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Autore: ValeryJackson    25/02/2014    16 recensioni
Skyler aveva sempre avuto tre certezze nella vita.
La prima: sua madre era morta in un incidente quando lei aveva solo sette anni e suo padre non si era mai fatto vivo.
La seconda: se non vuoi avere problemi con gli altri ragazzi, ignorali. Loro ignoreranno te.
La terza: il fuoco è un elemento pericoloso.
Tre certezze, tutte irrimediabilmente distrutte dall'arrivo di quel ragazzo con gli occhi verdi.
Skyler scopre così di essere una mezzosangue, e viene scortata al Campo. Lì, dopo un inizio burrascoso, si sente sé stessa, protetta, e conosce tre ragazzi, che finiranno per diventare i suoi migliori amici. Ma, si sa, la felicità non dura in eterno. E quando sul Campo incombe una pericolosa malattia, Skyler e i suoi amici sembrano essere gli unici a poterlo salvare.
Una storia d'amore, amicizia, dolore, azione, dove per ottenere ciò che vuoi sei costretto a combattere, a lottare, e ad andare incontro alle tue peggiori paure.
Ma sei davvero disposto a guardare in faccia ciò che più ti spaventa?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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«Ricorda chi è il vero nemico, Skyler» le ripeté lo zio, perentorio. «Ricordalo. Ricordalo. Ricordalo…»
 
Skyler si svegliò di soprassalto, con il cuore in gola. Aveva i vestiti incollati al corpo, la fronte sudata, ma non riusciva a capire se questo fosse dovuto al caldo che la circondava o alla paura.
Caldo. Non ricordava che ad Orlando ci fossero così alte temperature. Non quando c’era stata lei, non la sera.
Sbarrò gli occhi. La luce del sole era accecante, tant’è che fu costretta ad assottigliare lo sguardo prima di mettere a fuoco qualcosa.
Le pulsava la testa, a tal punto da immaginare il proprio cervello sbattere contro la scatola cranica implorando di uscire. Quella non era assolutamente Orlando. L’aria era frizzante, intinta dall’odore delle piante di eucalipto. Il sole picchiava sulle bianche case che la circondavano, donando loro un aspetto strano, quasi hollywoodiano. Con sgomento, la ragazza si accorse di essere seduta ad un tavolino di un bar all’aperto. Agli altri tavoli, c’erano ciclisti, uomini d’affari e studenti universitari che chiacchieravano e bevevano granite e caffè, mentre tanti pedoni passeggiavano davanti ad alcuni negozietti caratteristici. Le strade erano costernate da arbusti e azalee in fiore, e risate cristalline si levavano dalle bocche delle persone, librandosi in aria e raggiungendo il cielo cristallino.
Skyler lanciò un’occhiata confusa ai suoi amici, che, piegati sul tavolino a causa di un sonno improvviso, avevano iniziato a guardarsi intorno con aria disorientata.
«Che cosa è successo?» chiese Michael, premendosi i palmi sugli occhi per via del forte mal di testa.
Skyler si riassestò sulla sedia, sforzandosi di ragionare. «C’è stata un’esplosione» disse, più per ricordarlo a se stessa che agli altri. Guardò Michael. «Come abbiamo fatto ad uscirne vivi?»
«Credo sia merito di mio padre» affermò Emma, estraendo qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Con grande sorpresa di tutti, si accorsero che era un rotolo di banconote. John fischiò.
Skyler aggrottò la fronte. Ora tutto aveva più senso. Quel lampeggiare che aveva visto sotto la macchina, quella bomba… doveva trattarsi di uno dei prototipi di Ermes, che il dio aveva voluto sperimentare. Forse sapeva già cosa sarebbe successo e aveva voluto aiutarli. Li aveva riforniti di soldi e li aveva portati in salvo chissà dove.
A constatare la grandezza dell’esplosione, però, Skyler ebbe un fremito. Era stata così forte che avevano quasi rischiato la pelle. Poteva essere pericolosa, e improvvisamente la mini bomba sembrò bruciarle la carne mentre scottava nella tasca dei suoi jeans.
Scuotendo leggermente il capo per scacciare quella sensazione, si agitò sul posto. «Dove sono quei tizi?»
I ragazzi si guardarono intorno, un po’ preoccupati. Poi, John sospirò. «Ermes deve aver pensato anche a loro. O li ha spediti da qualche altra parte, o li ha fatti morire nell’esplosione.»
Emma sorrise malandrina, e, passandosi prima un dito sulle labbra, cominciò a contare i soldi. «Grazie, paparino» sussurrò, contenta.
Skyler annuì. Poi voltò il capo osservando alcuni bambini mangiare il gelato. «Dove siamo?»
Emma corrucciò le sopracciglia, alzando un foglio plastificato dal tavolo e sforzandosi di leggere. «Peet’s Coffee & Tea, California» disse, mostrandolo all’amica.
Michael, accanto a lei, sorrise. «Fantastico!» esclamò. «Ordiniamo?»
Gli altri tre lo guardarono, un sopracciglio inarcato. «Che c’è?» chiese lui, facendo spallucce. «Siamo seduti ad un bar, in California, con un rotolo di banconote e gli stomaci vuoti. Cosa c’è di male?»
