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Autore: Carlos Olivera    23/02/2014    2 recensioni
Storia partecipante ai contest Le Metamorfosi di darllenwr
La visione scientifica dell'esistenza è poetica fino quasi a risultare trascendentale. Siamo incredibilmente fortunati ad avere avuto il privilegio di vivere per alcuni decenni su questa terra, prima di morire per sempre. E noi che viviamo oggi siamo ancora più fortunati, perché possiamo comprendere, apprezzare e godere l'universo come nessuna delle generazioni precedenti ha potuto fare. Abbiamo il beneficio di secoli di scoperte e progressi scientifici alle spalle. Ecco cosa dà significato alla vita. Ed il fatto che questa vita abbia un limite, e sia l'unica vita che abbiamo, ci rende ancora più determinati ad alzarci ogni mattina e cercare di partecipare al meraviglioso ciclo della natura.
L'anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva. È l'unico uccello che sostenga la sua gabbia. (Victor Hugo)
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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I

 

Jeanne provò un senso come di soggezione quando, scendendo dal taxi, si trovò a fissare dal basso verso l’alto il profilo, allo stesso tempo austero e maestoso, di quella villetta a schiera a tre piani lungo Rue Montblanc, a due passi dal centro storico di Midgral.

Quasi non riusciva a credere che una persona tanto famosa e considerata a livello internazionale vivesse in un luogo così semplice e anonimo.

Nella sua seppur ancora breve carriera di reporter aveva incontrato molti luminari e personaggi facoltosi, tutti accomunati da una mania di protagonismo a tratti quasi disgustosa, così l’idea che qualcuno come il professor Blake avesse deciso di scomparire nel nulla isolandosi in un posto simile le sembrava una cosa ai limiti dell’assurdo.

Trovarlo non era stato facile, e aveva dovuto fare appello a tutto il suo coraggio per trovare la forza di recarsi personalmente da lui, e malgrado ciò non era per nulla sicura che quell’improvvisata avrebbe portato dei frutti.

Che il professore non amasse i giornalisti era un fatto risaputo, e sicuramente se si era isolato dal mondo lo aveva fatto anche per evitare quella che aveva sempre definito una “massa di squali bugiardi”, il che non le lasciava molte speranze.

Per questo non aveva voluto telefonare, o mettersi in contatto in qualche modo per cercare di fissare un colloquio. Sapeva che sarebbe stato inutile, e contava che vedendo comparire sulla porta di casa una giovane reporter giunta fin lì dalla lontana Kyrador neppure un vecchio bisbetico come il professore avrebbe avuto cuore di cacciarla via a mani vuote.

Tratto un bel respiro, e cercando di farsi forza il più possibile, la ragazza si avviò alla porta, quindi, scacciate le ultime esitazioni suonò timidamente il campanello.

Passarono solo pochi attimi prima che dall’interno giungesse un rumore di passi, e dopo appena qualche secondo l’uscio si aprì lentamente, mettendo Jeanne faccia a faccia con una giovane donna che doveva avere pressappoco la sua stessa età, ma composta e seria come un’anziana governante.

Aveva i capelli di un rosso acceso, quasi rifulgente, era slanciata e longilinea, con un corpo ben costruito che dava un’idea di rapidità e agilità; ma c’era qualcosa di strano nei suoi occhi, come un che di innaturale: scintillavano, come quelli di una fiera, ed erano di un giallo ambrato, assai poco comune da vedere, come i capelli di Jeanne.

La giovane reporter si ritrovò leggermente spiazzata.

Credeva di dover incontrare un docente in pensione alla soglia dell’ottantina, e invece aveva davanti quella che avrebbe potuto essere tranquillamente sua nipote; il che era impossibile, visto che tutti ben conoscevano i trascorsi famigliari del professore.

«Posso aiutarla?» domandò la giovane con un filo di voce.

Jeanne ci mise un momento a riprendersi.

«Mi scusi.» disse infine «È questa la casa del professor Benjamin Blake?»

