Crossover
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Autore: Registe    27/02/2014    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 14 - Spectacularly spectacular





Vexen e Zexion bambino


Ho commesso molti errori di giudizio nello scegliere i membri della mia Organizzazione. Errori che si sono rivelati fatali e di cui non so se sarò mai in grado di perdonarmi. Il più grande, senza dubbio, è stato il numero IV. Ero convinto che nessuno meglio di uno scienziato geniale come lui potesse condividere il mio desiderio di proteggere e salvaguardare la conoscenza del nostro mondo. Mi sbagliavo. Vexen voleva la conoscenza per sé, incurante delle conseguenze. Anche la conoscenza che sarebbe stato meglio lasciare indisturbata.
Per questo il numero IV è stato il più pericoloso dei traditori, sebbene non il più crudele o imprevedibile. Gli avevo affidato la biblioteca e il laboratorio, il cuore del Castello dell'Oblio. E lui li ha rivoltati contro la nostra famiglia.
Una sola cosa mi consola, una sola decisione giusta in mezzo a una selva di errori. Oltre al laboratorio e alla biblioteca avevo affidato una terza cosa al numero IV, la più preziosa di tutte. Il piccolo numero VI, la speranza del nostro futuro. E di quello, almeno di quello non mi sono mai pentito. Perché per quanto detesti ammetterlo Vexen è stato un padre molto migliore di quello che sarei potuto essere io.
dai diari di Xemnas, Superiore dell'Organizzazione.





Narratore: “amici lettori, mi appello alla vostra compassione! Abbiate pietà di un Narratore infelice e disprezzato! Ancora una volta le Registe vogliono relegarmi in secondo piano per far parlare uno dei loro fastidiosi cocchi: vi supplico, se avete un cuore, se volete bene al vostro affezionato Narratore, potreste intercedere in mio favore? (vi ho fatto pure la rima, che volete di più!). Con me le due arpie sono spietate, ma può darsi che ascolteranno voi. Commentate questa storia e scagliate su di loro tutto il vostro disprezzo! Ci conto!
Nel frattempo, in attesa del vostro intervento salvifico, mi ritiro di nuovo nel mio angolo buio a piangere l'ingiustizia del mondo... “



Ho infranto tante promesse nella mia vita, e mentito più volte di quanto possa ricordare. Degli altri, della loro opinione su di me, mi è sempre importato poco. Le persone da cui ero circondato mi sembravano degne soltanto di disprezzo, gente rozza e ignorante che non era in grado di capire il mio genio.
Ma un patto alchemico, anche se fatto quasi per gioco con un bambino, è una cosa seria. O almeno per me in quel momento lo era.
Fedele alla mia parola il giorno successivo alla promessa feci sedere Zexion al grande tavolo del laboratorio e gli misi davanti una pila di fogli di carta e delle penne,
“Vedi questo libro?” aprii un polveroso tomo di grammatica che avevo rinvenuto il biblioteca e gli mostrai le pagine ricoperte di caratteri “E’ pieno di segni, di parole che non capisci, giusto? Ma ciascuno di questi gruppi di simboli – di queste parole –“ cercavo di parlare lentamente e indicavo di volta in volta gli oggetti che menzionavo, “ha un suo significato, vuol dire qualcosa. Indica il nome di un oggetto, di una persona, di… di qualsiasi cosa. Casa, albero, bambino, letto… tutto quanto. Esattamente come le parole che usi quando parli. Capisci?”
Non un granché come prima spiegazione, ma il suo cenno affermativo mi rincuorò. Scacciai dalla mente il pensiero che un bambino di tre anni era troppo piccolo per imparare quelle cose, e mi imposi di dimenticare la mia totale inesperienza con i bambini e il disagio che mi provocava. Avvicinare Zexion ai libri era un modo per farlo entrare nel mio mondo; e forse allora saremmo riusciti a capirci. Non potevo sopportare interi anni di silenzio.
“Per prima cosa bisogna imparare le lettere. Sembrano tantissime, ma in realtà ne esistono solo ventisei, e combinandole in modi diversi è possibile formare tutte le parole. Con le lettere si fanno le parole. Tutte le parole, con così poche lettere. Vedi che non è poi tanto difficile.”
Cenno affermativo.
