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Autore: tikei_chan    21/06/2008    6 recensioni
E se Edward e Bella si fossero incontrati quando Edward aveva deciso di non seguire più la linea di pensiero di Carlisle (cioè quando lui si era trasferito e si cibava di criminali) in un pub di Edimburgo? Avrebbe ceduto alla tentazione o si sarebbe comunque innamorato?
Fic partecipante al contest Cullen family in love indetto da HopeToSave e sophie_95
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! Questa è la ff che ho presentato al concorso Cullen family in love, indetto da HopeToSave e sophie_95; si è classificata quarta. Su quattro ^^’.  Volevo fare i complimenti alle altre partecipanti e ringraziare le giudicesse per la professionalità e la disponibilità.
Dedico la fic a Elena (Uchihagirl) che ci ha creduto anche più di me XD, e che mi ha sostenuta.
Ditemi cosa ne pensate, un bacio.
Tiki

 

 

 
Camminavo lungo le stradine sudice nell’imbrunire della sera.
La brezza fresca mi accarezzava il viso; proprio ciò di cui avevo bisogno in quel momento.
Ero uscito per schiarirmi le idee.
Quel giorno avevo pensato a lungo a Carlisle.
Ormai erano anni che non lo vedevo, e dovevo ammettere che un po’ la sua figura paterna mi mancava.
Ripensavo al momento in cui gli avevo comunicato che volevo andarmene.
Per quanto mi riguardava non era stato affatto un distacco sereno, mentre lui era stato come sempre calmo e ragionevole. Che rabbia mi faceva.
Nella sua serenità era sempre così…inumano.
Un aggettivo come quello riferito a lui era particolarmente appropriato, più di quanto lo fosse per me. Si adattava splendidamente all’immagine che ne avevo conservato.
Dopo tanto tempo, ora mi sentivo cambiato. Non ero più lo stesso che aveva lasciato la sua casa, rinnegando lo stile di vita che aveva deciso di perseguire.
Tutte quelle notti passate a caccia mi avevano stancato, ovviamente non in senso fisico.
Sì, è vero, aggredivo solo i criminali. Ma chi ero io per decidere che loro non avessero più diritto di vivere, o che ne avessero meno degli altri? Era inutile che cercassi di convincermi, non era giustizia quella.
Sospirai sonoramente e alzai lo sguardo dai miei piedi.
Ero in una via malfamata. Su entrambi i lati della strada si affacciavano delle taverne piene di ubriaconi.
In quei tempi mi trovavo a Edimburgo, mentre Carlisle era rimasto a Londra.
Mi aveva detto che non si sarebbe mosso da lì, così se fossi voluto tornare l’avrei trovato subito.
Sogghignai; quanta fiducia aveva in me!
Fiducia mal riposta? Chissà. D’altronde la vita solitaria cominciava ad annoiarmi.
Certo, il sapore del sangue umano era infinitamente più gustoso rispetto a quello degli animali, ma…cominciavo un po’ a capire perché avesse sentito il bisogno di crearsi un compagno.
Quasi quasi…così su due piedi decisi di tornare da lui.
Immerso nei miei pensieri, ero arrivato in una strada più trafficata, uno dei bracci principali della città.
Qua c’era molta più vita, s’incontravano tanti gruppi di giovani che stavano in giro a festeggiare fino a tarda ora.
Si era fatto buio. Ora le persone erano illuminate solo dalle lanterne, immerse in un continuo via vai lungo la strada.
Ormai non notavo neanche più gli sguardi ammirati e riverenti delle ragazze.
All’inizio della mia avventura solitaria, quando mi guardavano con certi occhi, quasi cedevo, tentato di infrangere la regola che mi ero imposto riguardo alla cernita delle mie vittime.
Non badavo nemmeno ai loro pensieri che mi affollavano la mente. Avevo trovato il modo di farli confondere tutti gl'uni con gli altri, come un brusio di voci in sottofondo.
Un gruppo di ragazze mi passò affianco, e mentre ci incrociavamo tra loro cadde il silenzio.
