.

Kendeas lo aveva accarezzato in silenzio.

Era stato il Saint dei gemelli a parlare per primo, un mormorio indistinto poco più in basso della sua guancia.

 

-Come fai a stare tranquillo? Non pensi a quello che ho fatto anche se sembravo un santo? Non pensi che potrei farti del male?-

 

-No, Saga, io non ho paura di te. Quello che ti è successo è colpa del fatto che hai dovuto sopportare cose che gli uomini comuni neanche immaginano-

 

Saga si era irrigidito.

“Accidenti! Ricordargli che ha fallito come Saint di Athena non è stata una mossa azzeccata”.

 

-Saga, adesso ascoltami. Sai cosa vuol dire alla lettera “schizofrenia”? Frén è la parte più profonda e delicata dell’animo, quella che prova i sentimenti, mentre skizo lo sai anche tu che vuol dire fare a pezzi. La tua è un anima spezzata. Adesso è il momento di rimettere insieme questi pezzi, va bene?-

 

Saga si era limitato a sospirare e non aveva opposto la minima resistenza quando Kendeas si era girato di fianco e gli aveva fatto appoggiare la fronte contro la sua spalla.

Da quella prima volta ogni sera, prima di addormentarsi, abbracciava Saga, lo accarezzava e gli parlava piano per fargli capire che lui lo amava e basta, senza condizioni.

Sapeva per istinto che Saga aveva bisogno di sentirsi amato ma che non avrebbe mai chiesto neanche il minimo gesto di affetto perché era troppo convinto di non meritarne.

Inoltre Kendeas non aveva tentato nemmeno un piccolo approccio fisico perché Saga era già abbastanza scombussolato; meglio che per il momento la loro relazione rimanesse puramente platonica.

La sua pazienza venne ripagata poco a poco.

Kendeas ricordava ancora quello che Saga gli aveva detto quando erano ragazzi, che avrebbe voluto partecipare alla sua vita normale, e decise che il modo migliore era proprio quello, quindi coinvolse Saga in tutte le più banali attività della casa.

Lo fece lavorare nel laboratorio con lui, all’inizio solo come un gioco ma insegnandogli veramente a modellare delle forme semplici, e poi lo portò nel frutteto dove gli insegnò come riconoscere i frutti maturi da quelli che avevano ancora bisogno di tempo e a distinguere gli alberi uno dall’altro in base alla forma delle foglie.

Gli fece conoscere ad occhi chiusi la corteccia liscia del pesco e quella ruvida e dell’olivo, guidando le sue mani prima sulla parte più antica del tronco e poi sui rami nuovi che erano spuntati da poco, e gli fece incontrare l’odore balsamico dell’eucalipto, quello tipicamente mediterraneo dell’alloro e quello pungente dei pini marittimi.

Gli fece sporcare le mani di terra e di argilla, e Saga non sembrava per niente umiliato da quelle occupazioni, anzi a volte a Kendeas sembrava che tirasse un sospiro di sollievo come a dire “Sono qui ad innaffiare degli ortaggi invece che a mentire a tutto il mondo. Meno male!”.

Saga lo seguiva senza mai una protesta, parlando poco ma ascoltando con espressione attenta tutto quello che Kendeas gli diceva.

Sembrava che tutto il mondo fosse nuovo per lui, ed in effetti doveva essere proprio così perché si stava confrontando con una realtà che era lontanissima da quella dei Saint, e quella nuova realtà era un rifugio perfetto per la sua mente: concentrarsi per imparare cose nuove lo distoglieva dal pensare agli ultimi tredici anni, e Kendeas era un’ottima guida in quell’esplorazione.

Era paziente ma non lo trattava mai con sufficienza, e se qualche volta rideva non era mai per prenderlo in giro.

Ogni tanto però, nonostante l’atmosfera serena della casa, Saga si lasciava andare alla malinconia, soprattutto quando prima di rientrare in casa si fermava sulla porta e guardava a nord, in direzione del Santuario.

A volte era solo un’occhiata veloce, altre volte si fermava a lungo.

Kendeas non lo disturbava mai in quei momenti perché capiva perfettamente che il Santuario era stato tutta la vita di Saga, nel bene e nel male, e capiva che lui sentisse così forte il richiamo verso quel luogo.

Lo amava almeno quanto lo temeva.

Un pomeriggio Saga era particolarmente abbattuto mentre cercava con lo sguardo la sagoma dello Star Hill e delle montagne intorno al Tempio di Athena.

Guardava lontano, seduto sulla panca nel cortile sul retro, sotto il pergolato di glicine e gelsomino, bello e malinconico come una statua antica.

Kendeas si azzardò ad intromettersi, per una volta.

 

-Saga? Stai pensando al Santuario, non è vero?-

 

Lui trasalì, forse perché preso alla sprovvista o forse spaventato dalla domanda.

 

-In un certo senso. Mi domandavo se ho fatto abbastanza-

 

-Abbastanza?-

 

-Intendo… ho fatto abbastanza per cancellare le mie colpe?-

 

Kendeas cominciò ad avvertire un campanello d’allarme.

Non gli piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione.

 

-Bè, vediamo un po’… sei stato per tredici anni a torturarti nei rimorsi, poi ti sei suicidato, poi ti sei fatto passare per traditore pur di portare a termine la missione di avvertire Athena dei piani di Hades e poi, quando non avevi più un corpo con cui combattere, davanti al muro del pianto hai bruciato la tua anima per permettere ai Bronze Saint di raggiungere la dea. Che altro avresti dovuto fare?-

 

Saga continuò a guardare lontano.

“Smettila di evitarmi, dannazione! Non eri tu che mi dicevi di guardarti in faccia quando mi parlavi?”.

Kendeas scoprì con sorpresa di essere arrabbiato, e la replica di Saga lo irritò ancora di più.

 

-Non lo so. A volte penso che neanche nell’inferno esista un castigo sufficiente per me-

 

-Saga, tu all’inferno ci sei già stato-

 

Gli ricordò Kendeas.

 

-Forse avrei dovuto starci di più-

 

A quel punto perse la pazienza.

Fece un paio di passi per trovarsi di fronte a Saga e lo scrollò forte dalle spalle.

 

-No, Saga, non hai fatto abbastanza! Se credi che la soluzione per rimediare al male che hai fatto sia fare del male a te stesso, allora non farai mai abbastanza-

 

Gli urlò addosso prima che Saga potesse riprendersi dalla sorpresa.

