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Autore: IamShe    27/02/2014    11 recensioni
Shinichi è uscito trionfante dallo scontro con l’Organizzazione, e a distanza di tre anni, si gode a pieno la sua vita di detective nazionale ed ammirato da tutti. Non gli manca nulla, neanche l’amore di Ran. Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto, qualcuno sfrutterà l’ingegno della sua amica Shiho per proiettarlo in un mondo che il suo cervello, altrimenti, non avrebbe mai perseguito: quello della criminalità. E non potrà più sfruttare la sua intelligenza, che presto scoprirà arma della sua stessa tortura, ma qualcosa che il suo mito Holmes riteneva stupido e debole, da evitare: le sue emozioni.
- - - - -
Shinichi non seppe come muoversi: sebbene conoscesse a memoria la sua cucina, non aveva la minima idea di dove si nascondessero i criminali che li avevano sorpresi.
«Cosa volete?» chiese, girandosi intorno e cercando di ripararsi. Pensò ad un piano che potesse mettere in salvo tutti, ma il suo istinto lo fece voltare verso la sua fidanzata: Ran giaceva a terra con gli occhi chiusi, respirando normalmente. Questa fu l’ultima cosa che vide.
«Te», fu l’ultima che sentì.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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T o r t u r e d  M i n d

 
Sesto capitolo Sixth chapter Sixième chapitre  Quell'aroma alla fragola Sexto capìtulo Sechste Kapitel 第六章  여섯 번째 장  
 
 
Shinichi restò a fissare quella donna dai lunghi capelli neri e dagli occhi azzurri, ma tendenti al viola, per parecchi secondi. Le scrutò il volto, e tra le labbra e il leggero accenno all’in su del naso, pensò che tutti i suoi lineamenti fossero al punto giusto. Aveva le guance arrossate, e questo la rendeva ancora più deliziosa, ma nulla era bello come la curva del suo seno, e quella dei suoi fianchi.
«Oh, è arrivata la psicopatica» mormorò Midori, con disgusto. Dalla tasca posteriore del jeans, la rossa tirò fuori una pistola, che puntò dritto verso la ragazza.
Ran guardò la scena spaesata, e tra uno sguardo al detective ed uno all’amico, tentò di capire cosa stesse accadendo.
«Shinichi» ripeté, ma un urlo di Heiji la bloccò: «ferma, non muoverti.»
Ran fece un passo d’arresto, poi osservò l’amico.
«Perché...?»
«Non ci riconosce» disse Hattori, velocemente. «Non sa chi siamo.»
Ran parve sprofondare in un baratro di oscurità. Tornò a fissare gli occhi sul volto sciupato del suo fidanzato, in cui scorse una vena di estraneità, ma infinita ed infinita incertezza.
«Non ti ricordi di me?» gli chiese, con un filo di voce. Sperò con tutta la forza che aveva in corpo che negasse, ma lo conosceva, e quello sguardo non gli apparteneva.
“Dovrebbe essere la tipa che si finge Ran.” Lui deglutì, riprendendo man mano coscienza di sé. «No», poi si voltò verso Heiji, e con voce glaciale aggiunse: «Ti avevo detto di venire da solo.»
Lui sbuffò, «è la tua fidanzata, e se lo ricordassi, sapresti anche che è terribilmente cocciuta quando si tratta di te.»
Shinichi assunse un’espressione strana, un misto tra incredulità, scetticismo e sorpresa. Guardò Midori, che prontamente gli rispose: «Ti avevamo avvisato che sono pazzi.»
«Oh, chi sarebbe pazzo?» ribatté Heiji, stizzito.
«Voi» rispose con convinzione Midori. «Io sono la sua fidanzata, e voi siete solo degli stupidi ciarlatani.»
«Come scusa?!» si infiammò Ran, facendo qualche passo in avanti. «Tu saresti la sua fidanzata?!»
«Sì, problemi?» ghignò Midori, godendo.
«Sono tuoi i problemi» ribatté l’altra. «Se ti prendo, ti tiro tutti quei bei capelli rossi che hai, e poi te li strappo uno ad uno.» Si mosse ancora verso il fidanzato, ma lui non spostò la pistola da Heiji.
