Forgive me is all that you can't say
Years gone by and still
Words don't come easily
Like forgive me, forgive me
Baby, Can I Hold You?
-
Amico, devi insegnarmi a ballare. -
Marco Bodt, diciassette anni
e una zazzera di capelli neri, alzò lo sguardo dal proprio
libro di testo di chimica per posarlo sul ragazzo che aveva
pronunciato quelle cinque parole, pesanti come una lapide sulla sua
testa, Jean Kirschtein, che un estraneo avrebbe preso per la perfetta
antitesi di Marco: biondo (nonostante la recente decisione di
regalarsi uno sfigatissimo taglio, e Eren avrebbe continuato a
urlargli sfigatissimo fino alla fine dei suoi giorni),
arcigno, dai lineamenti quasi geometrici, in contrasto con quelli
morbidi di Marco, che quasi ispiravano simpatia.
- Amico, -
replicò lui, sottolineando la parola con una vena di insolito
sarcasmo. - Non so di che stai parlando. -
Jean sospirò,
allungandosi sul tavolo che li separava fino a poggiare una mano
sugli appunti di Marco. - Sai benissimo di cosa sto parlando, invece.
-
Marco alzò un sopracciglio; Jean roteò gli
occhi, strappandogli un sorrisetto soddisfatto. Si conoscevano da
dieci anni e non c'era stata una volta che Jean avesse sopportato il
suo modo di fare tranquillo e accomodante, spazientendosi. - Il ballo
di fine anno? L'ultimo anno di liceo? - la voce divenne un sussurro.
- ...Mikasa Ackerman? -
- So ballare quanto te, Jean. - replicò
Marco, scostando la sua mano dagli appunti e riprendendo a
confrontare questi col libro di testo. Jean fece scivolare davanti a
lui il proprio cellulare, la galleria aperta su una foto che Marco
riconobbe dopo un lungo attimo di perplessità.
-
Traditore. - sussurrò, impallidendo; non riuscì ad
afferrare il cellulare prima di Jean, che lo nascose in tasca e
sfoggiò un ghigno odioso. - Come diavolo? -
- Tua mamma è
una donna adorabile, Marco. - sorrise Jean. - Tanto adorabile da
raccontarmi la tua intera passata performance da ballerino provetto.
E tutto questo solo perché le ho promesso il tiramisù
di mia nonna. Adorabile, davvero. -
- Traditore. - ripeté
Marco.
- E approposito, com'è che non ne ho mai saputo
nulla? Era per questo che sparivi tutti i pomeriggi, quando avevamo
undici anni? Non andavi da qualcosa tipo un legopedista? -
-
Logopedista, Jean. E sì, ci andavo, e andavo anche
a...scuola...di danza. - mormorò Marco, cercando di
enfatizzare il disappunto nella propria voce mantenendo un tono
adatto a una biblioteca scolastica. Questo non impedì a Rico,
la bibliotecaria, di gettare loro occhiate malefiche attraverso gli
scaffali.
- Marco. - sussurrò Jean, e il suo stomaco
fece le capriole. Perché diavolo doveva sentirsi così
ogni volta che Jean pronunciava le due semplici sillabe del suo nome?
- Ascoltami, Marco. Non ti chiederò perché
frequentassi danza classica, o di sottrarre del tempo al tuo studio.
So che devi dare gli esami per il college e tutto, solo... è
la mia ultima possibilità. Sapevi che Mikasa ha vinto
addirittura dei premi regionali, in dei veri tornei di ballo? -
- Sì. - rispose Marco, il tono piatto. Lo avrebbe saputo
anche se Jean non avesse passato gli ultimi due mesi a ripeterlo
continuamente: Mikasa era nella sua classe mista, nei due anni in cui
aveva frequentato il corso di danza classica, ma se avesse parlato a
Jean delle gambine da undicenne della loro compagna di classe
rinchiuse sotto un tutù, lui non gli avrebbe mai più
dato pace.
- Quindi? -
Marco fissò Jean di
sottecchi; i suoi occhi ambrati erano spalancati, più simili a
quelli di un cucciolo ferito che a quelli di un essere umano, specie
un essere umano con la fissione facciale di Jean Kirschtein. Sospirò,
a lungo e profondamente.
