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Autore: rachel_hetfield    25/02/2014    6 recensioni
Presi una boccata d’aria troppo grande, mi girò la testa e mi appoggiai al metallo freddo della capsula. «Come puoi amarmi se mi odi?»
«Non so come dirtelo che non ti odio.»
Lasciai il metallo e mi avvicinai di più a lui. Con la mano destra mi allungai verso il pulsante del timer. Un suono robotico lo fece partire.
«Non fare cazzate» singhiozzò «ti prego. Resta qui. Non ce la farei senza di te.»
Avevo impostato il timer per sessanta minuti, un’ora esatta. Avevo un’ora di tempo per decidere se fare le valigie, o attirare Kevin e rimandarlo indietro, a Oslo.
Evitai le sue labbra che si erano chinate su di me. «Devo... devo restare da sola. Torniamo nella locanda. Devo pensare.»
«Non farlo...» mormorò con la voce strozzata dal pianto.
Scossi la testa mordendomi un labbro. Fortunatamente ero voltata di spalle, perché avevo iniziato a piangere anche io.
«Rachel, ti amo.»
Singhiozzai e mi sentì. Il mio cuore balzò. Mi aveva circondata con le braccia, di nuovo. Solo che stavolta piangevamo entrambi. Il destino ce l’aveva con noi.
«Ti amo anche io, Dan.» [capitolo 16]
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dan p.o.v.
Qualche rumore e voce sommossa echeggiava nella mia testa, che stava esplodendo. Non sapevo cosa fare, le braccia erano legate dietro una sedia e le gambe anche, in più ero al buio per colpa del sacco che avevo sul capo. Mi vennero i brividi quando una risata poco amichevole si fece vicinissima a me, non avrei potuto reagire. Una presa forte e nervosa mi sfilò il cappuccio facendomi male agli occhi, colpiti dalla luce fioca e azzurrina della stanza.
Quando mi abituai alla luce, potei vedere il volto che mi guardava con odio di Kevin, e qualche tizio in abito nero che mi fissavano, attenti.
«Sei sveglio, signorino» sibilò alitandomi in faccia. Avrei voluto sputargli adosso.
Annuii con ribrezzo e mi prese per i capelli facendomi male, rigettando la testa all’indietro. L’ultima volta che mi avevano fatto così era stato pochi giorni prima, con Rachel, quando era andata totalmente, si era ubriacata a non finire. E io avevo paura di quel lato oscuro di Rachel. Mi piaceva, ma mi aveva messo paura.
Era come una massa concentrata di tristezza e di dolore che aveva tirato fuori in una notte.
«Facciamo così, io non ti ammazzo e tu mi consegni la mia ragazza, ci stai?»
La mia voce era più soffocata della sua, calma e impenetrabile. «Anche se sapessi dove si trova non ve lo direi di certo.»
«Ce la consegnerai, è diverso.»
Mi lasciò andare i capelli e con tutta la forza sbattei la fronte sul suo naso, facendolo barcollare all’indietro e lui in tutta risposta mi diede un pugno facendomi cadere di lato dalla sedia. Avvertii quasi subito il dolore, ma sopportai. Mi bruciava forte il labbro, in più il dolore alla testa e alle tempie era aumentato. Risollevò la sedia e mi piantò i suoi occhi pieni d’odio nei miei, che non volevano altro che rompergli la faccia.
«Ti do cinque minuti per pensarci: o consegni la mia ragazza, e la riporterò sana e salva a casa, da Kris che mi ha disperatamente chiesto di venire qui, oppure chiederò ai ragazzi di scavare cinque fosse, quattro per voi e una per lei.»
«La tua ragazza?» forzai una risata.
«Qualcuno ha mai detto che non lo è?» rispose a tono.
Grugnii. «Nessuno si è sognato di dire che tu e Rachel state insieme. Evidentemente l’amore non è reciproco.»
Mi diede un altro schiaffo. «Sei inutile come tutti gli altri vermi del ventunesimo secolo, compresi quegli idioti francesi che le danno la caccia. Ti azzardi anche a dire che lei non mi ama?»
«Non ti ha mai amato, sei un pazzo maniaco, ecco cosa!»
«Senti ragazzino» sibilò «non impedirò di certo a te, viscido letame, di soffiarmi l’unica persona che mi sia mai permesso di amare.»
Ridacchiai senza allegria. «Non sapevo fossi capace di amare, complimenti. Peccato che non ci tieni abbastanza da mantenerla senza farle del male o traumatizzarla.»
