Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    27/02/2014    6 recensioni
È l'ultimo anno del liceo. Jean vuole disperatamente invitare Mikasa al ballo di fine anno, e Marco è la sua ultima speranza di imparare a ballare decentemente.
Ma forse ciò che Jean crede di desiderare e ciò che desidera realmente sono due cose completamente diverse.
Le mani di Jean si strinsero sui suoi fianchi; Marco lo sentì affondare il volto nell'incavo tra spalla e collo con ferocia. Jean faceva tutto con ferocia, pensò all'improvviso, senza una ragione apparente. Non lo aveva mai visto davvero tranquillo, in dieci anni.
- Non voglio che tu te ne vada. - sussurrò piano.
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Forgive me is all that you can't say
Years gone by and still
Words don't come easily
Like forgive me, forgive me


Baby, Can I Hold You?





- Amico, devi insegnarmi a ballare. -
Marco Bodt, diciassette anni e una zazzera di capelli neri, alzò lo sguardo dal proprio libro di testo di chimica per posarlo sul ragazzo che aveva pronunciato quelle cinque parole, pesanti come una lapide sulla sua testa, Jean Kirschtein, che un estraneo avrebbe preso per la perfetta antitesi di Marco: biondo (nonostante la recente decisione di regalarsi uno sfigatissimo taglio, e Eren avrebbe continuato a urlargli sfigatissimo fino alla fine dei suoi giorni), arcigno, dai lineamenti quasi geometrici, in contrasto con quelli morbidi di Marco, che quasi ispiravano simpatia.
- Amico, - replicò lui, sottolineando la parola con una vena di insolito sarcasmo. - Non so di che stai parlando. -
Jean sospirò, allungandosi sul tavolo che li separava fino a poggiare una mano sugli appunti di Marco. - Sai benissimo di cosa sto parlando, invece. -
Marco alzò un sopracciglio; Jean roteò gli occhi, strappandogli un sorrisetto soddisfatto. Si conoscevano da dieci anni e non c'era stata una volta che Jean avesse sopportato il suo modo di fare tranquillo e accomodante, spazientendosi. - Il ballo di fine anno? L'ultimo anno di liceo? - la voce divenne un sussurro. - ...Mikasa Ackerman? -
- So ballare quanto te, Jean. - replicò Marco, scostando la sua mano dagli appunti e riprendendo a confrontare questi col libro di testo. Jean fece scivolare davanti a lui il proprio cellulare, la galleria aperta su una foto che Marco riconobbe dopo un lungo attimo di perplessità.
- Traditore. - sussurrò, impallidendo; non riuscì ad afferrare il cellulare prima di Jean, che lo nascose in tasca e sfoggiò un ghigno odioso. - Come diavolo? -
- Tua mamma è una donna adorabile, Marco. - sorrise Jean. - Tanto adorabile da raccontarmi la tua intera passata performance da ballerino provetto. E tutto questo solo perché le ho promesso il tiramisù di mia nonna. Adorabile, davvero. -
- Traditore. - ripeté Marco.
- E approposito, com'è che non ne ho mai saputo nulla? Era per questo che sparivi tutti i pomeriggi, quando avevamo undici anni? Non andavi da qualcosa tipo un legopedista? -
- Logopedista, Jean. E sì, ci andavo, e andavo anche a...scuola...di danza. - mormorò Marco, cercando di enfatizzare il disappunto nella propria voce mantenendo un tono adatto a una biblioteca scolastica. Questo non impedì a Rico, la bibliotecaria, di gettare loro occhiate malefiche attraverso gli scaffali.
- Marco. - sussurrò Jean, e il suo stomaco fece le capriole. Perché diavolo doveva sentirsi così ogni volta che Jean pronunciava le due semplici sillabe del suo nome? - Ascoltami, Marco. Non ti chiederò perché frequentassi danza classica, o di sottrarre del tempo al tuo studio. So che devi dare gli esami per il college e tutto, solo... è la mia ultima possibilità. Sapevi che Mikasa ha vinto addirittura dei premi regionali, in dei veri tornei di ballo? -
- Sì. - rispose Marco, il tono piatto. Lo avrebbe saputo anche se Jean non avesse passato gli ultimi due mesi a ripeterlo continuamente: Mikasa era nella sua classe mista, nei due anni in cui aveva frequentato il corso di danza classica, ma se avesse parlato a Jean delle gambine da undicenne della loro compagna di classe rinchiuse sotto un tutù, lui non gli avrebbe mai più dato pace.
- Quindi? -
Marco fissò Jean di sottecchi; i suoi occhi ambrati erano spalancati, più simili a quelli di un cucciolo ferito che a quelli di un essere umano, specie un essere umano con la fissione facciale di Jean Kirschtein. Sospirò, a lungo e profondamente.
- Tra la danza classica e il liscio o un lento ci sono abissi... -
- Preferisci che chieda a Connie e Sasha e i loro tentativi falliti di imparare a twerkare? -
- Santo dio, no! E va bene, va bene. Ti insegnerò io. -
Jean non smise di sorridere ed esultare fino a quando mezz'ora dopo Rico, infastidita, non li cacciò via entrambi.


