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Autore: teabox    22/02/2014    15 recensioni
Dove Sherlock Holmes non vorrebbe accettare un caso che non sembra interessante e Molly Hooper gli fa cambiare idea (tutte le volte in cui è necessario).
[Adattamento del racconto "L'Avventura dei Faggi Rossi" da "Le Avventure di Sherlock Holmes" di Sir Arthur Conan Doyle, in versione sherlolly (qui e là).]
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non aveva mangiato. Aveva saltato il pranzo per trovare le informazioni che lui le aveva chiesto e sapeva di essere arrivato al suo appartamento prima che lei potesse avere qualcosa per cena. Quella era la ragione per cui Sherlock si era presentato da Molly con un pacchetto di pesce e patatine. Lei lo aveva accolto sorpresa, ma dopo averlo ringraziato non aveva chiesto spiegazioni. 

Sherlock era tuttora incerto se le cose tra di loro fossero in equilibrio. Quelli erano i dettagli che gli sfuggivano sempre, quella parte di umanità che non riusciva mai a catturare del tutto. 

 

Ma Molly sembrava ragionevolmente contenta. Abbastanza rilassata, seduta di fronte a lui al tavolo del salotto, intenta a mangiare. Aveva alzato una gamba sulla sedia e appoggiato il mento sul ginocchio cercando di decidere da quale patatina incominciare.

«Sono tutte uguali, Molly. Non fa differenza quale mangi per prima», le fece presente lui senza alzare gli occhi dai documenti che stava leggendo.

Molly ne prese due - una corta e una lunga - e le alzò per fargliele vedere. «Ti sembrano uguali?»

Sherlock sospirò spostando per un istante gli occhi su di lei. «No, quello che intendevo-»

La risata di Molly lo fermò. «Ti stavo prendendo in giro.»

S’infilò entrambe le patatine in bocca e le mangiò divertita. 

Sherlock tornò ai documenti, tamburellando le dita sul tavolo. «Ah», commentò dopo poco, interrompendo il movimento. «Interessante. A quanto pare-»

«La madre di Alice soffriva davvero di disturbi mentali», s’intromise Molly prendendo un pezzo di pesce. «Ed è stata ricoverata un paio di volte.»

Sherlock osservò Molly per un istante, prima di ritornare alla lettura. Le dita ripresero a tamburellare finché non le fermò di nuovo con un secondo “ah”. «Alice Rucastle ha-»

«Davvero avuto un collasso nervoso. Qualche mese fa. Già», lo anticipò Molly ancora una volta. 

Sherlock la guardò alzando un sopracciglio. 

«Cosa?», domandò Molly con un tono appena difensivo. «Li ho letti anch’io, quei documenti. So quali sono le parti importanti. E, ancora meglio, ho capito come anticipare i punti che troverai interessanti. O almeno credo.»

«Stanno così le cose?», chiese Sherlock vagamente scettico.

Molly accennò un sorriso divertito e tamburellò velocemente le dita sul tavolo. «Niente, niente, niente», recitò al ritmo delle dita, per poi fermarle di colpo. «Ah

Sherlock si guardò la mano. Sapeva di fare quel gesto - e di farlo esattamente come Molly aveva appena dimostrato - ma non aveva mai pensato che qualcuno gli potesse prestare tanta attenzione da accorgersene. Si schiarì la voce, non tanto imbarazzato quanto piuttosto a disagio. «Dato che li hai letti, vorresti allora illuminarmi sul contenuto delle informazioni?»

«Non che ci sia tanto altro da dire», replicò Molly prendendo un altro pezzo di pesce. «Alice ha ventotto anni e la madre è morta quando ne aveva sedici. Sappiamo che Rucastle non ha mentito, almeno non sulla morte della prima moglie, sulla sua salute mentale e sul collasso nervoso della figlia. Però, riguardo a quello ci sono un paio di cose strane. Apparentemente quando Alice è stata ricoverata, delirava qualcosa riguardo a dei soldi - il referto medico non va oltre a questo - ed appena è stato possibile, il padre l’ha riportata a casa, contro l’opinione dei medici. Non è strano? Si preoccupa tanto per la figlia, ma allo stesso tempo la allontana dai professionisti che potrebbero aiutarla.»