 

-Non capisci, Saga? Nessuno vuole che tu continui a punirti, non è questo che ti stiamo chiedendo-

 

Gli disse Kendeas deciso, ma comunque meno duro di prima.

 

-E allora cosa? Che devo fare per liberarmi di quello che mi è successo?-

 

-Intanto guardami. Voglio che mi guardi in faccia quando ti parlo, hai capito?-

 

Now nothin' can take you away from me

We bin down that road before

But that's over now

You keep me comin' back for more

Incredibile: il ragazzo di campagna che dava lezioni di dignità al cavaliere d’oro.

Saga non sembrava avere nessuna intenzione di sollevare la testa e meno che meno di incrociare il suo sguardo, allora Kendeas dovette fare quello che aveva fatto Saga tanti anni prima, quando era lui quello sicuro di sé e Kendeas era quello intimidito: gli prese il mento tra le dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

 

-Saga. Tu devi fare la cosa più difficile perché è proprio quella che non vuoi fare. Devi perdonare te stesso e devi accettare che gli altri ti abbiano perdonato-

 

Lo sentì rabbrividire.

 

-E se non dovessi riuscirci?-

 

Gli chiese con un tono che racchiudeva tutta l’incertezza e la fragilità del mondo.

Kendeas sorrise.

 

-Vorrà dire che dovrai sopportare questo per il resto dei tuoi giorni-

 

-Questo cosa?-

 

Kendeas gli lasciò andare il mento e la spalla che ancora gli stringeva e lo abbracciò.

La guancia di Saga era calda attraverso i vestiti ed il suo respiro gli accarezzava delicatamente la pelle.

 

-Ah, certo, questo. Continuo a dimenticare che tu non vuoi proprio saperne di lasciarmi andare-

Baby you're all that I want

When you're lyin' here in my arms

I'm findin' it hard to believe

We're in heaven

And love is all that I need

And I found it there in your heart

It isn't too hard to see

We're in heaven

 

Stavolta non era un tono a metà, con una sfumatura positiva ed una negativa, era sollievo perché Saga si era finalmente convinto che non sarebbe mai stato rifiutato.

Anche Kendeas era sollevato che tutto si fosse risolto in quel modo perché si era pentito subito di essersi arrabbiato con Saga, ed a pensarci bene non era precisamente che fosse arrabbiato con lui, il fatto era che odiava vederlo ridotto ad un pallido riflesso del guerriero simile ad un dio che era stato.

Ad ogni modo quel suo scatto era servito a qualcosa, perché da quel giorno Saga ci mise più impegno nel lasciare andare il passato per concentrarsi sul presente che stava vivendo.

La sera spesso, dopo aver cenato, stavano nel cortile sul retro stesi sulla stessa stuoia di paglia intrecciata, a guardare le stelle, e Saga gli insegnava a riconoscere le costellazioni come aveva già cominciato a fare anni prima.

Raccontava le storie dei tempi del mito a voce bassa solo per il suo compagno, e Kendeas in quei momenti, immerso nel profumo del grano acerbo e della terra ancora calda del sole di luglio e mentre teneva la mano di Saga, credeva di essere la persona più fortunata del mondo.

Gli sembrava che quei tredici anni non fossero mai passati e che loro due stessero in quel modo da sempre.

Per Saga non era molto diverso: quella situazione gli faceva rivivere il tempo della sua innocenza, quando vicino a Kendeas si sentiva libero di essere una persona normale.

Guardava la volta del cielo stellato, un infinito tappeto di velluto nero sparso di gemme sopra di lui, e si concedeva il lusso di sentirsi piccolo davanti all’immensità.

E poi raccontare storie di altri personaggi lo distoglieva dal pensare alla sua.

Fu proprio durante una di quelle chiacchierate serali che Saga sorprese Kendeas.

 

-Sto bene in questo momento. Non so se riuscirò mi a ringraziare abbastanza te e la tua famiglia per quello che state facendo per me-

 

Gli disse in un sussurro.

A Kendeas saltò subito il cuore in gola perché era la prima volta che Saga mostrava di aprirsi un po’.

Quando rispose la sua voce tremava leggermente.

 

-Lo sai che non ci devi ringraziare, noi lo facciamo perché…-

 

-Mi volete bene- Lo anticipò Saga –Nel tuo caso più che bene-

 

Prima che Kendeas potesse aggiungere qualcosa Saga riprese a parlare, con gli occhi rivolti alle stelle.

 

-Lo sai, appena mi sono svegliato qui a casa tua avevo pensato di scappare. Sapevo troppo bene che tu non avresti potuto trattenermi, ma proprio per questo mi sembrava una cosa terribilmente vigliacca. E poi sapevo che avresti sofferto e non tolleravo che qualcuno soffrisse ancora a causa mia-

 

-Poi ho cominciato a stare bene con voi, e mi dicevo “io non merito tutto questo, ma se non lo merito allora perché il destino me lo ha concesso?”-

 

Kendeas non riuscì ad aspettare la fine della sua pausa.

 

-E adesso?- gli chiese -Cosa è cambiato, Saga?-

 

-Io. Il mio modo di vedere le cose. Adesso credo di aver capito: l’amore non è una questione di merito, non è una cosa che si può scambiare o quantificare. È un dono. Possiamo solo scegliere se ricambiarlo o no-

 

Kendeas sorrise.

 

-Bravo, finalmente ci sei arrivato-

 

-Neanche un piccolo riconoscimento per l’immensa fatica che ho fatto?-

 

Accidenti, Saga che aveva provato a fare una battuta!

Quella doveva essere la sua serata fortunata, e forse, se tutti gli dei dell’Olimpo lo avessero aiutato…

Si sollevò su un gomito e si sporse quel tanto che bastava per raggiungere il viso di Saga e posargli un bacio a fior di labbra.

 

-Questo andava bene?-

 

L’espressione di Saga era più che sorpresa, mentre Kendeas, da parte sua, aspettava la risposta tremando di emozione ed incertezza.

Forse aveva forzato le cose, forse Saga non era pronto, forse non era stata una buona idea…

 

-Sì… benissimo-

 

Non era a disagio, lo aveva accettato!

Da quel momento tutto sembrò più semplice.

La cosa più bella per Kendeas era assistere alla metamorfosi di Saga.