Poggiò la mano sullo schienale della sedia facendomi sollevare i piedi da terra, rimandendo in bilico sulle gambe posteriori della sedia. «Non credo che toglierle la verginità sia stato un gesto carino da parte tua.»
«Di certo non tenterei di ucciderla, al contrario di te» mi irrigidii quando mi ricordai quella sera.
Fece tornare la sedia con tutte e quattro le gambe per terra, e sbuffai.
«Lei ha paura di te, Daniel» disse digrignando i denti.
«Infatti» risposi acido «lei è spaventata dell’amore. Non ha paura di te perché tu sei semplicemente un essere pericoloso a cui deve stare attenta. Non è spaventata. Ti strapperebbe le palle senza pensarci due volte.»
«Quando la troverò le darò la possibilità di farlo. E poi ammazzerò prima te e poi lei davanti ai vostri stessi occhi. Non vi meritate altro, fate solo schifo.»
Tutto l’odio del mondo si era concentrato su di me. Una fitta allo stomaco, un pensiero agghiacciante mi fece fischiare l’orecchio, non avevo intenzione di lasciarla andare, ma avevo il dubbio che avessero potuto ammazzarci davvero. Lei compresa.
«Sai, voglio isticarti un po’: non so se Rachel ti ha detto che da noi è vietato il contatto tra uomo e donna, ma ti informo che con qualche consenso qua e là il matrimonio è fatto.»
Battei i piedi sul pavimento freddo per non agitarmi troppo. Prima, muovendo le mani e le gambe, una scarica elettrica mi aveva fatto perdere i sensi. Erano manette futuristiche, ma altamente letali, e stavo scoprendo quale pericolosità potevano avere le cose del terzo millennio.
«Lei non ha acconsentito, non acconsentirà mai» soffiai.
Scoppiò in una fragorosa risata. «Peccato che corrompere i governatori è facilissimo!»
«Non ti ama!» ribattei urlando. Quello che ricevetti in risposta fu una gomitata sull’addome, mugugnai di dolore, ma poi mi zittii.
«Sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui le avrei rovinato la vita come lei ha rovinato la mia l’esatto momento in cui ho ammesso a me stesso che ci saremmo sposati.»
Grugnii. «Non ne hai il diritto.»
«E tu che ne sai? Sei un preistorico uomo del ventunesimo secolo, indietro mentalmente di mille anni, non devi dirmi cosa posso e non posso fare. È la mia ragazza, e me la tengo io.»
«Tu sei solo un pezzo di merda» ruggii, e lui smise di ridacchiare. Si avvicinò a pochi centimetri dal mio viso.
«Ripetilo» disse tra i denti.
In tutta risposta gli sputai sulla giacca nera e mi piantò il manico di una specie di pistola sul diaframma, impedendomi per due secondi di respirare. Ne stavo ricevendo troppe, ma ce l’avrei fatta. Lei aveva sopportato di peggio per me, stava sopportando di peggio, dovevo resistere. Per lei, per noi, perché la amavo. Non sarebbe tornata nel futuro con quel pazzo. Kevin sarebbe tornato a mani vuote, se non con qualche osso in meno.
«Quest’uomo non parla. Andiamo a cercare Rachel Hetfield e lo sgorbio con la barba, prendete l’altra auto.»
Un tizio disse qualcosa con accento francese. Erano sicuramente uomini che non questa storia non c’entravano nulla. «Signore, il nostro capo ci ha detto che...»
«Digli di non rompere il cazzo, vi ho presi in affitto dall’FBI o come si chiama finché non troverò quella smorfiosa e l’avrò riportata a casa» gli urlò contro e il mio istinto omicida salì sempre di più. Se solo l’avessero sfiorata... sarei impazzito. Ma sicuramente aveva raggiunto Woody, in un certo senso mi sentivo sollevato. Era un tipo responsabile, e lei non era di certo stupida. Pregai affinché si salvasse. O almeno, che me l’avrebbero lasciata salutare prima che se ne andasse per sempre.
La porta d’uscita sbattè forte. Un rumore sottile come una specie sibilo mi fece sobbalzare.
«Pssst... Dan!»
Mi guardai intorno, ma non c’era nessuno. Davanti a me si apriva un corridoio, e al di là di quest’ultimo vidi altre sbarre laser di colore blu intenso. Mi affacciai cercando di non cadere avanti.