Sherlock non commentò. Un’idea si stava lentamente formando nella sua testa. Scrisse velocemente un messaggio sul cellulare, quindi si alzò dal tavolo. «Devo andare. Credo… ci siamo quasi, Molly.»

Lei lo guardò incuriosita. «Davvero?»

«Davvero», replicò lui passandole accanto e lasciando l’appartamento senza una parola di più. 

 

Molly rimase ferma al tavolo - totalmente immobile - per qualche istante. Sorpresa. Incerta. Domandandosi se fosse successo davvero o se era stata solo la sua immaginazione. Forse aveva sentito male. Forse era stato solo il passaggio veloce di Sherlock, un movimento d’aria. 

Ma avrebbe giurato che lui le aveva sfiorato la testa con una mano, quando le era passato accanto. 

Si scosse e rise appena di se stessa. Non era possibile. No, davvero.

 

*

 

Violet non aveva mai avuto paura del buio o di quello che vi si poteva nascondere dentro. Ma il giorno in cui rimise piede nel corridoio del terzo piano dei Faggi Rossi, non poté fare a meno di rabbrividire in attesa di quello che immaginava l’aspettasse lì, oltre la soglia.

 

La porta chiusa, la sbarra di metallo, il lucchetto. C’era qualcosa di così sbagliato, di così orrorifico in quell’immagine. Violet alzò la mano lentamente, esitando prima di bussare piano. Non ci fu nessuna risposta immediata. Aspettò un attimo prima di bussare di nuovo. 

«C’è qualcuno?», domandò poi con voce incerta.

Il silenzio si allungò per qualche istante, prima di venire interrotto da un fruscio dall’altra parte della porta. Poi qualcosa o qualcuno si appoggiò al battente interno e una voce sottile, troppo debole disse qualcosa. 

«Come? Mi dispiace, non ho capito. Chi sei?», disse Violet cercando di far tacere il rumore dei battiti del suo cuore, che sembrava riempirle le orecchie.

La voce tornò a parlare, una nota appena più sicura nel tono. 

E quando Violet sentì la risposta, si portò una mano alla bocca. 

Perché era quello che si era aspettata di sentirsi dire, ma non per quello le faceva meno paura.

 

«Alice», aveva detto la voce. «Sono Alice.»

 

*

 

Wiggins aveva dovuto aspettare due giorni prima di poter dare una risposta al messaggio che Sherlock gli aveva mandato. Ma appena era stato possibile, aveva digitato velocemente due parole - “psichiatra” e “avvocato” - e due indirizzi, e aveva inviato il tutto.

E quando Sherlock aveva ricevuto il messaggio, non aveva sprecato attimi preziosi scrivendo a Lestrade. Lo aveva chiamato immediatamente e gli aveva spiegato la situazione. Non aveva però dovuto dirgli cosa fare. Era ovvio anche per Greg, a quel punto.

 

 

 

 

«Questa non può diventare un’abitudine», disse Molly lasciando entrare Sherlock per l’ennesima volta nel suo appartamento quasi nel mezzo della notte. 

Sherlock si sfilò il cappotto e lo abbandonò su di una sedia, prima di andarsi ad accomodare sul divano di Molly. «Abbiamo chiuso il caso», annunciò quasi con stanchezza.

Molly lo raggiunse e aspettò che lui riprendesse a parlare.

«Questo pomeriggio Rucastle ha lasciato la casa per qualche ora. Violet ha avuto modo di appurare che, come sospettavamo, Alice Rucastle era a tutti gli effetti richiusa in una delle camere del terzo piano. Non ha potuto liberare la ragazza perché l’unico in possesso della chiave del lucchetto era Rucastle stesso, quindi è rimasta seduta davanti alla camera finché non siamo arrivati Lestrade, John ed io. Voleva fare compagnia ad Alice, ha detto. Quando Rucastle è tornato, deve aver notato qualcosa di strano o forse l’ingresso del terzo piano aperto, perché si è affrettato a salire, e lì ha trovato noi ad aspettarlo.»