All’inizio sembrava sempre all’erta e la notte spesso Kendeas lo aveva sentito emettere un flebile lamento nel sonno, ma man mano che i giorni passavano e che Saga lasciava sciogliere i nodi dentro di sé, acquisiva una nuova sicurezza.

Stava affrontando un confronto impegnativo con sé stesso, ma lo aiutava tantissimo sapere di avere tutto l’appoggio di Kendeas e questo gli permetteva di lasciare che le ferite del passato guarissero.

Le cicatrici le avrebbe portate senza dubbio a vita, ma almeno dopo quasi un mese Saga sorrideva di nuovo.

 

***

Erano in laboratorio, e Saga stava guardando Kendeas mentre modellava la creta sul tornio.

Sembrava gli piacesse guardarlo lavorare, e spesso Kendeas lo aveva fatto provare a modellare qualcosa, come le prime volte che si erano conosciuti.

Erano oggetti molto semplici, un piccolo vaso, un piatto, una scodella, ma quando riuscivano bene Kendeas notava che gli occhi di Saga ritrovavano una scintilla di vita.

 

-Io ho le mani indolenzite. Vuoi provare un po’ tu?-

 

Gli chiese.

Lui alzò la testa improvvisamente interessato. Sembrava un bambino a cui avessero dato il permesso di giocare con qualcosa che desidera ma non osa chiedere.

 

-Bè, se tu hai finito…-

 

-Per il momento ho finito, sì-

 

Saga non se lo fece ripetere.

Andò a prendere un panetto di creta umida e si sedette al tornio.

Kendeas era soddisfatto: Saga si muoveva ogni giorno con più disinvoltura e non era più l’essere tormentato dei primi giorni che era stato a casa sua.

Adesso, in certi momenti sembrava addirittura sereno, come in quel momento che aveva cominciato ad ammorbidire la creta tra le mani e la osservava cambiare forma.

Kendeas si trovò inspiegabilmente a pensare a Kanon, mentre si puliva le mani dall’argilla con uno straccio bagnato.

Forse dopotutto Kanon, anche se era indelicato e sfrontato, aveva capito di cosa Saga aveva bisogno meglio di chiunque altro.

Una vita normale con qualcuno che gli volesse bene, e sembrava che la sua idea avesse funzionato.

E lui come stava? Neanche per lui doveva essere stato facile tornare in mezzo agli altri Saint.

Chissà se anche lui aveva degli incubi come Saga?

Chissà se anche lui avrebbe avuto bisogno di qualcuno che gli stesse vicino?

Kendeas guardò Saga che lavorava, le mani eleganti che premevano sulla creta per modellarla.

Kanon aveva pensato a Saga, chissà se anche lui pensava a suo fratello?

Decise che valeva la pena parlarne.

 

-Saga, c’è una cosa che devo chiederti. Com’è il tuo rapporto con Kanon?-

 

Saga si contrasse come se avesse preso una scossa e finì per rovinare la forma che stava creando.

Guardò Kendeas ed aprì bocca un paio di volte ma non riuscì a dire niente.

 

-Non lo so. Non abbiamo mai parlato. Mi ha rivolto la parola solo quando voleva convincermi a venire qui da te, e non è stata una discussione lunga perché subito dopo mi ha colpito e portato qui di forza-

 

-Vorresti rimproverarlo per averti riportato da me?-

 

Gli chiese Kendeas con un sorriso.

 

-No, non proprio-

 

-Ascolta, io credo che Kanon sia dispiaciuto per quanto ha fatto a te almeno quanto tu sei dispiaciuto per quello che hai fatto a lui. Certo, non ha usato modi molto delicati, ma era veramente preoccupato per te. È venuto a cercarmi per chiedermi di aiutarti, ed era arrabbiato con sé stesso perché lui non era in grado di fare niente-

 

Saga rimase in silenzio a fissarsi le mani rossastre per l’argilla che cominciava ad asciugarsi.

 

-Perché non vi incontrate?-

 

Provò ancora Kendeas.

 

-Che dovrei dirgli?-

 

-Bè… non lo so… magari niente, ma almeno gli farai capire che non vuoi evitarlo. Non se lo merita, credimi-

 

Saga sospirò.

 

-Credo che ancora una volta abbia ragione tu-

 

I gemelli si incontrarono un paio di giorni dopo, quando Saga trovò finalmente il coraggio di espandere il suo cosmo e di raggiungere quello del fratello.

Quel pomeriggio stesso Kanon passò come per caso davanti alla casa di Kendeas, solo che nel cortile c’era Saga ad aspettarlo.

Era strano vederli di nuovo insieme. Erano come uno strano riflesso in cui nella forza di uno si rispecchiava la fragilità dell’altro.

Kendeas dalla finestra del laboratorio li vide parlare un po’, poi entrare in casa, e nonostante fosse curioso di sapere cosa avrebbero fatto una volta insieme decise che era meglio lasciarli soli a chiarirsi.

Rimase a lavorare per più di un ora, poi sentì la porta del laboratorio che si apriva e quando si girò vide che era entrato Saga.

Aveva un’aria esausta ma allo stesso tempo felice.

 

-Grazie per avermi consigliato di incontrarlo, Kendeas-

 

-Avete fatto pace?-

 

Che domanda idiota! Come se fossero stati due bambini che avevano litigato per un giocattolo!

Invece Saga sorrise.

 

-Sì, abbiamo fatto pace. Vieni qui, ti faccio vedere come è andata-

 

Kendeas girò lo sgabello e si sporse un po’ verso di lui senza fare domande.

Aveva imparato che fare domande era del tutto superfluo.

Saga gli posò le mani sulle tempie ed a Kendeas venne istintivo chiudere gli occhi, solo che invece di vedere nero, vide…

“Ma questo è il cortile! E Kanon. Sto vedendo tutto quello che è successo con gli occhi di Saga”

Vide Kanon fermarsi davanti a lui in silenzio.

 

-Vuoi entrare un momento?-

 

Chiese Saga esitante.

 

-Va bene-

 

Quella casa ormai non aveva più segreti per Saga e lo portò subito in cucina, un ambiente semplice ma intimo dove poter parlare in tranquillità.

 

-Sono contento che ci siamo… incontrati-

 

-Non ci siamo “incontrati” per caso. Io sono venuto qui perché tu mi avevi chiamato e tu eri fuori ad aspettarmi da chissà quanto tempo-

 

Saga abbassò la testa.