«Sto tremando di paura» disse, sarcastica.
«Ma chiudi quella bocca, razza di gallina!»
«Come mi hai chiamato?!» si infiammò, tanto che i suoi capelli parevano fatti di scintille.
Shinichi e Heiji seguirono il dibattito girando la testa a destra e sinistra, completamente assorti. La canna della pistola del detective era ancora puntata su quello che da sempre lo nominava “migliore amico”, ma senza rendersene neanche conto. Tornò alla realtà solo quando il grido di un «fermi tutti» gli giunse dall’oscurità, e dietro Heiji e Ran sbucarono un altro paio di persone ed il lampeggiante rosso di un’auto poliziesca. Midori si zittì, e sussultò, mentre Takagi e Megure, con appresso diversi poliziotti –che avevano chiamato nel frattempo come rinforzi, avanzavano verso di loro con le pistole in mano. Si bloccarono, all’improvviso, quando lo videro: «Kudo!».
«Hai portato la polizia? Maledetto!» sbottò Midori, portando il quadrante dell’orologio in modo che riflettesse la luce del faro della loro auto. Fu come una specie di segnale: quando il fascio di luce si librò al cielo, dai container sbucarono i suoi uomini, che corsero verso di lei e puntarono le pistole contro i due poliziotti, Shiho, Heiji, Kazuha e Ran.
Seguì un disordine generale. Quando Midori diede l’ordine di sparare, Kazuha e Shiho si ripararono dietro l’auto, mentre Heiji e Ran si fecero protezione con due container. Megure e Takagi rimasero a proteggersi, e a sparare a loro volta, appoggiati al cofano dell’auto di Midori e Shinichi. Quando i due poliziotti spararono, Shinichi abbassò il capo e si accostò ad un container. Dietro lui, vi era Ran.
Si guardarono per qualche istante, fin quando non dovettero abbassarsi per evitare il proiettile di uno degli uomini di Midori, che aveva notato la ragazza, ma non Shinichi. Nel fracasso degli spari che volavano e squarciavano l’aria, la karateka trovò il coraggio di afferrargli la maglia che portava. Notò che non la conosceva, probabilmente erano i vestiti che gli avevano dato quei tipi.
«Davvero non ti ricordi di me?»
«Sì» disse, «e lasciami.»
Ran avvertì le lacrime gonfiare le sue palpebre, ma non si diede per vinta. Le parole di Midori risuonavano ancora nella sua mente: “è nel mio letto... bacia bene...”. Si armò di tutta la tenacia di cui era capace, e con il corpo si spinse verso di lui. Lo abbracciò e lo baciò, lasciandolo basito per qualche secondo, poi si staccò. Un leggero profumo di fragola risalì su per le narici del detective.
«Anche io e te siamo molto amici», una frase, una voce.
Entrò nel suo cervello come una saetta, e gli procurò anche un’immensa fitta di dolore. Indietreggiò di qualche passo, così che il martirio passò subito, e lui riprese a respirare normalmente. Quando alzò gli occhi, vide lei era in lacrime, col capo basso.
«E di questo? Ti ricordi?»
Avrebbe voluto risponderle di sì, che era quello che sentiva, ma gli sembrava assurdo. La sua mente non ricordava di averla mai baciata prima, ma le sue labbra sì. Ed anche il suo profumo. Alla fragola. E prima ancora che potesse certificarsi se quelle labbra le avesse già assaggiate, il frastuono di uno sparo e di un urlo giunse alle loro orecchie. Quando si girarono, videro che Megure era stato colpito, e che si era accasciato a terra, dolorante. Ran gridò, scattò in avanti, ma Shinichi la trattenne. Le afferrò il braccio, la trascinò all’indietro e la fece scontrare contro il suo petto. Un proiettile squarciò l’aria a pochi centimetri dalla karateka, ficcandosi nel ferro del container. Dietro di loro, uno dei criminali morì sotto il colpo di pistola di Takagi.