«Sì.» rispose la ragazza rossa dopo averla squadrata da capo a piedi.

Seppur ancora leggermente incredula, nonché quasi assoggettata dallo sguardo obliquo di quella strana ragazza, Jeanne si sforzò di recuperare il controllo della situazione e porse il suo biglietto da visita.

 «Mi chiamo Jeanne Blanchard. Lavoro per Frontier. Scusi per essermi presentata qui senza invito e senza avvisare. Mi domandavo se era possibile avere un colloquio con il professore».

La giovane guardò il biglietto, poi di nuovo Jeanne, fulminandola con un’occhiata che era tutta un programma.

«Il professore non riceve nessuno, mi dispiace».

Fece per richiudere la porta, ma con la forza della disperazione, e anche un pizzico di incoscienza, Jeanne la bloccò con il piede. Sapeva che con certa gente era necessario insistere, anche a costo di sembrare sfacciati, e comunque aveva fatto decisamente troppa strada per tornare indietro a mani vuote; quantomeno, voleva sentirsi dire di no dalla persona che era venuta a cercare, invece che da quella che ad ogni secondo sembrava sempre di più una specie di personale guardia del corpo.

«Aspetti, la prego.» disse quasi supplicando «Sono arrivata da molto lontano. Mi faccia almeno incontrare il professore. Se lui stesso mi dirà di no, allora prometto che me ne andrò subito».

La rossa esitò, quasi tergiversando. Sembrava che dovesse sbatterle la porta in faccia da un momento all’altro, talmente cupo era lo sguardo con cui la stava scrutando; invece, dopo parecchi istanti che parvero secoli, si scostò leggermente dall’uscio, aprendolo quel tanto che bastava per farla passare.

«Entrate».

Jeanne si sentì rinascere, non riuscendo a trattenere un sorriso colmo di gioia.

Era già un bel traguardo. Mentre varcava la soglia, e malgrado la ragazza cercasse quasi di nasconderlo, Jeanne fece in tempo a scorgere uno strano segno alla base del suo collo, come una specie di bruciatura a forma di croce, nascosta nel fitto dei capelli.

E allora capì; del resto, visto il luogo in cui si trovava, avrebbe dovuto aspettarselo.

All’interno l’abitazione era semplice, spartana, e dominavano le ombre. Tutte le finestre erano chiuse, malgrado fossero in piena estate, e le tende tirate in modo da lasciar passare appena un filo di luce.

Tramite uno stretto corridoio, la ragazza condusse Jeanne nel salottino a sinistra della scalinata che immetteva ai piani superiori, rivolgendosi alla figura seduta al tavolo di fronte al caminetto che dava loro le spalle.

«Padrone.» disse rispettosamente «Avete un ospite».

Fu allora, quando si volse nella sua direzione, che Jeanne poté finalmente vedere in faccia il professor Blake; il volto, scuro e rugoso, era avvolto in una fitta barba bianca come la neve, lasciata incolta a e ricadente sul mento a formare un pizzo pronunciato; barba e rughe nascondevano anche gli occhi, azzurri come il ghiaccio, e parte della bocca, piegata un’espressione crucciata.

Il professore ruotò ancora un po’ la propria sedia a rotelle, in modo da poter guardare meglio l’intruso giunto a disturbare la sua solitudine.

Un solo sguardo fu sufficiente a mettere Jeanne nella più completa soggezione.

«Chi sei?».

Vinta la timidezza, anche se non del tutto, la giovane fece un leggero inchino e si presentò, ma al professore bastò sentire la parola giornalista per assumere un fare ancora più minaccioso.

«Non sono qui per farle domande imbarazzanti o riguardanti la sua vita privata. So quanto ci tiene.» si affrettò a dire Jeanne come estremo tentativo «Volevo solo parlare un po’ con lei».

Di nuovo il professore la dissezionò come una cavia da laboratorio.

«Kaia.» disse infine «Prepara del caffè per la nostra ospite.»