 

-Hai ragione, scusami. Non ho ancora imparato a non mentire a me stesso-

 

Kanon fece un gesto con la mano come se volesse scacciare qualcosa dall’aria.

 

-No, scusami tu. Non volevo essere sgarbato-

 

Rimasero un po’ in silenzio.

 

-Però devo ammettere che non mi dispiace che ci siamo incontrati-

 

Disse Kanon piano.

Saga prese un po’ di coraggio.

 

-È vero che sono stato io a chiamarti. Volevo parlare con te. Adesso siamo… possiamo ricominciare, no? Abbiamo una nuova vita. In questa nuova vita io mi voglio fidare di te-

 

Kanon lo guardava sorpreso.

 

-E tu, Kanon? Pensi di poterti fidare di me?-

 

Percepì la paura del rifiuto che aveva Saga come se fosse stata sua.

 

-Non lo avrei mai creduto- disse Kanon più che altro a sé stesso, poi lo guardò negli occhi deciso

 

-Sì, Saga, voglio fidarmi di te-

 

Sentì il sospiro di sollievo di Saga come se fosse stato suo.

 

-Bene, allora…-

 

Saga gli tese la mano, una mano che tremava leggermente.

Kanon sorrise, per la prima volta non con malizia o quel sorriso amaro o di scherno che lo distingueva, forse con un po’ di tenerezza per quel tremito, e strinse la mano di suo fratello.

Saga annuì.

 

-Grazie, Kanon-

 

Lui lo tirò in avanti e la stretta di mano diventò un abbraccio.

 

Quando Kendeas riaprì gli occhi e le immagini svanirono si accorse di avere gli occhi lucidi.

L’incontro tra i due fratelli, soprattutto considerato tutto quello che c’era stato tra di loro, lo aveva commosso.

 

-Ti ha abbracciato! Non l’avrei mai detto!-

 

Saga sorrise.

Un’altra ferita che stava guarendo, un altro pezzo della sua anima che era tornato al suo posto.

 

-Neanche io, a dir la verità-

***

Oh - once in your life you find someone
Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down

Ya - nothin' could change what you mean to me
Oh there's lots that I could say
But just hold me now
Cause our love will light the way

 

Saga dormiva tranquillo.

Aveva la fronte appoggiata alla sua spalla e nel sonno la sua mano aveva cercato quella di Kendeas.

Ogni tanto gli sfuggiva un sospiro, segno che stava per svegliarsi.

Kendeas non si alzava mai prima che Saga si fosse svegliato per due motivi, il primo era che gli piaceva guardarlo mentre dormiva, il secondo era che non voleva farlo sentire solo.

Voleva essere lì, non appena avesse aperto gli occhi, per rassicurarlo ogni giorno che davvero erano di nuovo insieme.

 

:-Ehi… buon giorno, ghlikà-:

 

Sorrise Kendeas.

Anche Saga sorrise, o meglio fece una buffa smorfia assonnata che voleva somigliare ad un sorriso.

Poi lo cercò.

“Sì!” Esultò Kendeas “Finalmente!”

Per la prima volta era Saga ad abbracciarlo e a cercare di stringersi di più contro di lui.

Significava che voleva tornare a vivere e che stava chiedendo il suo aiuto, per questo Kendeas rispose con tutta la tenerezza di cui era capace.

Rimase ad accarezzarlo a lungo, infischiandosene altamente che la tempra morale di un Saint di Athena avrebbe dovuto essere superiore a cose come le coccole.

Lo strappo che c’era stato tra di loro era quasi completamente rimarginato e sembravano essere tornati indietro nel tempo, a quando erano ancora ragazzi di quindici anni.

 

:-Kendeas? Posso fare una cosa?-:

 

:-Quello che vuoi-:

 

Saga lo guardò negli occhi per un momento, prima di cominciare a sfiorare i tratti del suo viso come faceva una volta quando si svegliavano insieme la mattina dopo aver fatto l’amore.

Si fermò sulle sue labbra e sembrò considerarle con particolare attenzione.

 

-Kendeas. Mi sei mancato-

 

Chiuse gli occhi e finalmente si decise a posare piano le labbra sulle sue.

Era il primo bacio dopo quattordici anni.

Kendeas rabbrividì.

All’improvviso aveva la mente vuota ed il cuore che martellava furioso nel petto, e l’unica cosa che esisteva al mondo erano le labbra lisce di Saga.

 

-Ragazzi! Non vi dovreste alzare? È tardi, sapete!-

 

La voce di nonna Ifighéneia li fece sobbalzare, entrambi con il cuore in gola.

Si voltarono nello stesso momento verso la porta, aspettandosi di trovarci la vecchietta che li squadrava con aria di disappunto, invece per fortuna la porta era ancora chiusa, solo che la voce squillante della nonna era capacissima di attraversare il miglior legno senza perdere un minimo di intensità.

Kendeas si lasciò ricadere sul materasso con un braccio sugli occhi.

 

-Accidenti che paura! Per un attimo mi era sembrato che fosse entrata nella stanza!-

 

Sbottò.

Poi guardò Saga, che a sua volta ricambiò lo sguardo.

In quel momento si resero conto appieno che non era cambiato proprio niente: erano ancora loro, due ragazzi innamorati ma imbarazzati all’idea di essere sorpresi dai parenti.

Kendeas vide la risata formarsi negli occhi di Saga ancora prima di sentirne il suono, ed anche a lui all’improvviso venne una strana voglia di ridere.

Cominciarono a ridere nello stesso momento, prima piano, cercando di soffocare il rumore e l’imbarazzo, poi senza alcun controllo fino a restare senza fiato, e lasciarono che quella risata spontanea lavasse via quello che restava della tensione e della paura come la prima pioggia di settembre lava via la polvere che si accumula nei mesi di siccità.

 

-Ahi… mi fanno male le costole-

 

Protestò Kendeas quando si furono un po’ calmati.

Saga ancora sorrideva.

 

-Un po’ mi sento in colpa per tua nonna. Voglio dire, se sapesse…-

 

-Hem… guarda che lei “sa”-

 

Saga sgranò gli occhi.

 

-Aspetta… mi stai dicendo che lei…-

 

-Sa di noi due, sì-

 

Saga diventò rosso come Kendeas non lo aveva mai visto.