«Dan!» sussurrò il soggetto.
«Kyle?»
«Sì, sono io!»
Tirai un sospiro di sollievo. «Kyle, come stai? Che ti hanno fatto?»
«Sto bene, tu? Sentivo che te le davano di santa ragione.»
Scossi il capo. «Non importa, ora devo solo liberarmi. Devo trovare Rachel, temo che possano portarla via.»
«Non so come liberarmi, queste sbarre fanno venire le scosse, sembrano elettrici... ma che cazzo succede? Da dove vengono questi, cosa vogliono?»
Gettai un’occhiata alle mie spalle, ma le catene con il laser azzurro mi impedivano di muoverle. «Lascia perdere, prima o poi quegli stronzi torneranno e ci lasceranno andare. A meno che Woody, Will o Rachel ci trovino prima.»
Kyle si zittì di colpo, così anche io. Dei gemiti sconnessi e un tonfo, seguiti da una porta che sbatteva. Il mio cuore smise di battere per un secondo.
«Fai silenzio, che ci scoprono» soffiò una voce femminile. Resuscitai da ogni coma che mi affliggeva, il dolore alle tempie passò, ogni arco di tempo e di distanza che ci separavano andarono a puttane. Mi venne da urlare il suo nome, ma uscì solo un urlo soffocato per la troppa emozione. Non mi contenevo. Avevo bisogno di vederla e sapere che stava bene.
«Chi è stato?» aggiunse l’altro, di cui riconobbli la voce all’istante: era sicuramente Woody.
«Kyle!» gridò lei, e la vidi comparire in fondo al corridoio, affiancata da Chris che si spostava la chioma folta. Saltai con la sedia in avanti illudendomi di raggiungerla saltando e caddi con la faccia in giù, facendomi malissimo alla fronte. Lanciai un gemito di dolore mordendomi le labbra per la botta ricevuta.
I suoi passi veloci e leggeri echeggiarono nelle mie orecchie come una nuova musica. Era di nuovo accanto a me, mi stava salvando di nuovo.
Sollevò la sedia e ci guardammo negli occhi, ridendo. Afferrò il mio viso tra le mani e mi baciò, come non aveva mai fatto, lasciandomi di sorpresa, e pensai di svenire. Ero sempre stato io che le rubavo baci, che la coccolavo, non mi dedicava mai troppe attenzioni. Ero rinato, e avevo troppo bisogno di stringerla.
«Stai fermo, sciolgo le catene elettriche» cantò la musa, la mia musa. Non di Kevin. Lei non apparteneva a nessuno, se non a me. Mi sorrise poco sicura e, digitando qualcosa su uno schermo tecnologico sul suo polso, finalmente le mie gambe si separarono, le mani furono libere di muoversi. Mi alzai in piedi afferrandola per le spalle, spingendola contro il muro e la strinsi a me più forte che potei, poggiando le labbra sulle sue, morbidissime. Sussultò, ma poi allungò le mani sul mio viso. Ricambiò il bacio, eravamo così stretti che condividevamo anche il respiro, il battito del cuore. Sarei rimasto con lei per tutta l’eternità, solo per sentirla respirare, parlare, per odorare il suo profumo così nuovo, un profumo che non avevo mai conosciuto prima. Lo sentivo quanto mi amava, quanto aveva bisogno di me, e io avevo bisogno di lei come l’ossigeno. Poi ci separammo da quella morsa beata, mi prese per mano e mi portò nella stanza dove era rinchiuso Kyle, in gabbia come un leone, rannicchiato su se stesso per il poco spazio. Lei aveva tra le mani un dispositivo insolito, dove digitava una serie di formule e di strani numeri.
Le sbarre laser sparirono e Kyle si alzò in piedi stiracchiandosi. «Ma come diavolo hai fatto?» le chiese incredulo.
«Io sono una scienziata, Kyle» rise lei, facendo sorridere anche me, come sempre; ma il sorriso scomparve dalla sua bocca. Mi avvicinai a lei, e vedemmo entrambi fuori dalla finestrella Kevin che si avvicinava. La nostra unica via d’uscita era bloccata.
«Siamo in trappola» mormorò senza muovere un muscolo, era paralizzata.
«Toc toc» sbuffò la voce di Kevin da fuori. Ci aveva scoperti, aveva capito che lei era qui. Ma era solo, e noi eravamo in quattro.