«Sì, padrone.» rispose rispettosamente la rossa avviandosi subito dopo verso la cucina.

Jeanne restò di stucco. Quasi non credeva di avercela fatta.

«Brutta razza i giornalisti.» osservò spietato il professore «Ma lei è troppo giovane per essere già bugiarda come i suoi colleghi».

Jeanne non sapeva se considerarlo un complimento o una provocazione, e dovette attendere il secondo richiamo per ritrovare la ragione accomodandosi a sua volta al tavolino.

Non ricordava di aver tremato così tanto guardando qualcuno negl’occhi da quando da bambina veniva mandata dal preside per questa o quella marachella.

Era talmente nervosa che non le riuscì di aprire bocca per i successivi tre minuti, durante i quali lei e il professore non fecero altro che guardarsi reciprocamente negl’occhi; dei due, però, solo Blake sembrava quello in grado di leggere nella mente di chi gli stava di fronte, mentre all’opposto per Jeanne quell’uomo era e restava un mistero.

Solo quando Kaia tornò nel salotto, rompendo con il tintinnare delle tazze e l’aroma caldo del caffè il silenzio calato tutt’intorno, la giovane finalmente si riscosse, anche se attese di essere nuovamente sola con l’oggetto del suo desiderio per decidersi finalmente ad iniziare la sua intervista

«Niente registratori.» la intercettò il professore nel momento in cui fece per poggiare il proprio comunicatore sul tavolo «Se vuole parlare con me, lo faccia guardandomi negl’occhi».

Jeanne si rimise al desiderio e confidò nella potenza della propria memoria, dal momento che non aveva niente con cui scrivere e non voleva abbassarsi a chiedere carta e penna passando per sprovveduta.

Si sedette meglio sulla poltroncina, cercando di non accavallare le gambe come era solita fare in momenti di nervosismo; trasse un respiro, lasciando che il profumo del caffè scivolasse dalla tazzina fin nel profondo del suo ventre; quindi, finalmente, parlò.

«Lei, come tante altre persone nei più svariati ambiti, ha rivoluzionato in un certo senso il proprio campo di lavoro. Mi sono sempre domandata cosa spinga uomini come lei a fare ciò che fanno. Quale sia il motore che li muove.

È la passione? La curiosità? Che cos’è che porta una persona a tramutare un pensiero, un sogno, in realtà?».

Il professore si passò una mano sulla fronte rugosa.

«Ormai è da parecchio tempo che non ho più sogni di alcun genere.»

«Però, ricordo che lei ha detto spesso di averne avuto uno, fin da bambino. Forse è stato quel sogno che l’ha motivata?»

«Un sogno non ha alcun valore, se non si ha la forza e la perseveranza per farlo avverare. Non è Dio che fa avverare i sogni. Siamo noi.»

«E allora, che cosa le ha dato la forza per riuscirci? La sua era una famiglia umile, se non sbaglio. Come ha fatto, con i pochi mezzi di cui disponeva, a tramutare un sogno infantile in realtà?».

Di nuovo Blake fece quel gesto, un gesto che Jeanne gli avrebbe visto rifare molte volte nell’arco delle successive due ore.

«Avevo appena tredici anni quando persi mia madre.

Che la si chiami morte o divorzio, crescere senza entrambi i genitori può essere un’esperienza orribile per un bambino.

Mio padre, per carità, era una brava persona. Un buon lavoratore. Eravamo in tre, ma non ci faceva mai mancare niente.

Ma la sensazione di vuoto che provai dal giorno in cui rimanemmo da soli, quella non l’ho mai dimenticata.

Del resto, anche se per altri motivi, quella è una data che tutti ricordano».

 

In casa Blake Benjamin e i suoi due fratelli maggiori, Logan ed Airin, erano in lutto.

Alla fine la loro mamma aveva perso la sua battaglia con la malattia, proprio quando i medici avevano iniziare un cauto ottimismo sul suo miglioramento.

