*****
La
mattina dopo mi svegliai completamente intontita e con un mal di testa
lancinante. Avevo l’aspetto di un mostro, con le occhiaie
pronunciate sotto gli
occhi e i capelli terribilmente in disordine, ma il lavoro mi chiamava
a gran
voce, fischiandomi nelle orecchie.
Il letto
era lì a tentarmi e sembrava che mi pregasse
perché tornassi sotto le coperte,
al calduccio e al sicuro, ma strinsi i denti e decisi di tornare in
quella
piscina.
Quando
arrivai, tutto era già in pieno fermento. Sembrava che ci
fossero persino più
nuotatori del giorno prima e, con piacere, riuscii a scorgere anche
qualche
ragazza qua e la: almeno quell’ambiente non era monopolizzato
dal sesso
opposto.
Vista la
brutta esperienza del giorno prima mi spostai dall’ingresso
principale e
cominciai a camminare piano vicino alle piscine, in cerca di mio padre
in mezzo
a tutto quel movimento frenetico.
Non
riuscii a trovarlo, ma in compenso riconobbi, mentre era in acqua,
Travis.
Sembrava molto concentrato a terminare la sua vasca
Presi
dalla borsa la mia macchina fotografica e cominciai a scattare,
regolando varie
impostazioni di tanto in tanto.
L’obiettivo
quasi ingannava: lui sembrava una persona normale e con un carattere
normale,
ma avevo già appurato il contrario. Avevo già
appurato quanto detestassi il suo
carattere da diva, da prima donna e quando riuscisse ad infastidirmi
anche solo
con l’accenno di un sorriso.
Una mano
si poggiò sulla mia spalla, distogliendomi dal mio lavoro.
Papà.
“Ciao”,
dissi in tono svogliato.
“Buongiorno
Maya”. Lui, invece, sembrava
tutto pimpante ed allegro come un bambino a Natale. Il mio completo
opposto.
In fin
dei conti aveva sempre cercato di avvicinarmi al nuoto, di far nascere
anche in
me quella passione che era diventata il suo lavoro e la sua vita, e
sembrava
che, grazie a quel lavoro che tanto smaniavo per avere, ci stesse
riuscendo.
“Non
c’è motivo per essere così felici,
papà”,
mugugnai continuando con i miei scatti.
“Che
succede, tesoro?”. A quella domanda
mi voltai verso di lui, con gli occhi spalancati per la sorpresa.
Possibile
che non si fosse accorto davvero di niente?! Di come avesse sbagliato
nella
scelta del mio soggetto, di come avesse sbagliato sul conto di travis?
“Me
lo stai chiedendo veramente?
Sono costretta a lavorare con un idiota!”.
Posai
ancora lo sguardo, attraverso l’obiettivo, su Travis che
aveva cominciato
un’altra vasca. E scattai ancora. E ancora. E ancora.
“Ah…”, disse mio padre in tono che mi
parve sconsolato, quasi offeso. Guardai di nuovo verso di lui e vidi
che
fissava il pavimento con un cipiglio sul viso.
“Oh
no, non tu, papà! Quel Travis!”,
esclamai.
“Ah
ora capisco. Scusa, sarà la vecchiaia”.
Restammo
per un paio di minuti in silenzio a guardare tutto il movimento nel
palazzetto.
Sapevo
che per mio padre, tutto quello che vedevo, era
“casa”, era la sua vita, ma ai
miei occhi si mostrava come un semplice allenamento giornaliero.
La mia “casa”
era la fotografia, la possibilità di bloccare i momenti a
mio piacimento, di
congelare attimi per poi farli diventare indelebili, non tutto quello
che avevo
davanti agli occhi in quel momento, e sapevo che a mio padre non
sarebbe mai
andato a genio, ma non potevo davvero risolvere la situazione. Avevamo
passioni
diverse, pensieri diversi e obiettivi diversi.