Per prima cosa gli feci ripetere e copiare tutto l'alfabeto per varie volte, attività in cui si rivelò sorprendentemente bravo. In poco tempo imparò a memoria la sequenza delle lettere, e anche la scrittura acquistava sicurezza a ogni tentativo. Impugnava la penna in modo corretto e mentre scriveva si mordicchiava le labbra concentrato, gli occhi fissi sul foglio, i movimenti della mano lenti e precisi, con la cura di un artista intento a comporre la sua opera immortale.
Dentro di me già cantavo vittoria e mi sentivo il miglior insegnante del mondo.
Come secondo esercizio gli feci scrivere il suo nome e lo invitai a leggerlo ad alta voce, lettera per lettera. E qui Zexion si bloccò, e rimase a lungo a fissare il foglio con aria interrogativa.
“Cosa c’è? Vai avanti.”
“…”
“Non capisci qualcosa?”
“…”
“Ricorda cosa ci siamo promessi Zexion. Se hai un problema devi dirmelo.”
Parlò senza staccare lo sguardo dal foglio. “Perché si legge “z” e non “zeta”?”
“Come?”
“Mi hai detto... “ la sua voce era ridotta a un sussurro, tanto che dovetti avvicinarmi per sentirlo “prima mi hai detto... che si dice “zeta”. Ma ora leggi “z”... perché?“
Ah.
“Beh, allora... certo, è perché... dunque... “
Il miglior insegnante del mondo era stato messo in crisi da un ragazzino.
“Credo... credo che “zeta” sia solo il nome della lettera. Mentre il suono si legge “z”... “ mi sembrava la spiegazione più logica. Non ci avevo mai pensato a dire la verità, non me lo ero mai chiesto. Interiorizziamo certi meccanismi a tal punto da darli per scontati senza porci domande. Ma Zexion era un bambino senza memoria, e per lui il mondo era ancora un'equazione piena di incognite. Dovevo imparare a tenerne conto.
“... “
“Zexion?”
“... “
“Zexion, guardami per favore.”
Sollevò la testa lentamente, timoroso di incontrare il mio sguardo. Qualcosa lo preoccupava.
“Non ti sto rimproverando” lo rassicurai. “Cosa c'è che non va?”
“Non... non capisco... “
“Stai tranquillo. All'inizio è normale.“
Tornai con la mente al periodo della mia infanzia, cercando di ricordare qualcosa che potesse essermi utile con Zexion. Da bambino avevo dovuto imparare quelle stesse cose nella scuola del villaggio...
“Vergognati Even, non si capisce niente di quello che hai scritto! Sei il bambino più disordinato che io abbia mai visto! Ora per punizione copierai altre dieci pagine di F!”
“Stupido piccolo miscredente, la sinistra è la mano del demonio! Devo legartela alla sedia per farti scrivere come gli dèi comandano?”
“Adesso tutti in silenzio per il dettato. Il primo che fiata sono tre bacchettate sulle dita!”

Forse dopotutto era meglio improvvisare.
“Stai tranquillo Zexion” ripetei “adesso proviamo a leggere qualche parola insieme. Ti do una mano io.”
“Ma... “
“Non ti va? Se non ti va possiamo smettere.”
“Io... “abbassò di nuovo lo sguardo, sconsolato. “... ho paura... di essere stupido... “
Si era confidato con me, e questo era un evento straordinario quanto un sacerdote della Vergine che bestemmia. Una prima, piccola crepa nell'inossidabile muro di di silenzio che ci separava. Ma le sue parole erano inquietanti.
“Chi ti ha detto una cosa del genere?!”
Il muro di silenzio doveva avere grosse capacità di rigenerazione, perché Zexion tornò in un istante a trincerarvisi dietro. Non ci fu verso di cavargli un'altra sillaba di bocca, né riuscii a capire le origini di quell'affermazione preoccupante.
“Non devi avere paura di questo” dissi “Quando impariamo una cosa nuova all'inizio è normale non capirci nulla. Pensa che la prima volta che ho disegnato un cerchio alchemico ho fatto saltare in aria il fienile dei vicini. Per mia fortuna erano convinti che fosse stato un fulmine.” sorrisi al ricordo, e questo, più che le mie parole, sembrò rassicurare almeno un po' Zexion. Il suo viso si rilassò, anche se non smise di tenere la testa china sui fogli.