Skyler ed Emma si scambiarono un’occhiata, titubanti, poi la bionda chiamò una cameriera e ordinò. Dopo circa un quarto d’ora, la donna tornò con un latte alla vaniglia per John, due cioccolate moca per Emma e Skyler e una fetta di cheesecake ai frutti di bosco per Michael.
I ragazzi mangiarono e bevvero avidamente, rendendosi conto solo in quel momento di quanto realmente fossero affamati. Quando ebbero finito di ingurgitare tutto, si accasciarono sulle sedie, con un sospiro soddisfatto.
Fu solo la sferzante luce calda del mattino a far tornare Skyler alla realtà. «È passato un giorno» disse, al che gli altri la guardarono. «Sono passati cinque giorni, ragazzi. A quest’ora dovremmo essere già tornati.»
Un silenzio imbarazzante calò fra loro, mentre tutti cercavano la cosa giusta da dire. Michael punzecchiò con la forchetta qualche briciola rimasta nel piatto. «Abbiamo ancora due tramonti» mormorò, evitando di alzare lo sguardo. «Possiamo farcela.»
«Qual è il prossimo ingrediente?» chiese John, con un cenno.
Emma estrasse la Mappa dei Sette Mari dalla tasca dei pantaloni. La aprì, scansò le tazze e il piatto e la stese sul tavolo. «Dunque, ne sono rimasti solo due» annunciò, posando i palmi sulla carta. «Una goccia di rugiada delle nevi e una lacrima di Fenice. Quale preferite?»
«La rugiada» rispose repentina Skyler, guadagnandosi un’occhiata da tutti. Si strinse nelle spalle. «Non so neanche cosa sia una Fenice» si giustificò.
Michael corrucciò le sopracciglia. «Dove si trova?» chiese.
Emma osservò la carta, ma sembrò esitare. «Alert» disse, titubante. «Nunavut, Canada.»
«Alert?» La figlia di Efesto sembrava sorpresa. «È la città più fredda del mondo. Lì ci sarà ancora la neve.»
«Che dobbiamo cercare, esattamente?» domandò Michael.
«Credo di saperlo» disse John. «All’inizio non capivo, ma ora è chiaro. Ad Alert c’è un laboratorio biochimico che studia gli agenti atmosferici e le piante. Credo si trovi lì per sfruttare il clima rigido. Una delle loro ultime ricerche era proprio trovare un modo di coltivare delle piante anche lì. Hanno creato delle gocce di rugiada, e l’hanno fatto sciogliendo la neve.»
«Fantastico!» esclamò Emma, con un sorriso. «Dobbiamo solo intrufolarci in questo laboratorio e prendere una di queste gocce.»
John fece schioccare la lingua. «Non credo sarà così facile. Hanno un sistema di sicurezza molto avanzato.»
Emma inarcò le sopracciglia, un’espressione indignata in volto. «Sono offesa, sapete? Voi continuate a sottovalutare le mie capacità.»
«Pensi di poterci riuscire?» chiese Michael, non riuscendo a mascherare un tono speranzoso.
Emma ghignò. «Ovvio. E poi devo ancora sperimentare il nuovo giocattolino di mio padre.»
«Il problema è un altro, però» ricordò Skyler, con tono serio. «Alert è praticamente dall’altra parte del paese, e non abbiamo tutto questo tempo. Come ci arriviamo?»
«Qualcuno ha bisogno di un passaggio?» chiese una voce alle loro spalle. I ragazzi si voltarono di scatto.
Una donna li osservava, con le braccia incrociate. Aveva lunghi capelli ramati raccolti in una coda, il corpo snello e abbronzato. Indossava un paio di shorts scoloriti e una maglietta con su scritto “I ♥ California”; ai piedi un paio di coturni color bronzo. Con occhi neri come la pece, squadrava i ragazzi quasi non avesse voglia di trovarsi lì.
John inarcò un sopracciglio. «Chi sei?»
La donna sbuffò, poi allargò le braccia e fece un mezzo inchino. «Melpomene, musa della tragedia greca. Al vostro servizio, figlio di Apollo.»
John sgranò gli occhi, mentre gli altri la guardavano con aria confusa. «Aspetta, hai detto musa?» chiese Michael, sorpreso. «Come quelle nove donne al servizio di Apollo?»
«Noi non siamo al servizio del dio del sole» lo corresse quella irritata. «Noi accompagniamo il dio del sole. Ma comunque si, come quelle nove donne.»
«Ti manda mio padre?» domandò John.
La donna annuì, con fare tragico. «Credeva aveste bisogno di un passaggio e mi ha chiesto un favore. Ma non credete che mi faccia piacere essere qui. Preferirei di gran lunga recitare una delle mie tragedie piuttosto che straportare a destra e a manca quattro sciocchi marmocchi.»
«Fantastico» borbottò John, guardando Emma. «Tuo padre ci salva la vita e ci regala doni e soldi, e il mio ci manda una musa psicotica che recita tragedie.»
La donna sembrò offesa. «Se non gradisci la mia presenza, potete benissimo attraversare il paese da soli.»
«No!» esclamò Michael, balzando in piedi. Guardò John e gli diede una pacca sulla spalla. «Coraggio amico, è la nostra unica possibilità.»
