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Autore: Genevieve De Cendres    26/02/2014    2 recensioni
[STORIA REVISIONATA E CORRETTA]
Seconda metà del 1800.
Evan, un giovane e promettente avvocato, decide di entrare nella bottega dell'orologiaio più antico e famoso della città spinto da una particolare curiosità, lì incontrerà Ael Torsten, ragazzo con il quale intreccerà un legame che va al di là della semplice amicizia, ma sarà conveniente per un uomo del suo rango, sempre sotto l'occhio scrutatore e critico della nobiltà dell'epoca? E Ael, spirito libero e irrequieto, riuscirà a non fuggire dall'uomo scegliendo il cuore al posto della ragione?
Dal testo:
"mentre le labbra dell’avvocato poggiavano sulle sue, gentili ma decise, in un bacio che volle assaporare fino all’ultimo istante, per poi scostarsi forse pentito per il suo gesto, mentre lo sguardo tornava duro, onde che si infrangono violente, che logorano e allontanano."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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4.
CAPITOLO QUARTO
 
 
 
Sfilò la chiave dalla tasca e si avvicinò alla porta del negozio, soprapensiero, vi si fermò davanti, immobile come se non la riconoscesse, poi scrollò le spalle e decise che sarebbe stato meglio entrare dalla porta sul retro, quella del laboratorio. Non diede peso alla sensazione di essere chiamato da qualcuno, ignorando la voce maschile che continuava a chiamare il suo nome, quasi non avvertendola. Camminava guardando a terra e non si accorse dell’ostacolo sul quale andò a sbattere una volta girato l’angolo, cadendo a terra. Le chiavi gli scivolarono di mano cadendo vicino ad un paio di lucide scarpe maschili, imprecò a denti stretti alzandosi di scatto, convinto di trovarsi davanti Evan, ma dovette ricredersi quando incrociò gli occhi del fratello, anche i suoi chiari, ma più dolci. Quasi caldi.
 
-Ael … -
 
La voce di Noël era affettuosa nel pronunciare quel nome. Il ragazzo si morse l’interno della guancia come era solito fare quando si sentiva a disagio, ma mantenne lo sguardo fisso in quello dell’uomo, guardandolo con aria estremamente colpevole. Non si aspettava di trovarlo lì e voleva che se ne andasse il più velocemente possibile.
 
-Qualcuno potrebbe scambiarti per un malintenzionato se ti apposti sotto le case altrui, specie a quest’ora.-
 
Sbottò Ael aggirandolo e andando ad aprire la porta del laboratorio, ignorandolo.
 
-E tu? Tu cosa facevi davanti a casa poco fa? Potevi avere almeno la decenza di salutare la tua famiglia.-
 
Morbida la voce di Noël, anche nel rimproverarlo. Calda, dal sapore di bei ricordi e infanzia agiata.
 
-Non volevo disturbare.-
 
Il contrasto della voce fredda di Ael, il rumore della serratura che scatta e il cigolio di una porta che s’apre.
 
-Ael, non dire sciocchezze. Da quando qualcuno dovrebbe disturbare in casa propria?-
 
Noël fece una pausa e sorrise, un sorriso carico di fiele.
 
-Dimenticavo…tu generalmente scappi da casa, mi chiedo perché mi ostini a farti questa domanda.-
 
-Hai intenzione di entrare o restartene lì a farmi una serenata? Nel caso la finestra della mia camera è poco più avanti.-
 
Noël venne zittito dalla rispostaccia di Ael, i due si scambiarono un’occhiata incendiaria, poi il ragazzo indicò la porta con un cenno del capo e il fratello decise di seguirlo.
 
 
 
 
Era da un po’ di tempo che non vedeva Noël, ad Ael sembrava fosse diventato più alto, i capelli biondi ma di una tonalità più scura di quelli del ragazzo erano perennemente raccolti in una cosa bassa, il torace ampio gli ricordava come da sempre il fratello fosse stato più imponente di lui, sia nei modi che nell’aspetto.
Si girò verso Noël vedendolo ad occhi sbarrati, la bocca leggermente aperta e l’aria stupita, era da quasi un anno che il fratello non entrava nel laboratorio e mai si sarebbe aspettato di trovarsi davanti ad una serie di orologi ben fatti, come quelli.
 