Strano l’effetto che gli facevo. Erano indubbiamente attratte da me, ma al tempo stesso erano respinte dalla mia diversità innaturale, senza che loro se ne rendessero conto.
Più in là c’era una ragazza da sola, la scorsi con la coda dell’occhio.
Indifferente, impassibile e disinteressato come sempre le passai accanto senza prestarle la minima attenzione.
Poi accadde l’impossibile.
Il suo odore mi colpì così intensamente e violentemente che rimasi stordito.
Mi bloccai impalato in mezzo alla strada, di fronte a lei. Meno male, aggiungerei, perché il primo istinto era stato quello di saltarle addosso e cominciare a dilaniare il suo corpo.
Sentii la sete bruciare nella gola, quasi fosse veramente divampato un incendio dentro di me, e il veleno amaro inondarmi la bocca. Eppure avevo già cenato.
Dovevo averla. Il suo profumo era incredibilmente dolce, indescrivibile direi.
Avrei fatto di tutto pur di poter assaggiare il suo sangue.
Provai a captare quello che stava pensando, gesto naturalissimo, ma successe qualcosa che mi sconvolse quasi quanto il suo profumo…non riuscivo a sentire niente!
Riprovai. Com’era possibile che il mio dono speciale non funzionasse su di lei?
A questo punto volevo assolutamente vederla. Mi costrinsi ad assumere un’espressione vagamente umana e poi mi voltai verso di lei.
Era seduta ad un tavolino, tutta sola.
Era bella, almeno così mi pareva di capire; il suo volto era per metà illuminato da una lanterna, l’altra metà nascosta nell’ombra.
La sua pelle era candida e diafana quasi quanto la mia. Sulle sue spalle i capelli castani ricadevano in morbide onde, solleticandole la base del collo. Indossava una candida camicetta bianca e una gonna marrone ampia e lunga fino a metà polpaccio; aveva le gambe accavallate e con i piedi fasciati nelle eleganti decolté marroni picchiettava distrattamente la sedia, appoggiandosi con entrambe le braccia al ripiano in legno.
Non si era accorta di me.
Vicino a lei la porta della casa si chiuse e il suo odore mi travolse nuovamente.
Fui ripreso nella morsa della fame. Perché profumava così dannatamente di buono?
L’istinto di dissetarmi con il suo sangue era praticamente incontrastabile, ma non so perché, decisi di aspettare prima di compiere il terribile atto che mi avrebbe reso del tutto simile agli altri vampiri, proprio come se non avessi imparato nulla da Carlisle. Dovevo resistere.
Quando la porta si aprì fu completamente illuminata da un intenso fascio di luce, e per un istante riuscii a scorgerla per intero; era chinata su qualcosa. Ma cosa?
Ah. Un libro. Quella figura mi sembrava completamente fuori dal mondo.
La osservai per un po’, riflettendo su quale sarebbe stata la mia prossima mossa.
Volevo fare la sua conoscenza. Mi interessava in tutti i sensi del termine. Quando ci avrò scambiato qualche parola e sarò soddisfatto, nulla mi impedirà di bere il suo sangue. Questo era il piano.
Mossi qualche passo verso di lei, con il più bel sorriso che mi riuscisse. Non stavo respirando, non potevo permettermi di aggredirla di fronte a tutta quella gente.
Pronto per la messa in scena, cercai di tirar fuori tutto il fascino che sapevo di possedere, e di farlo risaltare in ogni mio gesto. Mi chinai su di lei e le posi una domanda con voce vellutata e seducente.
“Che ci fai qui tutta sola? È pericoloso per una fanciulla come te stare fuori a quest’ora di notte”.
Alzò gli occhi da quello che stava leggendo per guardare lo strano sconosciuto che le aveva rivolto la parola, incuriosita e probabilmente anche un po’ spaventata.
Quando vide l’aspetto dello sconosciuto rimase inizialmente sorpresa e incantata.
A quel punto le sue gote si colorarono di un delizioso color porpora.
