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Autore: ki_ra    25/02/2014    6 recensioni
Dal I capitolo :
Non aveva mai amato, particolarmente il cioccolato, mai fino a quando non l’ aveva visto fondersi nei suoi occhi puri e profondi, sinceri come la sua anima.
Ogni volta che ne addentava un pezzo, gli pareva di baciarla. Non che l’ avesse mai baciata prima, ma si figurava così il sapore dei suoi baci: intenso e forte.
Così tratteneva il pezzo di cioccolato in bocca, lasciava che il calore del palato e della lingua lo sciogliesse lentamente, permetteva all’aroma di diffondersi, scendendo, attraverso la gola, fino in fondo allo stomaco, esattamente al centro del corpo, e manteneva quel retrogusto intenso e impercettibilmente amaro, per alcuni minuti, fino a che si dissolveva, costringendolo ad addentarne un altro.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Eccoci giunti all’ultimo capitolo di questa storia.
Come le altre volte, più delle altre volte, devo ringraziare coloro che hanno seguito, preferito o soltanto letto ogni capitolo di Love and Darkness.
Questa storia è nata per una scommessa con me stessa e se soltanto uno di voi si è fermato un istante ad ascoltarla, se leggerla vi ha lasciato con la curiosità del seguito o ha suscitato una piccola emozione, direi che ho vinto!
Lascio un bacio grande a coloro che hanno recensito, dandomi lo sprone per continuare: a Sweetluna, a Stella Cadente, a Taylor_HG_Swift, ed a Emmema che è arrivata in volata sul finale, e a tutti quelli che ho perso per strada.
Infine a Princess_Alice, la mia prima sostenitrice: questa storia è dedicata a te!
Vi lascio alla lettura e spero di incontrarvi ancora.
Ki_ra

p.s. a questo capitolo seguirà un epilogo, che spero di pubblicare la prossima settimana.

Image and video hosting by TinyPic *l'immagine è un mio disegno, liberamente ispirato ad un'altra immagine presa dalla rete.

 

XVII


 