I funerali si erano svolti da pochi giorni, ma in realtà quasi nessuno, neppure i loro amici, si era minimamente accorto di quanto era accaduto.

Altri erano i problemi che affliggevano non loro la loro città, ma il mondo intero, in quei mesi così complessi e convulsi.

Nei telegiornali non parlavano d’altro, e vi era il sentore diffuso che le cose potessero anche peggiorare.

Da una parte, la grande maggioranza della popolazione, spaventata dalla piega inaspettata, e a suo modo inquietante, assunta dal Progetto Cleo, e quindi a favore di ciò che era seguito ai primi focolai di insoddisfazione; dall’altra, uno sparuto gruppo di fedelissimi, in maggior parte esimi scienziati e ricercatori coinvolti nella ricerca, che difendevano a spada tratta tanto il progetto quanto ciò che aveva partorito.

Benjamin all’inizio non aveva ben capito la ragione dietro a tutto quel trambusto, ma dopo tutti quei mesi di notizie, edizioni straordinarie, proclami e contro-proclami, come tutti un’idea se l’era fatta.

Anche quella sera al notiziario non si parlava d’altro, e Benjamin seguiva la trasmissione come ipnotizzato, gli occhi fissi sull’unico teleschermo della casa e l’espressione smarrita.

«Il governo generale si è riunito anche oggi per discutere la linea di condotta da tenere in seguito al crescere degli incidenti in tutte le parti del mondo.

Appare ormai scontata l’abolizione in toto il Progetto Cleo e la distruzione di tutte le intelligenze Cleo fino ad ora prodotte e commercializzate.

Il problema è cercare di capire quanto ciò costerà in termini di spesa effettiva, e se alla luce di tali avvenimenti le autorità internazionali valuteranno, come sembra sempre più probabile, la possibilità di rivedere i codici normativi in materia di studi sulla robotica e sull’intelligenza artificiale».

Alla fine, pensandoci bene, erano bastate tre parole per scatenare tutto quel vespaio.

Io penso che.

Una macchina che aveva espresso un proprio parere personale.

Non che ci fosse qualcosa di strano. Cleo, la più avanzata intelligenza artificiale mai creata su Celestis, era stata pensata anche per questo; il problema era che tale pensiero era aveva generato il rifiuto di obbedire ad un ordine datole dal suo padrone.

E questa era una cosa, a detta dei più, intollerabile.

Le macchine esistevano in funzione degli esseri umani, e non dovevano neppure sognarsi di trasgredire ad un comando che veniva loro attribuito.

Da una anonima cucina di una anonima casa la notizia era rapidamente rimbalzata di bocca in bocca, e non era occorso molto tempo perché la cosa acquisisse rilevanza mondiale.

La compagnia che aveva brevettato e diffuso Cleo aveva cercato di tacitare sul nascere la cosa riducendola ad un malfunzionamento, un errore di sistema prontamente risolto, ma ormai era troppo tardi. Il solo pensiero che una macchina potesse arrivare a contestare, deliberatamente e con coscienza di causa, gli ordini dei propri padroni aveva fatto rizzare i capelli a milioni di persone, terrorizzate dal pensiero che ciò potesse diventare una pratica diffusa.

In un mondo come Celestis, dove le macchine ormai erano diventate una componente indispensabile del vivere quotidiano, occorreva avere in loro completa fiducia, o non si sarebbe andati da nessuna parte.

Era anche per questo che era stata creata Cleo, alla cui nascita tutti avevano gridato al miracolo; una macchina innovativa, capace di integrarsi in ogni sistema operativo, capace di amministrare la cura di una casa come la gestione dei sistemi di difesa di una nazione, e soprattutto portata all’apprendimento. Non era dotata di una coscienza, e la sua capacità di apprendere era soggetta alla volontà del suo padrone, ma questo non la rendeva meno efficiente, tanto che nello spazio di pochi mesi era diventata di uso comune entrando in almeno una casa su due.