Maledizione, mi ero incantato a guardarla e avevo ricominciato e respirare senza accorgermene; si stava rivelando un’impresa più ardua di quanto pensassi, parlare con lei.
Fui scosso da dei tremiti, serrai la mascella e strinsi forte i pugni sulle cosce; lei parve non accorgersi delle mie reazioni vagamente inconsulte.
Stava decidendo se rivolgermi la parola.
“Tranquilla, io non sono un malintenzionato”la rassicurai.
“Allora quale sarebbe il motivo per il quale hai deciso di parlarmi?”.
“Questa è una domanda molto sensata” presi tempo.
Era molto difficile rispondere. Mi fissava, e dissi la prima cosa che mi veniva in mente.
“Volevo solo accertarmi che tu sapessi che è un rischio stare qua fuori da sola, mi stavo preoccupando per te, ecco tutto”. Parlare con lei mi stava facendo innervosire, e ora che mi ero avvicinato ed ero circondato dal suo odore non ero più tanto sicuro di me stesso.
La mia mente già vagava da qualche altra parte, in un vicolo buio e deserto, noi due soli, nessuno che potesse sentire le sue urla…
La sua risata mi riportò alla realtà.
“Ah, e così tu saresti una specie di cavaliere dalla brillante armatura pronto a trarre in salvo le fanciulle indifese?”.
Rimasi a fissarla un po’ inebetito, prima di ricompormi dopo un istante e sorriderle.
“Beh, se vuoi puoi vederla così. Come ti chiami?”.
Di nuovo, le si imporporarono le guance. Attese ancora prima di rispondere.
“Isabella, ma chiamami Bella. Tu?”.
“Io sono Edward, piacere di fare la tua conoscenza Bella”.
Per la prima volta mi sorrise. Un sorriso così dolce e magnifico non l’avevo mai visto prima.
“Posso offrirti qualcosa?” domandai ammiccante, continuando così la messa in scena.
Mi guardò un po’ perplessa.
“Cosa mi vorresti offrire?”.
“Qua di fronte c’è un bar aperto. Magari hai sete”. Che modo squallido per approfondire la sua conoscenza, ma al momento non mi veniva in mente niente di meglio.
Dopo una breve esitazione pose il libro sul tavolo e si alzò.
“D’accordo accetto, però per favore, non nel bar che hai indicato tu. Andiamo piuttosto in quello là di fianco”, me ne segnalò un altro poco più distante.
Acconsentii a quella sua insolita richiesta senza porre domande.
Ci dirigemmo insieme al bar e sedemmo ad un tavolo vicino alla finestra. Ordinai per entrambi una birra.
“Quanti anni hai?”.
“17. E tu?”
“Anche io”decisi di fingere di avere la sua stessa età.
Chiacchierammo del più e del meno per un po’, conoscendoci meglio, e per tutto quel tempo non pensai più al mio piano.
“Si è fatto tardi; mi dispiace, ma ora dovrei proprio andare a casa”.
Con questa frase mi colse in contropiede.
Lei era una studentessa e si era trasferita lì da poco, prima abitava a Dublino. Avevamo parlato per quasi due ore sedute al tavolo di quel bar; ogni tanto arrossiva e quasi mi faceva perdere la testa.
Sentivo il richiamo della sete forte come non mai e in più di un’occasione mi ero aggrappato al tavolo con tutte le mie forze, mentre cercavo disperatamente una distrazione, pur di non sfiorarla nemmeno.
Ora però era arrivato il momento per il quale avevo organizzato tutto. Quando l’avevo invitata avevo già programmato ogni singola azione; come l’avrei convinta senza sforzo a seguirmi in un vicolo isolato, il modo in cui avrei fatto sparire le prove. Tutto era già stato deciso, ma nonostante il suo sangue mi attirasse a sé come una calamita non riuscivo…anzi non volevo farle del male.
Le ragioni potevano essere molteplici; magari era perché non volevo uccidere un’innocente, magari perché avevo deciso quel pomeriggio di tornare da Carlisle, ma soprattutto ero attirato da quella ragazza speciale per qualche altro motivo che non fosse il suo dolcissimo profumo.