Il biondo squadrò la donna da capo a piedi. «E se fosse un tranello? Davvero vi fidate di lei?»
«No» ammise Skyler, scrollando le spalle. «Ma che alternative abbiamo?»
Michael si accorse dell’esitazione dell’amico, e puntellò il gomito sul suo braccio. «Andiamo» cantilenò, cercando di essere convincente. «Carino e coccoloso.»
John corrucciò le sopracciglia, dubbioso, ma si rese conto di non avere molta scelta quando vide gli amici alzarsi e seguire la donna, lasciandolo lì solo con qualche tazza sporca e una mancia abbondante per la cameriera.
Seguirono la musa lungo il marciapiede, e poi lungo la strada, fino a che una lussuosa macchina nera non entrò nel loro campo visivo.
«Sei sicura di poterci portare ad Alert in tempo?» chiese John, ancora un po’ scettico.
Melpomene ghignò. «Diciamo che il mio è un mezzo veloce.»
«Quanto veloce?» domandò Michael.
«Abbastanza.»
Skyler si bloccò di colpo, arrestando la sua camminata. «Aspettate» disse, al che gli altri la guardarono. «Non sarà un’altra di quelle corse stile Cocchio della Dannazione, vero? Perché non credo che il mio stomaco reggerebbe.»
La donna rise. «No, non preoccuparti. Io uso altri metodi.»
«Tipo?» fece Emma, ma non ottenne risposta finché non si furono accomodati sul sedile posteriore. Melpomene li guardò attraverso lo specchietto retrovisore. «Tipo i portali» sorrise.
John corrucciò le sopracciglia. «Portali?»
Lei fece spallucce. «Perché credi che esista Ecate, se no. I portali sono la via più rapida.»
«E tu sai aprirne uno?»
La donna inarcò un sopracciglio. «Ma certo!» esclamò, ingranando la marcia. Gli lanciò un’ultima occhiata. «Reggetevi forte.»
Accadde tutto così rapidamente che i ragazzi non riuscirono a pensare. La musa accelerò, decisa a non alzare il piede dall’acceleratore. Raggiunsero i cento km/h, mentre la macchina faceva lo slalom fra i passanti guadagnandosi delle espressioni non proprio cordiali da quest’ultimi.
Se non fossero stati così impegnati ad aggrapparsi l’uno all’altro e a sforzarsi di non vomitare, i ragazzi avrebbero notato una piccola spirale rosa vorticare qualche metro avanti alla macchina, ingrandendosi fino a diventare qualcosa di simile ad un buco nero. La musa vi andò incontro, senza esitazione.
E dopo un giro della morte il caldo afoso della California fu sostituito da un leggero venticello.
Skyler guardò fuori dal finestrino. Il paesaggio che li circondava era freddo e deserto, ma soprattutto, cosa ancora più strana, era ricoperto di…
«Neve» sussurrò la mora, sovrappensiero. Erano arrivati ad Alert.
Faceva uno strano effetto vedere la neve d’estate, ma era comunque uno spettacolo sensazionale. Senza che se ne rendesse conto, un brivido le corse lungo tutto il corpo, e si strinse nelle spalle infreddolita. Ma, d’altronde, si trovavano molto vicini all’Antartide. Che si aspettava?
La macchina frenò bruscamente, e la musa si voltò a guardarli. «Potete scendere.»
I ragazzi la guardarono, straniti, ma poi ubbidirono. Lei infilò i sandali nella neve con loro. «Da qui credo possiate continuare da soli» gli disse.
«Ma come» si lamentò Emma, stupita. «Non vieni con noi?»
«Ovvio che no» rispose prontamente Melpomene, incrociando le braccia al petto. «Il mio compito era semplicemente quello di trasportavi qui. Niente di più, niente di meno.»
I ragazzi si guardarono intorno, un po’ disorientati. Poi, John fece una cosa alquanto singolare in quel momento. Sorrise. «Grazie» disse, anche se sembrava più rivolto a qualcun altro che alla musa.
Quest’ultima scrollò le spalle. «Non c’è di che. Ma io non ho fatto niente di speciale. Dovresti ringraziare tuo padre. È lui che mi ha pregato di venire.» John annuì, ma non disse niente. La musa sospirò con tono grave. «So che non dovrei dirvi niente» cominciò. «Ma c’è un piccolo paesino a pochi metri da qui. Compratevi dei giacconi, o morirete di freddo.»
Il biondo si voltò verso gli amici e fece un cenno col capo. «Andiamo?» chiese.
Gli altri concordarono con un segno d’assenso. Si coricarono gli zaini in spalla, e fecero per incamminarsi, quando la voce della donna li costrinse a fermarsi. «Un’ultima cosa!» esclamò infatti quella. I ragazzi la guardarono, in attesa, ma gli occhi della musa si incastrarono con quelli di John. Sembrava agitata, e anche molto, molto preoccupata. «Fate attenzione» si raccomandò in un sussurro.
John corrucciò le sopracciglia, un po’ turbato. Si avviarono lungo il sentiero innevato, mentre le loro suole lasciavano impronte profonde sulla neve, eppure il figlio di Apollo si accorse di essere davvero sconcertato solo quando sentì il motore della macchina riazionarsi e ripartire.