-Sono tutti tuoi lavori?-
 
Ael non rispose sapendo benissimo che il fratello non voleva davvero una risposta. La conosceva già. Il maggiore si avvicinò infine ad un elaborato orologio a pendolo, il quadrante perlaceo era circondato da miriadi di rose intagliate nel legno lucido e scuro, curato sin nei più piccoli ed insignificanti dettagli. Poteva quasi vedere le spine di quei fiori così realistici.
 
-Quello non dovevi vederlo.-
 
Disse secco Ael, tenendo lo sguardo fisso sul fratello che lo guardò perplesso.
 
-E perché mai?-
 
-Perché doveva essere il tuo regalo di nozze da parte mia.-
 
Borbottò l’orologiaio, riavviandosi i capelli e guardando altrove, sotto lo sguardo affettuoso di Noël che non si era mosso di un passo, rispettando le distanze dettate da Ael.
 
-Grazie, Ael. È stupendo… nostro padre ha fatto bene ad affidare il negozio a te.-
 
Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle e calò nuovamente il silenzio, lo stesso che da anni ormai li divideva. Ael stava per rispondergli che si era fatto tardi e che sarebbe stato il caso che lui andasse, ma Noël parlò prima di lui.
 
-A proposito di nozze… credo che ormai tu sia abbastanza maturo per prendere in considerazione tale eventualità, non trovi?-
 
Ael si sentì morire. Più volte aveva pensato di dire al fratello il perché non si era mai interessato alle donne, ma quando era stato sul punto di farlo le parole gli morivano in gola, e aveva sempre continuato a rimandare. Come si era ridotto così?  Una volta non aveva problemi a parlare con lui, di qualsiasi cosa, ma poi tutto era crollato. Noël era il più grande, a lui spettavano tutti i benefici, il patrimonio, i complimenti…  mentre Ael era stato fortunato se il padre non aveva insistito a farlo diventar prete.
Glielo aveva proposto un pomeriggio, come si propone una passeggiata in campagna, Ael aveva risposto con un semplice “no” e tutto era stato lasciato cadere. Come se non fosse mai successo. Ma sotto sotto riusciva a spiegarsi il perché di quel distacco: invidiava il fratello, il primogenito. Era sempre stato più bello, più alto, più fortunato, più intelligente, sano e forte. Mentre Ael fin da piccolo era sempre stato gracile e sgraziato, aveva solo una buona mano per quel che riguardava l’arte, per il resto poteva considerarsi mediocre.
Il ragazzo gli fece segno di seguirlo nel suo appartamento, nel salire le scale sperò che si rompessero sotto i suoi piedi, lasciandolo sprofondare o almeno facendo in modo che si facesse male, tanto per avere un motivo per cambiare discorso.
 
L’orologiaio si mise a sedere sul letto, dando le spalle alla finestra ed indicando una poltrona davanti a lui con un gesto vago della mano, Noël si sedette, mani incrociate sul ventre, gambe accavallate e sguardo attento. Ael notò quanto in quella posizione ricordasse loro padre, e deglutì a fatica.
 
-Noël … -
 
Biascicò infine. Era momento. Era il momento di dire al fratello che non avrebbe mai preso moglie e di confessare la sua omosessualità.  Le mani cominciarono a sudargli e sentì la fredda morsa della paura cingergli le spalle, e piantarsi nello stomaco, impedendogli di respirare, non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi e vedere la sua espressione mutare. Il volto sereno del fratello, che sempre gli aveva voluto bene, sarebbe diventata una smorfia di rabbia e disgusto e solo un miracolo lo avrebbe fatto desistere dall’idea di malmenarlo, o peggio ancora, riferire tutto al padre.
 
-Noël … -
 
Disse ancora, adesso a testa alta, gli occhi in quelli del fratello, calmi e caldi, pazienti, amorevoli
 
-Non sono di mio gusto.-
 
Borbottò. Dal silenzio che seguì pensò che Noël non lo avesse sentito, anche l’espressione non era mutata, ma dovette ricredersi
 
-In che senso … “non sono di tuo gusto?”-
 
-Nel senso che non sono il mio tipo.-
 
Ribadì il ragazzo, il più grande sospirò, sorrise, un sorriso sghembo e incredulo.
 