Mi stava guardando in attesa che dicessi qualcosa.
Io non dissi niente.
Confuso come non mai dal suo profumo e dal suo sguardo mi allontanai in silenzio dal tavolo e uscii nel freddo della notte.
Ero turbato. Ma cosa mi era saltato in mente? Che stupido ero stato ad andarmene via così, chissà ora cosa avrebbe pensato di me?
A quel pensiero sorrisi e alzai gli occhi al cielo.
M’importava persino ciò che pensava di me. Assurdo.
Comunque per lei la mia fuga era certamente stata un bene, quella ragazza non aveva la minima idea di quanto fosse stata vicina alla morte quella sera.
Tornato a casa mi sedetti sul divano a riflettere.
Avevo la sensazione che il suo odore fosse come una specie di droga, e ora che me ne ero allontanato già ne sentivo la mancanza; tra l’altro mi stavo anche un po’ pentendo di non aver sfruttato l’occasione che mi si era presentata quella sera. Chissà se l'avrei rivista.
Ero arrabbiato con lei; mi provocava tutti quei sentimenti così umani.
Poi il meno umano fra tutti si fece prepotentemente largo nei miei pensieri, e il desiderio del suo sangue ricominciò a torturarmi.
Incessantemente, martellava nella mia testa senza lasciarmi tregua.
L’unica cosa a cui riuscivo a pensare.
Continuò così per un po’, finché non mi costrinsi a distrarmi.
Quando mi fui calmato, per quanto fosse possibile, provai a cercare razionalmente una soluzione.
Solo di questo ero certo; volevo rivederla ancora.
Ma non in quelle condizioni, non volevo rischiare di perdere il controllo. Visto che ormai mi era chiaro che non sarei riuscito a farle del male volontariamente, mi rimaneva l’alternativa di provare a starle accanto cercando di dominare i miei istinti.
In un attimo mi ritrovai a correre lontano dalla città, con le piante che mi scorrevano di fianco distanti qualche centimetro, senza mai sfiorarmi.
Non ero riuscito del tutto a liberarmi dai miei pensieri, ma quella corsa folle nel cuore della notte mi mise un po’ di adrenalina in circolo e mi aiutò a distrarmi. Era una delle cose che dell’essere vampiro che mi piaceva di più: correre a tutta velocità, sentendo il vento sul viso e tra i capelli.
Era quasi l’alba quando arrivai in un luogo che mi paresse adeguato, per  cosa non so.
Era una bella radura. Un luogo estremamente pacifico; esattamente quello che stavo cercando per ritrovare “la retta via”.
Già.
Alla fine la soluzione razionale che avevo tanto cercato la sera precedente, si era presentata come un’illuminazione sotto forma della dieta vegetariana di Carlisle.
Avevo pensato che ricominciare a cibarmi di animali mi avrebbe aiutato a combattere la tentazione del sangue di Bella.
Inizialmente fu difficilissimo riabituarmi a quel sangue privo di gusto, ma avevo davvero la sensazione di stare facendo la cosa giusta. Per me, per Carlisle ed Esme e infine anche per l’esserino che aveva provocato tutto questo, e al quale ero infinitamente grato.
Dopo una settimana di sosta forzata nel bosco, decisi che era arrivato il momento di tornare da lei e cercare di farmi perdonare per il mio comportamento. Mi sentivo pronto. Naturalmente avevo badato bene di nutrirmi il più possibile per tenere sotto controllo la sete quando mi sarei ritrovato solo con lei.
Se mi sarei trovato solo con lei, mi suggerii una vocina nella testa.
Perché in effetti era più che probabile che con tutto il tempo che le avevo lasciato, lei infine avesse colto nella mia affascinante diversità un pericolo per la sua vita. Quel dettaglio che teneva tutti a debita distanza da me, e dai miei canini.
Così un pomeriggio partii e arrivai in città quella sera stessa.
Ripercorsi tutte le viuzze in cui ero stato la notte della settimana precedente, fino ad arrivare nella strada grande e trafficata che ricordavo alla perfezione.