In un dio Jacob Black non aveva mai creduto: non poteva esistere un essere superiore capace di strappare la madre ad un bambino o di togliere le gambe ad un padre che cerca di rimettere insieme i cocci di una famiglia devastata.
E se, di contro, fosse esistito, pensava Jacob, doveva avercela a morte con lui.
In una cosa, però, aveva sempre creduto: nella forza e nell’orgoglio della sua gente; nelle tradizioni ataviche e nelle leggende di coraggio e determinazione che i vecchi raccontavano e che per lui non erano mai state solo storie per incantare i bambini.
Per questo all’imprinting aveva creduto sempre, anche prima di esserne folgorato.
Nell’imprinting aveva creduto cecamente, come il cristiano che accetta il dono della fede: vi credeva perché esso è forza e vita; impulso e spinta ed infine traguardo e appagamento. Non era stato difficile per questo accogliere, senza dubbi, l’oggetto a lui destinato: la mezza vampira, figlia della donna che aveva amato e del suo nemico di sempre.
Renesmee era per Jacob, il vento tiepido che mette in moto la macina del mulino; il susseguirsi necessario delle stagioni; il flusso inesauribile e vitale del sangue che ingrossa le vene.
Per questo l’aveva amata, difesa e protetta; desiderata ed attesa e solo per questo l’aveva lasciata.
Nonostante bruciassero come lava, le parole di Bella erano vere: egli non era ciò a cui Renesmee poteva aspirare; era al contrario, tutto quello che non poteva offrirle.
Così il lupo, soggiogato dall’imprinting, si era arrogato il diritto di proteggerla dall’uomo, ricadendolo nel male più profondo.
Jacob bruciava, la sua carne bruciava, come un’ustione insanabile; l’anima si torceva, tormentata, e la mente consumava ogni energia, tentando, inutilmente di logorare anche il corpo che la ospitava, alla ricerca della propria fine. Ma più la cercava, quella fine, più le correva incontro, più essa si nascondeva o peggio gli si palesava innanzi distorta, come nel gioco ingannatore degli specchi deformanti al luna park.
Non c’è al mondo alcunché di più doloroso della verità infamante che Bella gli aveva fatto scoprire: nulla fa più male, che sapere di essere la persona più sbagliata per chi si ama.
Nascosto nel suo rifugio silenzioso sopra la rupe, la sua mente masticava pensieri e tormenti, la sua anima ormai non avrebbe più avuto requie.
- Che vuoi? – chiese rudemente, ancora di schiena, a Seth, sentendolo arrivare. – Lo sai, lo sapete tutti che quando non sono di ronda non voglio nessuno a girarmi intorno! – continuò, facendo scorrere il palmo della mano su di una pietra appuntita che gli lacerava la pelle e si imbrattava di sottili rivoli di sangue vivo.
- Embry e Leah hanno avvertito due scie, oltre il fiume … Non sono nomadi, sono … loro. – lo avvisò, rimanendo fermo a qualche passo dalla sua schiena nuda. – Ma … lei non c’è: Leah ne è sicura. – finì intimorito dal respiro di Jacob che si faceva sempre più pesante.
- Tornatene a casa e di’ agli altri che me ne occupo io … - terminò, strofinando il palmo della mano ferita sui calzoncini, già macchiati di terra e fango.
- Jake? – lo chiamò il giovane lupo preoccupato. – Finché rimangono dentro i loro confini, possiamo starcene tranquilli anche noi. Forse non dovresti  … -
- Sono grande e grosso, Seth. – lo interruppe con una smorfia. – So badare a me stesso! E poi posso staccargli la testa senza che neanche mi sentano arrivare … Tornatene a casa e cerca di non rompere le palle! – furono le ultime parole che disse senza voltarsi.
Seth lo guardò rassegnato per qualche altro secondo, con nel cuore lo stesso tormento del suo alfa, poi si voltò e correndo eseguì l’ordine.
Jacob inspirò forte, reclinando il capo all’indietro, come per riprendere la calma e la concentrazione che la sua mente aveva abbandonato da tempo; si guardò la mano che, ormai senza più alcuna cicatrice, rimaneva solo macchiata  del proprio sangue rappreso e, lentamente, un passo alla volta, si incamminò verso il cottage dei Cullen.
L’ estate moriva presto sulla penisola olimpica; moriva una goccia alla volta di quella pioggia che non la lasciava mai, ma si nascondeva dietro le nuvole gonfie, pronta a cadere, sferzando anime e cose.
La sua meta non era molto distante dal rifugio sulla rupe, ma Jacob non avrebbe saputo dire quanto tempo avesse impiegato a colmare quella distanza, occupato come era a scacciare contorti pensieri che, come mosche fastidiose, gli riempivano il cervello.
Che diavolo ci facevano di nuovo a Forks? Che volevano ancora quei maledetti succhiassangue? Di lui si erano già presi tutto: vita, respiro, occhi, sangue; cosa altro volevano?
Jacob si sorprese a pensare che forse, fosse arrivata per lui l’ora di prendersi qualcosa, magari una delle loro preziose vite immortali! Avrebbe potuto staccare la testa ad uno di loro, uno qualunque. O meglio ancora, a quello più maledetto, al padre premuroso, ladro dei suoi pensieri e della sua anima sfasciata!