- Tra la danza classica e il liscio o un
lento ci sono abissi... -
- Preferisci che chieda a Connie e
Sasha e i loro tentativi falliti di imparare a twerkare? -
-
Santo dio, no! E va bene, va bene. Ti insegnerò io. -
Jean
non smise di sorridere ed esultare fino a quando mezz'ora dopo Rico,
infastidita, non li cacciò via entrambi.
*
* *
-
Stai andando... malissimo. - constatò Marco, tre giorni e due
lezioni dopo, abbassando le spalle, sconfortato. Jean, seduto sul
pavimento della sua mansarda, lo guardò sconfortato.
-
Confermo, fai schifo. -
Jean si voltò di scatto verso
Connie, che rimase completamente impassibile alla sua occhiataccia.
Forse quattro anni di liceo erano abbastanza per abituarsi a Jean
Kirschtein.
- Taci, tu. Neanche dovresti essere qui. - si
rivoltò verso Marco, gesticolando verso Connie e Sasha,
appollaiati sul divanetto rosso della mansarda. - Non dovrebbero
nemmeno essere qui! -
Marco gli andò vicino, infilando le
braccia sotto le sue e tirandolo su di peso, come aveva fatto
innumerevoli volte e in innumerevoli occasioni. - Fossero loro, il
problema, non esiterei a liberarmene. - sorrise complice alla faccia
sconvolta di Sasha. - Ma qui il problema sei tu. Io ti voglio bene,
Jean, ma tu sei una stecca di legno. -
- Un tronco. - contribuì
Sasha.
- Una sequoia. -
- Con un brutto taglio di capelli.
-
- Fatto da un brutto giardiniere. -
Jean afferrò
l'astuccio aperto di Marco dalla scrivania e lo lanciò verso i
due idioti, mancandoli completamente e spargendo matite e penne per
tutta la stanza. Abbassò la testa verso Marco, scusandosi
silenziosamente e abbassandosi a rimediare al danno fatto. Marco gli
si avvicinò, iniziando a raccogliere le matite con lui mentre
Sasha e Connie parlavano di un sms appena ricevuto con fare
concitato.
- Dico sul serio, Jean. Sei troppo nervoso. Teso. Non
riesci a scioglierti, e sono solo esercizi di riscaldamento. Come
farai a sostenere il ritmo di qualcuno come Mikasa, se non riesci
nemmeno a muoverti da solo? -
- Forse era solo un'idea idiota. -
borbottò Jean, lo sguardo fisso sul pavimento. - Dovrei...non
so... arrendermi. E basta. -
- Ehi. Ehi, ehi. - Marco si sistemò
i pantaloni della tuta e alzò il mento di Jean verso di sé
con un gesto divertito. - Non dirlo nemmeno per scherzo. Non esiste,
che io senta quella parola uscire dalle tue labbra. Tirati su, mando
via i due cagnolini e proviamo una cosa mai fatta prima. Ti va?
-
Jean annuì. Si sentiva un bambino, a farsi trattare da
Marco in quel modo. Ma, si rese conto dopo un attimo di riflessione,
non era una sensazione completamente spiacevole. Era bello avere a
qualcuno a cui importasse di lui; non lo ringraziava mai abbastanza,
per quello.
- Ok, gentaglia! Io devo tornare a studiare per
l'esame, siete liberi, per oggi. -
La faccia di Connie si
trasformò in una maschera di delusione. - Oh, Marco, andiamo.
Metà paese farebbe a pugni per avere uno studente come te, di
che ti preoccupi? -
- Connie. - mormorò Sasha, dando una
gomitata nel fianco del suo complice e indicando Jean con la testa. -
Andiamo e basta. -
Marco fu grato della serietà che quei
due erano capaci di assumere quando si trattava dei problemi
d'autostima di Jean; tutti e quattro loro sapevano fino a che punto
arrivare con le battute, e nonostante si divertissero a stuzzicarlo,
non lo avevano mai mandato davvero fuori dai gangheri. Tranne un paio
di volte, che Marco avrebbe preferito dimenticare.
