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Lo vidi
strabuzzare leggermente gli occhi. Non ci poteva credere nemmeno lui.
Se non
fosse stata attaccata al cranio, di sicuro mi sarebbe caduta la
mascella per la
sorpresa, così serrai i denti prima che mio padre potesse
accorgersene.
“Piccola,
lui è Travis”, mio padre sembrava al settimo
cielo con quel sorriso sognante che si ritrovava sul viso. “Travis, lei è mia figlia
Maya”.
Lo vidi
ancora più sorpreso o spaventato, Travis, e in parte poteva
anche piacermi
quella sua reazione, ma non potei fare a meno di sentirmi davvero
contrariata.
Cercai
di mostrarmi il più tranquilla possibile, mentre le mani
ricominciavano a
prudermi.
In quel
momento realizzai che non poteva andare peggio di così:
avrei dovuto
fotografare Mr. Egocentrico per poter ottenere un lavoro. Fantastico!
Tesi la
mano verso di lui, mostrandomi diplomatica, senza rancori, anche se
dentro di
me in quel momento, di diplomatico, c’era davvero poco.
“Piacere”, dissi con tono più
glaciale del
previsto. Lui mi prese la mano e me la strinse leggermente. Aumentai la
stretta.
“Piacere
mio”.
Il suo stupore aumentò.
Mio
padre continuò a parlare, con i suoi occhi azzurri che
brillavano, anche se mi
sembrava più un giudice di pace in quel momento. Maledissi
mentalmente il
giorno in cui avevo accettato l’aiuto di mio padre.
“Travis
devi sapere che Maya si è
laureata in fotografia e ha trovato lavoro, per una rivista
sportiva…”
“Non ancora, papà”, mormorai mentre ancora ribollivo
di rabbia, sempre con lo sguardo puntato su quello di Travis.
Lui,
invece, sembrava molto interessato alle parole di mio padre: porgeva
tutta la
sua attenzione a lui, anche se sulle labbra c’era
l’ombra di un sorriso
divertito.
“Si,
hai ragione. Per il lavoro
le hanno commissionato un servizio su uno sport a sua scelta,
così le ho
consigliato di venire qui ed ho pensato a te come soggetto
ideale”, continuò a blaterare.
“Uno
sport a mia scelta, già…”, sussurrai talmente piano che
mio padre non mi sentì.
Travis,
per un momento, sembrava aver perso ogni sicurezza, quando sul suo viso
comparve un’espressione smarrita, pareva senza parole, ma poi
tornò ad
aleggiare sul suo viso quel suo sorrisetto divertito. E dentro di me si
mosse
la paura di quel suo ipotetico gioco, come lo aveva chiamato poco
prima, a mio
discapito, ma ero decisissima a non dargliela vinta così
facilmente. Ero decisa
ad ottenere quel posto ad ogni costo, anche sopportare un megalomane di
quel
calibro.
“Oh
capisco. Qual è la rivista in
questione?”
“Non sono tenuta a dirtelo!”, esclamai brusca, forse un
po’
troppo di quanto avrei dovuto.
“Maya,
tranquilla”, mi calmò mio padre
poggiandomi
una mano sulla spalla. Mi voltai verso di lui e mi guardò
ancora sorridente.
Cominciava ad essere irritante. “Travis,
spero accetterai senza problemi”.
Travis
mi guardò dubbioso, forse per soppesare la sua prossima
azione, ma poi tornò a
sorridere a mio padre. “Si…
penso che non
avrò nessun problema nell’aiutare tua figlia,
Claudio”.
Soffocai
una risata per il patetico tentativo di quel ragazzo di dimostrarsi
gentile
verso mio padre, quando con me si era dimostrato tutt’altro.
“Hai
sentito Maya? Ho la netta
sensazione che lavorerete benissimo, insieme”, esclamò felice, con
ancora quel sorriso
speranzoso che mi face quasi venire il volta stomaco.
Sospirai.