Prima di raggiungere la casa dove speravo si trovasse, ancora fuori intenta nella lettura, decisi di fermarmi nel bar dove lei si era rifiutata di entrare.
Evidentemente la fortuna mi assisteva, perché la prima cosa che notai entrando nella bettola furono i tratti delicati e diafani che appartenevano alla persona che aveva riempito i miei pensieri senza sosta, nel corso della settimana che si era appena conclusa.
Dal vivo era molto meglio di come la ricordassi.
Stava seduta su uno sgabello, coi gomiti appoggiati al bancone e il petto premuto contro esso.
Aveva l’aria distratta; col naso all'insù osservava il soffitto.
Senza esitare andai in sua direzione e mi sedetti sullo sgabello affianco al suo.
Quel profumo mi mandava in estasi. Sentii i morsi della sete quasi incontrollabili, ma meno forti della volta precedente.
Pienamente soddisfatto dei risultati sortiti dal nuovo, per così dire, stile di vita, mi voltai a guardarla.
“Ciao. Ti ricordi di me? Sono quello che ti ha imperdonabilmente abbandonata la settimana scorsa, comportandosi da vero cafone”.
A quel punto si girò anche lei, sul viso un’espressione di incredula meraviglia.
Prima che fosse sostituita da rabbia e diffidenza, i suoi occhi brillarono di gioia; almeno per un secondo era stata felice di vedermi.
Si guardò intorno nervosa. Poi mi sibilò in risposta”Cosa vuoi?”.
Wow, che caratterino. Se l’era proprio legata al dito.
“Ti sto chiedendo scusa per il mio ignobile comportamento”.
“Va bene. Scuse accettate, ora puoi sparire” risata amara ”evidentemente è una cosa che ti riesce bene”. Avevo l’impressione che non sarebbe stato facile come speravo.
“Per favore puoi darmi un’altra possibilità, per farmi perdonare?”la fissai con tutta l’intensità che mi era possibile; nel frattempo cercavo di scolpire ogni dettaglio del suo viso nella mia memoria poiché, se il mio tentativo fosse fallito, non avrei più avuto occasioni di guardarla da questa distanza. Era un’operazione particolarmente complicata, dal momento che stavo impiegando quasi tutto il mio cervello per mantenere la concentrazione.
Per lunghi istanti rimase anche lei agganciata al mio sguardo, poi improvvisamente si riprese e, scattando con la schiena ritta, ricominciò a lanciare in giro occhiate nervose.
Stavolta seguii il suo sguardo e scoprii che era rivolto al barista.
Era un uomo di mezza età, coi capelli ricci castani che ormai avevano lasciato ampi spazi ai lati della testa. Lui ricambiava lo sguardo di Bella, ma il suo era pieno di rimprovero e disapprovazione.
Evidentemente entrambe queste emozioni erano causate dalla compagnia, visto che prima di girarsi rivolse a me uno sguardo acceso di rabbia, astio e repulsione.
“Bella, cosa vuole il barista?” chiesi senza tante buone maniere.
Lei rabbrividì. Poi abbassò lo sguardo sul tavolo, imbarazzata e intimidita.
“Quello è mio padre”accompagnò quell’affermazione con un timido sorriso rassegnato.
Ora si spiegavano molte cose, ad esempio perché aveva evitato di entrare in quel posto durante il nostro precedente incontro.
“Disapprova, eh? Ti andrebbe di uscire da qui allora?”. Ancora una volta tentai di convincerla con la sola forza del mio sguardo.
Non mi rispose subito.
“Ho paura che se mi vede andare via con te la situazione possa peggiorare”mi guardò con un’espressione eloquente, per rendere ancora più ovvi i motivi per i quali un padre non vuole far uscire la figlia con uno sconosciuto, o con un ragazzo in generale.
“Capisco. Non c’è proprio alcun modo per ottenere il permesso?”.
Mi rivolse un’occhiata scettica.”Non ne sarei certa. Comunque penso che l’unico modo per scoprirlo sia chiederlo di persona al diretto interessato”.