Li accompagnò
alla porta, ringraziandoli con un occhiolino e un sorriso, poi chiuse
la stanza a chiave e, sotto lo sguardo preoccupato di Jean, si
avvicinò al pc, fece una veloce ricerca su Youtube e accese le
casse. Una musica lenta riempì la stanza; Marco si voltò
verso Jean.
- Vieni qui. -
Jean si alzò, avvicinandosi
a Marco.
- Sarà un po' difficile, perché sono più
alto di te, ma devi portare tu. Capisci? -
- Aspetta,
stiamo...stiamo per ballare? Io e te? -
Marco annuì. Jean
lo fissò per un attimo, poi scosse la testa. - Dimmi quello
che devo fare. -
- Mano destra sopra i fianchi. Non scendere più
in basso, a meno che lei non te lo permetta. E non te lo permetterà,
credimi. Mano sinistra nella mia. -
Jean eseguì. Marco gli
rivolse un sorriso d'incoraggiamento, poggiando la mano libera sulla
sua schiena, poi iniziò ad ondeggiare. Jean lo seguì a
ruota, legnoso.
- Rilassati. - sussurrò piano; e
lentamente, movimento dopo movimento, lo sentì ammorbidirsi
sotto le sue mani.
Marco si staccò da Jean e gli portò
le braccia al collo, intrecciando le mani e guardandolo in faccia.
Aveva assunto una sfumatura di un rosso quasi malsano.
- Dovresti
mettermi l'altra mano sul...sull'altro fianco. -
- Oh. Giusto. -
Jean poggiò la mano libera sul suo fianco, forse un po' troppo
bruscamente. - Posso... posso chiederti che canzone è? -
-
Uhm? È...Tracy Chapman. 'Baby, Can I Hold You'. Ti sembrerò
un tredicenne, ma la adoro. -
Jean sorrise apertamente. - Non mi
sembri un tredicenne. È bella. -
Marco restituì il
sorriso.
La canzone era ricominciata per la seconda volta quando
Jean gli si avvicinò, restringendo la distanza tra loro. Marco
si beò silenziosamente del calore emanato dal corpo del suo
migliore amico.
- Stai ancora pensando alla SPSU? -
Le
vibrazioni provocate dalla voce di Jean contro il suo collo gli
provocarono il solletico. - Sì. -
- È lontana. -
- Sono solo una cinquantina di chilometri. -
Le mani di Jean
si strinsero sui suoi fianchi; Marco lo sentì affondare il
volto nell'incavo tra spalla e collo con ferocia. Jean
faceva tutto con ferocia, pensò all'improvviso, senza una
ragione apparente. Non lo aveva mai visto davvero tranquillo, in
dieci anni.
- Non voglio che tu te ne vada. - sussurrò
piano.
- Jean... -
Jean sciolse l'abbraccio; senza guardarlo
in volto, si mosse rapido verso la porta, afferrò il suo zaino
da terra e uscì dalla stanza. Marco rimase fermo nella
posizione in cui Jean lo aveva abbandonato.
Tracy Chapman
cantava di parole impossibili da pronunciare.
Come 'ti amo',
diceva Tracy Chapman. Ti amo.
* * *
-
Parto tra cinque giorni. - annunciò allegro, sedendosi a
tavola. Non gli sfuggì il cambiamento repentino
nell'espressione di Jean, ma non disse nulla a riguardo.
Se Jean
aveva intenzione di non rivolgergli la parola – intenzione che
aveva brillantemente portato avanti per una settimana e mezzo, senza
nemmeno chiamarlo per augurargli buona fortuna per l'esame –
lui avrebbe fatto lo stesso. Nonostante si sentisse il cuore andargli
in frantumi ogni singola volta che coglieva per sbaglio un suo
sguardo furtivo, subito dissimulato.
- Ma...MA È
MAGNIFICO! - urlò Connie, attirando l'attenzione di metà
della sala mensa. Marco si strinse nelle spalle e annuì.
-
Ti perderai il ballo di fine anno... - sussurrò Christa,
sinceramente dispiaciuta. Marco alzò una forchetta in
direzione di lei e Ymir, sedute al tavolo con lui, Connie, Sasha e
Jean.