“Si, certo papà”,
posai lo sguardo su
Travis e una fitta mi colpì lo stomaco quando vidi il suo
sorriso, ancora tra
il divertito e il malefico. Pensai a come gli sarebbero calzate a
pennello
corna, forcone e coda da diavolo.
“Certo,
Claudio, sarà un piacere
lavorare con lei”.
Giuro che adesso vomito, pensai.
”Mi
fa piacere sentirtelo dire,
Travis”, disse
mio padre dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Oddio.
Mi
chiesi come mai avrei potuto lavorare con un soggetto del genere,
così pieno di
se e strafottente. E pensare che mio padre sembrava approvarlo,
sembrava che
gli stesse addirittura simpatico.
Che
cosa rivoltante!
Pensai a,
il mio possibile lavoro, potesse dipendere da quel ragazzo e a come
avrei fatto
a fotografarlo e parlargli dopo che si era dimostrato così
terribilmente
arrogante con me. Ma ne avevo davvero bisogno, dovevo farlo. Dovevo
avere quel
lavoro!
Travis
interruppe l’argomento e cominciò a parlare di
vasche, allenamenti ed io, lì,
smisi di ascoltare.
Nella
mia mente, nel frattempo, si diffuse il suono tranquillo e beato delle
onde che
si infrangevano sugli scogli.
L’ultima
cosa che avrei voluto, in quel momento, sarebbe stata ascoltare
qualsiasi cosa
sarebbe uscita dalla bocca di quel cafone. Continuai a guardarmi in
giro, a
notare immagini che avrei potuto fotografare, così presi tra
le mani la mia
macchina fotografica, la mia bambina.
Riuscii
anche a fare alcuni scatti, prima che mio padre mi richiamasse
sull’attenti.
“Maya, ora vi lascio parlare un
secondo, così
riuscirete ad accordarvi e a conoscervi meglio. Io ho altri atleti di
cui
occuparmi”, sorrise benevolo.
Ah,
papà… se solo sapessi.
Annuii
leggermente e lui sparì, lasciandomi sola. Con lui.
E
andiamo!
“Non sapevo fossi la figlia di
Claudio”, sul
suo volto lessi un briciolo di confusione.
“Nessuno
qui dentro lo sa”, ribattei scorbutica, sostenendo
il suo sguardo leggermente smarrito.
“Mi
dispiace per poco fa, per
esserti arrivato addosso come un treno in corsa”.
Non ci
potevo credere.
Dopo
aver scoperto chi fossi, dopo aver scoperto che il suo allenatore era
in realtà
mio padre, cominciò a comportarsi come un cucciolo
ammaestrato, mentre neanche
dieci minuti prima mi aveva trattata come una pezza da piedi,
scaraventandomi a
terra per la furia con cui aveva varcato la soglia del palazzetto.
Mi
sentivo dannatamente presa in giro, come se potessi abboccare
all’amo e come se
credessi alla sceneggiata che stava cominciando davanti ai miei occhi.
“Oh
no, non provarci neanche! Ora
stai cercando di comportarti da bravo ragazzo solo perché
hai scoperto che sono
la figlia del capo, qui dentro”. Mi fissò a bocca aperta,
ancora più confuso di prima. “Non
ti ho scelto io per il mio lavoro,
quindi cercherò di essere il più professionale
possibile e, inoltre, cercherò
di parlarti il meno possibile e so già che non
avrò problemi, con questo”.
Strinsi i pugni talmente tanto da far diventare le nocche bianche e
conficcandomi le unghie nei palmi. Avevo un diavolo per capello. “Quindi, tu ora allenati e fai quello che
devi fare ed io proverò a farti alcune fotografie decenti,
senza il bisogno di
interromperci a vicenda”, finii il mio monologo e
presi un grande respiro.
Travis
mi fissava con uno sguardo tra il confuso e il divertito, ma ancora non
si era
azzardato a ribattere. Solamente in quel momento mi resi conto di come,
anche
un pallone gonfiato come lui, fosse… terribilmente
affascinante in costume da
bagno, pronto per l’allenamento. Mi diedi mentalmente uno
schiaffo in faccia:
mi disse che, abbassare la guardia in quel modo, sarebbe stata
solamente una
catastrofe.