La porta si aprì e la sua faccia era sorpresa quanto incazzata.
«Chi ha bussato?» ironizzai.
«Dan non fare cazzate» sussurrò Rachel tenendomi per il manico della felpa grigia. Era terrorizzata, e non potevo fare altro che gettare fuori da quella stanza quel sacco di merda proveniente dal futuro.
Le scostai la mano dal mio braccio e gli andai contro, tirandogli un pugno nello stomaco. Kevin si accasciò in ginocchio, e tirò fuori un marchingegno che emanava scariche elettriche. Lo vidi appena, poi lo stato si fece confusionale.
«Dan, spostati! Vieni via!» urlò lei, ma sentii solo quello. Una morsa mi circondò la gamba, coperta dai jeans neri aderenti, e caddi per terra nel vuoto totale. Cos’altro era successo non lo sapevo. Vedevo il nero. Le forme. Le voci che echeggiavano. Tanti volti tristi e spenti. Il nero le ingoiò, lasciandomi da solo ad affrontare quel terribile regno senza luce, senza la mia Rachel.
 
Rachel p.o.v.
In una frazione di secondo Kevin aveva tirato fuori il trasmettitore di impulsi elettrici, lui era caduto, Kevin si era lanciato su di lui e gli tirò un pugno in pieno volto. Prima che sia Kyle che Woody intervenissero afferrai la solita vecchia spranga e la tirai sulla schiena di Kevin. Mi bloccò dopo un secondo, non gli avevo fatto niente, mi scagliò contro il muro, mi circondò il collo con le mani ma le braccia lunghe ed esili di Kyle gli strinsero la vita stretta e lo gettarono all’indietro.
«Rachel, vattene, portati dietro Dan e andatevene, a lui ci pensiamo noi» mi rassicurò Woody mentre teneva ferme le gambe di Kevin.
Non capivo cosa stesse dicendo, non lo sapevo, presi il trasmettitore di impulsi elettrici dalle sue mani e lo premetti sulla schiena, mandandolo così in stato di trance.
«Non fare cazzate, vattene!» mi urlò contro Kyle.
Scossi la testa cercando di respirare. «Aiutatemi a portare Dan, l’effetto dura per dieci minuti, sbrigatevi!»
Gli legarono per bene le braccia e le gambe con le manette elettriche, chiedendomi come avessero capito come usarle, e poi vennero a sorreggere Dan.
«Prendi quel coso che lancia le scariche elettriche, dovremmo pur difenderci» mi consigliò Chris calmo ma anche preoccupato e affannato. Io ero terrorizzata, non potevo fare qualcosa di lucido quando avevo Kevin davanti, era il mio incubo che si stava trasformando in realtà.
Pochi secondi dopo essere usciti da quell’abitazione i tizi in nero ci stavano già inseguendo, e Kyle mi urlò più volte di scappare ma non lasciavo nemmeno un attimo la mano a Dan, ancora privo di sensi, sospeso tra me e Chris.
Non controllavo né emozioni né respiro, ero finita in un mondo a parte, mi perdevo, qualunque cosa i due ragazzi mi dicevano subito la dimenticavo. Guardavo Dan e mi veniva da piangere, singhiozzavo, mi bruciavano gli occhi.
Più volte rabbrividii pensando a cosa sarebbe potuto succedere se in quel momento non ci fossero stati i ragazzi, sarei finita di nuovo nel futuro, a soffrire, subendo le cattiverie di Kevin. Non era vero che lui non voleva farmi del male, Dan non lo sapeva, lui non poteva capire di cos’era capace.
I fari di un’automobile si piazzarono davanti a noi.
«Merda, merda, merda!» imprecò Kyle sbattendo i piedi. Poggiammo Dan per terra, che si stava lentamente riprendendo, e mi ordinarono di fuggire.
«Non voglio lasciarvi qui» singhiozzai.
«Devi andartene! Non capisci che ci ammazzeranno tutti?» urlò quello alto agitandosi più che mai. Scossi la testa, non volevo ascoltarlo, e mi chinai verso Dan schiaffeggiandolo. Lo chiamavo, apriva di poco gli occhi e li richiudeva. I fari si spensero, rumori di sportelli che si chiudevano mi rimbombarono nelle orecchie.
«Vattene!» ruggì Woody.