- L'importante è che ci andiate voi due. Alla faccia
di quella vipera omofoba di Hitch e del suo comitato scolastico. -
inforchettò i maccheroni, scrollando le spalle. - Non avevo
comunque dei gran piani per la serata del ballo. Divertitevi. -
-
A proposito...Jean? - Ymir piantò un dito nel fianco di Jean,
che sussultò infastidito. - Hai già chiesto a Miss Lago
dei Cigni se ha piani? L'ho vista gironzolare attorno a Eren,
ultimamente. Anche più del solito. -
- Figuriamoci. -
borbottò Connie. - Ymir, ti è sfuggito un particolare
grosso quanto tua nonna. Sono fratello e sorella. -
- Adottivi,
pelatino. DUH. - Ymir rivolse una linguaccia a Connie, per poi
tornare a carezzare distrattamente i capelli di Christa. - Allora,
shatush fallito? Le hai chiesto di venire con te o no? -
- Lo
farò. - la voce di Jean era funerea. - Tra cinque giorni.
-
Sasha aprì la bocca per dire qualcosa, per poi
chiuderla, realizzando all'improvviso. Lo stesso accadde a
Connie.
Marco fissò Jean per una trentina di secondi
buoni, senza che questi restituisse lo sguardo. Poi si alzò,
in silenzio, e lasciò il tavolo.
- Marco, dove...? Jean!
- sentì urlare Sasha. Ma quando Sasha si staccò da
Connie, che l'aveva trattenuta per un po', per mollare un cazzotto
dritto sulla guancia di Jean, lui era già in corridoio.
* * *
-
Sono contento che siate passati, ragazzi! -
Marco si lasciò
confortare dall'abbraccio pressante di Sasha e Connie, entrambi sul
punto di scoppiare a piangere. Dietro di loro c'erano molti altri;
Christa e Ymir, mano per mano, Eren e Armin, entrambi con un sorriso
di conforto sul volto, e poi ancora Reiner, Bertholdt e Annie, il
primo in lacrime, il secondo dispiaciuto e la terza impassibile.
Reiner si fece spazio tra Eren e Armin, spostandoli con una facilità
spaventosa solo per unirsi all'abbraccio di gruppo.
- Mi
mancherai, lentiggini! - singhiozzò, mozzandogli il fiato. -
Nessuno passava i compiti come te. E i migliori passaggi, a
dodgeball. I...i migliori. -
- Felice di sapere che mi ricorderai
per cose serie, bestione! - rise Marco; sentiva lo sguardo di Armin
su di sé, e la cosa lo metteva a disagio. Armin aveva la
straordinaria capacità di leggerti l'anima con la stessa
semplicità con cui Reiner spostava le persone, e in quel
momento essere psicoanalizzato era l'ultima cosa di cui sentisse il
bisogno.
- Mikasa è a lezione. - si scusò Eren,
porgendogli un regalo. - Ma credo farà una chiamata, più
tardi. O manderà un messaggio. Insisterò perché
chiami. -
- Non devi, davvero. - sorrise, appoggiando il regalo
sul sedile nel retro della macchina di suo padre. - Un messaggio
basterà. -
Evitò di aggiungere 'se non sarà
troppo impegnata a baciare Jean'. Mikasa non lo meritava, e nemmeno
avrebbe fatto una cosa del genere. Anzi, si chiese come un pensiero
del genere avesse potuto attraversargli la mente. Si sentiva quasi in
colpa.
- Tornerai per tutti i week-end. - Sasha gli puntò
un dito al petto. Marco alzò le mani, come per arrendersi.
-
Non tutti, Sash. Ma alcuni, lo prometto. -
- E per Natale. -
-
Perché non dovrei? -
- Il Ringraziamento? -
- Certo!
-
- San Patrizio! - esplose Connie, e Sasha accolse il
suggerimento con entusiasmo, ripetendo 'San Patrizio!' a Marco.
-
Ragazzi. - fu il turno di Marco di abbracciare entrambi. - Prometto
che tornerò. Non vedo perché non dovrei. -
- Perché
il tuo migliore amico è uno stronzo con un brutto taglio di
capelli che ha deciso di fare la primadonna proprio un paio di
settimane prima che tu te ne andassi via per mesi? -
- YMIR! - il
piccolo pugno chiuso di Christa raggiunse la spalla di Ymir senza
farle il minimo effetto.