Mi ero
innamorata della fotografia quando ancora ero un’adolescente
in cerca di un
sogno da raggiungere e, dopo un po’ di tempo, mi disse che ce
l’avrei fatta. Ad
ogni costo. Sarei diventata brava, sarei diventata famosa e ognuno
avrebbe
visto e conosciuto la mia storia e l’impegno impiegato per
diventare qualcuno.
E a piccoli passi ci stavo riuscendo: stavo scalando quella montagna,
forse un
po’ troppo alta, ma a piccoli passi mi stavo avvicinando
sempre più alla meta.
“Comunque
Travis è un bravo ragazzo, forse un
po’ arrogante, ma io lo conosco bene e, dopo tutto quello che
ha passato si è
ripreso alla grande”, ruppe il silenzio mio padre,
in tono pieno di
orgoglio. Il suo sguardo, mentre seguiva il protagonista del nostro
dialogo,
diceva tutto: era davvero fiero di lui, come se stesse parlando del
proprio
figlio, ma faticavo moltissimo a credere che, proprio quel Travis
conosciuto
appena un giorno prima, potesse davvero aver passato dei guai.
“Dopo
tutto quello che ha passato?! Il parrucchiere
gli ha sbagliato taglio di capelli?”, dissi
fingendomi dispiaciuta.
“Non
scherzare, Maya! ”, mi rispose mio
padre, severo. “Non so chi, tra te e
lui,
abbia sofferto di più”.
A quelle
parole il sorriso che avevo sulle labbra svanì e sentii il
sangue gelarsi nelle
vene.
Ero
perfettamente consapevole di non essermela passata nel migliore dei
modi,
quando ero più piccola, quindi pensai a cosa poteva essere
successo a Travis
per essere paragonato a me.
Nonostante
tutto, mio padre ed io abbiamo sempre avuto il coraggio e la forza di
rialzarci
dopo ogni caduta e di uscirne sempre più forti, sempre
più indistruttibili.
“Beh
il suo passato non conta, adesso. Ieri
mi ha trattata come una stupida!”.
Mio
padre si voltò verso di me con aria divertita e un sorriso
sulle labbra. “Oh ti prego, Maya,
sai come difenderti”.
Sorrisi
anche io, sapendo che aveva perfettamente ragione.
Non ero
mai stata simpatica a tutti per la mia sincerità. Alla gente
non piace quando
gli viene spiattellata in faccia la dura verità. A volte
sembrava un male, ma
io ho sempre preferito dire le cose come stavano, la realtà,
piuttosto che
inventare scuse su due piedi e costruire una stupida messa in scena.
Feci un
altro paio di scatti qua e la, prima di rendermi conto che Travis mi
fissava
con sguardo serio, quasi glaciale. Colsi
l’opportunità e scattai, senza
considerare minimamente lo sguardo di Travis che ancora mi sentivo
addosso.
Guardai
il risultato nel piccolo schermo della macchina fotografica e notai,
con
sollievo, che il risultato sembrava decente.
Riposi
ancora l’obiettivo su Travis e continuai a scattare, mentre
usciva dalla vasca
e spariva negli spogliatoi.
“Sono
venute bene?”, chiese mio padre.
“Non
so, ma non sembrano male”, gli
risposi alzando gli occhi su di lui.
Al suo
fianco si era materializzata una donna che pareva più un
condominio: altissima
con dei tacchi vertiginosi, pelle perfettamente tirata e truccata quasi
a
regole d’arte. I capelli castano scuri, con un taglio a
caschetto, facevano
risaltare le sue iridi blu oceano e la schiera di denti perfetti, che
mostrava
in un sorriso, facevano quasi spavento.
Strabuzzai
gli occhi davanti a quell’ammasso di chirurgia plastica.
“Claudio!”,
esclamò la modella in
pensione
Mio
padre si voltò sorpreso verso la voce e sorrise. “Oh Tanya, che piacere rivederti”.
La donna
lasciò due baci sulle guance di mio padre, dandosi
importanza, prima di tornare
a mostrare la schiera di denti bianchi.