Il detective la lasciò andare, stupito e sconvolto da se stesso. Lei lo guardò con un misto di amore e tenerezza, a cui si aggiunse tristezza, quando si rese conto che era vero che non la ricordava, ma il suo corpo, il suo istinto, gli diceva di comportarsi ancora come Shinichi Kudo, quello vero.
Ran gli sorrise leggermente, dimentica del resto del mondo. «Grazie, mi hai salvato.»
«Non lo so perché l’ho fatto» sbottò lui, più brusco di quanto credeva.
«Shinichi...»
Poi Megure gridò di nuovo, e Takagi si accasciò a soccorrerlo. I malviventi ne approfittarono per riunirsi, ed indietreggiarono fino a dove erano nascosti Shinichi e Ran. Quando videro la giovane accanto a lui, l’afferrarono e le puntarono la pistola alla testa.
«Che nessuno si muova» disse Midori. «Perché la uccideremo. Non che mi dispiaccia.»
Shinichi avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non sapeva da che parte stare. Se avesse provato a salvare la ragazza gli avrebbero dato del traditore, ma se l’avesse lasciata nelle loro grinfie, a lui... a lui non sarebbe piaciuto. Quella ragazza era strana: aveva il potere di disorientarlo con la sua sola presenza. Cosa doveva fare?
La scena si calmò e i criminali presero potere: approfittando di Ran come ostaggio, indietreggiarono verso le loro auto. «Muoviti Shinichi» gli comandò Midori. «Sali in auto.»
Il detective le lanciò un’occhiataccia. «Quando hai finito di darmi ordini me lo dici.»
Lei parve rammaricata, mentre Ran veniva sbattuta all’interno tra le braccia ossute di due uomini. Shinichi corse in auto, seguito da Midori, ed insieme misero in retromarcia: tastando sull’acceleratore, indietreggiarono velocemente verso il buio dei container, mentre gli altri uomini scappavano a bordo di un’altra auto. 
Heiji si rialzò e scacciò un sasso a terra con rabbia; quando guardò all’orizzonte, la macchina era già scomparsa.
 
§§§
 
Ran si svegliò di soprassalto, con la bocca arida e secca, in una stanza completamente buia. Non ricordava come ci fosse arrivata, ma sapeva cos’era successo quand’era salita sull’auto: prima che avesse potuto anche solo aprire la bocca, l’avevano stordita con la canna di una pistola, e da lì non aveva capito più nulla. S’alzò dal pavimento, dov’era stata adagiata, con flemma: il corpo le faceva male, ma non se ne preoccupò molto. Rivedeva ancora davanti a lei Megure ferito, e Shinichi che dimostrava di non riconoscerla, di averla dimenticata, di non sapere più chi fosse. Una stretta le strinse il cuore, e stavolta il dolore fu tanto che dovette inspirare ed espirare per calmarsi un po’. Le ci vollero un paio di minuti, durante i quali scrutò un po’ la fisionomia della stanza: era quasi impossibile notare qualcos’altro a parte le pareti per via del buio, ma si rese conto che c’era anche uno specchio ed un mobiletto. Quando provò a mettersi in piedi per raggiungerlo, s’accorse d’essere legata ad esso con una catena e delle manette. Sbuffò, riabbassandosi e poggiando la schiena contro il mobile. Puzzava di vecchio e muffa. Probabilmente quella stanza era quasi sempre chiusa. Si chiese dove fosse Shinichi, che ne fosse stato di Heiji e gli altri, e se l’ispettore fosse riuscito a salvarsi.
Socchiuse gli occhi ed aspettò, sussurrando tra le lacrime il suo nome.
«Shinichi...»
 
“Shinichi...” di nuovo quella voce a tormentargli la testa, proprio come il giorno prima, che l’aveva svegliato. Adesso ne era più che certo, considerato che l’aveva conosciuta: apparteneva a quella ragazza che avevano rapito e segregato in cantina, e di cui adesso stavano decidendo le sorti. Midori era più che convinta a volerla uccidere, Akira invece era più propenso ad aspettare.
«È un’ottima esca per Hattori e i suoi colleghi» spiegò. «Senza pensare che adesso la polizia sa che ci siamo noi dietro tutta questa storia e non è proprio ciò che desideravo.»