-E di grazia, Ael, quale sarebbe il tuo tipo?-
 
A quella domanda il viso di Evan si materializzò nella mente di Ael, il ricordo di quella sera divenne vivido, anche troppo, il ragazzo scrollò la testa lasciandola poi ciondolare bassa. Quando sentì il fratello alzarsi dalla poltrona e camminare verso di lui, si strinse nelle spalle, di colpo sentì caldo, le guance bruciavano così come le lacrime che cominciavano a farsi strada, scivolando sul mento, era pronto ad incassare insulti e botte, ma Noël si fermò semplicemente davanti a lui, in silenzio, poi nello stesso modo scese le scale che dall’appartamento portavano al negozio ed uscì.
Non aveva detto niente, ma non era riuscito a vedere l’espressione del fratello. Non aveva visto i suoi occhi riempirsi d’odio, anche se lo aveva immaginato. Ma una volta tanto, la mancata certezza lo rendeva sereno.
 
 
 
 
Quella mattina Evan era di ottimo umore, uscì di casa in anticipo e ripensò alla sera precedente con un enorme sorriso stampato in volto, gli sembrava ancora di avvertire il tepore del polso di Ael nella sua mano, percepiva ancora la sensazione del corpo del più piccolo stretto tra lui e il muro, il suo sguardo tagliente e orgoglioso mutare in uno sguardo sorpreso e timoroso. E poi quel bacio, il sapore delle sue labbra, incredibilmente morbide.
Quando vide in lontananza l’insegna del negozio di orologi, pensò di fermarsi per salutare Ael, magari convincerlo a fare colazione insieme, provò ad aprire la porta del negozio che ovviamente, a quell’ora presto del mattino, era accuratamente chiusa a chiave. Decise quindi di chiamarlo, una delle finestre della sua stanza dava sulla strada e non avrebbe avuto difficoltà a sentirlo, non ebbe neanche il tempo di raccogliere il fiato che vide due lunghe braccia bianche aprire la finestra. Scorse il ragazzo affacciarsi e sospirare, i capelli scarmigliati, l’aria assonnata. L’avvocato sorrise, e sentì uno strano fremito scuotergli il petto.
 
-Buongiorno! –
 
Si decise ad esclamare Evan, tenendo lo sguardo fisso sul viso imbronciato del ragazzo.
Vide Ael sussultare e sgranare gli occhi, giurò quasi di averlo sentito imprecare, dopo un breve attimo di stordimento l’altro guardò verso la strada, Evan era lì che gli sorrideva, “come un ebete” pensò il ragazzo alzando un sopracciglio e appoggiando i gomiti al davanzale
 
-Cosa vuoi? Lo sai che sei molesto?-
 
Chiese infine, fingendo di essere seccato. Aveva ripensato tutta la notte a quello che gli aveva detto Evan, ricordava perfettamente quanto il cuore gli battesse in quel momento e con quale intensità dentro di lui, avesse sperato in un altro suo bacio. Per quanto poi quel pensiero potesse farlo infuriare e spaventare, non poteva negare di aver pensato proprio ad Evan quando aveva detto al fratello di non avere intenzione di trovare una moglie. Tutto ciò però lo terrorizzava, la velocità con la quale si era legato a quell’uomo, la capacita di quest’ultimo di arrivare alla sua anima così facilmente. Aveva paura di Evan e aveva paura di quello che stava cominciando a provare per lui, la velocità surreale con la quale tutto stava accadendo.
 
-Cosa ne pensa la Signoria Vostra, di fare colazione con un umile avvocato come me?-
 
La voce dell’uomo lo riportò alla realtà, non rispose limitandosi a guardarlo poi improvvisamente chiuse la finestra senza dire una parola, lasciando Evan interdetto ed amareggiato. Stava per andarsene quando vide sbucare Ael dalla porta del negozio, trafelato e stranamente sorridente.
 
-Dove mi porti?-
 
Chiese il ragazzo con tono pacato
 
-A mangiare i dolci più buoni di questa terra!-
 
Rispose Evan scoppiando a ridere di una risata bassa e calda, mentre guardava affettuosamente l’orologiaio camminare accanto a lui. Gli scompigliò i capelli morbidi ed ebbe la tentazione di prenderlo per mano. La sfiorò appena, quando Ael la nascose  nella tasca dei pantaloni fingendo nonchalance.
 