Marco abbassò le spalle. Ymir
poteva essere brusca, ma aveva ragione. Jean non era lì.
Scosse la testa, cercando di ignorare il nodo allo stomaco che
sentiva dal pomeriggio in cui Jean era scappato dalla sua mansarda e
che aveva solo continuato a stringersi, da quel momento. - È
tutto a posto. - mormorò.
Ci furono altri abbracci, altri
regali, altre lacrime; quando anche Connie fu sparito dietro l'angolo
della sua via, Marco lasciò andare un sospiro che aveva
trattenuto a lungo. Si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con
Armin.
- Oh! Credevo fossi andato via. -
Armin scrollò
le spalle. - Ho delle commissioni da fare nella parte opposta, e
comunque volevo parlarti in privato. -
Marco si passò una
mano sul volto. - Arm...non ora. Non è il momento più
adatto. -
- Oh, nulla di troppo lungo, davvero. Solo...dagli
tempo. -
Marco rimase in silenzio. Nonostante fosse l'inizio di
giugno, sentiva freddo. Un freddo che non aveva nulla a che fare con
il clima. Si portò istintivamente le braccia strette al
petto.
- Gliene ho dato abbastanza. Non ci prova nemmeno a
rispondere, se gli scrivo. O se gli parlo. -
- Tu dagli tempo. -
Armin guardò verso le nuvole all'orizzonte. - E dì a
tuo padre di sbrigarsi. Credo che pioverà, tra poco. E pioverà
bello forte. -
- Armin? -
- Uhm? -
Marco sorrise; un
sorriso caldo, aperto. Un sorriso alla Marco. - Grazie. Sei un amico.
-
- E di che? -
Marco lo guardò allontanarsi. Salì
in macchina, chiudendo la portiera con forza e appoggiandosi al
finestrino. Quando suo padre salì in macchina, chiedendogli se
fosse pronto, implorò altri dieci minuti d'attesa.
Ma
nessun idiota con i capelli di due colori diversi girò
l'angolo della strada.
*
* *
-
Mikasa, devo parlarti. -
Aveva infranto la promessa fatta a se
stesso. Ne aveva infranta più di una, a dire il vero, nelle
ultime due settimane.
Prima promessa: ringraziare Marco.
Seconda
promessa: sostenere Marco.
Terza promessa: non essere un completo
stronzo, almeno non con Marco.
Era incredibile quanto della sua
vita dipendesse da quell'idiota lentigginoso.
-
Sto ascoltando. - fu la fredda risposta. Jean si ritrasse
leggermente, fissandola spaventato.
- Io...mi chiedevo se...
-
Quarta promessa: diglielo entro cinque giorni. Marco se n'era
andato da due giorni, ma lui non aveva ancora avuto la forza di
affrontare quel discorso.
Mikasa alzò un sottile
sopracciglio scuro.
- Se volessi...venire al ballo con me. -
-
No. -
La risposta fu tanto rapida da non dargli nemmeno il tempo
di passare da 'pretendente inadatto' a 'emotivamente distrutto.' Non
riuscì a non reagire altrettanto immediatamente, strillando un
molto poco virile – Ma che cazzo? -
Mikasa chiuse la porta
del suo armadietto. - Non verrò al ballo con te. È ora
che tu la finisca con questa patetica farsa della cotta
adolescenziale e lo sai meglio di me. -
Jean sgranò gli
occhi. - Che...che cosa intendi? -
- Jean, guardami. Cosa pensi
di me? -
Jean arrossì di colpo. - Cosa...? -
- Dillo.
Senza la minima vergogna. Peggio di così non può
andare. -
Jean ignorò completamente l'ultima frase per
concentrarsi sulla strana richiesta di Mikasa. - Sei...ehm...una
bella ragazza? E...cristo santo, non riesco a credere a quello che
sto dicendo...mi piacciono i tuoi capelli. -
- Va bene. - annuì
Mikasa. - Mi vedresti come la tua ragazza? -
Jean alzò lo
sguardo; non per osservarla, ma per guardarla. Balbettò
qualcosa, improvvisamente nervoso, improvvisamente consapevole di ciò
che gli occupava la mente non era il volto di Mikasa. Che i capelli
neri verso cui provava attrazione non erano quelli della ragazza di
fronte a lui, e da tempo. Il sopracciglio di Mikasa si inarcò
ulteriormente.
