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Autore: Cocomero_    25/02/2014    3 recensioni
Se mai ti capiterà di imbatterti in una fangirl che piange, abbracciala e stringila forte, perché non c'è niente che tu possa fare per risolvere il suo problema.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A OscarLady,
perchè se non fosse stato per la domanda dell'altro giorno,
non mi sarei immaginata niente di tutto questo.

 


Il rumore di pentole sbattute, proveniente dalla cucina riscossero Ava dal dormiveglia in cui si ritrovava da almeno due ore, doveva essere successo qualcosa di grave, perché le ultime note prodotte dai coperchi che rotolavano sulle mattonelle, furono seguite da una fornita sfilza di imprecazioni del coinquilino, per fortuna ovattate dalla porta della camera chiusa.

La ragazza tentò di aprire gli occhi gonfi per il troppo pianto della sera prima, odiava piangere a letto, il naso le si chiudeva subito e lei si ritrovava a dormire per una settimana immersa nei fazzoletti usati, finché non arrivava la domenica, giorno delle grandi pulizie; inoltre, piangere a letto significava svegliarsi il giorno dopo con gli occhi grandi come due palline da ping-pong e una capacità visiva ridotta alla metà.

Eppure aveva pianto, constatò maledicendosi mentre, stropicciandosi gli occhi tentava di dare una forma agli oggetti intorno a lei nell’oscurità della camera semi-buia. Allungò una mano verso il comodino alla ricerca di un pacchetto di fazzoletti non ancora vuoto per potersi pulire le mani impiastricciate con gli ultimi residui del mascara secco di due giorni prima, perfettamente consapevole che la matita nera, ormai, di certo colata, la stava facendo sembrare un bellissimo esemplare di panda femmina pronta all’estinzione; l’unica cosa che trovò, però, fu il pacchetto di caramelle, anche lui vuoto, con cui si era cibata nelle ultime trentasei ore.

Ritirò il braccio sconsolata e sfilando uno degli elastici marroni dal polso, tentò di sistemarsi nel modo migliore la massa indefinita di capelli che si ritrovava dopo due giorni senza pettine; si mise seduta e incrociò le gambe sbadigliando e gettando uno sguardo sulla superficie del letto: fazzoletti usati ovunque, carte di caramelle che li accompagnavano, il libro alla sua destra e il computer in un angolo, ancora attaccato alla corrente per essere caricato, che le mandava deboli richiami attraverso la spia verde della batteria ormai decisamente carica.

Odiava piangere a letto, eppure aveva pianto, pensava di essere abbastanza grande per evitarlo, abbastanza forte per riuscirci, eppure, ancora dopo diciassette volte non riusciva a trattenersi e le lacrime, arrivata a quel punto, scendevano silenziose, senza singhiozzi, senza possibilità di essere fermate.
Ava si sporse verso il libro afferrandolo, dalle pagine ormai grigiastre cadde sulla coperta il segnalibro, una strisciolina di cartoncino arancione con sopra scritto il suo nome, il numero di telefono e il suo indirizzo, quello vero, non quello della sua stanza da fuorisede. Usava sempre quello, perché così, se mai si fosse persa un libro, data la sua perenne testa tra le nuvole, chi l’avesse trovato sarebbe riuscito a rintracciarla.

Sfogliò i fogli fino al capitolo trentasei, indecisa se posizionarlo lì o ventuno pagine prima, all’inizio del capitolo precedente; in fondo lo sapeva benissimo di essere un po’ masochista mentre il cartoncino copriva il numero trentacinque stampato nero su bianco. Chiuse il volume con un colpo secco, ma rimase a fissare la copertina del libro, continuando ad accarezzare con la mano destra le pagine rovinate, finchè, preso da uno sprizzo di vita, il computer spazientito, non decise autonomamente di aprire il lettore CD, lanciando fuori il DVD colorato. “Devo portarlo in riparazione, dovrebbe essere ancora in garanzia.” Decise, infilando l’indice al centro del disco e richiudendo il lettore con il pulsantino bloccato.

Si alzò a fatica scavalcando il filo dell’alimentatore e raggiunse la scrivania alla ricerca della custodia del film che aveva ancora in mano, spostò un paio di fogli, qualche maglietta e finalmente la trovò sotto a un grosso libro dell’università, la aprì e sistemò bene il DVD, la richiuse e rilanciò il tutto nel caos che regnava sopra al tavolo.