«Non vedo cosa possano fregarsene di quella ragazzina petulante e noiosa» si lamentò, guadagnandosi un’occhiataccia dal socio in affari.
«Resta il fatto che eravate una decina di voi armati contro sei di loro, potrei sapere perché non li avete ammazzati tutti prima d’ogni cosa?» sbottò Akira, ignorando la giovane e passando oltre Shinichi. «Un compito avevate: ammazzare Hattori. Uno. E nemmeno quello! Siete riusciti soltanto a ferire un poliziotto grasso, mentre noi abbiamo perso uno degli nostri uomini. Complimenti vivissimi.»
«Perché non sei venuto tu?» replicò Shinichi, con le labbra storte in una smorfia. «Parli tanto, ma alla fine non ci sei mai.»
Akira lo avvicinò minaccioso. «E tu, fratellino? Com’è stato l’incontro con Hattori?»
Midori sussultò: non gli aveva detto dell’incertezza del detective nel doverlo sparare. E non aveva intenzione di dirglielo. Quello era stato forse un segno che la sua memoria stava tornando? Hattori aveva parlato di istinto, di verità. Aveva ragione? Shinichi non sapeva di essere un difensore della giustizia, eppure il suo corpo si comportava come tale. Cosa avrebbe potuto fare per trattenerlo a loro, a lei?
«Potrebbe essere perfino più simpatico di te» sorrise Shinichi. «Il che è tutto dire.»
«Dovrei ridere?»
Shinichi scrollò le spalle. «Piangi se vuoi.»
«Non fare tanto lo spiritoso» sputò fuori, con stizza. «Non sono proprio in vena.»
«Akira, calmati adesso» lo interruppe Midori, sbuffando seccata. Fece qualche passo verso il divano e ci si sedette sopra, accavallando le gambe. «Abbiamo la psicopatica, ed è indubbiamente un punto a nostro favore.»
«Adesso saranno all’ospedale, dato che uno di loro è stato ferito» commentò Yuri, seduta sul divano.
“Diversamente da noi, da voi...” pensò Shinichi, improvvisamente. Non riusciva ad immedesimarsi con quelle idee. “Che quell’uomo è morto sotto i nostri occhi e non abbiamo neanche recuperato il corpo.” Poi scosse il capo, rendendosi conto di star formulando un altro stupido pensiero; voltò lo sguardo verso lo specchio di fronte a lui, ed osservandosi, si chiese cosa gli stesse accadendo. Se era un criminale, perché non si sentiva tale? Abbassò gli occhi, sentendosi un traditore nei confronti di Midori, di Akira, dei suoi genitori che erano morti per lui.
«Certo», ammise Akira. «Ma adesso Hattori non abboccherà più facilmente. Ci serve un piano» disse, ed immediatamente tutti guardarono il detective, in attesa di una risposta.
«Sì, ma fatemi pensare un attimo» disse, rendendosi conto che quella era l’occasione giusta per dimostrare fedeltà a loro, per sentirsi uno di loro. Elaborare un piano gli piaceva, ammise a se stesso. Un po’ di meno elaborare un piano per uccidere qualcun altro. Questo gli sembrava strano, e scorretto. Pensò ad Hattori, al suo viso apparentemente sincero, a quegl’occhi verdi stanchi, alla sua voce incrinata quando gli aveva chiesto cosa gli stesse succedendo. Poi pensò a quella ragazza, a quella che Midori chiamava “la psicopatica”, a quella che era convinta di essere la sua fidanzata, all’affanno che aveva quando era sbucata dietro Hattori, ai suoi occhi violacei che si erano illuminati nel vederlo, a quel profumo di fragola che gli aveva fatto girare la testa. Pensò alla sua voce, che continuava a tornargli in mente, che continuava a chiedere di lui, che continuava a chiamarlo. Si ridestò, di nuovo. Lui era vissuto con Akira, era nato e cresciuto tra il lusso sporco e soldi facili, tra l’arroganza e sottomissione dei più deboli, di quelli che non fanno parte di quel mondo. Non poteva perdersi appresso al viso di una pazza.