      * * *


- Stai andando... malissimo. - constatò Marco, tre giorni e due lezioni dopo, abbassando le spalle, sconfortato. Jean, seduto sul pavimento della sua mansarda, lo guardò sconfortato.
- Confermo, fai schifo. -
Jean si voltò di scatto verso Connie, che rimase completamente impassibile alla sua occhiataccia. Forse quattro anni di liceo erano abbastanza per abituarsi a Jean Kirschtein.
- Taci, tu. Neanche dovresti essere qui. - si rivoltò verso Marco, gesticolando verso Connie e Sasha, appollaiati sul divanetto rosso della mansarda. - Non dovrebbero nemmeno essere qui! -
Marco gli andò vicino, infilando le braccia sotto le sue e tirandolo su di peso, come aveva fatto innumerevoli volte e in innumerevoli occasioni. - Fossero loro, il problema, non esiterei a liberarmene. - sorrise complice alla faccia sconvolta di Sasha. - Ma qui il problema sei tu. Io ti voglio bene, Jean, ma tu sei una stecca di legno. -
- Un tronco. - contribuì Sasha.
- Una sequoia. -
- Con un brutto taglio di capelli. -
- Fatto da un brutto giardiniere. -
Jean afferrò l'astuccio aperto di Marco dalla scrivania e lo lanciò verso i due idioti, mancandoli completamente e spargendo matite e penne per tutta la stanza. Abbassò la testa verso Marco, scusandosi silenziosamente e abbassandosi a rimediare al danno fatto. Marco gli si avvicinò, iniziando a raccogliere le matite con lui mentre Sasha e Connie parlavano di un sms appena ricevuto con fare concitato.
- Dico sul serio, Jean. Sei troppo nervoso. Teso. Non riesci a scioglierti, e sono solo esercizi di riscaldamento. Come farai a sostenere il ritmo di qualcuno come Mikasa, se non riesci nemmeno a muoverti da solo? -
- Forse era solo un'idea idiota. - borbottò Jean, lo sguardo fisso sul pavimento. - Dovrei...non so... arrendermi. E basta. -
- Ehi. Ehi, ehi. - Marco si sistemò i pantaloni della tuta e alzò il mento di Jean verso di sé con un gesto divertito. - Non dirlo nemmeno per scherzo. Non esiste, che io senta quella parola uscire dalle tue labbra. Tirati su, mando via i due cagnolini e proviamo una cosa mai fatta prima. Ti va? -
Jean annuì. Si sentiva un bambino, a farsi trattare da Marco in quel modo. Ma, si rese conto dopo un attimo di riflessione, non era una sensazione completamente spiacevole. Era bello avere a qualcuno a cui importasse di lui; non lo ringraziava mai abbastanza, per quello.
- Ok, gentaglia! Io devo tornare a studiare per l'esame, siete liberi, per oggi. -
La faccia di Connie si trasformò in una maschera di delusione. - Oh, Marco, andiamo. Metà paese farebbe a pugni per avere uno studente come te, di che ti preoccupi? -
- Connie. - mormorò Sasha, dando una gomitata nel fianco del suo complice e indicando Jean con la testa. - Andiamo e basta. -
Marco fu grato della serietà che quei due erano capaci di assumere quando si trattava dei problemi d'autostima di Jean; tutti e quattro loro sapevano fino a che punto arrivare con le battute, e nonostante si divertissero a stuzzicarlo, non lo avevano mai mandato davvero fuori dai gangheri. Tranne un paio di volte, che Marco avrebbe preferito dimenticare.
Li accompagnò alla porta, ringraziandoli con un occhiolino e un sorriso, poi chiuse la stanza a chiave e, sotto lo sguardo preoccupato di Jean, si avvicinò al pc, fece una veloce ricerca su Youtube e accese le casse. Una musica lenta riempì la stanza; Marco si voltò verso Jean.
- Vieni qui. -
Jean si alzò, avvicinandosi a Marco.
- Sarà un po' difficile, perché sono più alto di te, ma devi portare tu. Capisci? -
- Aspetta, stiamo...stiamo per ballare? Io e te? -
Marco annuì. Jean lo fissò per un attimo, poi scosse la testa. - Dimmi quello che devo fare. -
- Mano destra sopra i fianchi. Non scendere più in basso, a meno che lei non te lo permetta. E non te lo permetterà, credimi. Mano sinistra nella mia. -
Jean eseguì. Marco gli rivolse un sorriso d'incoraggiamento, poggiando la mano libera sulla sua schiena, poi iniziò ad ondeggiare. Jean lo seguì a ruota, legnoso.
- Rilassati. - sussurrò piano; e lentamente, movimento dopo movimento, lo sentì ammorbidirsi sotto le sue mani.
Marco si staccò da Jean e gli portò le braccia al collo, intrecciando le mani e guardandolo in faccia. Aveva assunto una sfumatura di un rosso quasi malsano.
- Dovresti mettermi l'altra mano sul...sull'altro fianco. -
- Oh. Giusto. - Jean poggiò la mano libera sul suo fianco, forse un po' troppo bruscamente. - Posso... posso chiederti che canzone è? -
- Uhm? È...Tracy Chapman. 'Baby, Can I Hold You'. Ti sembrerò un tredicenne, ma la adoro. -
Jean sorrise apertamente. - Non mi sembri un tredicenne. È bella. -
Marco restituì il sorriso.
La canzone era ricominciata per la seconda volta quando Jean gli si avvicinò, restringendo la distanza tra loro. Marco si beò silenziosamente del calore emanato dal corpo del suo migliore amico.
- Stai ancora pensando alla SPSU? -
Le vibrazioni provocate dalla voce di Jean contro il suo collo gli provocarono il solletico. - Sì. -
- È lontana. -
- Sono solo una cinquantina di chilometri. -
Le mani di Jean si strinsero sui suoi fianchi; Marco lo sentì affondare il volto nell'incavo tra spalla e collo con ferocia. Jean faceva tutto con ferocia, pensò all'improvviso, senza una ragione apparente. Non lo aveva mai visto davvero tranquillo, in dieci anni.
- Non voglio che tu te ne vada. - sussurrò piano.
- Jean... -
Jean sciolse l'abbraccio; senza guardarlo in volto, si mosse rapido verso la porta, afferrò il suo zaino da terra e uscì dalla stanza. Marco rimase fermo nella posizione in cui Jean lo aveva abbandonato.
Tracy Chapman cantava di parole impossibili da pronunciare.
Come 'ti amo', diceva Tracy Chapman. Ti amo.