Dopo
alcuni secondi, finalmente, si decise a parlare.
“La gattina ha le unghie!”,
esclamò
strafottente.
Lo
guardai esterrefatta con la mascella che mi cadde per la sorpresa.
Cercai
di frenare l’istinto pulsante di prenderlo volentieri a
schiaffi. Per quanto
sarebbe stata una scena epica, divertente, l’immagine del
segno rosso su una
guancia di Travis venne sostituita da un cipiglio di disapprovazione e
delusione di mio padre.
“Come,
prego?! Sarai anche il
nuotatore migliore qui dentro, ma a quanto vedo l’educazione
non ti è stata
insegnata. E pensare che, per mio padre, è la cosa
più importante”, aggiunsi a denti stretti. “Mi chiedo come puoi ancora essere uno
dei
suoi atleti con questa dannata arroganza che ti ritrovi!”.
Stavo ridendo,
ma di una risata nervosa, arrabbiata, offesa. “Prima
mi hai detto che avevo cominciato un gioco avrei potuto
solamente perdere. Vedremo chi l’avrà
vinta”, sibilai imbestialita,
rendendomi conto che le parole che uscirono dalla mia bocca non avevano
un
briciolo di filo logico, ma mandai al diavolo la mia pignoleria e la
lingua
italiana, concentrandomi ancora sul tizio che avevo davanti.
Lui non
era ancora riuscito più a ribattere e ancora mi fissava
sorpreso, con le labbra
leggermente socchiuse.
“Ricorda
che questa gattina non
ha le unghie, ma gli artigli”. Detto quello che mi sembrava il
tipico copione da film,
mi defilai, facendo la mia uscita trionfale, come avevo immaginato, e
andai
verso la vasca principale, dove c’era mio padre.
Uno
a zero per Maya!
Molto
lentamente, la mattinata passò.
Travis
ed io non ci rivolgemmo parola, infatti vagai tranquillamente a bordo
della
piscina, scattando miriadi di fotografie, lasciandolo indisturbato al
suo
allenamento.
Girovagai
in cerca di ispirazione per alcuni scatti, ma davvero pochi mi
sembravano
soddisfacenti: avrei dovuto presentarmi il giorno dopo che fare altre
fotografie.
Fantastico, pensai.
Quella
che era partita come una normalissima giornata di lavoro, che poi era
diventata
davvero una brutta giornata, in quel momento, mi resi conto, era
addirittura
peggiorata.
Era
ormai ora di pranzo quando decisi di tornarmene a casa.
Trovai
mio padre, fortunatamente con Travis. Quando mi avvicinai a loro,
smisero di
parlare.
“Ciao
papà, ora devo andare”.
“Di già, tesoro?”. Vidi un lampo, negli occhi del
nuotatore, che mi sembrò simile al sollievo. Lo fulminai con
lo sguardo,
cercando di non farmi notare da mio padre, mentre annotava qualcosa su
un
foglio.
“Si,
devo proprio tornare a casa
per controllare bene le foto di oggi: non mi sembrano gran
ché”, aggiunsi amareggiata. In quel
modo, però, ottenni l’attenzione di mio padre in
baleno.
“Non
sono venute bene?”.
“Non so, ma in ogni caso tornerò
domani”.
Il
sollievo, negli occhi di Travis, si trasformò in
divertimento. E non si curò minimamente
di celarlo ai miei occhi. Quanto odiavo l’evidente
strafottenza di quel
ragazzo.
“Oh
bene, Maya! Allora a domani,
piccola”, disse,
guardandomi con quegli oceani azzurri pieni d’affetto. Mi
domandai come non si
potesse amare mio padre e il suo viso sempre sereno.“Vi
lascio, così potrete mettervi d’accordo per
domani”, aggiunse
dileguandosi e lasciandomi un bacio sulla guancia, poi sola con la
Diva.