 
 
 
 
-Ael, vuoi che ti mostri lo studio in cui lavoro?-
 
A quella domanda gli occhi del ragazzo si illuminarono. Effettivamente era curioso di vedere dove passasse gran parte del suo tempo l’avvocato, così accettò senza pensarci due volte.
Rimase a bocca aperta quando vide quanto raffinato fosse l’arredamento del suo ufficio, le pareti coperte da pannelli di legno lucido e scuro e dettagliate stampe su cui era raffigurata la pianta della città.  Davanti a sé, dietro una larga scrivania in mogano, un’imponente libreria sovrastava la stanza, lunga ed alta quanto lo era la parete e ricolma di vecchi tomi, finemente rilegati. Rimase immobile sulla soglia mentre Evan gli passava accanto con aria soddisfatta andando ad appoggiarsi alla sua scrivania, coperta  da scartoffie e documenti. Sorrise guardando il ragazzo entrare a piccoli passi, studiare con attenzione l’ambiente circostante e poi corrugare la fronte una volta accortosi che all’interno della stanza non erano presenti orologi, stava per contestare quando Evan lo interruppe.
 
-La porta accanto è quella dello studio di Valentine.-
 
Ael sembrò dimenticarsi della piccola protesta che stava per scatenare e sempre guardandosi intorno sorrise, l’aria persa ma serena.
 
-E ti lascia lavorare in pace?-
 
Disse avvicinandosi all’avvocato e appoggiando il cappotto sulla sedia della scrivania,sempre sorridendo. Evan scoppiò a ridere e scompigliò nuovamente i capelli al ragazzo che questa volta reagì afferrandogli il polso. I due rimasero in silenzio, i loro occhi parlavano già a sufficienza, il modo in cui si guardarono fu inequivocabile ed Evan fece la prima mossa afferrando i fianchi del ragazzo e sbattendolo contro la libreria poco distante. Ael tentò di spingerlo via ma l’altro non gli diede neanche il tempo di parlare andando a premere le sue labbra su quelle del più piccolo, mordendole appena e baciandole avidamente. Ael si sentì premere sempre di più contro la libreria e dopo aver opposto una iniziale resistenza si lasciò andare alle attenzioni di Evan, passandogli le braccia intorno al collo e spingendo l’uomo verso di sé. Come se quel bacio non fosse abbastanza.
Evan lasciò vagare le mani sul petto del ragazzo staccando le labbra dalle sue, permettendogli di respirare, si ritrovò a perdersi in quel mare che erano i suoi occhi, così profondi da togliere il respiro, studiò il viso imbarazzato di Ael, le labbra lucide e rosse, ansante. Sentiva le gambe del più piccolo tremare e sapeva che se lo avesse lasciato andare, probabilmente non sarebbe riuscito a reggersi in piedi. La belva feroce che era sempre stato costretto ad affrontare, adesso tremava  sotto di lui, ed era bastato solo un bacio. Sorrise Evan, andando a percorrere il profilo della mascella con una scia di piccoli baci, puntando al collo che adesso il ragazzo aveva messo in mostra. Stava per morderlo dolcemente quando sentì dei passi alle sue spalle. Si allontanò di scatto lasciando Ael spaesato ed interdetto dietro di sé quando Valentine piombò nell’ufficio.
 
-Sei già in ufficio? Così presto!-
 
La voce dell’amico gli morì in gola, così come gli si spense il sorriso quando vide dietro le spalle di Evan, Ael paonazzo in viso e con gli occhi lucidi.
 
-Cosa succede?-
 
Chiese Valentine guardando Evan che aveva distolto lo sguardo, bofonchiando un poco convincente “niente”. Non ebbero il tempo di dire altro. Ael senza dire una parola trovò la forza di muovere le gambe e corse fuori dall’ufficio senza rivolgere la parola a nessuno dei due uomini, che adesso si guardavano visibilmente imbarazzati.
 
-Abbiamo discusso, perdona questa situazione sgradevole…-
 
Sospirò infine Evan andando alla scrivania e dando le spalle all’amico che lo guardava con sospetto.
 
-Evan … cosa c’è tra voi due?-
 
La domanda arrivò come una pugnalata in pieno petto.
 