“Per adesso lasciamo stare.” decisi, chiudendo il libro con delicatezza. “Hai già imparato tante cose oggi. Sei stato bravo. Facciamo una pausa, ti va? E' quasi ora di pranzo.”
Nelle cucine quel giorno era di turno Lexaeus, che tra nubi di vapore e macchie di unto mi rivelò che lui e Xaldin avevano scoperto in un altro mondo una ricetta speciale per cucinare le patate, un autentico piacere dei sensi a sentir loro, e avevano deciso a tutti i costi di riprodurla. A giudicare dalle condizioni disastrose della cucina l'uomo doveva aver combattuto una battaglia durissima per piegare al proprio volere la materia cibo. In compenso le “patatine fritte”, come Lexaeus le chiamava, emanavano un profumo davvero invitante. Pareva uno di quei piatti per cui i bambini vanno pazzi.
E Zexion ne andò pazzo, con mio grande sollievo. Mangiava sempre tutto quello che gli davo, ma per la prima volta da quando lo conoscevo lo vidi leccarsi le dita con gusto. Ero così soddisfatto che gli lasciai anche la mia porzione.
Le sorprese non erano finite. Poco dopo Zexion si alzò e trotterellò nella mia direzione, un po' incerto; sotto la fronte corrugata sembrava soppesare il da farsi, come se non riuscisse a decidersi tra due alternative. Io non mi mossi, cercai per quel che potevo di non cambiare espressione. Con la coda dell'occhio lo osservavo, curioso.
Alla fine parve prendere una decisione e si mosse verso di me, porgendomi una mano. Un pugno di patatine fritte.
“Sono per me?”
Annuì. “Anche a te piacciono.”
Sbalordito accettai il piccolo dono. In effetti mi facevano venire l'acquolina in bocca. E avevo ancora fame.
“Grazie.”
E' intelligente. Spaventato a morte da fantasmi senza nome, ma intelligente, e sveglio anche. Ha un buono spirito di osservazione. Sembra quasi che mi legga nel pensiero.
Se solo avessi capito come sconfiggere le paure ignote che lo assalivano ad ogni passo forse sarei riuscito a fare dei progressi con lui.
Ebbi fortuna. Quella stessa notte un tassello della soluzione mi capitò fortuitamente tra le mani.
Andai a dormire tardi, come al solito. Il responsabile stavolta era un manuale di biochimica proveniente da uno di quei mondi benedetti in cui la scienza è onorata come disciplina seria e degna di rispetto. Come ogni altra volta mi persi tra le pagine e riemersi solo molte ore dopo, un po' spaesato e con un leggero mal di testa, in un laboratorio completamente buio tranne per la piccola luce che brillava debolmente sulla mia scrivania. Mi stiracchiai le membra intorpidite nel silenzio più assoluto. Zexion probabilmente dormiva già da un pezzo, anche se non ricordavo di averlo messo a letto.
Tornai in camera strascicando i piedi, ansioso di gettarmi anch'io nell'abbraccio di Morfeo. Per poco non mi prese un infarto quando notai la sagoma scura appollaiata sul mio letto.
“Zexion!” urlai, forse un po' troppo forte, mentre accendevo la luce. I battiti del mio cuore si calmarono: era soltanto lui, seduto sul bordo del letto con le spalle chine come al solito. Zexion stranamente non sussultò né parve spaventato; si limitò a girare la testa al mio ingresso e a rivolgere lo sguardo verso di me.
Aveva gli occhi rossi e le guance rigate di lacrime silenziose.
“Che è successo?”
Dopo i primi secondi di silenzio capii che non mi avrebbe risposto. Si era di nuovo ritirato in quel luogo di se stesso dove non potevo raggiungerlo.
Dopo un attimo di esitazione mi sedetti accanto a lui. “Un brutto sogno?” chiesi, pur sapendo che sarebbe stato inutile. Non possedevo la chiave di accesso al suo rifugio segreto: tutto ciò che potevo fare era bussare, gridare nella vana speranza che mi aprisse.
“Qualsiasi cosa tu abbia sognato non devi aver paura. Non sono cose vere. Qui non c'è nessun pericolo.” Parole vuote che avevo già ripetuto tante volte. No, la chiave non era quella.
Forse non ce n'era neppure una.
Zexion continuava a piangere. Sempre in silenzio, senza singhiozzare o tirare su col naso. Solo una lunga fila di lacrime che scivolavano piano lungo le guance e cadevano sul copriletto morbido senza disturbare nessuno. Avrei potuto mettermi a dormire e non accorgermi di niente.