Sorrisi a mio padre, ma il sorriso svanì
all’instante quando mi voltai verso
Travis, con lo sguardo più glaciale che riuscii a sfoderare.
L’egocentrico
era lì, a sorridermi sardonico ed era…
praticamente mezzo nudo.
Accidenti,
che fisico!
Poteva
anche essere la persona meno sopportabile sulla faccia della terra, per
quel
che ne sapevo io, ma quelle spalle larghe, quegli addominali scolpiti
ad arte non
passavano di certo inosservati.
Accidenti!
“Bene… domani avrei gli
allenamenti allo stesso orario di oggi”, disse lui.
Dopo
essersi lasciata abbindolare dai suoi addominali, la mia anima glaciale
tornò
all’attacco. “Perfetto!
Allora a domani,
allo stesso orario”.
Lui
restò lì, impalato, a fissarmi negli occhi con le
braccia incrociate al petto,
prima di far ricomparire quello stupido sorriso sulle labbra.
Perché?!
“Ti diverto molto, a quanto vedo”.
Lui
scoppiò in una risata sincera, probabilmente senza rendersi
conto del mio
sguardo inferocito. “Si,
cioè, no… è solo
il tuo essere scostante che mi diverte… non mi sembra di
averti fatto alcun
torto”.
“Alcun torto?!”,
esclamai sorpresa.
Gia,
il tuo restare impalato
davanti a me è un torto!
Scossi
la testa contrariata prima di voltarmi verso l’uscita e
salutare con una mano
sollevata sopra la testa. “Basta, ci
vediamo domani”.
“Non vedo l’ora!”,
disse Travis in tono
mieloso.
Me ne
andai, sperando che tutto quello che avrei dovuto sopportare sarebbe
poi
servito a qualcosa.
Tornai a
casa ancora inviperita. Controllai le fotografie al computer ed
imprecai
esasperata: nessuno dei miei scatti era soddisfacente. Aveva avuto la
conferma
che, il giorno dopo, sarei dovuta tornare in quella piscina, che era
diventata
il mio inferno personale.
Anche se
avevo fatto relativamente poco, era stata una giornata estenuante e mi
sentivo
veramente stanca. Per il resto della giornata restai in casa, cercando
di far
passare il tempo in qualche modo e di migliorare, come potevo, le
fotografie
che avevo scattato. In realtà cercavo ogni scusa plausibile
per non dover
tornare in piscina il giorno dopo, ma niente.
Il
risultato era ancora scadente.
Mandai
al diavolo tutto, sperando che una doccia avrebbe lavato via il nervoso.
Come
potevo, dopo solamente mezza giornata, provare tanto odio per uno
sconosciuto? Come
ero riuscita ad innervosirmi in quel modo, solamente per colpa di una
rovinosa
caduta? In fin dei conti non era stata così grave.
Doveva
esserci qualcosa di sbagliato il lui, perché io ero sempre
riuscita ad
accettare e ad andare d’accordo con tutti, ma quel Travis non
riuscivo davvero
a farmelo piacere. Tutta quell’arroganza mi faceva veri
l’orticaria.
Come
biasimarlo, poi? Viso e fisico praticamente perfetti, sicuramente una
vita
agiata alle spalle: tutti fattori che farebbero salire autostima e
strafottenza
a livelli spropositati a chiunque. Ma lui era diverso. Era davvero
odioso!
Cenai e
decisi di andare a letto senza pensarci due volte, pregando per una
manciata di
ore di sonno ristoratore.
Quella notte sognai piscine chilometriche e flash accecanti.
Non so come ringraziare voi, persone adorabili, che avete recensito il mio primo capitolo! Sono contenta che vi sia piaciuto! poi ringrazio voi, che in silenzio avete cominciato a seguire questa storia... Spero di non deludere le aspettative di nessuno!
E come sempre grazie a chi continua a sostenere me e la pazza idea di questa storia <3
Basta con gli sproloqui... Spero di poter leggere altri commenti e pensieri! ditemi tutto quello che pensate!
Alla prossima, un abbraccio a tutti,
Chiara :)