Cos’era quello della musa? Una raccomandazione? Un avvertimento?
E perché si sentiva così scosso dalle sue parole?
 
Ω Ω Ω
 
Definirla città era un eufemismo, perché tutto ciò che li circondava sembrava essere appena uscito da una piccola fiera di paese. Gli abitanti erano poco più di una trentina di persone, e le piccole case di legno si alternavano lungo la strada ad alcuni negozietti che vendevano l’essenziale per la sopravvivenza, come cibo, coperte e cappotti.
Mentre i suoi amici si intrufolavano in un negozio per comprare qualche giubbino, Skyler si era offerta di chiedere informazioni su dove potessero trovare il loro famoso laboratorio. Ad indicarle la strada era stato un grassoccio e baffuto signore, che, sorridendo solo quella moltitudine di barba, le aveva spiegato per bene come arrivarci. Era molto lontano dalla città, circa un paio di chilometri, ma se si fossero impegnati sarebbero riusciti a raggiungerlo prima di sera.
Ad attirare la sua attenzione mentre aspettava i suoi amici a braccia incrociate su quella che doveva sembrare una panchina, fu un gruppetto di persone tutte radunate alla fine della strada. Si chiudevano in un semicerchio, e guardavano ammirati qualcuno davanti a loro. Avvicinandosi circospetta con un sopracciglio inarcato, Skyler si alzò in punta di piedi per poter scorgere qualcosa oltre la spalla di un robusto signore. Allungando un po’ il collo, capì il motivo di tanto entusiasmo. Un giovane uomo, che non avrà avuto più di trent’anni, si stava esibendo in uno spettacolino. Era alto e mingherlino, ed indossava fiero un cilindro sul capo e un malconcio papillon.
«Scelga una carta, signora» disse, porgendo ad una donna corpulenta un mazzo.
Questa scelse una carta, osservandola per bene. Poi, con un sorrisetto, la rimise nel mazzo, e il mago cominciò a mischiare. La donna lo osservava con attenzione, studiando attentamente tutti i suoi movimenti nel vano tentativo di capire quale fosse il trucco. Dopo un po’, l’uomo estrasse un tre di cuori. «È questa la sua carta?»
La donna sorrise, compiaciuta. «No» rispose, scuotendo la testa.
Lui aggrottò le sopracciglia, confuso. «Ne è sicura?» domandò. Lei annuì, e a quel punto lui fece una cosa strana. Contò una per una le carte nel mazzo. «Guardi bene, signora» le disse. Quando ebbe finito di ispezionare tutte le carte, alzò lo sguardo.
«Le dispiace cacciare il portafogli?» chiese ad un uomo con il mono ciglio.
Quest’ultimo lo guardò, interdetto, ma poi ubbidì. Il mago gli si avvicinò con disinvoltura. Con il suo permesso, afferrò il portafogli e lo aprì, ispezionandolo per bene. Dopo un po’, un sorrisino soddisfatto si fece largo sul suo volto. «Oh, eccola qui!» esclamò, estraendo dalle monetine un quadratino di carta.
Restituì il portafogli al suo proprietario e lo aprì, facendogli prendere la forma di una carta. La osservò per un secondo, poi la voltò, per far sì che la vedessero tutti.
«È questa la sua carta, signora?»
La donna spalancò la bocca, riconoscendo la sua regina di cuori. Boccheggiò un attimo, in cerca di qualcosa da dire, mentre dal pubblico si levava un applauso entusiasta.
«Ma… ma come ha fatto?» chiese lei, sconvolta. «L’ho tenuta d’occhio per tutto il tempo. Ho osservato tutti i suoi movimenti.»
«È qui che ha sbagliato, signora» la corresse il mago, riprendendo a mischiare le carte. Alzò un angolo della bocca in un ghigno compiaciuto. Poi sollevò lo sguardo, guardando il pubblico. «Perché più da vicino guardi le cose, in realtà meno vedrai.»
Un altro applauso seguì le sue parole, accompagnato da un leggero mormorio. Skyler aggrottò la fronte, riflettendo sulle sue parole. Mentre il mago faceva scivolare lo sguardo sul suo pubblico, incontrò gli occhi della ragazza, soffermandovisi più del dovuto. Le regalò un sorrisetto sghembo, che le fece corrucciare le sopracciglia. Poi, qualcuno le mise una mano sulla spalla.
«Ehi» la chiamò qualcuno, facendola sobbalzare.
Michael le passò un giubbino di pelliccia. «Tieni, questo è per te.»
Lei annuì, titubante. «G… grazie» mormorò.
Il figlio di Poseidone inarcò un sopracciglio. «Skyler, ti senti bene?»
Lei lo guardò. Lanciò un’ultima occhiata al mago, ma questo si stava esibendo in un altro dei suoi trucchetti, sorridendo con la consapevolezza di ingannare tutti. La ragazza si sgranchì la voce. «Si» annuì. «Si, certo. Andiamo. Il laboratorio è un po’ lontano.»
 
Ω Ω Ω
 
Quando finalmente riuscirono a scorgere i contorni del laboratorio all’orizzonte, era già calata la sera.