«Dan, svegliati, ti prego» mormorai. Alzai lo sguardo e due uomini in nero si avvicinavano minacciosi. Respirai a fatica, deglutendo, continuando a dare schiaffetti a Dan che mosse la bocca, lo afferrai per le spalle e lo scossi violentemente. Aprì totalmente gli occhi e si spaventò.
«VATTENE RACHEL!» gridarono i ragazzi in coro.
«Non me ne vado!» risposi alzando i toni. Presi il trasmettitore di impulsi elettrici e lo puntai contro i due tizi che si avvicinavano muniti di pistole laser. Deglutii trattenendo le lacrime.
«Est-elle la fille qui doit venire avec nous?» sussurrò uno dei due in una lingua a me incomprensibile. L’altro aggiunse qualcosa di ancora più difficile da capire. «Je sais pas, Kevin a dit qu’elle est blonde» riuscii a distinguere solo il nome di Kevin; intanto si erano avvicinati e avevano puntato le pistole contro di me, con la mano tremante
«Dans la voiture! Dans la voiture!» gridò uno e subito quello accanto mi fu addosso. Kyle reagì con violenza, gettandosi su di me tirandomi verso di lui e i ragazzi.
«Fermo! Kyle, fermati! Ti ammazzeranno!» lo pregai urlando a voce acuta. Il tizo mi sfilò il trasmettitore e mi paralizzò puntandomi la pistola verso la tempia.
«Dì ai tuoi amici di non muoversi o ti ammazzo» mi disse nell’orecchio con un inglese dall’accento sconosciuto. Rabbirividii, singhiozzai, e poi riferii.
«Dice di non muovervi» mi scese una lacrima «o ammazza me.»
Vidi una testa muoversi dietro di loro. I suoi occhi, che erano diventati azzurri come il ghiaccio, balenarono nella mia mente e me li impressi per bene. Sapevo che difficilmente ci saremmo rivisti.
Urlò il mio nome, ma Kyle lo bloccò. Ci fissammo, con le iridi inondate di lacrime, l’uomo in nero che mi trascinava lentamente verso la macchina. Singhiozzai sempre più forte chiamando l’unica persona che avevo mai amato, e mi tappò la bocca per poi buttarmi all’interno della macchina. Chiusero la portiera e serrarono l’apertura, impedendomi di fuggire. Gridai contro il vetro, tiravo pugni. Cercavo di romperlo e di scappare, di non tornare a casa, nel futuro. Le nocche mi facevano malissimo, erano diventate rosse, con un calcio mossi un poco il vetro, una gomitata, prima che lo sconosciuto mi puntasse il trasmettitore di impulsi elettrici che mi avevano sequestrato.
Mi si bloccava il fiato, volevo tornare da loro, da Dan, mi sarei rotta una gamba o qualunque altra cosa purché di non restare in balia di Kevin.
La macchina partì, e continuavo a dare testate e gomitate al vetro che sembrava cedere. I due ruggivano in una lingua a me sconosciuta e mi minacciavano con le pistole. L’altro sbadato poggiò il trasmettitore di impulsi elettrici vicino al sedile anteriore e lo afferrai velocemente colpendo il tipo a sinistra, poi quello che stava alla guida. L’auto sbandò schiantandosi contro il muro di un’abitazione deserta, e si piegò da un lato. Continuai a tirare pugni al finestrino che ormai stava in alto, mentenendomi tra i due sedili. Presi la pistola laser, col manico distrutti il vetro e qualche scheggia mi colpì il viso, ma non sentii dolore. Graffiandomi le mani e le gambe uscii da quell’inferno, misi la pistola nella tasca e corsi sopportando il bruciore dei tagli che iniziavano a farsi sentire. La sua voce echeggiò da lontano e la seguii. Tutti e tre, in piedi, con lo sguardo perso che saettava a destra e sinistra, mi chiamavano. Risposi al richiamo e corsi verso di loro.
Dan aprì le braccia e lo abbracciai forte. Il mio cuore aveva ripreso a battere, lui mi accarezzava i capelli e mi dava baci sulla fronte.
Mormorò qualcosa. «Dio mio, tu sanguini...»
Mi guardai le mani e dei tagli sottili sulle dita e sul palmo emanavano una quantità industriale di sangue. Tremai e soffiai, con i denti che battevano. Non avevo mai sanguinato in vita mia, tranne che poche volte e in poca quantità. Le gambe mi bruciavano. Le guardai, e i pantaloni di jeans nero si stavano macchiando di un colore più scuro e denso. Mi girò la testa, e si formò un nodo alla gola.