“Anche
per me è sempre un piacere”. Solo
in quel momento riuscii a distogliere gli occhi da quel viso
innaturalmente
bello e giovane e mi resi conto del suo accento straniero: sembrava
americana.
Fortunatamente
quella donna non mi considerò minimamente, altrimenti
avrebbe visto la
terribile quantità di stupore e di shock che avevano preso
in possesso il mio
viso, impedendomi qualsiasi tipo di colloquio.
“Cosa
ti porta qui, Tanya? Sei venuta a
trovare tuo figlio?”.
Figlio?! Chi poteva essere il figlio di
quel disastro?
“Oh
si, devo chiedergli un
favore. Inoltre, è molto tempo che non lo vedo”.
I modi
di fare di quella donna mi lasciarono allibita: sembrava essere nata
per il
ruolo della gatta morta. Sorrideva e ammiccava a mio padre come se
volesse ottenere
qualcosa oppure come se fossero… amanti!
Oddio
no!
Sperai
con tutto il cuore che, le mie, fossero solamente fantasie.
Notai
l’abbigliamento da ragazzina che indossava e pensai che, quel
vestito succinto,
sarebbe stato stretto addirittura a me.
Di certo
il fisico, a quella Tanya, non mancava: mostrava gambe chilometriche e
anche
belle, ma per l’età che le davo, avrebbe potuto
decisamente evitare mise del
genere.
Cercai
di distrarmi, così cominciai a girovagare, per
l’ennesima volta, per le piscine
facendo alcuni scatti che, magari, mi sarebbero stati utili in un altro
momento.
Di tanto
in tanto gettai lo sguardo ancora su mio padre ancora intento a parlare
con
quella Tanya, ma mi convinsi a non farmi tante paranoie. Avevo
già abbastanza
grane per dover pensare a mio padre e a quella donna. Insieme.
Trovai
una sedia a un lato di una piscina e la spostai vicino al muro,
così da non
essere in mezzo. Mi sedetti e guardai le fotografie che avevo appena
scattato.
Le
osservai con attenzione un paio di volte, prima che qualcuno
bussò alla mia
spalla. Sollevai lo sguardo e… Evviva!
Travis
torreggiava su di me con sguardo impassibile.
“Ciao
Maya”.
“Ciao
Travis”.
Trovò
una sedia poco distante e la sistemò vicino alla mia,
sedendosi e sospirando.
Rimase in silenzio un paio di minuti prima di cominciare a parlare.
Io,
intanto, guardai in giro pur di non dover guardare la sua faccia da
sbruffone.
“Se
non ti dispiace, oggi preferirei saltare
il tuo prezioso servizio fotografico”.
Mi
voltai di scatto, assalita dalla rabbia nei suoi confronti.
Speravo
scherzasse, che mi prendesse in giro, e quella volta lo avrei
addirittura
accettato, perché non avevo nessuna voglia di tornare in
quel posto un altro
giorno, ma quando vidi il suo viso sembrava terribilmente serio.
“Come,
scusa?!”, chiesi allibita.
“Non
sono in vena di essere il tuo soggetto
oggi, mi dispiace”. Quel suo tono scontroso mi fece
ribaltare lo stomaco
dal nervosismo.
“Cosa…
Perché?!”.
Travis
voltò di scatto lo sguardo verso di me: aveva
un’espressione quasi da
allucinato. Le pupille dilatate facevano risaltare ancora di
più le sue belle
pupille cangianti, ma ciò non mi distolse dal risentimento
che mi aveva
investito come un fiume in piena.
“Questi
non sono affari tuoi!”, sibilò.
Incrociò
le braccia al petto e distolse l’attenzione da me. Mi
sembrava di aver a che
fare con un adolescente, in quel momento.
Sentivo
le mani cominciare a tremare. Avrei tanto voluto lanciargli qualcosa
addosso a
quella sua stupida faccia e a quel suo stupido broncio stizzito, ma per
sua
fortuna non avevo niente a portata di mano, se non la mia macchina
fotografica,
perciò preferii ingoiare anche quel rospo e provare a
calmare i nervi.