La struttura era chiusa, come avevano immaginato e sperato. Costretti ad inclinare il capo per poterlo guardare meglio, si sorpresero di quanto in realtà fosse grande. Si avvicinarono alla porta, con cautela.
«Sei sicura di poterlo aprire?» chiese John sottovoce, mentre Emma estraeva il dono di suo padre dallo zaino.
«Fidati di me» ribatté. Si rigirò la carta fra le mani, ed esitò. In realtà, non aveva idea di come funzionasse. Non l’aveva mai usata, e il padre non le aveva detto niente che potesse indurla a capirlo. Con titubanza, premette la carta contro la serratura elettrica. Per un attimo, non successe niente. Poi, questa parve modellarsi fra le sue mani, rimpicciolendo e prendendo la forma di un pass card.
Emma lo passò nella serratura e questa scattò con una lucetta verde. La porta si aprì con un fruscio metallico.
La bionda sorrise, soddisfatta, mentre John inarcava le sopracciglia stupito. «Però» si complimentò, mentre furtivi si introducevano all’interno. La porta si richiuse alle loro spalle con lo stesso fruscio.
Il laboratorio era pieno di corridoi di ogni genere, a loro volta rimpinguati di porte e stanze. I ragazzi non avevano idea di dove cercare, per questo decisero di perlustrare i corridoi nel tentativo di trovare qualche indizio. Mentre camminavano guardandosi intorno con circospezione, l’occhio di Skyler cadde su una porta con un’insegna. Era scritta in molte lingue, tra cui anche il greco, per questo non ci mise molto a tradurla. «John?» chiamò, attirando però l’attenzione di tutti. «Credi che quello di cui ci hai parlato possa essere un progetto top secret?»
I ragazzi osservarono il cartello.
 
PROGETTO TRASFUSIONE ALFA.
REPARTO B.
VIETATO L’ACCESSO AI NON ADDETTI.
 
I quattro si guardarono, decidendo tutti nello stesso istante che quella “trasfusione” poteva riferirsi ad una sola cosa. L’avevano trovato.
Avvicinando la sua carta alla serratura, Emma girò la chiave e la porta si aprì. Quando entrarono dentro, si guardarono intorno ammirati. La stanza era piena di piante di ogni genere: Brocchinia, Ninfea, Edera, Cactus, Zamia. Variavano tutte dal tipo al colore.
John sospirò. «Su una di queste piante deve trovarsi una goccia di rugiada che non è ancora stata assorbita. Dobbiamo trovarla.»
«Dobbiamo cercare su ogni pianta?» chiese Michael, scettico.
«Su ogni foglia» lo corresse il biondo.
I ragazzi cominciarono a cercare, rassegnati. In quella stanza c’era una moltitudine di vegetali diversi, eppure nessuno di questi sembrava sorreggere una sola goccia di rugiada.
Dopo l’ennesima pianta scartata con sconforto, Skyler si fermò a pensare. Doveva pur esserci un modo più semplice, no? Non potevano restare piegati su quelle piante per tutto quel tempo. Osservò i suoi amici, i loro respiri infrangersi sulle foglie e i loro occhi scrutarle attenti. E allora capì. Capì dove stavano sbagliando. Capì qual era il loro errore.
Le risuonarono in testa le parole del mago.
«Più da vicino guardi, in realtà meno vedrai.»
Corrucciando le sopracciglia, si allontanò dalle piante guardandosi intorno. Alzò lo sguardo. Scrutò il soffitto e tutte le pareti. E fu a quel punto che, stringendo gli occhi in due fessure, la vide. Una macchina. No, non era una macchina. Era un condensatore. Entra neve sopra, esce rugiada sotto. Passa attraverso dei tubicini, e poi viene assorbita dalle piante.
«Ragazzi!» esclamò, col fiato sospeso. «L’ho trovata!»
Gli altri seguirono la direzione del suo sguardo. Michael sorrise, sollevato.
«Presto, dammi una fialetta» gli disse Emma, avvicinandosi con John alla macchina. Il biondo se la mise sulle spalle, per far sì che la ragazza potesse arrivarci. Facendo meticolosamente attenzione ad ogni minimo movimento, Emma sfilò con delicatezza un tubicino dalla macchina. Fece scivolare una goccia nella fiala, e poi lo rimise al suo posto. Richiuse la boccetta e scese dalle spalle dell’amico.
Sorrise, raggiante. «Ce l’abbiamo fatta» esclamò.
Poi, l’allarme cominciò a suonare. Delle lampeggianti luci rosse iniziarono ad illuminare il soffitto, e una sirena acutissima attutì ogni rumore ai loro timpani.
«Ma che diavolo succede!» urlò Skyler, confusa.
«Non sono stata io!» assicurò Emma. «Lo giuro!»
«Viene dalla porta principale!» li informò John, sporgendosi fuori dalla soglia. La verità li colpì come uno schiaffo in piena faccia. «Mi sa che abbiamo visite.»
Mentre il panico si dipingeva sui loro volti, si precipitarono fuori dalla stanza. Il fischio della sirena si stava facendo più acuto e snervante, e il sangue pompava nei loro cervelli impedendogli di pensare con lucidità.