- Non devi chiedermi di venire al ballo con te
perchè il mondo crede che tu abbia ancora quindici anni. Non
devi chiedermi di venire al ballo con te perchè è
quello che tutti si aspettano da te. -
- Hai ragione. - sussurrò,
lo sguardo perso oltre Mikasa, oltre il corridoio. - Porca puttana,
Mikasa, credo tu abbia ragione. -
- Dovresti andare a dirglielo.
-
Un tuono rimbombò nei corridoi. - Cazzo se hai ragione.
-
- Inoltre, vado al ballo con Eren. -
- Hai TROPPO ragione!
- Jean le afferrò le mani d'istinto, ritraendosi subito dopo,
ma continuando con la sua epifania. - Mikasa, ti adoro. -
- ...Va
bene. -
- Devo andare. Ora. Subito. Immediatamente. -
Mikasa
lo guardò correre verso l'uscita principale.
- Piove! -
gli urlò dietro. - E abbiamo ancora tre ore di lezione...
-
Jean non la sentì. Era già uscito, spalancando le
porte della scuola. Stava già alzando il cappuccio, incurante
della pioggia. Stava già correndo verso la propria bici.
* * *
-
E questa da dove viene? - gridò Marco, per farsi sentire al di
sopra della musica. Sentì Thomas ridere apertamente.
-
Tracy Chapman, amico! Tostissima, vero? -
- Troppo. - convenne
Marco, scoppiando a ridere a sua volta. - La conosco. Una volta ho
ballato con questa di sottofondo. Il lento più bello della mia
vita. -
- Tu balli, Marco? E che altro? Scolpisci angioletti?
-
- Ah, ah, ah. Molto divertente, Thomas. E non parlare male
delle mie sculture, potrei offendermi. -
Un forte bussare alla
porta interruppe i loro discorsi. Marco appoggiò la maglietta
nella valigia non ancora svuotata, guardando Thomas, affacciatosi dal
bagno. - Aspettavi qualcuno? -
- No... - un tuono fortissimo li
fece saltare entrambi; la lametta di Thomas quasi cadde dalle sue
mani. - Prova un po' a vedere chi è! -
Marco si diresse
verso la porta e la aprì; nel corridoio lo aspettavano Franz,
un ragazzo di qualche dormitorio più in là del suo che
Marco aveva imparato rapidamente a riconoscere, dato che faceva parte
del 'gruppo' di Thomas, e Hannah, ovvero la sua ragazza, o ombra.
Entrambi sghignazzavano come scemi.
- Marco, chiama Thomas,
dovete venire a vedere. Mio dio, non ve la potete perdere! - riuscì
ad articolare Franz; Hannah si teneva la pancia, cercando di non
ridere troppo.
- Che succede? - intervenne Thomas, spuntando da
dietro Marco.
- C'è...oddio...oddio...diglielo tu,
Franzie! -
- Un pazzo! - rise Franz. - Fermo nella piazzetta
principale del campus, che non riesce praticamente a muoversi. Credo
si sia fatto qualcosa come un centinaio di miglia in bici e dice di
voler vedere qualcuno, ma nessuno ha il coraggio di avvicinarsi oltre
i cinque metri. Credo morda. -
Marco ridacchiò nervoso. -
Un centinaio di bici con questo tempo? Fermo nella piazzetta con
QUESTO tempo?! -
- IN GINOCCHIO! - strillò Hannah. - Da
dove diavolo di set di Hollywood è uscito? Sarebbe anche
carino se non fosse per quelli stupidi capelli di due colori
diversi... -
Marco impallidì all'improvviso; li oltrepassò
rapidamente, correndo per il corridoio, diretto verso la piazzetta.
- Marco! Che diavolo hai? -
- Lo conosco! - urlò a
Thomas, che lo stava seguendo. - E ne ha fatti cinquanta, di miglia!
Quell'idiota! -
L'uscita principale del campus era gremita di
curiosi, fermi sotto la tettoia e intenti a ridacchiare di fronte
allo spettacolo. Marco li oltrepassò, prendendo a gomitate
quando necessario, fino a ritrovarsi sotto la pioggia, oltre la
folla.