“Oh
mi dispiace se la piccola star si è
alzata con il piede sbagliato, stamattina, ma si da il caso che a me
quelle
foto servano. E subito. Quindi si, sono affari miei!”.
I miei onesti
tentativi di reprimere la rabbia non stavano funzionando: mi stavo
facendo
divorare. “Si da il caso che non
navighi
nell’oro, a differenza tua, suppongo. Ho bisogno di quel
lavoro e di quei
soldi!”. Sembrava che neanche mi sentisse, quel
ragazzo, ma io continuai il
mio monologo sperando di fargli venire un po’ di sale in
zucca. “Non mi interessa niente dei
tuoi capricci da
diva!”, aggiunsi quasi senza fiato.
Mi
sentivo il volto in fiamme da quanta rabbia avevo in corpo.
“Tu
non sai niente di me, Maya. Niente!
Perciò mi faresti un favore se smettessi di parlare come se
mi conoscessi”.
La
mascella mi cadde: l’offeso era diventato lui.
In
condizioni normali mi sarei addirittura complimentata con lui per come
fosse
riuscito a rivoltare la frittata.
Riposi
l’attenzione altrove con fare scostante, come aveva fatto
Travis poco prima.
“Allora
perché non te ne vai?! Stavo molto
bene qui da sola, prima che arrivassi tu”.
“Meno
sto con mia madre, meglio è!,
mormorò.
Madre?!
“Madre?”.
Tornai
con lo sguardo su di lui,
con gli occhi leggermente fuori dalle orbite.
Per
quanto mi costasse ammetterlo anche solo a me stessa, era palesemente
un gran
bel ragazzo, Travis, il ché lo rendeva ancora meno
sopportabile e ancora di più
l’idiota che si dimostrava, ma quello sguardo serio e quasi
cattivo era davvero
particolarmente affascinante. Gli occhi cangianti sembravano essersi
rabbuiati,
ma riuscivano a donargli un qualcosa di estremamente pericoloso.
Cercai
di distogliere l’attenzione dai particolari del viso di
Travis.
“Si,
madre. Quella mora con l’atteggiamento
da star e che sta parlando con Claudio”.
Lanciai
un’occhiata a mio padre che ancora chiacchierava animatamente
con quella Tanya.
Soffocai una risata, sperando che lui non se ne fosse accorto, al
pensiero che quella donna, in
realtà, fosse la madre
di Travis. Tornai seria.
“Non
mi sembra italiana, però”, dissi
nella speranza di sviare il discordo e di calmare il mio istinto di
scoppiare
in una risata.
“Californiana”,
disse posando lo sguardo
sul mio. “È lei che ha
scelto il nome
Travis… che idiozia!Non puoi immaginare quanto, per anni,
abbia desiderato un
nome italiano, normale”, mormorò con un
sorriso mesto. “Non è
una madre facile. Per niente!”, aggiunse senza
distogliere
gli occhi da me.
Cavolo…
Continuò
a guardarmi, con gli occhi assenti e forse ancora un po’
arrabbiati, per alcuni
secondi prima di riporre l’attenzione sul fermento nelle
piscine. Ognuno restò
in silenzio per alcuni minuti, poi mi alzai decisa a tornare a casa,
non avendo
più niente da fare.
“Allora
me ne torno a casa! Grazie ai tuoi
capricci da diva sono venuta fin qui per niente”,
aggiunsi regalandogli un
piccolo inchino. “Fantastico!”.
Mi fece
un po’ pena per un momento, pensando alla madre che si
ritrovava, ma quel
momento passò in un attimo: ero ancora furiosa per il modo
con cui mi aveva
dato buca.
Lui rise
ed io lo fulminai con lo sguardo.
“Sono
ancora arrabbiata con te, non mi sembra
che ci sia qualcosa da ridere! Due minuti passati a parlare con me da
persona
civile non ti cambiano il carattere e non cambiano l’idea che
mi sono fatta di
te”, dissi tutto d’un fiato.