Si vide mentre lottava: le zanne affilate e scoperte, i muscoli guizzanti e potenti e la rabbia omicida che si mangiava la sua carne da dentro.
Sorrise amaramente di quel suo piano rabbioso: non avrebbe mai potuto uccidere il padre della sua Renesmee, non sarebbe mai stato capace di farle alcun male, mai.
Piuttosto si sarebbe fatto staccare la testa!
Eccolo il suo piano perfetto: una morte lenta, dolorosa e definitiva, pure di quel suo corpo quasi indistruttibile.
Tanto per essere equi almeno una volta, sarebbero stati loro ad offrigli qualcosa.
Sì, la morte Jacob Black, se la sarebbe presa volentieri a palmi aperti e col sorriso sulla bocca scura.
Camminava, senza neanche guardare il percorso, fissando i propri piedi nudi che impastavano la terra molle, le foglie spinose delle felci profumate che si attorcigliavano ai polpacci ed alle caviglie.
Camminava furioso e stanco in un giorno che aveva consumato quasi tutta la sua luce.
L’odore della pioggia, che lavava la terra, gli impregnò i polmoni fino all’istante in cui essi ne avvertirono un altro profondo e sconosciuto: non era dei succhiasangue, era più vivido ed allettante, come di talco e nettare fruttato.
Sollevò occhi e viso e si trovò davanti, a qualche metro, una figura esile e scarna con occhi luminosi che sgusciavano da palpebre viola. Era avvolta in una strana palandrana, simile ad un abito monacale, scuro come una pacata notte siderale. La ricopriva completamente e nascondeva anche le mani, che serrava al petto conserte. Un passo docile dopo l’altro e Jacob riconobbe in quella svelata armonia di movimenti, la parte perduta di sé: Renesmee.
Cuore e respiro esitarono per un istante, che scorse lento come fosse eterno.
“Sono morto”, pensò il giovane, “Devo proprio essere morto, se neanche il lupo ha riconosciuto il suo odore!”.
Ispirò una, due, tre volte di seguito; fece scorta di quel vento flebile che la pelle di lei emanava, come se servisse a catalogarlo, ad impossessarsene per tutto il resto della vita di nuovo lontano da lei. Poi cedette alla razionalità ed al dovere del distacco e le parlò.
- Che ci fate di nuovo qui? – chiese, fingendo distacco. – Perché sei tornata? – incalzò, tremando.
- Per te … sono tornata per te. – rispose, accorciando la distanza.
- Cos’è non sono stato abbastanza chiaro l’ultima volta, miss Cullen? – la freddò, inchiodando i suoi passi con un gesto della mano.
- Non ricordo parole più precise delle tue, Jacob! – fu la risposta, che nonostante il tono deciso, non rivelava alcun risentimento.
- Allora? – insistette e strinse i pugni, stordito da quell’odore nuovo.
- Allora … c’è qualcosa, qualcosa che devi vedere. – gli spiegò.
Jacob continuava a guardarla, rinfrancato dal viso che mille volte aveva desiderato di dimenticare. Una voglia bruciante di farsi vicino gli infiammava i muscoli; un desiderio di toccarle la pelle lo stordiva, ma il lupo protettore faceva bene la sua parte, trattenendolo.
Renesmee compì un ultimo passo verso Jacob, poi, con un gesto lento ed incantatore, slacciò lo strano abito che l’avvolgeva, scoprendo completamente il corpo dalla pelle di latte.
Ogni curva era dolce e tonda come non la ricordava, i seni morbidi e pieni ed il ventre nudo era teso ed arrotondato.
- E’ tuo … - gli rivelò, portando entrambe le mani ad accarezzarne la pelle lucida.
Jacob deglutì, paralizzato come se una forza oscura lo trattenesse incollato al suolo.
- Quando l’ho scoperto … mia madre mi ha raccontato tutto: la vostra discussione … il tuo sacrificio ingiusto … - continuò, colmando, lenta, la distanza che li separava.
- L’hanno fatto per te … per il tuo bene. – li giustificò il giovane, a voce bassa e tremante.
- Talvolta i genitori, in nome del bene dei propri figli, si arrogano il diritto di scegliere il loro futuro. Non si rendono conto che proprio per il loro bene, dovrebbero concedere loro la possibilità di sbagliare! – constatò, amara, ma senza risentimento nei confronti di coloro che amava più della sua stessa vita. – E tu, invece, cosa volevi fare, lupo? – domandò seria.
- Proteggerti … - le rispose, mantenendo, sulla culla della nuova vita lo sguardo rapito.
- Da te? – sorrise.
- Dalla vita misera e senza prospettive che ti avrei offerto … - spiegò addolorato per la sua inadeguatezza.
Renesmee sorrise, scuotendo la testa, come una madre  davanti all’innocenza del proprio bambino. – Misera è la vita di chi non conosce l’abbondanza dell’amore e la ricchezza del sapersi donare; nulle sono le prospettive di chi non ha sproni per cui lottare. Tu, Jacob Black, sei l’uomo più ricco e motivato al mondo … E sei anche una specie di … - esitò, sorridendo ancora in cerca delle parole giuste, - … una cura per la mia “malattia immortale”. – terminò, mordendosi il labbro inferiore, rosso come le ciliegie mature.