Gli posai una mano sulla spalla, con delicatezza. Non mi respinse. Per la verità non ero neppure sicuro che si fosse accorto di me.
Allora lo presi in braccio. Gli accarezzai i capelli, lo cullai dolcemente cercando di rassicurarlo. Subito lo sentii rilassarsi tra le mie braccia. Mi si rannicchiò contro, posando la testa nell'incavo della mia spalla, entrambe le mani strette intorno alla mia tunica.
Continuai ad accarezzarlo finché non smise di piangere e il suo respiro ritornò regolare. Con una manina mi afferrò un ciuffo di capelli e si mise a giocarci, passandoselo su tutta la faccia e vicino al naso, come se cercasse di annusarlo.
“Va meglio?”
“Sì” rispose, e per un attimo fui certo di intravedere l'ombra di un sorriso increspargli le labbra.
Pochi minuti dopo si addormentò, i miei capelli ancora stretti tra le dita.
Che stupido ero stato. Avevo pensato di poterlo calmare con le parole e i discorsi logici quando la chiave di volta stava da tutt'altra parte.
“Tu non hai bisogno di uno come me, vero?” sussurrai piano, parlando alla notte e alle ombre. “Non ti serve uno scienziato che ti insegni a leggere o a fare i conti. Non ti serve uno studioso che ha rinunciato a una casa e una famiglia per inseguire i suoi sogni di conoscenza. Tu hai bisogno di qualcuno che ti voglia bene, che pensi solo a te e che ti protegga.”
Qualcuno che lo coccolasse e giocasse con lui, che gli leggesse le fiabe prima di andare a letto e lo risvegliasse al mattino con un bacio e una tazza di latte caldo. Qualcuno come una mamma.
“Io non so se sono capace di essere quel qualcuno.”
Con delicatezza lo adagiai sul letto e gli rimboccai la coperta. Nel sonno il suo viso era sereno; non ci sarebbero stati altri incubi a turbarlo quella notte.
“Però ci posso provare” dissi, scostandogli i capelli dagli occhi con un'ultima carezza.
“Almeno ci posso provare.”
La mattina dopo Zexion si svegliò di buon'ora, e quando tra uno sbadiglio e l'altro gli chiesi cosa aveva voglia di fare quel giorno mi stupì con la prontezza della sua risposta. E mi strappò un sorriso, anche.
“Voglio stare con te.”


Narratore: “Bene, e anche questa noia melensa è andata! La storia torna di nuovo in mio potere! Mi raccomando amici lettori, ricordate cosa vi ho detto all'inizio del capitolo... non deludetemi! Conto su di voi!”


“Signori e signore, buonasera!”
Un ronzio.
Un fastidioso ronzio nelle sue orecchie.
“Un bell’applauso, gentile pubblico, un bell’applauso … chi può farlo, ovviamente …”
Una sola luce fendette il suo campo visivo. Apparve dal nulla, probabilmente dall’alto, ed illuminò la sagoma nera in piedi al centro della caverna. Mara aprì gli occhi, ed in quel momento le narici si riempirono di nuovo del profumo dolciastro dei fiori: ma in quel momento di quei fiori non rimaneva altro che un tappeto di steli e petali appassiti, un velo marcescente che tappezzava tutta la grotta. Cercò di non svenire una seconda volta, sentendo il cerchio alla testa farsi sempre più pesante.
Quando cercò di muoversi si accorse di avere le mani immobilizzate. Le braccia erano tese in alto, legate a qualcosa che non riusciva a vedere, quasi certamente di metallo; provò a muovere le dita, ma subito un dolore la attraversò ed arrivò fino alla punta dei piedi. Alla sua destra vide Gandalf immobilizzato alla stessa maniera, ed oltre c’erano le sagome di Aragorn ed Eomer, il primo legato un po’ più in alto del secondo. Il ramingo disse qualcosa in nanico, una parola che aveva tutta l’aria di essere un insulto al ramo femminile della famiglia del loro nemico.