Molly si era portata una mano alla bocca, soffocando un’espressione scossa. «Cosa avete…?»

«Rucastle ha tentato di protestare», rispose Sherlock lentamente, «ma come fai a giustificare il fatto di aver chiuso tua figlia in una stanza per almeno due mesi? Quando, comunque, non hai prove per dimostrare che la ragazza sia davvero schizofrenica, o un pericolo per se stessa o altri. Inoltre, avevo messo Wiggins sulle tracce di Rucastle e abbiamo scoperto che si era messo in contatto con uno psichiatra e un avvocato che avrebbero dovuto aiutarlo con le pratiche per renderlo tutore legale della figlia.»

«Ma perché?», aveva chiesto Molly in un sussurro.

«Soldi», aveva risposto Sherlock con un tono freddo, quasi disgustato. «Con la tutela della figlia, sarebbe arrivata anche la tutela del suo patrimonio. La prima moglie di Rucastle era estremamente ricca, ma dato che aveva iniziato a nutrire sospetti nei confronti del marito, si era assicurata che in caso di decesso tutta la sua fortuna andasse alla figlia e non a lui. Almeno questo è quello che la moglie attuale ha detto quando l’hanno interrogata.»

«Lei…sapeva?», domandò Molly stupita.

Sherlock alzò le spalle. «Non tutto, ma abbastanza. Non sapeva che Alice non è davvero schizofrenica, per esempio. E non sapeva che Rucastle avesse metodicamente cercato di convincere tutti che invece lo fosse. A partire da Alice stessa.»

«E come?»

«Cose semplici. Faceva sparire quadri, per poi farli riapparire in altri posti. Nascondeva oggetti, le diceva che li aveva presi lei e poi glieli faceva trovare in camera. Le comprava un vestito di un colore e poi lo sostituiva con un altro identico, ma di un colore diverso. Faceva-»

Molly alzò una mano nauseata. «Credo che basti così.»

«E durante tutto questo, Thomas Fowler non si è arreso. Ha detto che ha sempre pensato che c’era qualcosa di strano nel padre di Alice. Non era mai stato contento del fatto che la figlia uscisse con Thomas e non aveva preso bene la notizia del matrimonio.»

«Perché», chiese Molly, «se la figlia si sposava e lasciava la casa, allora la sua fortuna se ne andava con lei?»

«Esattamente», replicò Sherlock con l’ombra di un sorriso. «Anche dopo che è stato allontanato, anche dopo che gli dissero che Alice aveva cambiato idea su di lui e sul matrimonio, Thomas non ha voluto arrendersi. Passava dai Faggi Rossi ogni volta che ne aveva opportunità, ma dato che gli era vietato l’ingresso, si fermava al cancello della villa sperando di avere un’occasione di vedere o parlare con Alice.»

«E lei ora come sta?»

«Difficile dirlo», rispose cautamente Sherlock. «John l’ha visitata immediatamente, appena abbiamo aperto la stanza. Non presentava segni di malnutrizione o maltrattamento fisico. Ma gli abusi psicologici hanno lasciato tracce profonde, come potrai immaginare.»

Molly accennò un sì, raccogliendo le gambe e chiudendo le mani attorno alle caviglie. Il viso, appoggiato sulle ginocchia, era una sfumatura di tristezza e incredulità. E paura e orrore, in qualche misura.

 

Sherlock avrebbe potuto analizzare tutto, ma non si permise di farlo. Non c’era nulla nelle sue parole o nelle sue deduzioni che avrebbe aiutato quell’insieme di cose fragili che era Molly Hooper in quel momento. Aveva bisogno di conforto, lo capiva persino lui, ma Sherlock non era sicuro di sapere come darlo. I toni di voce, le carezze sulle mani, gli sguardi compassionevoli erano elementi che aveva studiato e sapeva ricreare. Ma non erano mai reali e Molly non si meritava qualcosa di falso. Esitò un istante, prima di muoversi lungo il divano. Si avvicinò a lei silenziosamente, fino a sfiorarla - gamba, braccio, spalla - e aspettò.