«I-i-io n-non...» balbettai sperando di non svenire.
«Tranquilla va... va tutto bene» mi lasciò un bacio sulle labbra e ci guardammo negli occhi. I suoi erano di un azzurro nitidissimo, cristallizzato, arrossati dalle lacrime e dalla stanchezza.
Annuii e tornai a stringerlo.
«Ragazzi» intervenì Kyle «dobbiamo trovare Will e tornare a Congledon.»
Dan rispose di sì con la testa. Mi ricordai di avere la scatoletta di Kyle, la cercai nelle tasche e per fortuna era ancora lì, e gliela tesi.
«Ehi, ti ringrazio» mi sorrise.
«Purtroppo si è spenta... non sono riuscita a capire come ricaricarla.»
Scosse le spalle e alzò lo sguardo all’orizzonte.
Dan mi prese la mano, guardandola. «Kyle, andiamo nel bosco, lì ci troveranno difficilmente. Raggiungeremo la tua auto e andremo a Congledon, Will è sicuramente tornato lì se non lo ha preso Kevin.»
Ci incamminammo strisciando silenziosamente nell’ombra. Scrutai il mio analizzatore da polso e guardai l’orario: le tre e mezza di notte. Il tempo passava troppo velocemente quella notte.
Mi guardai alla spalle e Dan tossiva molto forte. Pensai che fosse l’effetto del trasmettitore di impulsi elettrici, e continuai a camminare in silenzio, stringendogli la mano. Davanti a me, Kyle e Woody scrutavano la strada, gli angoli, le svolte, si guardavano le spalle. Finalmente, dopo aver attraversato un’infinità di incroci e di vie deserte, con l’adrenalina che mi bruciava i polmoni e la ragione, vidi l’ingresso del bosco.
Mi ricordai che Kevin aveva il chip di riconoscimento sul giubbotto scuro e accesi il mio analizzatore. Kevin era a Frodsham, ma dall’altra parte della città rispetto a dove ci trovavamo noi. Notai che aveva dato a ciascuno dei suoi scagnozzi sicuramente del ventunesimo secolo un chip, infatti vedevo i segnali rossi provenire da vari punti. Due erano immobili, forse quelli nell’auto. Altri due sparsi nel bosco, uno a qualche centinaio di metri lontano da noi. Pensai fosse il caso di spegnerlo prima che ci localizzassero. Ci addentrammo nel bosco con massima cautela, e riferii ai ragazzi cosa sapevo.
Loro fecero finta di capire, ma non glielo rispiegai. Strisciavamo in massimo silenzio, attenti a studiare ogni mossa e ogni passo che non fosse il nostro.
Dan e io, con le mani strette una all’altra, ci guardavamo di continuo anche se la poca luce della luna ci illuminava appena i volti. Riuscivo a distinguere i tratti del suo viso, ma non i colori, come la prima volta che lo guardai. Era sempre bello. E mi chiesi se era stato quel profilo armonioso ma anche misterioso a farmi battere il cuore. Troppo presa da lui urtai Woody che si era immobilizzato. Un passo che non era uno dei nostri avanzò, in lontananza. Vidi l’ombra dell’uomo che si girava intorno, controllando l’analizzatore da polso. Deglutii e ordinai agli altri di stare fermi. La sua pistola laser si sporgeva in bilico dalla sua tasca, presi la mia, la puntai e la polverizzai lasciandolo così disarmato. Polverizzai anche il trasmettitore. E urlò subito qualcosa in una lingua sconosciuta correndo da una parte all’altra. Dissi ai ragazzi senza alzare la voce di proseguire il più presto possibile. Sapevo perfettamente che dopo aver disattivato il suo analizzatore gli altri non lo avrebbero localizzato e avrebbero pensato subito che fossimo stati noi.
Per la prima volta in vita mia avevo sparato a qualcuno senza fargli del male, mi meravigliai della mia precisione.
«Io non sono ancora riuscito a capire cosa sta succedendo» si lamentò Kyle strattonandomi per un braccio, la tensione si stava facendo troppo alta.
«Te lo spiegherò» mi giustificai «ma adesso non c’è tempo.»
Woody si bloccò di nuovo, e gli sbattei contro la schiena per la seconda volta. «Mi sa che quella è è l’uscita del bosco, ce l’abbiamo fatta.»