* * *


- Parto tra cinque giorni. - annunciò allegro, sedendosi a tavola. Non gli sfuggì il cambiamento repentino nell'espressione di Jean, ma non disse nulla a riguardo.
Se Jean aveva intenzione di non rivolgergli la parola – intenzione che aveva brillantemente portato avanti per una settimana e mezzo, senza nemmeno chiamarlo per augurargli buona fortuna per l'esame – lui avrebbe fatto lo stesso. Nonostante si sentisse il cuore andargli in frantumi ogni singola volta che coglieva per sbaglio un suo sguardo furtivo, subito dissimulato.
- Ma...MA È MAGNIFICO! - urlò Connie, attirando l'attenzione di metà della sala mensa. Marco si strinse nelle spalle e annuì.
- Ti perderai il ballo di fine anno... - sussurrò Christa, sinceramente dispiaciuta. Marco alzò una forchetta in direzione di lei e Ymir, sedute al tavolo con lui, Connie, Sasha e Jean.
- L'importante è che ci andiate voi due. Alla faccia di quella vipera omofoba di Hitch e del suo comitato scolastico. - inforchettò i maccheroni, scrollando le spalle. - Non avevo comunque dei gran piani per la serata del ballo. Divertitevi. -
- A proposito...Jean? - Ymir piantò un dito nel fianco di Jean, che sussultò infastidito. - Hai già chiesto a Miss Lago dei Cigni se ha piani? L'ho vista gironzolare attorno a Eren, ultimamente. Anche più del solito. -
- Figuriamoci. - borbottò Connie. - Ymir, ti è sfuggito un particolare grosso quanto tua nonna. Sono fratello e sorella. -
- Adottivi, pelatino. DUH. - Ymir rivolse una linguaccia a Connie, per poi tornare a carezzare distrattamente i capelli di Christa. - Allora, shatush fallito? Le hai chiesto di venire con te o no? -
- Lo farò. - la voce di Jean era funerea. - Tra cinque giorni. -
Sasha aprì la bocca per dire qualcosa, per poi chiuderla, realizzando all'improvviso. Lo stesso accadde a Connie.
Marco fissò Jean per una trentina di secondi buoni, senza che questi restituisse lo sguardo. Poi si alzò, in silenzio, e lasciò il tavolo.
- Marco, dove...? Jean! - sentì urlare Sasha. Ma quando Sasha si staccò da Connie, che l'aveva trattenuta per un po', per mollare un cazzotto dritto sulla guancia di Jean, lui era già in corridoio.


* * *


- Sono contento che siate passati, ragazzi! -
Marco si lasciò confortare dall'abbraccio pressante di Sasha e Connie, entrambi sul punto di scoppiare a piangere. Dietro di loro c'erano molti altri; Christa e Ymir, mano per mano, Eren e Armin, entrambi con un sorriso di conforto sul volto, e poi ancora Reiner, Bertholdt e Annie, il primo in lacrime, il secondo dispiaciuto e la terza impassibile. Reiner si fece spazio tra Eren e Armin, spostandoli con una facilità spaventosa solo per unirsi all'abbraccio di gruppo.
- Mi mancherai, lentiggini! - singhiozzò, mozzandogli il fiato. - Nessuno passava i compiti come te. E i migliori passaggi, a dodgeball. I...i migliori. -
- Felice di sapere che mi ricorderai per cose serie, bestione! - rise Marco; sentiva lo sguardo di Armin su di sé, e la cosa lo metteva a disagio. Armin aveva la straordinaria capacità di leggerti l'anima con la stessa semplicità con cui Reiner spostava le persone, e in quel momento essere psicoanalizzato era l'ultima cosa di cui sentisse il bisogno.