E quando Molly appoggiò la testa sulla sua spalla, Sherlock si trovò a pensare che a volte, anche senza parole o spiegazioni, bastava semplicemente esserci per qualcuno. E forse quello era il tipo di consolazione di cui lei aveva esattamente bisogno in quel momento.

 

*

 

La storia aveva coperto le prime pagine dei giornali per due settimane. I notiziari televisivi ne avevano parlato anche più a lungo. 

Lestrade si era preso il merito - Sherlock aveva insistito, dicendo di non aver fatto abbastanza, né abbastanza velocemente - e pur cercando di proteggere certi dettagli del caso, molti dei particolari erano trapelati comunque. 

 

Quello che non aveva mai raggiunto i media era stato il ruolo di Violet in quella storia. Il fatto che Rucastle l’avesse assunta perché assomigliava alla figlia e volesse usare quel particolare per allontanare Thomas Fowler una volta per tutte. 

«L’ultima volta che Thomas aveva visto Alice, lei si era tagliata i capelli», stava spiegando Sherlock a Lestrade, nel suo ufficio di Scotland Yard.

«Per questo», s’intromise Violet, «Rucastle aveva espressamente richiesto che anch’io mi tagliassi i capelli. E il vestito blu era di sua figlia. Ha sempre insistito che lo indossassi e mi mettessi vicino alla finestra ogni volta che Thomas era nei pressi della villa. Poi mi faceva ridere, solo per dare l’impressione che io - che Alice stesse bene. Per far credere a Thomas che non c’era nulla di strano e che Alice avesse davvero solo cambiato idea su di lui e sul matrimonio.»

Lestrade scosse la testa con un’aria disgustata. «E’ tutto così assurdo. E solo per dei soldi.»

Chiuse il fascicolo del caso con aria rassegnata e si alzò, accompagnando Violet e Sherlock all’uscita. 

 

Camminando accanto a lui, Violet notò come Sherlock sembrasse come sempre imperturbabile e imperturbato. Lei invece si sentiva nauseata e con un grosso peso sullo stomaco. Certo, erano riusciti a salvare Alice, ma a quale prezzo comunque per la ragazza. 

«Hai fatto bene», le disse Sherlock dal nulla. Lui era diretto verso un taxi, ma Violet aveva bisogno di camminare. Aveva bisogno che il freddo di quella giornata le congelasse il cervello.

«Ti direi di considerare una carriera in Scotland Yard, se non fosse che l’istituzione francamente è ridicola.»

Violet ridacchiò, nonostante tutto. «Il detective Lestrade non è poi tanto male.»

Sherlock alzò un sopracciglio. «Sei troppo giovane per lui. E dovresti saperlo, gliel’ho fatto notare più di una volta.»

Violet gli diede una spinta, piano e senza reale intenzione. «Non intendevo in quel senso. E’ bravo nel suo lavoro, sembra che sappia quello che fa.»

«Ogni tanto», concesse Sherlock.

«E comunque», continuò Violet alzando lo sguardo sulle nuvole grigie che coprivano il cielo di Londra, «non credo di essere tagliata per questo genere di cose. Ho fatto applicazione per un posto in una scuola privata dalle parti di Kensington. Qualche tempo fa, quando è diventato chiaro che la mia posizione ai Faggi Rossi non sarebbe durata tanto. Mi hanno presa. Non mi danno diecimila sterline l’anno, ma l’ambiente lavorativo è decisamente più normale.»

Sherlock sorrise e si avvicinò ad un taxi. Si voltò, la mano sulla maniglia della portiera, e le fece un cenno di saluto. «In bocca al lupo, Miss Hunter.»

Violet sorrise di rimando. «In bocca a lupo a lei, Mr Holmes. Non con la sua occupazione, ovviamente. Ma con la sua patologa.»