“Signori miei, che modi!”. La persona che li aveva colti di sorpresa, quello che si era fatto chiamare Killvearn, scivolò al centro del fascio di luce e fece un inchino verso di loro. “E io che mi ero premurato di fornirvi un piccolo intrattenimento musicale prima dell’inizio dello spettacolo …”
Ancora la stessa sensazione di vuoto. Mara estese i propri poteri lungo tutta quella figura tetra, ma per la seconda volta un mantello di Vuoto lo protesse: l’unica creatura viva in quella stanza era lo strano mostriciattolo da un occhio solo che avevano incontrato poco prima. Ma lui …
C’era più vita in un droide protocollare.
Ma non c’era nemmeno la morte. La sua presenza era un lieve passo di elfo nella confusione di Coruscant all’ora di punta. Se aveva delle emozioni, queste strisciavano tra la paura, lo sconforto e la furia dei suoi amici. La creaturina camminò vicino allo stivale di Eomer, e per poco il cavaliere di Rohan non lo colpì in pieno petto con un calcio. Il loro carceriere nemmeno se ne accorse, perché iniziò ad armeggiare con un lungo drappo rosso che era steso accanto ai suoi piedi. Fu quando lo sollevò che la donna sentì mancare il respiro in gola.
“Lavok! Valygar!” disse, vedendo i suoi amici ancora feriti agitarsi per terra. “LIBERALI IMMEDIATAMENTE, MASCHERONE!”
“Oh, la pulzella fa la voce più grossa di tutti i cavalieri, eh? Sì, ti capisco, mia cara … vorresti essere tu al posto loro, vero? Vorresti avere tu la fortuna di essere l’assistente del mio grandissimo show? Già, capisco la frustrazione, un vecchio mago patetico ed uno stupido ranger sono ben poca cosa davanti alla tua bellezza … se a me ne infischiasse qualcosa delle tue forme generose, s’intende …”
“Vai a farti fottere!”
“Oh, Killvearn, ha osato insultarti, Piro Piroro!” giuro che se mi libero strangolo prima la gnomo e poi il suo padrone, e se Aragorn prova a fermarmi con la scusa che in fondo sono poveri esseri viventi strangolo pure lui, pensò, rendendosi conto proprio in quel momento che la spada laser non era al suo fianco. Né Aragorn e Gandalf avevano vicino le loro armi. “E tu che pensavi di tenerla per il Gran Finale! Io la incenerirei subito per la sua insolenza, Piro Piro!”
“Suvvia, Piroro! Sai che adoro sentire i commenti del mio pubblico. Dopotutto quale artista non ama sentirsi vicino ai suoi spettatori? Sono le loro parole che mi danno la spinta per esibire tutta la mia creatività! In fondo cosa sarei io senza le loro paure? È proprio lì, è quell’odio genuino, è il terrore nei loro occhi la vera Musa della mia arte”. Mara vide gli occhi dipinti sulla maschera posarsi proprio su di lei. “Odiami, bambolina. Temimi, e metterò su per te ed i tuoi amici uno spettacolo indimenticabile!”
Batté le mani tre volte, ed i corpi di Valygar e Lavok si sollevarono da terra; il mago cercò di fare qualcosa, perché dalle sue dita partì una scarica di scintille contro il misterioso nemico, ma queste si fermarono a mezz’aria, si mossero lentamente verso la mano guantata di nero e poi scomparvero. Lavok mormorò un secondo incantesimo inframezzato ad un insulto, ma stavolta la scintilla schizzò via dal suo controllo ed investì il nipote sulla coscia, che mandò un gemito. “Signori, per favore, vi ricordo che il mio è un one-man show. Non amo i comprimari …” disse. Con un gesto della mano avvicinò a sé il corpo del mago, costringendolo a fluttuare a mezz’aria sdraiato, con il petto proprio all’altezza delle dita. “Specie se questi fastidiosi comprimari non me la contano giusta. Qui dentro ci deve essere solo una persona avvolta nel mistero, e questa sono io. Non credete che altri segreti possano rovinare la purezza della mia performance?”
Tornò di nuovo verso la tela rossa, e da sotto ne tirò fuori un cappello lungo, nero, con un cilindro grande quanto una testa umana; incurante della raffica di insulti dei suoi prigionieri camminò davanti a loro ondeggiando la testa in maniera quasi soddisfatta. Fece sfilare il cappello davanti ai loro occhi, scuotendolo lungo la sommità. “Non c’è trucco, non c’è inganno, il cilindro è vuoto tutto l’anno!”.
