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Autore: marvellously_percico    24/02/2014    0 recensioni
Questo racconto parla della facoltà di ricordare,
e dei svariati modi in cui essa può tradirci,
modificando i nostri ricordi più vividi
e terrorizzando le nostre notti più buie.
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli doleva il torace, come se qualche cosa glielo traforasse svariate e più volte, e avvertiva il battito del proprio cuore rallentare come una smielata melodia che è in condizione di essere conclusa in poco tempo.
Non era completamente sveglio, ma percepiva un lieve rumore di passi che si aggiravano intorno al suo corpo inerme e inaspettatamente sentì il leggero tocco di una gelida mano sul suo torso.
Quella figura gli stava parlando, ma lui non capiva cosa dicesse. “E’ come se mi conoscesse.” Lei lo conosceva. “Ma quale è il suo nome?” si chiese, in quello stato di dormiveglia.
La voce della figura era liscia come la roccia calcarea preziosa e tenera. Cercava di ricordare, si affaticava per intendere cosa dicesse quella figura… “E’ una donna,” pensò. “Mi trovo in un luogo chiuso.”
Ma non continuava a capire, conosceva quella donna eppure anche se proseguiva a sforzarsi per ritrovare i ricordi,
non gli veniva in mente nulla e neppure il proprio nome rincasava nella memoria.
“Come mi chiamo?” si chiese, quando la donna bisbigliò qualcosa. - Amore devi capire che non posso restare qui,
La voce della donna era tremolante, gli sembrò mossa. - Tornerò. Non ti arrendere. Non lasciarmi da sola in questa giungla.
E così dicendo fuggì via.
Lui provò un dolore che non comprendeva perché non capiva chi era quella donna, un dolore ossessionante perché non ne capiva la causa. Amava quella donna, ma non sapeva per quale ragione. Passarono quelli che sembrarono giorni, ore per lui. Non esisteva più nulla, non capiva cosa avvenisse attorno a lui, era tormentato dalle domande. “Come mi chiamo?” E quando iniziava con quell’interrogativo, sapeva che non avrebbe avuto pace per un bel po’.
“Chi era quella donna? Perché mi ha chiamato amore?’’ Questo lo ricordava.
Ricordava la dolcezza con cui la donna lo aveva accarezzato, la sua voce flebile che decantava l’amore per lui.
“Perché anche io la amo?”
E le domande fluivano veloci nella sua mente, una mente distrutta.
“Chi mi ha rinchiuso qui?” Non ricordava nulla di come fosse finito lì.
Sapeva che non era giusto trovarsi in quelle condizioni. Non ricordava chi fosse quella donna, non lo
comprendeva, non la capiva. “Forse non voglio ricordare perché la amo,” provava parecchio freddo nella zona toracica. “Forse la mia mente non vuole che io ricordi.” Entrò qualcuno, un’altra figura che gli poggiò una coperta sull’addome. Lui voleva parlare, ma qualcosa lo impedì.
Un bacio, quella figura si era avvicinata e lo aveva baciato. “E’ ancora una donna,” lei sussurrò qualcosa che non capì.
“Kyel” sussurrò ancora la donna. Lui ebbe una valanga di ricordi che lo avvolsero nel loro strato protettivo.
Ricordava il suo nome. “Sì, il mio nome è Kyel. Giusto, ora ricordo qualcosa.”
Gli circolarono di fronte alla memoria molti, ricordi, figure.
Immagini di una donna che tiene in braccia un neonato dagli occhi blu, come il cielo. “Madre?”
Immagini di un bimbo che gioca in un prato verde, e la pioggia che cade insistente. “Il periodo delle piogge.”
Un bambino dai capelli rossi, felice, che raccoglie un ranuncolo da un cespuglio basso. “I miei fiori preferiti.”
Un ragazzo in riva ad un lago, che schizza acqua ad un gatto dal manto grigio. “Lesto, il mio gatto.”
Di nuovo il neonato che viene preso in braccio da un uomo dalle braccia robuste. “Padre?”
Un adolescente dagli occhi blu, che bacia una dolce ragazza, dagli occhi ambrati. “Quella donna, quella che amo.”
Un inesperto ragazzo che si arrampica su un albero di fichi, per prenderne qualcuno. “Sono io? E’ la mia vita questa?”
Quell’esistenza sembrava lontana da lui, quel ragazzo era gioioso e felice. Non aveva la mente frantumata come era quella di Kyel. Il bambino, quella vita, vennero  portate via dalla visione di una folla inferocita che distrugge una locanda. La popolazione di quel villaggio è in pieno subbuglio, nessuna legge, niente. “Insurrezione popolare?” si chiese. Le strade sono assalite da uomini e donne con bastoni, vetri come armi. Maciullano chiunque davanti a loro. “Perché?” Quella folla si dirige verso un luogo ampio, un viale? vide una donna..
- Kyel! Rispondimi, svegliati!
La voce che prima era un sussurro lo fece uscire da quella dimensione extrasensoriale. Decise che doveva riaprire gli occhi e lo fece ma, non appena li aprì, rimase accecato dalla luce di una candela. Non era più nella cella di prima, era in una più larga. - Kyel, sei sveglio? - lui fece di sì con la testa. La donna lo baciò, e lo abbracciò intensamente.
“Ricordo il suo nome. E’ Marxa, mia moglie!” lui ricambiò il bacio. -Marxa, ti amo!
ricordò il giorno delle loro nozze, la felicità nei suoi occhi e la meravigliosa cerimonia. Lei estrasse qualcosa dalle lunghe maniche del vestito. “Una rosa?” Marxa si avvicinò a Kyel e lo baciò sul collo. La rosa lo colpì: era un pugnale. - Marxa è morta, durante l’insurrezione.
“Perché mi hai tradito?” ebbe il tempo di chiedersi Kyel quando un altro colpo gli tolse la vita, completamente.
 
  
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