E davanti a lui, una decina di metri, più avanti,
Jean Kirschtein. Zuppo d'acqua. Felpa rossa (quella stupida felpa con
quella stupida immagine di Spider Man andata via da tempo e dio
quanto era stupido), pantaloni neri. La bici abbandonata in un
angolo.
- MARCO! - urlò, con voce rauca. E a Marco non
importò che metà campus si stesse godendo la scena e
che qualcuno stesse addirittura riprendendo.
Jean gli stava
parlando per la prima volta da quelli che erano sembrati anni.
Gli corse incontro, inginocchiandosi di fronte a lui. Sembrava un
passo oltre lo sfinimento; sembrava facesse fatica a respirare.
-
Sei un'idiota. - sussurrò. - Sei un'idiota. -
- Hanno
cercato di investirmi tredici volte! - strillò Jean.
-
Un'idiota. -
- Dovevo venire qui! - Jean gli afferrò le
braccia. Strizzava gli occhi a causa della pioggia scrosciante. I
capelli gli ricadevano sulla fronte. - Dovevo dirtelo... ora. -
-
Che cosa, Jean? -
Jean si scostò i capelli dalla fronte
con un gesto nervoso; poi scostò anche quelli di Marco, molto
più gentilmente. La mano rimase ferma sul suo volto, una
carezza gentile, leggera. - Che non sarei dovuto andarmene, quel
pomeriggio. Che avrei continuato a fare l'egoista, perchè è
tutto quello che so fare, e che avremmo litigato per ore e tu mi
avresti fatto sentire in colpa e che ti avrei chiesto scusa. Che mi
dispiace. Mi dispiace tanto... -
- Jean... -
- Non...se mi
interrompi ora non riuscirò mai più a dirlo! - Marco
rimase in silenzio. Sentiva le mani di Jean tremare sulla sua pelle.
- Marco Bodt, credo di essermi innamorato di te. -
Marco smise
di sentire freddo. Smise di sentire qualsiasi cosa; la pioggia, le
voci dei ragazzi del college, il fiato affannoso di Jean, il rumore
delle macchine poco fuori dal campus. Smise di pensare, mentre si
piegava per avvicinarsi a Jean, e per un attimo, mentre le loro
labbra si perdevano le une nelle altra e le mani correvano a
cercarsi, smise persino di essere.
- Ti amo. - sussurrò
Jean. - Ti spaventa che te lo dica? Perché possiamo tipo
ricominciare e fare tutta quella cosa dell'uscire per mesi e litigare
e io ti manderei fiori e sopporterei la distanza e alla fine ti direi
che ti amo dopo una cena perfetta in un ristorante di lusso e... -
Marco lo baciò di nuovo, le mani perse sul suo volto sottile.
- Ti amo anch'io. - sorrise contro le sue labbra. - Idiota.
Ovvio che mi spaventa. -
Jean ridacchiò, appoggiando la
sua fronte bagnata a quella di Marco.
- Ehi, Marco? -
- Mmm?
-
- Se entrassimo ad asciugarci... -
- Ottima idea. -
-
Vorresti venire al ballo con me? -
Marco sgranò gli occhi;
la sua mano si strinse attorno a quella di Jean, famelica di
contatto.
- Solo se ripeti di nuovo che mi ami. -
________________________________________________________
Qualcuno non fa i compiti, da queste parti.
Sì perchè ho due AU in corso (una one-shot e una long) e invece di portare avanti quella mi metto a scrivere queste...queste...ARCOBALENATE. Non è da me.
Io non so scrivere fluff.
Che diavolo di arcicacchio mi succede.
Boh, beccatevi 'sta roba che avrei dovuto postare un paio di settimane fa per San Valentino sob
E che mi è venuta in mente ascoltando Can I have this dance di High School Musical, per poi trasformarsi in qualcosa di decisamente più decente!
Però mi sono divertita a scriverla, davvero. ♥♥♥
Grazie per aver letto e fatemi sapere che ne pensate recensendo o anche solo contattandomi su Facebook, Tumblr o Twitter, un pensiero è SEMPRE gradito! ♥♥♥
Alla prossima!
- Joice