Uno sputo atterrò sulla sua maschera, ma quello non vi fece caso. “Non c’è nessun membro del pubblico che vuole aiutarmi? Nessuno nessuno nessuno? Nemmeno una persona che abbia il coraggio di toccare il fondo del mio cappello magico? Oh, che sbadato! Dovreste avere le mani libere per farlo, no?”
“Killvearn, Killvearn, posso farlo io? Posso? Posso? È sempre un’emozione aiutarti sul palco!”
“E va bene, Piroro, visto che i nostri amici proprio non possono farlo lascerò a te l’onore di pescare dal mio cappello magico. Ma vedi di non farci l’abitudine, perché non mi piace trascurare troppo i miei ospiti d’onore”.
“Ma certo, Killvearn! Però sto davvero morendo di curiosità, fammi provare!” disse l’esserino da un occhio solo. Saltò sulla spalla del suo padrone, rivolse loro un saluto inquietante e poi si chinò verso il cappello a cilindro. Il suo braccio era troppo corto per arrivare al fondo, quindi si spinse un po’ e per poco non vi cadde dentro. Mara stava quasi per utilizzare il Lato Oscuro e spingere quel tetro pagliaccio contro una parete quando rimase senza fiato. “Ho trovato qualcosa, Killvearn! E mi sembra bello grosso!”
Piroro fece forza con entrambe le braccia, e la sua pelle verdognola diventò quasi rossa per lo sforzo. Stretta tra le esili mani comparve una luce argentata che tutti loro conoscevano. L’elsa di Anduril, la nobile spada di Aragorn, comparve dalle profondità del cilindro. Mara guardò prima il giocoso assistente e poi il tetro prestigiatore, per poi passare alla lunghissima lama che lentamente uscì dal cappello. Ancora una volta le sue percezioni erano mute, oltre all’evidente divertimento del mostriciattolo; vi era sicuramente qualche incantesimo all’opera, perché nessun doppio fondo avrebbe potuto nascondere un oggetto così grande nel cappello. Ma la Forza non ne percepiva, né lei conosceva incantesimi in grado di rimpicciolire oggetti a quel livello o dislocarli senza apparente dispendio di energie. Se la famiglia demoniaca dispone di questi poteri sono ancora più pericolosi di quello che temevamo.
“Tsk, tutta scena e poca sostanza!” disse Aragorn alla sua destra. Non riusciva a vederlo in viso, ma qualcosa le diceva che aveva sfoderato il suo leggendario sorriso sfrontato “Per carità, un trucco molto utile, ma adesso che ci hai fatto vedere questo bel gioco di prestigio che ne dici di mettere giù la mia spada e di liberare i nostri amici?”
“Ma certo che ho intenzione di liberare i vostri amici!” fece il prestigiatore, prendendo tra le mani l’arma appena estratta dal suo assistente. La soppesò con i gesti di uno spadaccino esperto, la ruotò a destra ed a sinistra e poi la sollevò in alto, verso la luce: la lama brillò ma in maniera innaturale, come se si rifiutasse di rimanere nelle mani di quella figura. “Che filo stupendo ha questa spada! Credo che me la terrò, dopotutto me ne avete distrutte ben tre! Ma tornando al discorso dei vostri amici … è ovvio che li libererò! Non ho certo tempo di portarmele dietro a vita, sapete? Portarmi due parassiti umani alla corte del Grande Satana, quello sì che mi renderebbe una vita difficile!”
Si diresse verso Lavok, Anduril in pugno. Con un rapido fendente stracciò la tunica dalle spalle alla cintura, esponendo il petto. “Però sta a voi velocizzare le … come potremmo chiamarle … pratiche per la loro liberazione”.
“Cosa vuoi sapere?” borbottò Gandalf. “Non abbiamo segreti. O comunque non così grandi da valere la vita di un amico”.
“Oh, adoro la gente con spirito collaborativo. Chi siete? Cosa fate? Dove andate? Insomma, la solita prassi …”
Lo stregone guardò gli altri per avere conferma. Poi raccontò tutto. Lo fece come se non si trovasse legato in una cripta con un prestigiatore sbucato dagli incubi, ma in modo rilassato e sorridente, come avrebbe fatto in una taverna davanti ad un boccale di birra. Non c’era alcuna vergogna nell’essere Ribelli. Né nel voler mettere i bastoni tra le ruote all’Imperatore. Quando parlò del loro sogno di proteggere i civili umani di quel mondo aveva le lacrime agli occhi –anche se evitò di specificare che i guaritori elfici erano ancora nel villaggio di Amer- e cercò persino di convincere il carceriere ad unirsi alla loro causa. “Il vostro Grande Satana ha rinunciato ad allearsi con noi, ma non per questo volteremo le spalle a questo pianeta” concluse. “Siamo qui solo per aiutare le persone che i demoni hanno lasciato indietro. Non vogliamo essere una minaccia per nessuno, e non stiamo mentendo. Ora possiamo andare?”