Sherlock le rivolse uno sguardo appena esasperato, prima di aprire la portiera e sedersi dentro il taxi. «Come ho già precisato, Molly Hooper non è la mia patologa. Non è la “mia” niente, ad essere precisi. John dice un sacco di idiozie. Sembra che ci si diverta.»

Lei rise e poi, un attimo prima che Sherlock chiudesse la portiera e dicesse al taxi di partire, Violet lo fermò. Si tolse velocemente dal collo la catenina con la medaglietta di San Patrizio e la passò a Sherlock.

Lui la guardò perplesso. «Non credo a questo genere di cose.»

Violet sorrise. «Non può far male, no? Io non ne ho più bisogno. Credo di non averne mai davvero avuto, a dire il vero. E ho come l’impressione che potrebbe essere più utile a lei che a me.»

Chiuse poi la portiera per Sherlock e fece un cenno di saluto. Guardò per qualche istante il taxi allontanarsi nel traffico della città e, divertita, si domandò se Sherlock Holmes sarebbe mai riuscito a dedurre per quale ragione lei avesse deciso di dargli la collana.

 

*

 

«San Patrizio», constatò Molly guardando la medaglietta sotto la luce di una delle lampade del laboratorio del Barts. 

Sherlock era arrivato senza essere atteso, ma con richieste, informazioni e - piuttosto stranamente - con un santo. 

Senza una parola aveva appoggiato la collana nella postazione dove sedeva Molly e lei l’aveva presa con una certa curiosità.

«Fa parte di un caso?», chiese guardando Sherlock.

«Più o meno», rispose lui. «Effetti collaterali di un caso, se vogliamo metterla così.»

«E’ carina», disse lei indicando la medaglietta.

Sherlock non sembrava interessato. «Puoi tenerla, se vuoi. Come sai, quello non è il mio settore. Non so nemmeno cosa dovrebbe fare.»

«San Patrizio», recitò Molly con prontezza, «patrono dell’Irlanda, di New York, Boston e degli ingegneri. Protegge dai serpenti.»

Sherlock la guardò sorpreso e Molly alzò appena le spalle. «Scuola cattolica.»

«Comunque sia, non ho idea perché Violet Hunter abbia insistito tanto perché l’avessi.»

Molly gli lanciò un’occhiata divertita, ma non disse nulla.

Sherlock si girò verso il computer del laboratorio ignorandola. «Ha detto che potrebbe essere più utile a me che a lei.»

Fu con perplessità che accolse, poco dopo, la risata di Molly. «Qualcosa che vorresti condividere con la classe, Molly Hooper?»

«San Patrizio», rispose lei cercando di non ridere troppo. 

«Sì. Pensavo avessimo già appurato questo dettaglio.»

Molly gli passò la collanina. «Sai come dicono. Patrono dei ladri e dei bugiardi. Ma non dirlo ad un irlandese.»

Scoppiò di nuovo a ridere, prima di tornare a dedicarsi alle analisi su cui stava lavorando prima dell’arrivo di Sherlock.

Lui la guardò appena confuso. «Non capisco. Perché il patrono dei ladri e dei bugiardi dovrebbe essermi util-»

Si bloccò, ripensando a quello che aveva detto a Violet.

 

«Molly Hooper non è la mia patologa. Non è la “mia” niente, ad essere precisi.»

 

«Tutto bene?»

La voce di Molly lo riportò alla realtà. Sherlock la guardò per qualche istante, prima di voltarsi verso il computer. «Tutto bene.»

«Allora cosa le avresti detto?»

«Come?»

«A Violet Hunter», precisò Molly. «So che non sei un ladro. Quindi temo che ti consideri un bugiardo.»

Sherlock esitò prima di rispondere. «Niente di particolare.»

Molly lo osservò per un attimo, appena perplessa, prima di tornare al suo lavoro. 

E Sherlock, da parte sua, tenne per sé quello che aveva pensato. Ovvero, che dove Violet Hunter si sbagliava (Molly Hooper non era la sua patologa - del resto non potevi avere una patologa), forse non era del tutto in errore sull’altra parte. 