«Non cantate vittoria, quel pezzo di merda potrebbe farsi vivo a momenti» intervenì Dan «Rachel, controlla su quell’aggeggio la posizione di Kevin.»
«È un dispositivo altamente rilevabile, ci troveranno in mezzo secondo.»
Sbuffò. «Non ci resta che prendere la macchina di Kyle e...
«... tornare alla macchina del tempo, impostare il timer per ripartire e Kevin si ritroverà costretto ad andarsene» dissi con un leggero sollievo e speranza nella voce.
«Aspetta, cosa?!» strillò Kyle «Macchina del tempo?»
Sia io che gli altri due lo ignorarammo. «Propongo di non rimanere alla locanda, dobbiamo prima trovare Will. Se ci trovano non potremo reagire.»
Tirai fuori la pistola laser di poco prima. Non se n’erano nemmeno accorti che avevo allontanato il tizio, il laser viaggiava silenziosamente e bruciava qualunque cosa senza generare rumore. Feci finta di non aver visto gli sguardi sorpresi e un poco spaventati dei ragazzi e la puntai verso un punto impreciso. Sparai e una pietra si disintegrò.
«Credete che non sia capace di difendermi?»
Un po’ allibiti, si ripresero e batterono le mani.
«Ragazzi, siate seri, io non ci trovo niente di eclatante ritrovarsi a usare un’arma per difendersi» li rimproverai «Dan, dove si trova la macchina?»
«Su per quel sentiero, dobbiamo risalire da lì dato che per scendere abbiamo usato la parete ripida. Altrimenti sarebbe impossibile.»
Annuii e subito mi incamminai impugnando forte la pistola laser, mentre gli altri mi seguivano. Mi guardavo spesso le spalle per accertarmi che non ci fossero i tizi in nero a seguirci, prendendo uno di loro. Dan era incollato a me, mi stringeva la mano libera, e mi indirizzava sulla strada da seguire. Finalmente un sentiero poco sicuro si intravide, scavato nella roccia chiara, e cominciammo a salire. Kyle e Woody erano ancora con noi, così decisi di alzare il passo e correre verso la macchina blu che si distingueva da lontano. Dan e Kyle salirono sui sedili anteriori, mentre Kyle guidava, e io e Woody ci sedemmo dietro nel caso avessi dovuto attaccare con la pistola. Lui teneva il trasmettitore di impulsi elettrici, quindi in qualche modo mi sentivo al sicuro. L’auto rombò e sfrecciammo verso l’uscita della città che portava direttamente a Congledon. Dopo una decina di minuti di inferno in quell’affare finalmente arrivammo a Congledon, davanti alla locanda. Kyle frenò bruscamente ed entrammo nel locale spento e aperto. Tutto era al proprio posto, a parte qualche sedia spostata.
Mi misi in testa che dovevamo trovare Will.
«Chris e Kyle, andate a cercare Will» gli ordinai.
Annuirono. «Voi che farete?» chiese Kyle.
«Noi due andiamo a impostare l’ora di partenza di Kevin. Dobbiamo avere il tempo necessario per trovarlo, fuggire e far arrivare Kevin alla capsula prima che mi prendesse.»
I due subito ritornarono nell’auto. Spettava a me e Dan decidere cosa fare: salvarci e continuare a stare insieme, oppure rimandare tutto indietro nel tempo, dimenticarci all’istante del nostro incontro e vivere come avevamo sempre fatto.
Uscimmo dalla locanda camminando a passo svelto verso la macchina del tempo. «Sei ancora dell’idea di voler dimenticare tutto?»
Lo squadrai con gli occhi socchiusi. «Io non voglio dimenticare tutto, voglio solo che io e te possiamo fare una vita normale.»
La capsula era ancora aperta, con un paio di fogli all’interno. «Una vita normale posso farla solo con te.»
«State mettendo a repentaglio la vostra sicurezza per colpa mia, dovreste tutti odiarmi per questo» ribattei secca passando il mio chip sulla capsula mentre lui mi osservava attentamente.
«Ti sembrerà strano, ma ti amo fin troppo per ammettere che vorrei odiarti. Io vorrei, davvero, ogni tanto non ce la faccio a stare accanto a te un minuto di più, ti farei tornare da dove sei venuta, dimenticare per sempre che esisti, a volte ci penso, ma poi ti guardo, sento che mi odi anche tu e... e non desidero altro che averti al mio fianco.»