Killvearn lasciò Anduril fluttuare in aria, fece un piccolo inchino ed applaudì. Prima furono due battiti delle mani distinti, secchi, poi si fecero più intensi. Lo gnomo, vedendo il suo padrone, corse ad imitarlo con uno scrosciare nervoso e rapido delle piccole dita, ed in quel momento l’intera caverna di riempì di un suono secco, sempre più forte, come se migliaia di mani invisibili stessero applaudendo insieme al prestigiatore; l’aria della Cripta Nera iniziò a scintillare, e per qualche secondo le sembrò di vedere delle luci, delle sedie e delle figure riflettersi nelle pareti, come uno specchio di un universo remoto. Come era venuta, la scena scomparve; rimase solo l’applauso di Killvearn, che aveva un rumore quasi metallico. “Come direbbero sulla Terra I … Wonderful! Assolutamente wonderful! C’è il pathos, c’è l’umanità, ci sono i sentimenti, c’è la paura di perdere degli amici. Il palcoscenico è perfetto, il presentatore è divino! Erano anni che non mettevamo su uno spettacolo del genere, dico bene Piroro?”
Ma cosa …?
“Verissimo, Killvearn! Dopo un discorso simile non puoi dare loro meno del tuo meglio!”
“È ovvio, amico mio! Mi sento in dovere morale di esprimere al massimo la mia fantasia! Avrei tanto voluto presentare questo spettacolo al Cavaliere del Drago, ma credo che i nostri eroici ospiti umani meritino almeno una preview! Su, passami la spada ed iniziamo il lavoro!”
Piroro gli fece scivolare l’elsa nella mano, e appoggiò la lama all’altezza delle costole di Lavok.
“EHI, AVEVI DETTO CHE LI AVRESTI LASCIATI ANDARE! CHE VUOI FARE?”
“Quello che ho detto, lo mantengo sempre, signorina! Ho promesso che li avrei liberati, e quale liberazione migliore della morte? Quale modo migliore per sfuggire dalle catene dell’umana sofferenza e librarsi al di sopra della banalità della vita? La vita è quotidianità, noia, guerra e schiavitù” disse, passandosi la lama davanti alla bocca dipinta. “È la morte il vero show. Anni ed anni di vita che svaniscono così, puff, ad un mio schiocco delle dita, interi castelli di storia che trovano la massima realizzazione proprio qui, nell’attimo effimero dove io regno sovrano. Non una morte, non una fine qualsiasi, ma La morte, quella con la M maiuscola, unica, sola … indimenticabile …”
C’era qualcosa di agghiacciante nel tono della sua voce. Nel silenzio che si era appena formato. Nel fatto che nessuno di loro riuscisse a rispondergli. Mara provò a parlare, ma sentì un violento groppo alla gola, gli occhi stranamente troppo umidi.
“Prendiamo questo mago. Quanti anni avrà studiato? Tanti, a giudicare da questi capelli un po’ bianchi …” continuò il prestigiatore, affondando una mano nella testa di Lavok e sollevando un ciuffo bianco. Dall’altra parte della caverna il ranger mormorò qualcosa, ma le sue parole le giunsero ovattate, come se l’unica voce che riuscisse a raggiungerla fosse quella del suo aguzzino. “Posso immaginare i sacrifici, le nottate insonni, gli insuccessi e poi i successi. E ad un certo punto cosa succede? Un incidente, una spada nel petto, un laser vagante o semplicemente il vecchio cuore un giorno decide di essere troppo stanco per studiare e tac, si ferma. E che disdetta, allora! A cosa sono serviti tutti quei sacrifici? A che pro aver studiato, amato, dedicato del tempo a qualcuno? La morte vanifica comunque tutto questo: e nessuno può scappare, nemmeno il Grande Satana o il potente Baran, nemmeno l’Imperatore, o Mistobaan, e tutti quei pagliacci che gridano fuoco, sangue, vendetta ed onore! Ecco perché la morte non può essere banale. Va ricordata in eterno, deve essere impressa a fuoco nelle vostre menti! Torniamo al vostro amico mago …”

Narratore: “Killvearn dovrebbe approfondire la sua conoscenza con Larxen. Sono sicuro che sarebbero una gran bella coppia”
Registe: “Sì, e poi il rating di questa serie andrebbe sul rosso spinto e riceveremmo telefonate minatorie dal Vaticano e dal Comitato Genitori …”


La lama di Anduril rifletteva inquietanti raggi di rosso.