Prese dalla sedia, ricoperta dei vestiti, la prima felpa che trovò e infilandosela si accovacciò per terra sedendosi e appoggiò la testa in dietro sui cassetti della scrivania. Da quella postazione la spia della carica del computer continuava a mandargli un debole segnale di aiuto, speranzosa che lei si decidesse a staccarlo dalla corrente; quella lucetta verde era l’unica cosa perfettamente definita nella stanza illuminata soltanto da quella poca luce che riusciva a sorpassare le serrande abbassate. Ava chiuse gli occhi e ebbe un singulto, come se il pianto della sera precedente dovesse essere concluso in qualche modo, perché bisognava morire? Si chiese, e poi, perché a morire erano sempre i migliori? Non si poteva semplicemente rimanere in vita per sempre, o comunque non si poteva morire da vecchi, nel proprio letto, dopo essersi goduti fino in fondo la vita e averla raccontata ai propri nipoti? Perché esisteva la possibilità di morire giovani, nel pieno delle proprie forze? In fondo sarebbe potuto accadere a chiunque, in ogni momento, anche a lei, la settimana dopo, tornando a lezione, investita dall’autobus che prendeva ogni mattina; probabilmente di lei nessuno si sarebbe ricordato, ma di lui si, un sacco di persone, forse farlo morire lo avrebbe fatto entrare nella schiera degli eroi, ma perché? Perché farlo morire? In fondo per lei era un eroe anche da vivo…

Riaprì gli occhi e poggiò la testa sulle ginocchia abbracciandosi le gambe e sperando che le lacrime non tornassero a farle visita, ma anche senza piangere, la sensazione di tristezza non accennava a diminuire, stava lì, in mezzo ai polmoni, poggiata sullo sterno, in agguato, come un grosso sasso impossibile da digerire. Odiava se stessa e quell’uomo, troppo importante per essere sparito così, in pochi secondi, dietro a un velo di persone chiacchierone; tutti parlano sempre troppo della morte, ma qualcuno si sentiva veramente come lei in quel momento?

Ava fu riscossa da un altro rumore proveniente dalla cucina e dalle imprecazioni di Liam che lo seguirono; si mise a quattro zampe e a gattoni tentò di raggiungere di nuovo il letto, scavalcò il filo dell’alimentatore e si arrampicò sul materasso senza neanche preoccuparsi di infilarsi sotto alle coperte; cercò a tentoni con la mano il libro alla sua destra e strinse con le dita quelle ottocento e passa pagine stampate, per poi portarsele davanti al volto e aprirle dove aveva infilato il segnalibro.

Era più forte di lei, sapeva perfettamente che non l’avrebbe aiutata per niente, che avrebbe aumentato la sua tristezza, che dopo sarebbe stata peggio, ma non riusciva a smetterla, non riusciva a non pensarci e a non rivedere quella scena davanti agli occhi, così, morto sul colpo, con ancora l’ultima risata sulle labbra. Iniziò a leggere, sapeva a memoria ogni riga di quel capitolo, ma leggerle di nuovo era un’altra cosa, anche se sapeva perfettamente come sarebbe andata a finire.

In pochi secondi era già arrivata alla terza pagina, ma la sua lettura fu interrotta da un colpo prepotente e deciso alla porta e dalla voce del coinquilino al di là del legno: “Cazzo Ava! Sei sveglia? –stava urlando- sono due giorni che sei chiusa qua dentro, sto impazzendo! Vuoi deciderti ad uscire?”

La ragazza staccò gli occhi dalle parole e infilando l’indice tra le pagine chiuse il libro poggiandolo accanto al cuscino.
“Ricordi? Avevamo un patto! Tu cucini io lavo, ma non mi sembra che tu sia cucinando! E poi mi vuoi spiegare cosa sta succedendo? Ok tutte le stronzate che ognuno si deve fare i cavoli propri, ma è successo qualcosa? Stai male? E cazzo! Rispondi!”

“Mmmmmmmh – mugugnò lei nascondendo la faccia nel cuscino – lasciami in pace Liam! Vai via!”

“Eh no, mia cara! Almeno adesso so che sei viva, ma non me ne vado via, o esci tu o entro io! Hai mangiato qualcosa almeno?”

“Caramelle.” Rispose Ava, rendendosi conto anche lei dell’assurdità della sua risposta.

Risposta che doveva aver colpito anche il ragazzo, perché ci fu qualche secondo di silenzio fuori dalla porta, prima che questa venisse spalancata di botto davanti a un Liam alquanto alterato: “Caramelle? Ma te sei completamente pazza! – sbottò entrando nella stanza – alzati forza!” Le ordinò guardandola incavolato prima di rendersi conto del caos che regnava nella stanza e dell’odore di chiuso che aleggiava nell’aria.

Con qualche difficoltà raggiunse spedito la finestra, la aprì e tirò su le serrande, facendo entrare la luce dei raggi di quello che doveva essere ormai un sole da mezzogiorno: “Non rompere le scatole, lasciami qua, non pui capire.” Si lamentò Ava rannicchiandosi nel letto e coprendosi gli occhi con le mani. “Cosa? Cosa non posso capire? Spiegamelo visto che non posso capire! Alzati, vai a farti una doccia e poi mi racconti tutto mentre mangiamo, qualcosa sono riuscito a cucinarla.”