Un Gold Saint rosso per l’imbarazzo, e lui era l’unico ad avere il privilegio di assistere a quello spettacolo.

 

-E non… non… non dice niente?-

 

Chiese pianissimo Saga.

 

-No, non le dà minimamente fastidio. Ma non è un buon motivo per ignorare che ci sta chiamando per la colazione-

 

Andarono a lavarsi a turno, prima Saga e poi Kendeas.

Saga era straordinariamente veloce quando si trattava di lavarsi, ma ad un commento di Kendeas aveva borbottato qualcosa di indistinto a proposito di “bagni di purificazione” e di averci messo anche troppo tempo.

Lui non aveva capito e non aveva voluto insistere.

A colazione non parlarono molto, come sempre del resto, in compenso bastava che incrociassero un attimo lo sguardo per mettersi a ridacchiare.

Non era mai successo prima, e visto che avevano quasi trent’anni non era sicuramente quello il comportamento che avrebbero dovuto tenere, ma il peggio doveva ancora arrivare: cominciarono a farsi i dispetti sotto il tavolo come due bambinetti.

In seguito Saga avrebbe giurato che era stato Kendeas a cominciare con un pizzicotto sul ginocchio, invece Kendeas non avrebbe mai cambiato la sua versione che era stato Saga per primo a strofinare le gambe contro le sue un paio di volte di troppo.

Il risultato in ogni caso furono parte del succo di frutta rovesciato sul tavolo e briciole di biscotti ovunque, oltre ad una nonna che minacciava di cacciarli fuori dalla cucina a colpi di ramazza.

Nonna non faceva la minima differenza tra Saga e Kendeas, ormai li considerava tutti e due suoi nipoti, anche se non si capiva bene se perché sapeva della loro relazione e quindi perché  aveva accettato la parentela acquisita, oppure perché ormai, data la sua età ed il suo carattere, le gerarchie avevano per lei un valore molto relativo.

Non le importava che Saga fosse il traditore, ma non le importava neanche che fosse un Saint della casta più alta quando si trattava di richiamarlo su qualcosa.

Fuori, lui poteva anche essere wanax Saga e tutto, ma in casa sua era lei a comandare, e non c’erano santi di nessun tipo che potessero farle mollare l’autorità all’interno delle mura domestiche.

Da parte sua Saga sembrava essersi affezionato alla nonna proprio per il suo modo di trattarlo assolutamente informale.

Per lei entrambi erano pai, ragazzo, quando li chiamava, e spesso se erano tutti e due nelle vicinanze e non si capiva a quale dei due si riferisse, capitava che rispondessero entrambi.

 

-Adesso basta voi due! Filate a fare qualcosa di utile invece di stare qui a sporcarmi la cucina!-

 

Ed aveva ragione di cacciarli, perché era iniziata una pericolosa battaglia a base di briciole bagnate.

 

-Va bene, scusa, yayà-

 

-Ma che scusa e scusa! L’ho visto che stai ancora sghignazzando!-

 

Agguantarono altri due biscotti ciascuno ed uscirono dalla cucina prima di fare altri danni o di fare arrabbiare seriamente la nonna.

 

-Allora? Che facciamo?-

 

Chiese Saga.

 

-Bè, a quest’ora il laboratorio è occupato da zio Kostas e non ha senso che ci andiamo anche noi. Possiamo andare a vedere se c’è frutta da raccogliere. Forse qualche pesca è già matura, o le albicocche… o forse le ciliegie-

 

-Va bene, ti seguo-

 

Nel frutteto il caldo di luglio iniziava a farsi sentire.

Il sole pizzicava sulla pelle anche se era ancora mattina presto e loro cercavano di camminare il più possibile all’ombra degli alberi.

Quasi senza accorgersene arrivarono vicino all’albero dei fichi che aveva segnato il loro primo incontro ed anche qualcuno negli anni seguenti.

 

-Ehi, Saga, cosa ti ricorda questo albero?-

 

Gli chiese Kendeas.

Vide Saga sorridere nei giochi di ombra e di luce tra le foglie.

 

-Vediamo un po’… ah, certo! Mi ricorda due mocciosi che si sino fatti una promessa e che l’hanno ricordata per sei anni-

 

-È vero-

 

Confermò Kendeas con un sorriso nostalgico.

Riusciva quasi a vedere sé stesso e Saga da bambini sotto quell’albero, quando il massimo dei loro problemi era come riuscire a raggiungere quei frutti dolci che però stavano troppo in alto per la loro età.

 

-E poi mi ricorda una persona speciale-

 

Saga si voltò verso di lui e per la seconda volta in pochi giorni riuscì a sostenere il suo sguardo.

I suoi occhi blu o forse verdi avevano recuperato tutta la loro intensità.

 

-Un ragazzo straordinario che aveva paura di un castigo divino perché aveva osato baciare uno dei sacri guerrieri della Dea Athena-

 

Kendeas arrossì e fu lui a distogliere lo sguardo imbarazzato.

 

-Ora non vorrai prendermi in giro per quello dopo tanti anni-

 

Borbottò.

 

-Non ti stavo prendendo in giro-

 

Quando rialzò lo sguardo Saga era di fronte a lui, ed era molto, molto vicino, tanto che poteva vedere ogni dettaglio dei suoi occhi, dai riflessi dell’iride alle ciglia.

Successe esattamente come la prima volta, cioè senza che Kendeas se ne rendesse conto: un passo lui, un passo Saga, e le loro labbra si erano unite con molta più sicurezza e decisione rispetto alla mattina.

Si cercarono tutti e due impazienti di condividere di nuovo ogni respiro.

Kendeas all’improvviso ebbe paura di essere immerso in un sogno, una di quelle illusioni crudeli che gli dei tessono per irretire la mente dei mortali.

Continuava a ripetersi che era davvero Saga a baciarlo, che erano ancora loro, e che l’amore che li univa aveva superato il tempo, la follia e la morte, ma non bastava: aveva l’irragionevole paura che tutto quello presto gli sarebbe stato strappato via e che lui si sarebbe risvegliato da solo e in lacrime come era successo tante volte negli anni dell’assenza di Saga.

 

-Kendeas? Che cosa c’è?-

 

Lui non rispose, lo baciò di nuovo, solo che stavolta era un bacio che sapeva di disperazione.

Si accorse di avere il viso bagnato di lacrime quando un filo di vento gli fece raffreddare le guance.