Alle mie
parole, Travis mi gelò con lo sguardo.
La
nostra, sembrava una gara tra chi dei due guardava più in
cagnesco l’altro, ma non
ero intenzionata a cedere. Di certo non
per fargli crescere ancora di più quel suo ego spropositato.
“Ho
provato a parlarti da persona civile, me
se proprio vuoi fare la stronza, va
bene!”, disse alzandosi dalla sedia e sovrastandomi
con la sua altezza. “Vedremo chi
avrà la meglio”.
Detto
questo se ne andò senza dire altro, lasciandomi allibita
davanti alla sua
uscita trionfale.
Passò
una settimana.
Ogni
giorno andavo alla piscina per nuove fotografie perché
ancora non avevo fatto quello
che volevo fosse lo scatto vincente.
Durante
quella settimana tornai anche alla redazione della rivista sportiva con
alcuni
scatti, ma la direttrice, bionda, perfetta e terribilmente glaciale, mi
disse
che nessuna mia fotografia la conquistava.
Fantastico!
In
compenso mi disse anche che vedeva nel mio lavoro molto potenziale, ma
anche
che la solita location era scontata e cominciava a stancarla,
così mi suggerì
di portare Travis in altri posti per nuovi servizi fotografici.
Dopo
quel colloquio mi segregai in casa a sperare che i miracoli esistessero
davvero.
Sperai
con tutta me stessa di trovare lo scatto giusto e farla finita con
quella
storia.
I giorni
seguenti furono un inferno: un continuo via vai dalla piscina alla mia
camera
oscura.
Mi
sentivo stremata e la presenza di Travis non aiutava
Sembrava
avesse come unico obiettivo quello di rendermi la vita impossibile:
quando ne
aveva la possibilità, faceva di tutto per rovinarmi gli
scatti, altrimenti gli
riusciva molto semplice ridicolizzarmi davanti a tutti.
E ci era
riuscito: per svariate volt, poi.
Cercai
di vendicami quando si presentò ancora sua madre, agghindata
per l’ennesima
volta come fosse una sedicenne.
Quando
ne ebbi l’occasione, le spiegai a cosa servivano i miei
scatti e le dissi , con
suo grande e palese dispiacere, che Travis non sembrava adatto alla
macchina
fotografica.
In quel
momento non mi sembrava un piano eccezionale, anzi pareva
un’azione molto
adolescenziale, ma speravo che Tanya sarebbe andata a rimbeccare suo
figlio per
un maggior impegno da parte sua.
Quello
stesso giorno, quando mi incamminai verso l’ufficio di mio padre per avvisarlo che
sarei tornata a casa
di lì a poco, mi sentii strattonata da qualcuno che mi fece
entrare in quello
che sembrava il ripostiglio per tutto l’occorrente per le
pulizie.
Venne
accesa una solitaria luce al neon attaccata al soffitto. Quello
stanzino era
davvero minuscolo con al suo interno una quantità
incredibile di scope, stracci
e secchi, il che rendeva tutto molto più stretto. Davanti a
me si stagliava una
scaffalatura in ferro piena di prodotti, detergenti per le pulizie.
Indietreggiai
e mi scontrai contro chi mi aveva scortato non proprio gentilmente in
quel
buco.
Mi
voltai e vidi gli occhi di Travis. Molto, troppo vicini.
Quella
stanza era talmente piccola che ci trovavamo costretti a rimanere a
meno di un
metro di distanza l’uno dall’altra.
Lui
indossava solamente il costume da bagno e notai che la sua pelle ancora
luccicava di gocce d’acqua.
Accidenti!
“Davvero
un colpo basso, Maya!”, sibilò
inferocito con uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque.
“Come,
scusa?”, chiesi cadendo dalle
nuvole.
“Dire
quelle cose a mia madre!”, esclamò.