Quando svoltarono l’angolo, furono costretti ad arrestare la loro corsa. Alla fine del corridoio, c’erano degli uomini. Indossavano abiti neri e molti impugnavano un’arma. Quando uno di loro si voltò a guardarli, con orrore Skyler riconobbe l’uomo con la cicatrice che li aveva aggrediti in Colorado.
«Eccoli!» tuonò la voce dell’uomo, mentre li indicava con la punta della sua spada. Gli altri partirono alla carica.
«Correte!» esclamò Skyler, precipitandosi dall’altra parte del corridoio.
Dopo un paio di corse sostenute a fatica, i ragazzi si resero conto di trovarsi in una specie di labirinto. A confermare ancora di più la loro teoria fu il momento in cui si ritrovarono in un vicolo cieco. Davanti a loro, una lastra di vetro delimitava la fine del corridoio, mentre alle loro spalle gli uomini urlavano e sbraitavano.
John lanciò un’occhiata al figlio di Poseidone. «Michael!» esclamò. «Tieniti pronto!»
Lui annuì. Accelerarono il passo e si scagliarono con forza contro il muro di vetro, infrangendolo in mille pezzi. Ruzzolarono nella neve. Si rialzarono a fatica, ricoperti di graffi e ferite, e fecero appena in tempo a vedere Skyler ed Emma saltare nella neve accanto a loro che ripresero a correre.
Purtroppo, anche gli uomini si lanciarono oltre il loro varco, a differenza di ciò che avevano sperato.
I ragazzi corsero a perdifiato. La neve rendeva più pesanti e difficoltosi i loro passi, e le urla degli uomini non facevano altro che alimentare ancora di più la loro adrenalina. Finché non diminuirono.
Con il cuore a mille, Skyler si guardò alle spalle, sperando di averli seminati, ma quando riportò lo sguardo davanti a se, le mancò il fiato.
Altri uomini li stavano aspettando alla fine della strada. Non riusciva a capire come fossero arrivati lì, ma smise di chiederselo quando gli altri uomini che li stavano seguendo li raggiunsero.
Erano circondati.
Skyler si guardò intorno, impaurita. Erano nel bel mezzo del nulla, e la città era troppo lontana per poter chiedere aiuto. In altre parole, erano completamente soli.
I ragazzi sguainarono le armi.
«Ma chi si rivede!» esclamò la voce rude e cattiva dell’uomo con la cicatrice. Quest’ultimo di fece largo fra i suoi uomini. «Credevate davvero di scappare, vero?» Rise. «Poveri illusi. Quello di Orlando è stato proprio un bel trucchetto, devo ammetterlo. Ma non vi salverà dal peggio.»
Li guardò con un ghigno malvagio, mentre loro stringevano i denti e impugnavano le loro armi con tale forza da avere le nocche bianche. «Fateli fuori» sibilò.
Gli uomini attaccarono. Skyler vide un ammasso di centroni da ottanta chili venirle addosso.
Indietreggiò, rischiando quasi di perdere l’equilibrio, poi parò il primo colpo di spada. Nonostante fossero molto forti, erano piuttosto lenti, per cui riuscì a disarmare il primo uomo e a farlo cadere con il volto nella neve.
Il secondo fu più difficile da sconfiggere. Le menò un fendente, e poi provò a ferirla con un affondo. Skyler riuscì a parare entrambi i colpi, ma quando lui provò con una stoccata lei si scansò così bruscamente che minacciò di cadere a terra. Le loro spade cozzarono, quando lui tentò di colpirle il volto, e Skyler usufruì di quel contatto per disarmarlo con un rapido movimento del polso ed infilargli la lama nel ventre. L’uomo si accasciò a terra, agonizzante.
Skyler ansimò. Stava per porre fine alle sue pene con il colpo di grazia, quando qualcuno l’afferrò da dietro. Due braccia possenti le strinsero gli arti lungo i fianchi, impedendole qualunque movimento.
L’uomo ridacchiò, mentre lei stringeva i denti e si dimenava nel tentativo di liberarsi. Non poteva utilizzare la spada, e sembrava tutto inutile.
Lo zio le aveva spiegato più volte come agire nel caso qualcuno l’avesse afferrata da dietro, ma non era mai riuscita a sperimentarlo. Era ora di provarci. Gettando la spada a terra, si abbassò sulle ginocchia, riuscendo a scivolare via dalle braccia del nemico. Gli afferrò le caviglie con entrambe le mani e si rialzò in piedi. Quello cadde supino a terra, gemendo di dolore. A quel punto, Skyler gli afferrò le caviglie dei pantaloni e glie li tirò giù. Lo rigirò, usufruendo di tutta la forza che possedeva, e lui si ribaltò, cadendo prono con un tonfo. Poi, sfruttò quel suo momento di disorientamento per afferrare la spada da terra e colpirgli con forza la nuca con l’elsa, facendolo svenire.
Si voltò, pronta a fronteggiare qualcun altro, e fece appena in tempo a ferire un uomo sul fianco, che quello cadde a terra, in una pozza di sangue scuro.  
John, a pochi metri da lei, ne aveva già abbattuti cinque grazie alle sue frecce. Ne stava per afferrare un’altra, quando i suoi polpastrelli sfiorarono ciascuna cocca che aveva nella faretra. Gli venne un tuffo al cuore.