 

-Kendeas, ghilikà, che succede?-

 

Saga gli aveva preso il viso tra le mani e lo scrutava preoccupato.

Non sapeva che rispondere: come poteva spiegargli che il peso di anni ed anni in cui aveva avuto paura di averlo perso per sempre gli stava cadendo addosso proprio nel momento in cui si erano ritrovati?

 

-Niente… niente, lascia stare, sono io che sono uno stupido-

 

Provò a svicolare, ma Saga lo trattenne.

 

-Kendeas, chi piange non lo fa perché è stupido-

 

Kendeas sentì gli occhi che pizzicavano nuovamente e voltò la testa dall’altra parte.

Non voleva farsi vedere piangere, primo per non fare la figura del debole e secondo perché non voleva farlo pesare a Saga.

Si allontanò di un paio di passi e si passò rapido il dorso della mano sugli occhi per cercare di limitare il danno.

 

-Kendeas, guarda che ti ho visto. È il Saint di bronzo del Drago quello cieco, non io-

 

-No, non è niente, è passato-

 

Prima che avesse il tempo di voltarsi sentì Saga che lo abbracciava da dietro.

Aveva le sue mani sul petto unite all’altezza del cuore ed il mento posato sulla sua spalla, mentre le ciocche color indaco gli accarezzavano il viso ed il collo.

 

-Mi dispiace, è stata colpa mia-

 

Disse Saga a voce bassa.

Ecco, esattamente quello che lui voleva evitare.

 

-Ti chiedo scusa per tutto quello che hai passato. Mi dai il permesso di rimediare?-

 

Le sue mani.

Quanto erano calde le sue mani e quanto gli erano mancate.

Kendeas si rigirò tra le sue braccia e lo strinse a sua volta.

 

-Resta con me, Saga. Voglio che resti con me-

 

-Certo che resterò con te, Kendeas. Te lo avevo già promesso una volta che non ti avrei mai lasciato, ricordi?-

N' baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven

Lui annuì.

Rimasero a lungo in silenzio, tutto il tempo necessario affinché Kendeas ritrovasse la giusta  sicurezza.

Quando venne il momento di tornare a casa Saga gli tese la mano.

Kendeas provò declinare l’offerta perché gli sembrava una cosa troppo infantile, ma Saga sapeva essere molto persuasivo: o si gli permetteva di prendergli la mano oppure lui lo avrebbe riportato a casa in braccio.

A Kendeas venne quasi la tentazione di fargli mettere in atto quella minaccia, ma alla fine decise che era meglio limitarsi e si lasciò riportare a casa mano nella mano con le dita intrecciate a quelle di Saga.

 

Dopo pranzo lo zio di Kendeas lo chiamò in laboratorio.

 

-Ragazzo, vedi quello scaffale di oggetti nuovi?-

 

Erano vasi piccoli ma soprattutto utensili da cucina.

 

-Sì, zio-

 

-Bene. Devo chiederti di consegnarli oggi pomeriggio-

 

Kendeas ci rimase un po’ male.

Un giro di consegne voleva dire un pomeriggio fuori casa, e siccome Saga non aveva ancora accettato di uscire e farsi rivedere in pubblico, avrebbe significato anche un pomeriggio senza Saga.

 

-È proprio necessario?-

 

Chiese, sperando fino all’ultimo di evitare l’incombenza.

 

-Temo di sì, figliolo. Vedi, alcuni avrei dovuto consegnarli già ieri, ma alla fine Atlante era esausto e non me la sono sentita di sforzare troppo quella povera bestia-

 

Il pensiero del vecchio asino che barcollava per la fatica fece pentire immediatamente Kendeas del suo tentativo egoista.

 

-Capisco. E va bene, zio, ci penserò io-

 

Aveva cominciato a sistemare le terraglie in pile ordinate quando si accorse che zio Kostas era ancora dietro di lui.

Sembrava che lo stesse scrutando con attenzione ed anche un po’ imbarazzato.

 

-Zio? C’è qualcosa?-

 

-Eh? Come? Oh, bè, io mi stavo solo chiedendo… come mai ti sei interessato tanto a wanax Saga?-

 

Kendeas si sentì impallidire a quella domanda.

D’accordo, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto chiarire le cose anche con zio Kostas, ma non era preparato a farlo in quel momento!

“Accidenti, e adesso come glielo dico? Lo zio è anziano, non è che gli prende un colpo?”.

 

-Mi sembra che voi due siate molto uniti-

 

Gli disse lo zio.

“E va bene. Ora o mai più!”.

Kendeas prese un bel respiro.

 

-Io lo amo-

 

Temette che da un momento all’altro lo zio sarebbe crollato a terra per un infarto fulminante, invece lui si limitò a prendere atto della cosa con un  -Ah-

Kendeas rimase a guardarlo un po’ sconcertato.

Non poteva essere tutta lì la reazione dello zio, dopotutto aveva appena appreso che il suo unico nipote non avrebbe mai messo su una famiglia con una moglie e tanti bambini come lui sperava.

 

-Ma tu guarda… una volta tanto quella pettegola di tua nonna racconta una cosa che non si è inventata. E va bene, ragazzo, come sei felice tu-

 

Ed uscì dal laboratorio, lasciando un Kendeas abbastanza confuso.

Era stato lo zio ad intuire qualcosa e poi aveva chiesto conferma alla nonna, oppure era stata lei a spiegargli la situazione?

Decise che in fondo non gli importava poi molto e che in ogni caso non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere conferma a nessuno dei due.

Aveva quasi finito di sistemare gli oggetti in pile ordinate quando entrò Saga.

 

-Mi pare di capire che oggi pomeriggio sei fuori-

 

-Sì, Saga, mi dispiace tanto ma devo assolutamente…-

 

-Ehi, ehi, calma, non ti sto rimproverando perché fai il tuo lavoro-

 

Kendeas guardò sconsolato tutta la roba che doveva consegnare.

Gli ci sarebbe voluto tanto tempo…

 

-Lo so, è che io pensavo di poter passare il pomeriggio con te-

 

-Lo speravo anche io in realtà-

 

Il tono di Saga era più allusivo e Kendeas si sentì le guance accaldate.

 

-Bè, sono poche ore, un pomeriggio passa in fretta-

 

Immediatamente si rese conto di essersi cacciato in una situazione ancora più imbarazzante perché l’ovvia continuazione era “un pomeriggio passa in fretta e poi arriva la sera”.