- Che … cosa? – chiese Jacob riscuotendosi.
- Non ti sei chiesto perché neanche l’olfatto del lupo sia riuscito a riconoscere il mio profumo? – incalzò, trattenendo un sorriso.
- Io … non riesco neanche a credere ai miei occhi … a te che mi stai davanti … Che differenza avrebbe fatto riconoscere il tuo odore? Sapessi quante volte ho creduto di sentirlo ed era solo il desiderio di averti  di nuovo … - le rivelò, con la voce rotta dall’emozione.
Resesmee si addolcì a quelle parole sentendo nel petto la stessa mancanza, la stessa necessità che l’avevano tormentata in quei mesi di distacco.
- E’ per te, Jake. – spiegò lasciandosi andare al sorriso, - E’ per la parte di te che mi cresce dentro … Il tuo sangue, la tua carne dentro il mio ventre … mi cambiano, mi trasformano un giorno alla volta.
Il nonno dice che la gravidanza mi renderà, alla fine, umana … - rivelò, con una voce serena e pacata, senza alcuna indecisione.
- Umana? – ripeté il Quileute meccanicamente, confuso, incantato da quelle labbra che ancora si tormentavano, divenendo sempre più desiderabili ed infiammanti per le proprie.
- Umana sì, il doppio di te! – lo rassicurò, fremente in attesa della sua reazione.
Tutt’intorno un silenzio innaturale si spandeva placido, sorretto solo dal suono flebile e ritmico delle gocce di pioggia sulle foglie del bosco ormai in penombra.
Continuava lenta a spandere le sue figlie sulle superfici: sull’erba e sulle rocce; sulle cortecce muschiate dei rami annodati; sui loro volti intensi, rivolti l’uno verso l’altra.
Scivolava come una dolce carezza, sugli abiti ormai impregnati; sulla pelle del ventre pieno di lei e sulle sue mani esili che lo accudivano e ancora sulla schiena fiera ed il petto ansante di lui.
Intorno le gocce cadevano al suolo, trapassando la pelle; lavavano le anime sporcate dal dolore e le rendevano vergini, pronte alla nuova vita che li attendeva, insieme.
- E tu … lo vuoi? Lo vuoi davvero? – sussurrò ad un palmo da lei, mentre il dorso della mano asciugava il volto da stille dolci e salate insieme.
Renesmee inspirò il respiro acceso di lui e disse sì con un solo gesto del capo; disse sì con gli occhi brillanti, colmi di nuovo anelito mortale, serrando le palpebre umide in un docile assenso.
- Sei sicura? Significherebbe rinunciare ad ogni cosa: la tua famiglia, la tua casa … l’immortalità. – insistette, tracciando con la punta dell’indice, sul ventre scoperto, la sottile linea alba, appena leggibile.
- La mia famiglia sei tu, Jake, tu e questo bambino. – rispose sicura, inseguendo col suo, il dito di lui, - La mia casa è nella tua terra o in qualunque altro luogo abiti il tuo cuore. In quanto all’immortalità … - terminò raggiuntolo, - … Non vale quanto la mia vita con te … -
Jacob inspirò forte, gonfiando i polmoni.
Una fiamma lenta di pace, a lungo inseguita, si mescolò al profumo della vita; il ticchettio della pioggia armonizzò con il loro fiato sospeso, come note cadenzate di una vecchia ninna nanna, ed il volto si distese appagato.
Sorrise rivolgendo il viso al cielo bizzarro, che si apriva e si chiudeva su di loro con le sue nuvole.
Sorrise ancora, sempre ad occhi chiusi, conservando, dietro le palpebre l’immagine della sua donna, tesoro perfetto e moltiplicato.
E poi rise, con la voce pura e calda come il vento d’estate; come gli abbracci ed i sorrisi di chi ama; come i battiti irregolari di un cuore innamorato; forte ed avvolgente come i desideri realizzati.
Si rivolse a lei, guardandola tutta, reclinando il capo, per trovare meglio i suoi occhi.
Colmò la distanza che ancora li divideva, continuando a “respirarla”.
Le prese le mani, sfiorandone la pelle, in una placida venerazione, e se le portò sul petto, dal quale un lento mugolio gorgogliò come acqua di fonte.
Renesmee si lasciò catturare dalla tenera presa, poggiò la fronte sul suo sterno, lasciando andare il piccolo peso del suo corpo su quello deciso di lui. I suoi capelli bagnati, arrotolati su se stessi, come rami di edera odorosa, ricaddero ai lati del volto, scoprendo la nuca bianchissima.
Mai parte del corpo fu più avvincente, conquistatrice, carnale e pura.
Jacob ne fu infiammato, totalmente, teneramente annientato; sfregò la punta del naso lungo la linea di pelle dalla prima vertebra all’attaccatura dei capelli e la baciò assaporandone la dolcezza, come frutta di stagione.
Renesmee sorrise, solleticata da quel gesto provocante, e Jacob con tono, fintamente sconsolato, ironizzò: - Sono in trappola, allora? –
- Nessuno è libero in amore! – lo citò.
- Affare fatto, Ness, ma … ad una condizione! – precisò, stringendosela addosso.
- Quale? – chiese lei baciandogli il petto.
- Il nome lo scelgo io! -
 

  
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