Uno. Due. Tre. Ce n’erano solo tre. Tre misere frecce, poi sarebbe stato disarmato. Che fare, ora?
Si guardò intorno, in cerca di qualcosa che potesse fungergli da arma, ma non trovò niente. Non poteva sprecare le sue ultime frecce, doveva conservarsele per il momento in cui ne avrebbe avuto davvero bisogno. Ma gli uomini si stavano avvicinando, e poco ci sarebbe voluto prima che si rendessero conto che non avrebbe potuto sconfiggerli, e che avessero attaccato.
Nonostante il freddo, John sentì una goccia di sudore colargli lungo la tempia, mentre posava lo sguardo sulla luna. Era piena, e lucente. Sperava non fosse stato costretto a farlo. Ogni volta che utilizzava il suo potere, sentiva sempre una fitta al cuore. Erano tutti suoi nemici, certo, ma vederli esplodere non lo rendeva mai fiero delle sue gesta.
Ma che scelta aveva? Non sapeva neanche se ci sarebbe riuscito. Ci aveva provato sempre e solo con il sole. Ma con la luna era lo stesso, no? Era sempre luce. E poi Artemide non era sua zia? Non lo avrebbe aiutato?
Fece vibrare velocemente lo sguardo dal cielo ai suoi nemici, che correvano verso di lui con le spade sguainate.
Strinse i pugni e si concentrò, ma non successe niente.
Coraggio, supplicò, chiudendo gli occhi. Ormai a separarli c’erano solo pochi metri. Ti prego, ti prego, ti prego.
Quasi le sue preghiere fossero davvero servite a qualcosa, le sue dita brillarono. John le guardò, stupito, mentre qualcosa si modellava sul suo palmo. Era una freccia, dello stesso colore della luna.
Con un po’ d’esitazione, la incoccò. Doveva lanciarla? Era la cosa giusta da fare? Non ci pensò molto quando la cuspide di allontanò dal suo arco e si conficcò nel petto di un uomo. Quello abbassò lo sguardo, terrorizzato, e sgranò gli occhi, quando la freccia penetrò nel suo petto e si dissolse. Non fece neanche in tempo ad incrociare lo sguardo del figlio di Apollo, che fu avvolto da un’aura bianca, ed esplose. John distolse lo sguardo, mentre altri due uomini venivano scaraventati in aria per via dell’impatto.
Un’altra freccia prese forma fra le sue dita e il biondo la incoccò. Gli altri uomini, però, esitarono, spaventati. Li aveva in pugno. Avevano paura di lui.
Ma perché avrebbe preferito il contrario?
A pochi metri di distanza da lui, non essendosi accorti dell’esplosione, Emma e Michael fronteggiavano i nemici schiena contro schiena. Erano circondati, e si sforzavano di allontanarli con fendenti e parate.
Ma il vantaggio numerico faceva la differenza, e ben presto si ritrovarono accerchiati senza nessuna via d’uscita.
Emma avanzò verso uno degli uomini, ferendogli il petto con alcuni fendenti del suo coltello. Poi parò il colpo diretto al suo viso di un altro.
La spada di Michael cozzò contro quella del suo avversario, ed entrambi fecero un passo indietro per non perdere l’equilibrio. Un altro uomo si unì al suo compare, e insieme attaccarono il ragazzo mentre quest’ultimo faticava a tenergli testa. Ma non aveva osservato per anni il fratello lottare per niente.
Fletté leggermente le ginocchia, e, facendo credere all’avversario di volergli colpire il fianco, gli menò un fendente sul viso, facendolo cadere nella neve. L’altro provò a colpirlo, ma Michael gli ferì il dorso della mano, facendogli perdere la presa sulla spada, e poi lo colpì al petto con l’elsa.
Si voltò per fronteggiarne un altro, ma fu troppo lento. L’uomo con la cicatrice lo disarmò e gli colpì il ventre con lo stivale, facendolo cadere a terra. Con la sua suola premuta contro il petto, Michael sentì la punta della sua spada sfiorargli il naso. Chiuse gli occhi, preparandosi al peggio. Ma non accadde nulla. Li riaprì, stupito, e incontrò i suoi occhi malvagi e il suo ghigno soddisfatto.
L’uomo premette la lama contro il suo labbro superiore, senza però infliggergli alcun danno. La fece scivolare sul suo mento, e poi lungo il suo collo, fino a fermarsi sulla giugulare.
Michael tremava. Più per rabbia che per paura, però. Lo guardò, pieno di odio. Stava per sputargli in faccia qualche aggettivo poco carino, quando un grido attirò la sua attenzione.
Spostando lo sguardo, vide Emma divincolarsi dalla presa di due uomini. Uno di loro la teneva per un braccio, mentre le puntava il suo stesso coltellino alla gola. L’altro, invece, aveva stretto nel pungo l’altro suo polso, e le teneva la bocca chiusa con la sua possente mano ignorando i feroci morsi della ragazza.