Rimasi qualche secondo in silenzio a riflettere la risposta. «Sei libero di odiarmi quando vuoi. Non è la mia faccia a doverti fare tenerezza.»
«Non è la tenerezza, è la pietà che ho di te.»
Sbuffai staccando il chip e rimettendolo nell’analizzatore. Avevo preso i dati di Kevin e potevo recuperare il suo codice di neurofono, entrando in possesso dei suoi messaggi telepatici. «Se tu hai pietà di me puoi anche toglierti di mezzo. Non ho bisogno della tua... misericordia per sopravvivere. Se stai qui con me solo perché hai pietà di me, beh, vai a cercare Will. Posso cavarmela da sola.»
«Non era questo che intendevo dire!» cercò di giustificarsi.
«Senti, nessuno ti ha chiesto niente come nessuno ha chiesto niente a me, posso benissimo impostare la data del giorno prima che venissi qui e togliermi dalla tua testa se ti do tanto fastidio!»
Sbatté un piede per terra. «Quanto ti odio quando fai così, non sai fare un cazzo di ragionamento sensato.»
«Odiami, odiami pure, è la cosa che ti riesce meglio!»
Non mi ero accorta che avevo alzato troppo la voce. Ero sul punto di premere quei tasti per tornare al 23 dicembre 3023.
«Credo che sarebbe più semplice odiarti, ma non ci riesco, è difficile!»
Strinsi la mascella. Sentivo che gli occhi si gonfiavano di lacrime. «Provaci. Non ti costa nulla.»
Premetti il tasto per impostare un timer di ritorno quando lui mi bloccò la mano. «Non voglio che te ne vai.»
Le sue guance si erano bagnate. Era così bello quando mi pregava di restare. «Mi dimenticherai, come tutto il resto.»
La sua voce stonò per le lacrime. «Non voglio dimenticarti, Rachel! Io voglio restare qui, con te.»
«Non è un buon motivo per continuare a rischiare la vita.»
«Io ti amo. E questo è un buon motivo.»
Presi una boccata d’aria troppo grande, mi girò la testa e mi appoggiai al metallo freddo della capsula. «Come puoi amarmi se mi odi?»
«Non so come dirtelo che non ti odio.»
Lasciai il metallo e mi avvicinai di più a lui. Con la mano destra mi allungai verso il pulsante del timer. Un suono robotico lo fece partire.
«Non fare cazzate» singhiozzò «ti prego. Resta qui. Non ce la farei senza di te.»
Avevo impostato il timer per sessanta minuti, un’ora esatta. Avevo un’ora di tempo per decidere se fare le valigie, o attirare Kevin e rimandarlo indietro, a Oslo.
Evitai le sue labbra che si erano chinate su di me. «Devo... devo restare da sola. Torniamo nella locanda. Devo pensare.»
«Non farlo...» mormorò con la voce strozzata dal pianto.
Scossi la testa mordendomi un labbro. Fortunatamente ero voltata di spalle, perché avevo iniziato a piangere anche io.
«Rachel, ti amo.»
Singhiozzai e mi sentì. Il mio cuore balzò. Mi aveva circondata con le braccia, di nuovo. Solo che stavolta piangevamo entrambi. Il destino ce l’aveva con noi.
«Ti amo anche io, Dan.»
 
Writer’s wall
No ok io sto troppo nei casini. Non so cosa caspita fare, penso proprio che il finale ci sarà tra poco, non so se farlo finire bene o male. Giustamente adesso non aggiorno velocemente come prima, mi prendo più tempo per pensare a cosa scrivere, a quale piega deve prendere la storia...insomma, tra la scuola, le lezioni di danza e tutto il resto il tempo per scrivere si sta smorzando di brutto.
Avete tante domande da farmi, lo so, troverò una risposta per tutte quante. Chissà, il finale potrebbe essere nel prossimo capitolo, o nel capitolo 18, niente è impossibile per una mente contorta e crudele come la mia. Però boh insomma, questo capitolo è il più lungo e incasinato, spero riuscirete a capire qualcosa e che recensirete in tanti, voglio che vi fate sentire ogni tanto. Vi voglio bene a tutti voi, sia lettori che recensiscono, che seguono, e anche i lettori silenziosi. So che siete tanti. E non smetterò mai di ringraziarvi, questo lavoro non sarebbe mai stato così importante per me se non fosse per tutti voi.
Grazie, e aspetto i vostri commenti positivi/negativi (:
Tantissimi baci, Angelica
  
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