Mi arrivò alle narici il familiare odore di cloro che,
evidentemente, emanava
la pelle di Travis. “Mi è
venuta a dire
che sono un pessimo soggetto e che non si sarebbe mai aspettata una
cosa simile
da me, avendo una madre come lei”. Era davvero
arrabbiato.
A me
sembrava una banalità, uno scherzo alla pari con quelli che
mi aveva fatto lui,
ma Travis l’aveva presa decisamente sul personale.
Mi
chiesi cosa potesse aver fatto sua madre, in passato, per essere tanto
detestata dal figlio.
Non ne
capii il motivo, ma un sorriso divertito mi comparve sul viso. Come
poteva
essersela presa per così poco?!
“Oh
la piccola star ha l’ego ferito, ora?”,
dissi con finta compassione. “Quanto
mi
dispiace!”.
“Non
ho l’ego ferito, stupida, ma se deve per
forza esserci questa specie di guerra psicologica tra noi, che rimanga
tra te e
me. Mia madre mi crea già abbastanza problemi da sola!”,
quasi urlava,
Travis. Pregai con tutta me stessa che il corridoio fosse completamente
deserto.
Era
palesemente adirato con me, ma non potevo lasciare che mi mettesse i
piedi in
testa. Dopotutto, se ero andata a parlare con sua madre c’era
stato un motivo
più che valido. Si lamentava tanto e diceva che quella
nostra “guerra
psicologica” doveva restare tra noi due, quando lui era stato
il primo a
coinvolgere l’intera palestra.
Mi aveva
ridicolizzata fin troppo bene quando, uno dei giorni precedenti, mi
aveva
“accidentalmente” spintonata, facendomi capitolare
a terra, davanti gli occhi
di tutti.
Gli
sguardi di scherno, le risate ed i bisbigli che ne seguirono mi avevano
fatta
imbestialire.
“Non
mi sembra che ti stia dando un limite
per ridicolizzarmi davanti a tutti, o sbaglio?”,
gli puntai l’indice contro
il petto. “Ti sto solamente
ripagando con
la stessa moneta, Travis!”, aggiunsi in collera.
Le mie
parole non ebbero l’effetto che avevo sperato: Travis
sgranò gli occhi,
incredulo poi divenne, se possibile, ancora più infuriato.
Come
potevano, due occhi così belli, appartenere ad una persona
come lui, ad una
persona tanto piena di se ed irritante?
Fece un
passo verso di me, prendendomi alla sprovvista e costringendomi ad
arretrare.
Mi ritrovai con la schiena poggiata alla scaffalatura in ferro.
Travis
si mosse ancora verso di me e poggiò le mani su di essa, ai
lati della mia
testa. Ero in trappola.
Lui,
tuttavia, mi era pericolosamente vicino, come non lo era mai stato, e
quei suoi
occhi furenti cominciavano farmi davvero paura.
Si,
cominciavo ad avere paura. Non aveva avuto ancora occasione di vederlo
così
imbestialito e con l’espressione da allucinato.
“Piantala
di crearmi problemi, Maya, e forse
avrai quelle tue maledettissime foto, così finalmente te ne
andrai”, disse
con un filo di voce piena di veleno e rabbia.
Mi
sentivo impietrita. Travis mi sovrastava con fin troppa
facilità e una
sensazione di impotenza mi prese le ginocchia, facendomele sentire
deboli.
Si
avvicinò ancora a me, sempre con quella strana ira nei suoi
occhi cangianti. Mi
squadrò da capo a piedi, come per schernirmi, e se ne
andò sbattendo la posta,
come era arrivato: in un attimo.
“Oddio”,
sospirai accasciandomi a terra, esausta ed impaurita.
*
Come al solito parto con i ringraziamenti, perchè mi sembra d'obbligo... Quindi GRAZIE a tutti! Da chi recensisce a chi se ne sta zitto zitto in un angolo a leggere la mia storia! Se potessi stritolerei tutti in un abbraccio!
Comunque... Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto e che la storia stia procedendo per il verso giusto! Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima! :)