“No, prima o poi mi passerà, vai a mangiare, riabbassa la serranda e non scocciarmi!” Borbottò girandosi verso il muro e dando le spalle al ragazzo immobile in mezzo alla stanza. Sembrava aver funzionato, perché seguirono alcuni minuti di silenzio mentre Ava si si rannicchiava ancora di più stringendo al petto il libro in cui ancora stava tenendo il segno con il dito; ma Liam non era abituato a perdere contro nessuno, quindi figurarsi contro una ragazza capricciosa che in pigiama sembrava ancora più piccola di quanto non sembrasse vestita normalmente, quindi, scavalcando il filo dell’alimentatore e stando molto attento a non
inciamparci e a trascinare per terra il computer , raggiunse il letto e si abbassò verso di lei.

Ava sperava di essersi liberata dello socciatore e già stava cominciando a sorridere soddisfatta, ma poi sentì qualcosa insinuarsi tra il suo corpo e le lenzuola e in pochi secondi si ritrovò sollevata in aria a quaranta centimetri dal materasso, riprese al volo il libro che le stava cadendo stringendolo forte in mano prima che Liam, che l’aveva appena presa in braccio come se si trattasse di un pacco di pasta, si girasse, scavalcasse di nuovo il filo e si dirigesse verso la porta della stanza: “Ma che cazzo? Lasciami! Mettimi giù subito! – urlò dimenandosi – lasciami immediatamente o ti picchio! Fatti gli affari tuoi, non puoi capire! È morto! E’ MORTO!”

“Ma chi è morto? Ava, mi vuoi spiegare?”

“Non puoi capire…” singhiozzò lei stringendosi al petto, come ad aggrapparcisi, il libro che aveva in mano.
“Spiegami così capisco…e poi dammi questo.” E osò mettere le mani sul volume.

“Non ti azzardare – ricominciò ad urlare lei – non provare a prendermelo!”

“Se ci tieni lascialo, che se no si rovinerà!” Le impose lui, ma Ava non sembrava averlo ascoltato mentre combatteva per tenersi il libro, battaglia ovviamente vinta da Liam che, sfilandoglielo dalle mani, lo poggiò sul mobile dell’ingresso dove ormai erano arrivati.

“RIDAMMI HARRY POTTER!” Urlò la ragazza disperata mentre lui la girava e se la caricava su una spalla, con tanta delicatezza quanta ne avrebbe usata per un sacco di patate, le bloccò le gambe per evitare i calci che stava per sferrargli, incurante dei deboli pungi che continuava a sbattergli sulla schiena e si incamminò veloce lungo il corridoio.

“Ridammi Harry Potter… - Singhiozzò Ava tirando su con il naso – ne ho bisogno….”

“Non dire cazzate! E spiegami cosa è successo, chi è morto.” Sbottò Liam aprendo la porta del bagno e attraversando la stanza.

Il ragazzo si fermò davanti alla vasca, controllò di avere un telo a portata di mano e poi con molta poca delicatezza ci poggiò la ragazza dentro facendola sedere sulla ceramica; prima che lei potesse realizzare, troppo intenta ad asciugarsi le lacrime, prese il braccio della doccia e aprì l’acqua dirigendo il getto verso il suo volto: “Adesso calmati e raccontami tutto!” Urlò per sovrastare il rumore dell’acqua.

Ava per un attimo pensò di morire soffocata, tra i singhiozzi e l’acqua che quel deficiente le aveva aperto in faccia pensò seriamente di morire soffocata, poi tra uno sputacchio e l’altro riprese a respirare e realizzò di essere seduta nella vasca completamente vestita e con il pigiama completamente zuppo. Scoppiò a ridere perché la faccia di Liam era veramente buffa e perché alla luce del sole sembrava tutto meno grave, la risata si mischiò alle lacrime che erano rispuntate mischiandosi con le gocce che scendevano lungo le sue guance e trascinavano con loro i resti della matita nera.

“Ma stai ridendo o piangendo? - Chiese Liam chiudendo l’acqua – vuoi spiegarmi chi è morto?” Implorò osservandola dall’alto del suo metro e ottanta mentre la ragazza si passava le mani sul volto per  asciugarsi gli occhi.

“Sirius, è morto Sirius…” Rispose lei alzando la testa e guardando il ragazzo con sguardo colpevole, mangiucchiandosi il labbro di sotto sperando che non gli venisse in mente l’idea, più che giustificata, di affogarla veramente.

Liam impiegò una manciata di secondi a realizzare chi fosse morto, guardò le mattonelle bianche del bagno di fronte a lui cercando qualcuno di sua conoscenza che si chiamasse in quel modo prima di capire effettivamente di chi si trattasse. Abbassò lo sguardo verso Ava che lo stava fissando con gli occhioni verdi spalancati e il labbro arrossato dai denti, sperando di aver frainteso tutto o magari di non aver capito bene il nome, quindi si accovacciò accanto alla vasca poggiando le braccia sul bordo e il mento sopra alle mani, in modo di arrivare a raggiungere la stessa altezza del volto della ragazza e poterla guadare negli occhi nel rivolgerle la seguente domanda a metà tra il perplesso e l’incazzato.

“Ma stiamo parlando di Sirius Black?”

“Si, odio pagina 746…”






 
  
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