“Potrei piantargli questa bella spada proprio qui, al centro dell’addome. Un ben tripudio di organi, sangue, coreografia indiscutibile. Ma poi? Tutto qui? Dove sarebbe l’arte? Sarei solo un macellaio, non molto diverso dai soldati che in guerra uccidono i nemici. Cosa direbbero i miei fan? Invece possiamo fare un’altra bella cosa …”
Lavok cercò di resistere quando la lama disegnò un taglio sottile a metà del petto, che diventò una sottile linea rossa che lo attraversava da un fianco all’altro. Un rivolo di sangue scivolò oltre quello che rimaneva dei vestiti; quando cadde su un fiore, quello riprese vita. Poi Killvearn mise la spada di piatto, a livello della ferita. Quando con essa sollevò la pelle, tirandola con le mani, l’urlo del mago arrivò alle loro orecchie nonostante l’incantesimo; Mara reagì, spingendo il Lato Oscuro contro il nemico, al diavolo la concentrazione, la calma e la pazienza. Abbatté i suoi poteri sulla mano della creatura, cercando di fargli perdere la presa sulla spada, investendolo con tutta la violenza che aveva seppellito in quei pochi minuti.
Provaci un’altra volta, bastardo, e …
Non successe nulla. Ancora una volta le sembrò di sfondare una porta aperta, la marea dei suoi poteri che si scagliava contro il Vuoto. Si contorse per lo spasmo, ferendosi i polsi, ma continuò a spingere tutte le energie che trovava contro quella creatura. Lui sembrò accorgersene, perché sollevò la testa nella sua direzione; uno scintillio di luce illuminò la bocca dipinta, come un sorriso venuto da un altro mondo. Poi tirò la pelle con ancora più forza, trasformando Lavok in una cascata di sangue ed urla inumane. “Dammi tutto il tuo odio, fanciulla! Non c’è niente di meglio per me! Piroro?”
“Sì, sublime Killvearn?”
“Se scuoiassi questo mago così com’è credo che durerebbe troppo poco … Morirebbe prima di arrivare alle gambe, sai che noia! Guariscilo un po’, su, non farti pregare! E se riuscirò a levargli tutta, ma proprio tutta la pelle ti farò vedere un numero che mi è venuto in mente sul momento!”
“E quale sarebbe? Quale sarebbe, Piro Piroro?”
“Abbiamo uno zio. Ed un nipote. Affinità sanguigna superiore alla media. Potremmo prendere anche la pelle del giovane ranger e scambiarle di corpo, non ti pare? Così potremmo vedere se attecchiscono bene come si dice spesso …”
Spectacularly spectacular, Killvearn! Solo tu puoi pensare ad una cosa del genere, sei il migliore, sei su-per-la-ti-vo, Piro Piroro!”
Tra un lamento e l’altro, Lavok riuscì a sollevare la testa. “Prova ad avvicinarti a Valygar e giuro che ti impalo su due piedi, bastardo!”
“Oh, la frase giusta al momento giusto, proprio da vero eroe! Un vero peccato che …”
Un’esplosione coprì le sue ultime parole. La luce tremolò, illuminò per qualche istante la spada del ramingo e poi si spense insieme ad urlo strozzato del mago torturato. Lo gnomo gridò qualcosa, e nel buio generale Mara lo sentì cadere, inciampare ed iniziare a correre.
Una luce calda venne dalla parte opposta della caverna, nel punto dove loro stessi erano entrati. La via era di nuovo aperta, e qualcuno si trovava all’ingresso con un’enorme Palla di Fuoco nelle mani.
“Ciao Killvearn! È qui la festa?”


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Fonte della fanart a inizio capitolo: http://www.deviantart.com/art/Even-Ienzo-Kingdom-Hearts-152893400
  
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