- Mikasa è a lezione. - si scusò Eren, porgendogli un regalo. - Ma credo farà una chiamata, più tardi. O manderà un messaggio. Insisterò perché chiami. -
- Non devi, davvero. - sorrise, appoggiando il regalo sul sedile nel retro della macchina di suo padre. - Un messaggio basterà. -
Evitò di aggiungere 'se non sarà troppo impegnata a baciare Jean'. Mikasa non lo meritava, e nemmeno avrebbe fatto una cosa del genere. Anzi, si chiese come un pensiero del genere avesse potuto attraversargli la mente. Si sentiva quasi in colpa.
- Tornerai per tutti i week-end. - Sasha gli puntò un dito al petto. Marco alzò le mani, come per arrendersi.
- Non tutti, Sash. Ma alcuni, lo prometto. -
- E per Natale. -
- Perché non dovrei? -
- Il Ringraziamento? -
- Certo! -
- San Patrizio! - esplose Connie, e Sasha accolse il suggerimento con entusiasmo, ripetendo 'San Patrizio!' a Marco.
- Ragazzi. - fu il turno di Marco di abbracciare entrambi. - Prometto che tornerò. Non vedo perché non dovrei. -
- Perché il tuo migliore amico è uno stronzo con un brutto taglio di capelli che ha deciso di fare la primadonna proprio un paio di settimane prima che tu te ne andassi via per mesi? -
- YMIR! - il piccolo pugno chiuso di Christa raggiunse la spalla di Ymir senza farle il minimo effetto.
Marco abbassò le spalle. Ymir poteva essere brusca, ma aveva ragione. Jean non era lì. Scosse la testa, cercando di ignorare il nodo allo stomaco che sentiva dal pomeriggio in cui Jean era scappato dalla sua mansarda e che aveva solo continuato a stringersi, da quel momento. - È tutto a posto. - mormorò.
Ci furono altri abbracci, altri regali, altre lacrime; quando anche Connie fu sparito dietro l'angolo della sua via, Marco lasciò andare un sospiro che aveva trattenuto a lungo. Si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con Armin.
- Oh! Credevo fossi andato via. -
Armin scrollò le spalle. - Ho delle commissioni da fare nella parte opposta, e comunque volevo parlarti in privato. -
Marco si passò una mano sul volto. - Arm...non ora. Non è il momento più adatto. -
- Oh, nulla di troppo lungo, davvero. Solo...dagli tempo. -
Marco rimase in silenzio. Nonostante fosse l'inizio di giugno, sentiva freddo. Un freddo che non aveva nulla a che fare con il clima. Si portò istintivamente le braccia strette al petto.
- Gliene ho dato abbastanza. Non ci prova nemmeno a rispondere, se gli scrivo. O se gli parlo. -
- Tu dagli tempo. - Armin guardò verso le nuvole all'orizzonte. - E dì a tuo padre di sbrigarsi. Credo che pioverà, tra poco. E pioverà bello forte. -
- Armin? -
- Uhm? -
Marco sorrise; un sorriso caldo, aperto. Un sorriso alla Marco. - Grazie. Sei un amico. -
- E di che? -
Marco lo guardò allontanarsi. Salì in macchina, chiudendo la portiera con forza e appoggiandosi al finestrino. Quando suo padre salì in macchina, chiedendogli se fosse pronto, implorò altri dieci minuti d'attesa.
Ma nessun idiota con i capelli di due colori diversi girò l'angolo della strada.