“Come si chiama tuo padre?”.
“Charlie. Ma cosa…”.
Feci per alzarmi, ma mi pose la mano su un braccio per trattenermi. Mi voltai.
“E se io non volessi uscire con te?”.
Le sorrisi, poi andai verso Charlie. Non mi fermò più.
Ero ancora a distanza di qualche metro da lui, quando si girò verso di me e pose le mani sui fianchi, gonfiando un po’ il petto. Sbattè lo straccio con il quale stava pulendo i tavoli e si concentrò su di me.
Anche con lui accentuai l’intensità dello sguardo, anche se non ero sicuro che potesse sortire gli stessi effetti.
“Buonasera signore. Avrà notato che mi sono seduto al tavolo con sua figlia. Vede l’ho incontrata la settimana scorsa e l’ho aiutata a tirarsi fuori dai guai con dei ragazzi malintenzionati, fino ad oggi non ci eravamo più rivisti ma ora ci siamo incontrati per caso. Sarei intenzionato a portarla fuori per una breve passeggiata serale, con il suo permesso”.
Mi squadrò a lungo dalla testa ai piedi, ma avevo la sensazione di avergli fatto un’impressione abbastanza positiva. Ascoltai i suoi pensieri. In effetti stava decidendo se fidarsi dell’impressione che gli avevo fatto oppure cacciarmi dal locale a calci nel sedere; cosa che si ripromise di fare senz’altro nel caso in cui mi fossi comportato male.
Alla fine si decise.”Deve essere a casa entro le undici. Chiaro?”. Il tono con cui l’aveva detto non ammetteva repliche, quindi acconsentii.
“Comportati bene”, feci un altro cenno col capo. Lo salutai e tornai vittorioso verso il tavolo al quale Bella aspettava impaziente.
Mi accostai allo sgabello e le porsi un braccio, sorridente. Non proprio un sorriso in realtà, ero certo che apparisse più come un ghigno, visto che avvicinandomi a lei ero stato costretto a smettere di respirare.
Capì immediatamente, e saltò su dalla sedia appoggiandosi al mio braccio per la gioia; purtroppo però la sua reazione entusiasta e un po’ goffa fece ribaltare lo sgabello sul quale stava seduta fino ad un secondo prima.
Piena di vergogna e imbarazzo, con le adorabili gote arrossate, si chinò per tirare su lo sgabello; prevedevo altri disastri, quindi fui più veloce di lei e con un solo gesto riportai la sedia al suo posto.
Mi guardò ammirata. “Grazie, anche se non ce n’era bisogno" si sbrigò ad aggiungere. "Dove andiamo?”, chiese mentre uscivamo in strada.
Ora sembrava veramente felice di uscire con me.
“Avevo intenzione di fare una passeggiata, se ti va”.
“Certo per me va benissimo” mi sorrise, poi rimase a fissarmi negli occhi per un attimo, prima di scostare lo sguardo, un po’ imbarazzata.
Imboccammo qualche stradina e in poco giungemmo a Princess Street, non molto lontana da lì, che come sempre era affollata da gente di ogni tipo. Girovagammo tra i negozi per un po', scambiandoci commenti e battute e discutendo di argomenti più o meno seri.
“Allora, come ti trovi qui a Edimburgo?”.
Fece una smorfia. “Faccio fatica a fare amicizia” ammise, guardandomi ancora con il suo sguardo limpido e sincero. Mi chiedevo se io su di lei avessi lo stesso effetto che lei aveva su di me, perché in quel momento ero combattuto fra stringerla a me oppure morderla. In ogni caso era impossibile che lei provasse la seconda tra le due.
Espressi i miei pensieri, con parziale sincerità. “Bella, tu cosa pensi di me?”.
Lei sgranò gli occhi. Poi rimase in silenzio, in cerca di una risposta.
“Non saprei. Mi ero quasi convinta che tu fossi solo frutto della mia immaginazione durante questa settimana, ma visto che ti vede anche Charlie sono costretta a ricredermi. Comunque attualmente devo ancora decidere fra l’ipotesi della visione o quella…”.