«No!» esclamò Michael. Cercò di divincolarsi, ma l’uomo con la cicatrice premette con più forza lo stivale sul suo petto, provocandogli una fitta di dolore. Schiacciò di più la lama contro la sua giugulare, poi gli pestò una mano con il piede libero, facendolo urlare di dolore. Emma si divincolò ancora di più nel vedere quella scena.
Michael strinse i denti, trascurando il dolore. «Lasciatela stare» sibilò, con voce soffocata.
L’uomo rise. Incrociò i suoi occhi ora blu, sorridendo divertito. «Povero illuso» lo derise. Spostò tutto il peso sul piede che schiacciava le sue dita. Michael stramazzò, mentre una fitta di dolore gli partiva dal polso e raggiungeva la spalla come un lampo. L’uomo alzò la spada, e la sua lama scintillò sotto la macabra luce della luna, prima che affondasse nel braccio nel ragazzo.
L’urlo straziato del figlio di Poseidone quasi lo divertì. Si voltò verso i suoi uomini. «Ordinate la ritirata» disse, con tono fermo.
«Portiamo entrambi?» chiese colui che premeva la mano sulla bocca di Emma.
L’uomo con la cicatrice la guardò e si avvicinò. Osservò la bionda negli occhi grigi, poi le sfiorò uno zigomo con il dito affusolato, provocandole un brivido di disgusto.
Ghignò, maligno. «No» rispose, lasciando trapelare una certa soddisfazione. «Lei andrà bene.» Poi le diede le spalle e urlò, con voce fredda e glaciale. «Torniamo alla base!»
Tutti gli altri uomini smisero di combattere, estraendo degli strani arnesi dalle tasche. Erano piatti, e circolari. Una pietra verde al centro si illuminò e pian piano, uno ad uno, cominciarono a scomparire.
Skyler e John si guardarono, confusi, prima che si rendessero conto di ciò che stava succedendo.
Michael si era ripreso dal lancinante dolore, e ora faceva perno sul braccio sano, nel tentativo di rialzarsi. Cercò di scorgere la figura di Emma, per poterla aiutare, ma la sua vista era come velata da un panno. Per fortuna, il suo udito funzionava ancora.
«Ma che cosa ne facciamo di lei, Generale?» stava ribattendo l’uomo che puntava un coltello alla gola della bionda.
«Decideremo quando saremo arrivati» rispose brusco l’uomo con la cicatrice, che si scoprì essere il Generale.
«Perché non la gettiamo in mare?» propose allora l’altro uomo. «O la chiudiamo nella cabina.»
«Questi non sono affari che vi riguardano, Capitano!» esclamò quindi il Generale, che stava perdendo le staffe. Estrasse un arnese piatto simile a quello degli altri uomini e questo brillò. «A lei ci penso io.»
Poi, tutti e quattro furono avvolti da un’accecante fascio verde, e le loro figure scomparvero.
«No!» esclamò John, che da lontano aveva assistito alla scena. Fece per corrergli incontro, nel tentativo di salvare la sua amica, ma quando fece un passo avanti, una fitta lancinante gli colpì la bocca dello stomaco, e il fiato gli si smorzò il gola.
Con una lentezza spaventosa, John abbassò lo sguardo. La lama di una spada spuntava dal suo ventre, trapassandolo.
Sangue cremisi sgorgava copioso dalla bocca del suo stomaco, macchiandogli la maglietta.
Un brivido gli corse lungo la cicatrice sulla colonna vertebrale, il punto in cui la lama era affondata.
Un rivolo di sangue gli rigò il labbro inferiore.
La lama si sfilò dal suo ventre, e le sue iridi verdi si rovesciarono all’indietro.
Il suo corpo cedette, ormai privo di respiro e di forza.
Ormai privo di vita.
Skyler urlò.

Angolo Scrittrice.
Zan zan!
Bounjor a tout le monde. Bien bien, sono riuscita pubblicare qesto capitolo. Beh, che dire... penso non sia stato esattamente come ve lo aspettavate. Insomma, si, hanno preso il penultimo ingredente, ma Emma è stata rapita e John ormai è... caput. Ah, dopo tante minacce di morte vi ho accontentato... Credo. Poverino, però. Ok, lo ammetto, potevo regalargli una morte un pò più decente. Un pò più eroica.
Anyway, che ve ne è parso? Vi è piaciuto? Fatemi sapere, mi raccomando. Sono curiosissima **
Ora sappiamo almeno il nome di quel tizio con la cicatrice. Ma che cosa vuole? E chi lo manda? Queste saranno tutte risposte che avrete col tempo.
Scusate, ma sono un pò triste per il nostro amico biondo. Voi no? :,( Povero John. E povera Skyler, anche. Come la prenderà, secondo voi?
Va bieeen... credo che sia arrivato il momento dei ringraziamenti. All'inizio non arrivavano molti commenti, per cui avevo paura di avervi deluso, e che il cpaitolo non vi fosse piaciuto. In tal caso, spero di essermi riscattata.
Ringrazio con tutto il cuore:
Luce_ombra00, giascali, FoxFace00, heartbeat_F_, Kalyma P Jackson, Ciacinski e Ema_Joey. Grazie, angeli. Siete la mia forza **
Oook, ora devo proprio studiare. Bacioni, e al prossimo martedì ;)
oxox,
ValeryJackson


 
  
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