* * *


- Mikasa, devo parlarti. -
Aveva infranto la promessa fatta a se stesso. Ne aveva infranta più di una, a dire il vero, nelle ultime due settimane.
Prima promessa: ringraziare Marco.
Seconda promessa: sostenere Marco.
Terza promessa: non essere un completo stronzo, almeno non con Marco.
Era incredibile quanto della sua vita dipendesse da quell'idiota lentigginoso.

- Sto ascoltando. - fu la fredda risposta. Jean si ritrasse leggermente, fissandola spaventato.
- Io...mi chiedevo se... -
Quarta promessa: diglielo entro cinque giorni. Marco se n'era andato da due giorni, ma lui non aveva ancora avuto la forza di affrontare quel discorso.
Mikasa alzò un sottile sopracciglio scuro.
- Se volessi...venire al ballo con me. -
- No. -
La risposta fu tanto rapida da non dargli nemmeno il tempo di passare da 'pretendente inadatto' a 'emotivamente distrutto.' Non riuscì a non reagire altrettanto immediatamente, strillando un molto poco virile – Ma che cazzo? -
Mikasa chiuse la porta del suo armadietto. - Non verrò al ballo con te. È ora che tu la finisca con questa patetica farsa della cotta adolescenziale e lo sai meglio di me. -
Jean sgranò gli occhi. - Che...che cosa intendi? -
- Jean, guardami. Cosa pensi di me? -
Jean arrossì di colpo. - Cosa...? -
- Dillo. Senza la minima vergogna. Peggio di così non può andare. -
Jean ignorò completamente l'ultima frase per concentrarsi sulla strana richiesta di Mikasa. - Sei...ehm...una bella ragazza? E...cristo santo, non riesco a credere a quello che sto dicendo...mi piacciono i tuoi capelli. -
- Va bene. - annuì Mikasa. - Mi vedresti come la tua ragazza? -
Jean alzò lo sguardo; non per osservarla, ma per guardarla. Balbettò qualcosa, improvvisamente nervoso, improvvisamente consapevole di ciò che gli occupava la mente non era il volto di Mikasa. Che i capelli neri verso cui provava attrazione non erano quelli della ragazza di fronte a lui, e da tempo. Il sopracciglio di Mikasa si inarcò ulteriormente.
- Non devi chiedermi di venire al ballo con te perchè il mondo crede che tu abbia ancora quindici anni. Non devi chiedermi di venire al ballo con te perchè è quello che tutti si aspettano da te. -
- Hai ragione. - sussurrò, lo sguardo perso oltre Mikasa, oltre il corridoio. - Porca puttana, Mikasa, credo tu abbia ragione. -
- Dovresti andare a dirglielo. -
Un tuono rimbombò nei corridoi. - Cazzo se hai ragione. -
- Inoltre, vado al ballo con Eren. -
- Hai TROPPO ragione! - Jean le afferrò le mani d'istinto, ritraendosi subito dopo, ma continuando con la sua epifania. - Mikasa, ti adoro. -
- ...Va bene. -
- Devo andare. Ora. Subito. Immediatamente. -
Mikasa lo guardò correre verso l'uscita principale.
- Piove! - gli urlò dietro. - E abbiamo ancora tre ore di lezione... -
Jean non la sentì. Era già uscito, spalancando le porte della scuola. Stava già alzando il cappuccio, incurante della pioggia. Stava già correndo verso la propria bici.