Saga gli si avvicinò.

 

-Vorrà dire che ti aspetterò-

 

Kendeas sentì ognuno dei sottintesi di quel tono basso e si sentì scuotere da un brivido caldo.

Annullò in un attimo la distanza che li separava e di nuovo si impossessò delle labbra di Saga calde e dolci come il miele.

Rimase sorpreso dal riscoprire come i loro corpi aderissero alla perfezione uno all’altro.

Le due metà della conchiglia, fatte per stare insieme.

Ma non era ancora il momento. Purtroppo. Si staccò a malincuore.

 

-Ci vediamo stasera-

 

Mormorò piano al suo orecchio, prima di uscire in fretta dalla stanza per non cadere in tentazione.

 

***

I've been waitin' for so long
For something to arrive
For love to come along

Quella sera nella loro stanza c’era qualcosa di diverso nell’aria.

Entrambi non avevano dimenticato il bacio di quella mattina, e neanche quello che era successo nel frutteto. E neanche nel laboratorio.

Ora restava da vedere cosa avrebbe portato la notte amica dei ladri e degli amanti.

Mentre aspettava che anche Saga si vestisse per la notte, Kendeas si lasciò cadere sul letto con le mani incrociate dietro la testa e rimase a fissare il soffitto.

Era il caso di fare la prima mossa? Saga era davvero pronto per recuperare anche l’aspetto più intimo del loro rapporto oppure lo avrebbe assecondato solo perché non aveva il coraggio di esprimere un eventuale disagio? E poi… come sarebbe stato dopo quattordici anni?

Queste domande diventarono un nodo in fondo allo stomaco quando Saga rientrò nella stanza.

Kendeas lo vide piegare i vestiti ordinatamente e posarli vicino ai suoi sulla cassapanca accanto al letto.

Gli lanciava occhiate di sfuggita nella luce scarsa della lampada ad olio per evitare l’indelicatezza di fissarlo con troppa insistenza, ma durante una di queste occhiate i loro sguardi si incontrarono in maniera imbarazzante e Kendeas avrebbe giurato che c’era una traccia di rossore sulle guance del Saint dei Gemelli.

Saga si mise a letto accanto a lui.

 

-Sono contento di essere qui-

 

Disse ad un certo punto.

Prima che Kendeas fosse riuscito a trovare qualcosa da rispondere Saga continuò.

 

-Non so davvero immaginare come avrei fatto se tu non mi avessi preso in casa tua-

 

Kendeas decise che non era il caso di dire niente perché qualunque cosa sarebbe stata inadatta, invece cercò la mano di Saga e la strinse.

Lui ricambiò la stretta e cominciò ad accarezzargli il dorso della mano con il pollice.

Kendeas si sentiva strano, come se tutti i suoi sensi si fossero acuiti: gli sembrava di sentire nel buio il respiro di Saga, il fruscio dei suoi capelli sul cuscino e sotto le dita ogni minimo particolare della sua pelle.

Aveva già provato quelle sensazioni. Anni prima, quando erano ragazzi.

Quando era alle prese con concetti che riusciva ad esprimere solo con una parola antica che non tutti avrebbero riconosciuto.

Pothos.

Il corpo di Saga odorava del sapone fatto in casa con olio d’oliva, mirto e scorza di limone.

Kendeas sapeva che anche lui aveva addosso quell’odore e si domandò se anche Saga lo sentiva, e soprattutto si domandò se anche a lui faceva quello strano effetto.

Gli piaceva quel profumo su Saga, e senza pensare si voltò verso di lui, gli mise il viso nell’incavo del collo e lo aspirò a fondo.

 

-Kendeas-

 

Lo chiamò.

Il suo respiro si era fatto rapido.

 

-Saga-

 

Non c’era bisogno di nessun invito, andarono uno incontro all’altro per istinto e perché non avrebbero potuto aspettare oltre.

Si cercarono con le bocche, con le mani, con tutto il corpo, mentre il sangue cominciava a ribollire nelle loro vene.

 

-Avresti potuto evitare la fatica di rivestirti-

 

Disse Kendeas con un sorriso malizioso.

 

-L’ho fatto solo perché tu potessi spogliarmi-

 

Gli rispose Saga a tono.

Presto le canottiere finirono sul pavimento e loro si ritrovarono pelle contro pelle.

Il loro corpo era un po’ cambiato in quegli anni e sembrava che ognuno dei due non vedesse l’ora di riscoprire l’altro alla ricerca di cosa era rimasto uguale e cosa era nuovo.

 

-Saga. Voglio vederti. Per favore, spogliati per me-

 

Saga annuì e lentamente si sfilò quello che restava dei vestiti.

Rimase sul letto senza imbarazzo per il fatto di essere nudo, e la luce calda della lampada dipingeva con cura ogni linea del suo corpo ed i riflessi nei capelli.

Era ancora, adesso più che mai, Saga ìsos theòis.

 

-Ora tocca a te-

 

Kendeas obbedì perché era ipnotizzato.

Ricordava ancora la loro prima volta, quando erano ancora adolescenti che a malapena si rendevano conto di quello che stavano facendo.

Si spogliò e rimase anche lui nudo sotto lo sguardo di Saga.

 

-Come sei bello-

 

Mormorò lui mentre gli accarezzava la guancia.

A Kendeas venne un po’ da ridere.

 

-No, Saga, stai sbagliando. Qui sei tu quello perfetto-

 

Saga diventò improvvisamente serio.

 

-No, sei tu che sbagli-

 

Si sporse sopra Kendeas e lo baciò.

I suoi capelli gli cadevano addosso e lo accarezzavano come fili di seta.

 

-Sei tu quello perfetto-

 

Dalla bocca Saga passò a baciarlo sul collo.

 

-Sei tu quello che ha sempre avuto fiducia in me-

 

Kendeas ascoltava, incapace di articolare niente di sensato.

 

-Sei tu che mi amavi anche quando sapevi cosa ero-

 

Gli posò le mani con i palmi aperti sul petto e Kendeas sussultò come per un elettroshock.

 

-E sei tu che mi hai fatto vivere di nuovo-

 

Sotto le mani di Saga il suo cuore batteva ad un ritmo impossibile.

Improvvisamente si rese conto che lo desiderava con un’intensità tale da essere dolorosa.