Poi era accaduto il fattaccio, l’Incidente di Cleo come lo avevano definito i giornali, e quell’intelligenza artificiale si era trasformata di colpo da grande alleata dell’umanità a sua potenziale nemica.

Da parte loro i più scettici non avevano aspettato le delibere dei potenti.

Uno dopo l’altro, le centraline di Cleo installati in ogni casa erano stati distrutti, ma il problema restava il nucleo centrale di controllo nella sede nell’azienda che l’aveva brevettata, e che l’azienda stessa si rifiutava categoricamente di spegnere.

In ogni caso, ormai la questione era diventata di rilevanza mondiale, e non era un mistero che anche nelle alte sfere della politica e delle forze armate si era iniziato a guardare con diffidenza tanto ad Cleo quanto, più in generale, alla prospettiva di dare vita ad una intelligenza artificiale senziente.

Persino la MAB, la più accesa sostenitrice, nonché principale finanziatrice, del progetto stava iniziando a chiamarsi fuori, e sicuramente ormai era solo una questione di tempo prima che Cleo venisse definitivamente spenta.

In casa Blake, d’altro canto, la posizione era piuttosto in linea con la massa; dopotutto non si poteva essere definiti maestri di magia se non si guardava con scetticismo a cose come l’intelligenza artificiale, che della magia aveva solo il carburante, e se c’era qualcuno che aveva contestato Cleo già da prima che si verificasse l’incidente quelli erano proprio gli stregoni.

Benjamin aveva visto con i suoi occhi suo padre prendere a picconate la centralina di casa, anche a costo di inimicarsi il direttore della sua azienda che aveva costretto tutti i suoi dipendenti ad installarla.

«Benjamin.» lo chiamò suo fratello dalla cucina «Smettila di guardare la tv e vieni a mangiare».

Era un giorno speciale, e l’insolita abbondanza in tavola ne era la prova. Persino Milly, la grassa ed opulenta gatta rosso fuoco dei signori Bindler, sembrava essersene accorta, facendo capolino dalla finestra aperta per ottenere come al solito la sua parte di cena; quella bestiaccia aveva un talento naturale per accattivarsi le simpatie altrui, e non vi era casa nell’intero vicinato nella quale non entrasse di soppiatto di tanto in tanto per elemosinare del cibo, che le veniva prontamente offerto.

Airin era tornata dalla scuola di magia per le vacanze di primavera, portando oltretutto una pagella di tutto rispetto, e il loro padre aveva voluto fare le cose in grande per darle il bentornato dopo quasi sei mesi.

Anche Logan aveva dato molte soddisfazioni al padre di recente, ottenendo la sua prima promozione al lavoro a neanche un anno dall’assunzione, inoltre aveva trovato una brava ragazza della quale il genitore era molto fiero.

Di solito era Benjamin, dal profondo della sua curiosità, a far virare sempre l’argomento sulla questione Cleo, ma in quell’occasione non dovette neanche prendersi il disturbo di farlo; suo padre era tornato a casa felice come una pasqua, e da parte sua non vedeva l’ora di condividerne la ragione con gli amati figli.

«Il direttore ha finalmente deciso di disattivare Cleo in azienda.»

«Non l’avrei mai creduto possibile.» disse Logan

«Ha dovuto scegliere. O Cleo o i suoi operai. E data la situazione in cui ci troviamo uno sciopero generale era l’ultima cosa che si poteva permettere.»

«E adesso cosa succederà?» domandò Benjamin

«Quello che era destinato a succedere fin dall’inizio. Presto o tardi dovranno disattivare completamente Cleo, e dare un deciso giro di vita agli studi in materia di intelligenza artificiale. Allo stato delle cose, non mi sorprenderebbe se decidessero di vietarli in toto.

È inammissibile che una macchina possa avere una propria opinione, o peggio ancora si permetta di discutere gli ordini del suo padrone.»

«Quei fanatici della robotica la pensano diversamente.» obiettò Logan quasi malevolo «Come se le macchine potessero somigliare agli esseri umani.»