* * *


- E questa da dove viene? - gridò Marco, per farsi sentire al di sopra della musica. Sentì Thomas ridere apertamente.
- Tracy Chapman, amico! Tostissima, vero? -
- Troppo. - convenne Marco, scoppiando a ridere a sua volta. - La conosco. Una volta ho ballato con questa di sottofondo. Il lento più bello della mia vita. -
- Tu balli, Marco? E che altro? Scolpisci angioletti? -
- Ah, ah, ah. Molto divertente, Thomas. E non parlare male delle mie sculture, potrei offendermi. -
Un forte bussare alla porta interruppe i loro discorsi. Marco appoggiò la maglietta nella valigia non ancora svuotata, guardando Thomas, affacciatosi dal bagno. - Aspettavi qualcuno? -
- No... - un tuono fortissimo li fece saltare entrambi; la lametta di Thomas quasi cadde dalle sue mani. - Prova un po' a vedere chi è! -
Marco si diresse verso la porta e la aprì; nel corridoio lo aspettavano Franz, un ragazzo di qualche dormitorio più in là del suo che Marco aveva imparato rapidamente a riconoscere, dato che faceva parte del 'gruppo' di Thomas, e Hannah, ovvero la sua ragazza, o ombra. Entrambi sghignazzavano come scemi.
- Marco, chiama Thomas, dovete venire a vedere. Mio dio, non ve la potete perdere! - riuscì ad articolare Franz; Hannah si teneva la pancia, cercando di non ridere troppo.
- Che succede? - intervenne Thomas, spuntando da dietro Marco.
- C'è...oddio...oddio...diglielo tu, Franzie! -
- Un pazzo! - rise Franz. - Fermo nella piazzetta principale del campus, che non riesce praticamente a muoversi. Credo si sia fatto qualcosa come un centinaio di miglia in bici e dice di voler vedere qualcuno, ma nessuno ha il coraggio di avvicinarsi oltre i cinque metri. Credo morda. -
Marco ridacchiò nervoso. - Un centinaio di bici con questo tempo? Fermo nella piazzetta con QUESTO tempo?! -
- IN GINOCCHIO! - strillò Hannah. - Da dove diavolo di set di Hollywood è uscito? Sarebbe anche carino se non fosse per quelli stupidi capelli di due colori diversi... -
Marco impallidì all'improvviso; li oltrepassò rapidamente, correndo per il corridoio, diretto verso la piazzetta.
- Marco! Che diavolo hai? -
- Lo conosco! - urlò a Thomas, che lo stava seguendo. - E ne ha fatti cinquanta, di miglia! Quell'idiota! -
L'uscita principale del campus era gremita di curiosi, fermi sotto la tettoia e intenti a ridacchiare di fronte allo spettacolo. Marco li oltrepassò, prendendo a gomitate quando necessario, fino a ritrovarsi sotto la pioggia, oltre la folla.
E davanti a lui, una decina di metri, più avanti, Jean Kirschtein. Zuppo d'acqua. Felpa rossa (quella stupida felpa con quella stupida immagine di Spider Man andata via da tempo e dio quanto era stupido), pantaloni neri. La bici abbandonata in un angolo.
- MARCO! - urlò, con voce rauca. E a Marco non importò che metà campus si stesse godendo la scena e che qualcuno stesse addirittura riprendendo.
Jean gli stava parlando per la prima volta da quelli che erano sembrati anni.
Gli corse incontro, inginocchiandosi di fronte a lui. Sembrava un passo oltre lo sfinimento; sembrava facesse fatica a respirare.