Con uno scatto di reni ribaltò le loro posizioni e lo baciò come non lo aveva mai baciato, come se ne andasse della sua vita.

Saga rispose afferrandogli i fianchi e spingendosi contro di lui.

Ormai non c’era più posto per la ragione, era solo Eros a guidare le loro mosse.

Le mani di Kendeas premevano ogni centimetro del corpo di Saga per scoprire e riscoprire le sue reazioni, perché voleva capire che aspetto aveva edonè su di lui.

Lui era un artigiano ed in quel momento stava modellando una materia viva, calda e pulsante, che a sua volta ricambiava le attenzioni.

Non riusciva a percepire altro che sé stesso e Saga, c’erano solo loro uniti in una danza antica e sfrenata fatta di gemiti rochi, ansiti e muscoli tesi.

I loro corpi avvinghiati uno all’altro si cercavano, si separavano per pochi attimi e poi si univano ancora.

Se solo avesse potuto durare per sempre.

Entrambi scottavano, ansimavano e tremavano come se stessero bruciando di febbre.

Saga si inarcò più forte contro di lui.

Sentirlo vivo nel battito del suo cuore impazzito e nel respiro veloce che si infrangeva sulla sua pelle per Kendeas era un miracolo.

Non fermarti.

Non adesso.

Lo sentì tendersi e scattare, e provare ad articolare qualcosa, ma dalla sua gola uscì solo un gemito più intenso.

Quel suono Kendeas lo aveva sentito tante altre volte.

Gli bastò quello e sentire il calore di Saga sul suo corpo per arrivare al limite: affondò il viso nella sua pelle calda e gridò anche lui.

Rimasero a lungo immobili ad aspettare che i battiti tornassero normali e a prendere lunghi respiri profondi.

Dopo un po’ Saga si mosse per accarezzargli il viso.

 

-Kendeas. Io ti amo-

 

Lui sorrise.

Certo, lui lo sapeva che Saga lo amava, ma il fatto stesso che sentisse il bisogno di dirglielo in quel momento che era esausto e lottava contro il sonno era una cosa bella.

 

-Anche io ti amo-

 

Gli posò piano un bacio sulla tempia.

Saga gli passò un braccio attorno alla vita e chiuse gli occhi. Poco dopo il suo respiro aveva preso il ritmo calmo e profondo del sonno.

Kendeas sorrise.

Il sonno stava chiamando anche lui per farlo addormentare ancora una volta accanto a Saga.

Il suo ultimo pensiero coerente fu che nella notte avrebbero potuto sentire freddo e che sarebbe stato meglio avere addosso qualcosa, così allungò una mano dietro di sé per recuperare un angolo di lenzuolo a coprire entrambi, e nel farlo, dopo che ebbe aggiustato la stoffa anche su Saga, decise che non aveva la minima voglia di ritirare il braccio e lo lasciò intorno alle spalle del suo cavaliere.

Si lasciò cullare dal suo calore, dal suo respiro e dalla carezza dei suoi capelli fino alla soglia del sonno perché voleva assaporare ogni momento.

Sapeva che presto Saga avrebbe dovuto riprendere il suo posto trai i sacri guerrieri di Athena e sarebbe tornato ai suoi doveri di Saint ma la cosa non lo preoccupava: dopotutto il loro amore aveva superato prove ben più difficili, attraverso gli anni.

Now our dreams are comin' true
Through the good times and the bad
Ya - I'll be standin' there by you”

 

(Heaven – Bryan Adams)

 

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RINGRAZIAMENTI.

A tutti quelli che hanno letto la nostra storia, a … che l’hanno messa tra le preferite/seguite/ricordate.

 

Risposte alle recensioni:

 

Arcadia_SPH: Macciaooo!!! Per la serie “tutto è bene quel che finisce bene” finisce bene anche qui, per fortuna! Ci dispiace per averti fatto prendere degli infarti a tratti xD

 

Solinari: Cara, eccoti qui *-* povero Kendeas, non paragoniamolo a Shun, almeno lui fa qualcosa xD essì, Saga è un figo, fortunato il nostro artigiano che l’ha beccato :3

 

Calhin: Bentornata ^^ naah, non piangere, alla fine si è risolto tutto tra abbracci vari, non poteva andare meglio, no? ;)

 

Toushiro_Hitsugaya: Ciao ^^ ci fa piacere che ti sia piaciuta la storia, in genere è difficile farle apprezzare ai non-amanti del genere ^^ Hahaha, sì, la nonna è la migliore xD

 

Scusatemi tanto, ragazzi, se sono andata direttamente al succo della cosa, il fatto è che tre interrogazioni e un compito di lunedì incombono sulla mia testolina e devo fiondarmi a studiare! X__X

Grazie per averci seguito! E adesso… *arrotola un giornale e rincorre Mako* a noi due!

 

Angolo delle scemenze di Mako

 

Scemenza numero 1: Ragazzi, avreste dovuto vedere il documento di Word di questo capitolo quando ancora era in fase di lavorazione!

Mi spiego: io aggiungo i vari pezzetti in modo disordinato, prima un pezzo alla fine, poi l’inizio, poi varie altre modifiche, e siccome la mia povera sorcia ogni volta dovrebbe rileggere tutto per trovare le (poche) righe nuove, allora io faccio ogni aggiunta di un colore diverso, così lei le vede subito.

Risultato: prima due righe rosse, poi, sei o sette verdi, e poi ancora blu, verde chiaro, viola, azzurro, arancione… praticamente un’opera di arte moderna XD andrò a proporla al professor Caroli!

Scemenza numero 2: Rory mi minaccia =( se non avessi finito il capitolo entro oggi mi avrebbe cacciata da casa *me in versione palla di polvere intristita della pubblicità dello swiffer*

 

Adesso cose serie:

Numero 1: la canzone che da il titolo al capitolo è “Heaven” di Bryan Adams, e l’ha scovata la mia sorcia. Prego, ringraziate Rory.

Numero 2: mentre scrivevo alcune parti molte volte avevo in mente il libro “La canzone di Achille” di Madeline Miller, che mi permetto di consigliare ai fan delle cose greche e dello shonen-ai.

Numero 3: abbiamo deciso di inserire anche Kanon perché è una parte importante della storia personale di Saga e perché è un personaggio che merita stima incondizionata.

 

  
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