«È proprio questo il punto. Mai dare troppe libertà e potenzialità ad una macchina. Se offri la mano ad un lupo finisci sbranato.

Puoi darle tutte le limitazioni che vuoi, ma se decide di agire per conto proprio allora c’è poco che tu possa fare.

Questa volta che ne siamo accorti per tempo, ma provate a pensare cosa sarebbe accaduto se quello che è successo si fosse verificato su scala più grande. Se una Cleo avesse deciso di punto in bianco di tagliare i rifornimenti energetici, muovere di propria volontà un vascello o una nave orbitale, o addirittura lanciare dei missili.»

«Non credo che sarebbe potuto accadere.» obiettò Airin «Cleo era programmata per servire gli esseri umani. Le sue decisioni hanno comunque il fine ultimo di arrecare sollievo ai suoi padroni.»

«Proprio te parli, sorellina? E comunque, come potrebbe una macchina sapere cosa è meglio o peggio per un uomo? Su che basi decide? Una macchina deve fare ciò per cui viene programmata, e niente altro.»

«Il problema è che ormai le macchine che la nostra civiltà produce sono troppo avanzate.» disse il loro padre «E d’altra parte, non si potrebbe pensare all’economia di Celestis senza il loro operato. Quello che non bisogna assolutamente fare è permettere loro di agire in autonomia, o rischieremmo di perderne il controllo. La loro dipendenza da noi è l’unica cosa che ci permette di tenerle sotto controllo, e se questa dovesse venire meno le conseguenze potrebbero essere catastrofiche.

Mi secca solo che si sia dovuti arrivare a questo prima che tutti potessero rendersene conto.»

«Ma ci sono i famigli.» irruppe Benjamin «Loro potrebbero sostituire le macchine».

Tutti e tre lo guardarono enigmatici, e anche un po’ scettici.

«Potrebbe anche essere vero.» disse Airin, che di sicuro era quella più esperta «Ma quello sui famigli è uno studio ancora agli esordi. Praticamente in alto mare.

Crearli è complicato, e richiede una vasta conoscenza in numerosi ambiti e materie di studio, che spaziano dall’anatomia alla stregoneria medica.»

«Indubbiamente un famiglio può essere un’ottima alternativa ad una macchina.» disse il padre «L’adattabilità di un umano e la semplicità d’azione subordinata all’uomo di una macchina.»

«Di sicuro ci guadagna in fedeltà e affidabilità.» commentò Logan «Per quanto ne so, se il suo padrone non lo alimenta di continuo con la propria energia vitale un famiglio non può vivere, e il mago può decidere quando vuole di recidere questo legame con un semplice incantesimo.

In altre parole, un famiglio non si sognerebbe mai di andare contro le direttive del suo padrone, perché ne andrebbe della sua vita.

È questo il genere di rapporto di sudditanza che manca con le macchine. Personalmente penso anch’io che i famigli siano la risposta a questo problema.»

«Di fatto sono umani senza coscienza.» spiegò Airin «Sanno solo quello che vengono programmati per conoscere. Possono apprendere, ma solo in funzione dello scopo per cui vengono creati. Proprio come le macchine.

Ma quello che è certo, è che allo stato attuale delle cose dovrà passarne di tempo prima che i famigli possano davvero prendere su di sé parte di quegli oneri che ora come ora l’umanità seguita a riversare sulle macchine».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Eccomi dunque di ritorno, come promesso, con una nuova storia breve, che oltre a partecipare all’ennesimo contest apre uno squarcio su di un argomento dell’originale Tales Of Celestis fino a questo momento neppure preso (a torto) in considerazione.

La società di Celestis, infatti, è formata anche da famigli, e attraverso questa storia breve scopriremo in che modo essi siano diventati parte integrante della vita di tutti i giorni, soprattutto nelle grandi città.

Ringrazio come sempre tutti coloro che leggeranno, ed eventualmente vorranno farmi sapere le loro opinioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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