Qui si bloccò. “Ti prego, vai pure avanti” la esortai, un po’ più nervoso di quanto non fossi disposto ad ammettere.
“Bhe, l’altra ipotesi combacerebbe con quella di una specie di angelo” le si affievolì la voce, tanto che se non avessi avuto l’udito così sviluppato non l’avrei sentita affatto.
Risi, mi era quasi venuta paura che avesse intuito qualcosa!
Lei evidentemente se la prese”Ehi non puoi ridere, l’ipotesi non è così assurda in fondo”.
L’atmosfera tornò seria.
“Comunque non sei umano, di questo sono certa”sembrava molto sicura.
La guardai cupo. “Non faresti bene a fidarti di me”.
“Ma come? Prima mi inviti ad uscire per ben due volte e poi mi dici che non dovrei frequentarti?”. Disse, un po’ spaesata.
“L’hai detto anche tu, no?”.
Sembrava sempre più sconvolta.”No. io ho solo detto che non sei umano, sei un angelo, una specie di…supereroe!”.
Nonostante l’atmosfera fosse così tesa non potei fare a meno di ridere di gusto; non mi donano molto le tutine attillate. Mio malgrado dovetti comunque tornare alla realtà, e alla serietà del discorso.
“Pensaci su. Sei davvero sicura che io sia il salvatore? Quello buono che protegge la gente?”.
Continuava ad essere convinta delle sue ragioni.
“Non ricordi la settimana scorsa? Quando mi hai parlato, hai esordito dicendo che ti stavi preoccupando per me”.
Non potevo darle torto, del resto la verità che aveva detto dava da pensare anche a me.
“Hai ragione. Comunque continueremo a parlarne un’altra volta, visto che ormai si sono fatte le undici. Tu devi tornare a casa” fece una smorfia di tristezza ”Se vuoi però rifletti su quello che pensi di me”.
Annuì con la testa
 “Ciao, ripassa a trovarmi”. Mi guardò con speranza, prima di girarsi e tornare verso casa.
“Ciao” le risposi, educato. Sapevo che non sarei tornato a trovarla, nonostante i suoi occhi grandi e lucidi mi stessero suggerendo il contrario. Feci un respiro profondissimo; mi si erano intorpiditi i polmoni.
Quella delle undici era solo una scusa.
In quel momento stavo soffrendo, non mi ero mai sentito così debole nella mia vita.
Parlare con qualcuno non era mai stato tanto difficile, tanto doloroso.
La fame mi stava provocando male fisico. Anche adesso che si era allontanata sentivo la fame come una belva che mi divorava dall’interno, sentivo sul mio viso l’espressione di un animale affamato.
Non mi ricordavo praticamente nulla della conversazione che avevo appena avuto perché durante ogni singolo istante di essa stavo solo pensando a non azzannarla; solo quando avevo parlato con Charlie mi ero potuto rilassare un poco nel corso di tutta la serata.
Ringrazio il buio che non le ha permesso di vedere con chiarezza la mia espressione; almeno ha potuto conservare un bel ricordo di me.
Ero arrivato già al secondo tentativo con lei, e sapevo di non poter continuare così. Giurai a me stesso che quello sarebbe stato l’ultimo.
Per resistere ad ogni tentazione decisi di partire quella sera stessa.
Avrei raggiunto Carlisle ed Esme, a Londra, per ricominciare una vita serena con la mia famiglia.
Non avrei mai scordato la ragazza che mi aveva ricondotto da Carlisle, come il figliol prodigo.
Mantenni la promessa e quella notte feci i bagagli e me ne andai.
Era una bella sera tiepida come quella in cui l’avevo incontrata.
Bhe, dopotutto, quando avrei riacquistato il pieno controllo di me…non ci sarebbe più stato motivo di costringermi a starle lontano.
Finché non fossi tornato, ero certo che l’avrei pensata tutti i giorni.
Speravo solo che passassero in fretta.

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