-Sto provando a costruire un’amicizia, ma quel ragazzo è davvero difficile.-
 
Borbottò l’avvocato fingendo di sistemare alcuni fascicoli, notò solo dopo il cappotto di Ael sulla sua sedia e stava per trovare una scusa per andare a riconsegnarglielo quando sentì il respiro del suo collega sulla nuca.
 
-Lo chiederò una seconda volta, questa volta però voglio una risposta sincera: Cosa c’è tra te e Ael?-
 
Evan riuscì a voltarsi trovando solo un paio di centimetri di distanza tra lui e Valentine, che lo guardava con aria irata, le mani sulla sua scrivania come un’imposizione, un vincolo che bloccava l’uomo tra lui e quella superficie di legno.
 
-Valentine, spostati. Ti ho già detto che non c’è niente.-
 
Evan cercò di respingere l’amico che però non accennava a spostarsi di un passo, spingendolo al contrario sempre di più contro la scrivania. Il moro arrivò ad urtarla facendo rovesciare la boccetta d’inchiostro sulla superficie che cominciò a gocciolare a terra. Valentine intanto non gli distoglieva lo sguardo di dosso.
 
-Valentine sto perdendo la pazienza.-
 
Stava per alzare la voce Evan quando l’altro lo interruppe.
 
-Non lo accetto.-
 
L’uomo rimase a guardare l’amico con aria perplessa.
 
-Non lo accetto.-
 
Ripeté Valentine, le labbra a pochi millimetri da quelle di Evan che adesso lo respingeva con più forza senza riuscirci. Stava per intimargli qualcosa quando l’amico si spinse ulteriormente contro di lui, baciandolo e afferrandogli i capelli, premendo ulteriormente le loro labbra.
Quando Valentine si spostò continuò a tenere serrata la stretta sui capelli del collega che lo guardava con occhi sbarrati. Poggiò la fronte sulla spalla di Evan e la sua voce uscì spezzata.
 
-Tu non puoi.-
 
Mormorò per poi continuare
 
-Ho fatto di tutto per starti accanto. Ho sempre aspettato che tu ti accorgessi di me, nessuno avrebbe sospettato di noi due, ti rendi conto del guaio in cui ti stai cacciando? Ti rendi conto di quale sia la fama di Ael? Da quante bocche io abbia sentito fuoriuscire il sospetto e l’indignazione riguardo la sua vita privata? Al fatto che non abbia moglie ? Sul fatto che non sia mai stato visto con una donna? A proteggere il suo nome ci pensa la sua famiglia, ma chi proteggerà il tuo dalla pubblica infamia? Rispondimi! –
 
Aveva alzato la voce così come la testa, andando ad incrociare gli occhi di Evan, due pozzi scuri e insondabili.
 
-Valentine, lasciami andare e fingerò che non sia successo niente.-
 
Disse in tono pacato Evan mentre gentilmente cercava di allontanare l’amico, non lo avrebbe perdonato facilmente, ma non gli avrebbe neanche fatto male usando violenza su di lui. Valentine sembrò assecondare i gesti dell’amico, lasciandosi allontanare a testa bassa, lo sguardo fisso sul pavimento.
 
-Non ti lascio a lui.-
 
Disse poi, afferrando Evan per le spalle e spingendolo a terra con forza, non curandosi del fatto che potesse farsi male e andandosi a sedere sul suo bacino, spogliandolo della camicia con gesti veloci e frenetici non curante delle proteste dall’altro, incapace di sovrastarlo. Non lo credeva così forte. Continuò a ribellarsi ma era sul punto di cedere quando d’improvviso si trovò libero dal peso di Valentine, che intanto era rotolato a terra sbattendo rovinosamente contro la scrivania.
Ael era in piedi tra loro due, furente ed ansimante, i pugni stretti così forte da avere le nocche bianche e gli occhi puntati contro Valentine. Evan tentò di afferrare il polso del ragazzo intuendo le sue intenzioni, ma non fu abbastanza svelto e questi si avventò contro l’uomo colpendolo con un pugno in pieno volto. Stava per sferrarne un altro, questa volta quello che gli avrebbe spaccato il setto nasale, quando Evan afferrò Ael per le braccia e allontanandolo da Valentine.
 