Perché forse Molly era la “sua” qualche cosa, dopo tutto.

Non sapeva ancora cosa, però.

E per sicurezza prese la medaglietta di San Patrizio e la lasciò scivolare nella tasca della sua giacca.

 

Fin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RISULTATO

 

Grazie mille a tutti per i bellissimi pensieri e riflessioni che avete condiviso con me. Vorrei avere un regalo per ciascuno di voi! 

Ma per questa volta, con i poteri a me conferiti da un iPad e un'app per estrarre a caso (perché era davvero impossibile per me scegliere solo uno di voi), la vincitrice di questo piccolo gioco è:

 

 

Congratulazioni!

Sperando che non le dispiaccia, pubblico le bellissime osservazioni che ha scritto:


"Ho scelto John per svariati motivi e so che forse sto andando fuori tema, ma prima mi sembra doveroso scrivere il motivo per cui non ho scelto altri personaggi. Quando ho visto in cosa consisteva il tuo gioco ho subito pensato a Molly, perché Molly è una novità targata BBC e in qualche modo già questo la rende speciale. Inoltre lei è normale, così normale che viene istintivo identificarsi in lei, una timida ragazza innamorata del grande e brillante detective che però non la ricambia. Però Molly ha troppo poco spazio nel telefilm per essere veramente apprezzata, forse è per questo che adoro scrivere e leggere storie su di lei: perché in qualche modo le nostre storie le danno ciò che la BBC non le può dare.
Sherlock sarebbe davvero una scelta troppo elementare (perdona il gioco di parole) perché è bello, intelligente, arrogante, ma anche fragile e sentimentale. È fin troppo evidente che tutti, pubblico compreso, sono innamorati di lui.
In seguito mi sono passati per la testa - in ordine - Mycroft (la caratterizzazione che gli ha dato Mark Gatiss è un capolavoro già di per sé), Moriarty (il fascino del bad guy, un cattivo che fa davvero concorrenza a Loki) e il tenero Lestrade.
Alla fine la mia scelta è ricaduta su John. Per citare lo stesso Sherlock "It's always you, John Watson" perché, davvero, John c'è e c'è sempre.
È un'ombra rassicurante che veglia su Sherlock Holmes.
John è umano, più umano di chiunque altro perché sbaglia, comprende i propri limiti, persiste, fa di tutto per essere d'aiuto.
Capisce Sherlock -non sempre, non quando fa andare il suo cervello veloce come un'elica- ma lo capisce (o almeno cerca di capirlo) quando conta veramente. Quando soffre per la perdita di Irene Adler, quando è spaventato prima del matrimonio, quando scopre la sua relazione con Janine.
John è più che umano perché perdona. Ha bisogno di tempo, di sfogarsi, di riflettere ma alla fine perdona. Perdona Sherlock, perdona Mary (in una delle scene più commuoventi del telefilm) lo fa perché vuole loro bene. Perché può sembrare terribilmente banale ma l'amore vince su tutto, anche sull'orgoglio anche sul dolore anche sulla fiducia tradita.
Ed è proprio l'amore platonico (e sottolineo platonico perché non c'è ragione -e volontà da parte mia- di credere altro) fra Sherlock e John che rende entusiasmante, struggente, divertente e appassionante questo telefilm.
Il loro rapporto è semplice e allo stesso tempo complesso. Semplice perché basta uno sguardo, una frase, un gesto perché si intendano; complesso perché ci sono segreti, cose non dette e che non c'è bisogno che siano dette.
Ho scelto John perché è un soldato e un dottore - cosa che già per sé sembra una contraddizione - e riesce a portare queste due realtà nella vita quotidiana. Ferisce e cura, combatte e si rilassa, uccide e salva vite.
Ho scelto lui perché senza John Watson non ci sarebbe nessun Sherlock Holmes, non lo Sherlock Holmes che noi tutti amiamo e conosciamo."



E di nuovo, ancora mille grazie a tutti!

  
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