- Sei un'idiota. - sussurrò. - Sei un'idiota. -
- Hanno cercato di investirmi tredici volte! - strillò Jean.
- Un'idiota. -
- Dovevo venire qui! - Jean gli afferrò le braccia. Strizzava gli occhi a causa della pioggia scrosciante. I capelli gli ricadevano sulla fronte. - Dovevo dirtelo... ora. -
- Che cosa, Jean? -
Jean si scostò i capelli dalla fronte con un gesto nervoso; poi scostò anche quelli di Marco, molto più gentilmente. La mano rimase ferma sul suo volto, una carezza gentile, leggera. - Che non sarei dovuto andarmene, quel pomeriggio. Che avrei continuato a fare l'egoista, perchè è tutto quello che so fare, e che avremmo litigato per ore e tu mi avresti fatto sentire in colpa e che ti avrei chiesto scusa. Che mi dispiace. Mi dispiace tanto... -
- Jean... -
- Non...se mi interrompi ora non riuscirò mai più a dirlo! - Marco rimase in silenzio. Sentiva le mani di Jean tremare sulla sua pelle. - Marco Bodt, credo di essermi innamorato di te. -
Marco smise di sentire freddo. Smise di sentire qualsiasi cosa; la pioggia, le voci dei ragazzi del college, il fiato affannoso di Jean, il rumore delle macchine poco fuori dal campus. Smise di pensare, mentre si piegava per avvicinarsi a Jean, e per un attimo, mentre le loro labbra si perdevano le une nelle altra e le mani correvano a cercarsi, smise persino di essere.
- Ti amo. - sussurrò Jean. - Ti spaventa che te lo dica? Perché possiamo tipo ricominciare e fare tutta quella cosa dell'uscire per mesi e litigare e io ti manderei fiori e sopporterei la distanza e alla fine ti direi che ti amo dopo una cena perfetta in un ristorante di lusso e... - Marco lo baciò di nuovo, le mani perse sul suo volto sottile.
- Ti amo anch'io. - sorrise contro le sue labbra. - Idiota. Ovvio che mi spaventa. -
Jean ridacchiò, appoggiando la sua fronte bagnata a quella di Marco.
- Ehi, Marco? -
- Mmm? -
- Se entrassimo ad asciugarci... -
- Ottima idea. -
- Vorresti venire al ballo con me? -
Marco sgranò gli occhi; la sua mano si strinse attorno a quella di Jean, famelica di contatto.
- Solo se ripeti di nuovo che mi ami. -







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Qualcuno non fa i compiti, da queste parti.
Sì perchè ho due AU in corso (una one-shot e una long) e invece di portare avanti quella mi metto a scrivere queste...queste...ARCOBALENATE. Non è da me.
Io non so scrivere fluff.
Che diavolo di arcicacchio mi succede.
Boh, beccatevi 'sta roba che avrei dovuto postare un paio di settimane fa per San Valentino sob
E che mi è venuta in mente ascoltando Can I have this dance di High School Musical, per poi trasformarsi in qualcosa di decisamente più decente!
Però mi sono divertita a scriverla, davvero. ♥♥♥
Grazie per aver letto e fatemi sapere che ne pensate recensendo o anche solo contattandomi su Facebook, Tumblr o Twitter, un pensiero è SEMPRE gradito! ♥♥♥
Alla prossima!
- Joice
   
 
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