-Ael sta calmo. Smettila.-
 
La voce di Evan era calma e controllata contro l’orecchio del ragazzo che continuava a dimenarsi, urlando minacce contro Valentine, che intanto si alzava da terra, leggermente barcollante e sorpreso dalla reazione dell’orologiaio. Ael riuscì a liberarsi dalla presa dell’uomo ma non si avventò una seconda volta contro il collega, questa volta si voltò verso Evan, scuro in volto.
 
-È così?-
 
Chiese Ael, la collera nei suoi occhi, le labbra strette.
 
-Cosa vuoi dire?-
 
Evan tentò di accarezzare il volto del ragazzo che lo scansò, guardandolo disgustato.
 
-No, Ael. Lui non sta con me.-
 
Valentine attirò la attenzione di entrambi.
 
-Ha scelto te.-
 
Concluse senza alzare lo sguardo da terra e  uscendo a testa bassa dalla stanza. Ael lo seguì con lo sguardo, pronto a reagire nel caso l’altro avesse detto o fatto qualsiasi cosa,ma  non riuscì a dire altro. Le lacrime gli inondarono il viso improvvisamente, mentre le spalle cominciarono ad essere scosse da violenti singulti. Evan lo strinse a sé sentendo le lacrime del ragazzo bagnargli il petto, accarezzandogli dolcemente i capelli e cercando di farlo calmare.
 
 
 
 
-Come mai sei tornato indietro?-
 
La voce dell’uomo lo fece sobbalzare. Ael era appollaiato sullo sgabello intento a lavorare, a quella domanda posò l’orologio che aveva tra le mani e si girò verso Evan, seduto compostamente sulla poltrona accanto alla finestra
 
-Avevo dimenticato la giacca, e sono tornato a prenderla, giacca che si trova ancora sulla sedia del tuo ufficio …-
 
Detto ciò, tornò al suo lavoro ignorando le altre parole dell’avvocato, fino a quando questi, esasperato, non gli si avvicinò prendendogli il mento tra le dita e costringendo a guardarlo.
 
-Cosa devo fare per farti capire che tra me e Valentine non c’è niente, mai c’è stato e mai ci sarà?-
 
Chiese esasperato Evan, chinandosi su di lui e cercando il suo sguardo sfuggente, Ael sospirò continuando a tenere lo sguardo fisso sul pavimento, in cerca delle parole adatte.
 
-Perché no?-
 
Chiese infine il ragazzo, guardando l’uomo negli occhi
 
-Perché no? Che male c’è? Anzi, forse sarebbe meglio che tu cedessi alla sua corte, no? Nessuno sospetterebbe di voi due.-
 
Evan a quella affermazione sgranò gli occhi, temendo che il ragazzo avesse sentito le parole di Valentine.
 
-Non mi interessa sporcare il mio nome.-
 
Mormorò carezzando il viso del ragazzo, lentamente, con dolcezza
 
-A me si. A me interessa invece.-
 
Sbottò Ael allontanandogli la mano e scoccandogli un’occhiataccia e continuando ad inveire sull’uomo
 
-A me interessa non sporcare il mio nome, e se ho reagito in quel modo nel tuo studio, non è stato solo perché mi sono trovato davanti ad una ingiustizia, ma perché stava mettendo mani su di te, e la cosa mi ha fatto davvero imbestialire! Certo non è una cosa normale per degli amici, non trovi? Perciò forse per te sarebbe meglio cedere a lui e lasciare in pace me.-
 
Lo disse urlando ed Evan non riuscì a trattenersi. Un rumore secco, aspro, la guancia di Ael che brucia e la mano di Evan che duole, non voleva faro ma si era mosso d’impulso, aveva tirato uno schiaffo al ragazzo e adesso lui lo guardava fisso negli occhi con aria di sfida, furioso.
 
-Fuori di qui. Immediatamente.-
 
Sibilò Ael senza muoversi, continuando a sostenere lo sguardo
 
-Mi dispiace …-
 
Mormorò Evan cercando di avvicinarsi e spingendo il ragazzo a balzare giù dallo sgabello, indietreggiando spaventato
 
-Se non esci di tua spontanea volontà adesso, ti sbatto fuori io.-
 
A quelle parole Evan uscì dal negozio senza fiatare e maledicendosi per la sua stupidità.
 



 
  
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