Tossì, alzando lo sguardo verso i presenti.
«Hattori è un detective, no?» cominciò, con assoluta chiarezza. «Sbattiamogli un caso di fronte. Spingiamolo ad investigare, manovriamolo. Se gli indizi del caso portano verso una porta, lui l’aprirà, e lì potrebbe trovarci noi, me, Akira, un serpente» sorrise leggermente.
Akira parve riacquistare tutto l’entusiasmo. «Perfetto» disse. «Meraviglioso. Come un topo in trappola.»
«Effettivamente, potremmo farlo morire da solo» suggerì Shinichi. «Non mi va di macchiarmi le mani col suo stupido sangue» disse, ma in realtà era perché non era convinto di riuscire ad ucciderlo, proprio come non era riuscito a sparare. Il suo istinto, come aveva detto lui, gli diceva di non farlo, di comportarsi diversamente da come Akira e gli altri gli dicevano, e non poteva farci nulla. Dunque era meglio che facesse tutto da solo, che scomparisse al più presto dalla sua testa e dai suoi pensieri, che morisse insieme alla sua arroganza e alla sua voglia di competizione, che la smettesse di guardarlo con quegli occhi di cucciolo bastonato, come se lui l’avesse deluso più di ogni altra cosa.
«Come?»
«Se lo chiudiamo dentro una cella frigorifera, dopo un po’ morirà» suggerì Midori, ma Shinichi scosse il capo.
«La morte per ipotermia è lenta» disse, schifato; voleva per lui una morte rapida al massimo, indolore, quasi... giusta. Ma Akira non sembrava dello stesso parere.
«Meglio» lo sentì ghignare, «così avrà tutto il tempo di pensare ai suoi sbagli.»
«Potrebbero...» lo fermò, ma la voce gli uscì incerta. Era come se qualcosa, dentro di lui, stesse cercando di emergere dall’abisso, e lui stesse facendo di tutto per nasconderlo. «Potrebbero liberarlo se ci volesse troppo tempo, non sarebbe meglio una cosa veloce...?», “così la smetto di pentirmi di starlo dicendo” pensò, ma non lo disse.
«No, voglio che soffra», Akira gli frantumò le speranze, senza pietà.
«Sono d’accordo anche io» disse uno degli uomini.
«Adesso non resta che organizzare un po’ il caso... il luogo, la vicenda» fece Midori, «ed è tutto risolto».
«Un supermercato» suggerì qualcuno.
«No, un ristorante» dissero, un altro aggiunse: «un macellaio» e rise.
«Ci pensiamo domani» disse improvvisamente Akira, sbalordendo un po’ tutti. «Andiamo a riposare, che oggi è stata una giornata faticosa.»
Midori si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e sorridendo a Shinichi, gli prese la mano. «Andiamo.»
“E la ragazza?” avrebbe voluto chiedere lui, rendendosi conto che nessuno l’aveva più menzionata. Volevano far morire anche lei da sola, magari disidratata? Era un’immagine che gli donava un disgusto simile a quello che provava per la morte di Hattori, ma molto più forte. Quando l’aveva vista, al porto, gli era sembrata un angelo. Come si poteva desiderarne la morte?
Mentre saliva con Midori verso camera sua, si chiese perché quella ragazza insistesse così tanto con lui. Perché si fingeva la sua fidanzata se non lo era? Era innamorata di lui? Ma come poteva essere se lei aveva contribuito, secondo Akira, ad imprigionarlo? Era davvero pazza, allora? Eppure quando le aveva parlato, al porto, quando lei l’aveva baciato con quel profumo di fragola, gli era sembrato tutto così spontaneo, così sicuro. Sospirò, socchiudendo gli occhi. Ogni volta che pensava ad Hattori o a quella ragazza gli faceva male la testa, come se stesse per scoppiare, come se cercasse di suggerirgli qualcosa che lui non riuscisse ad afferrare.
«Shinichi...» giunse la voce di Midori a scuoterlo. «Come ti senti? Come va... l’amnesia?»
Lui la guardò per qualche secondo, non s’aspettava quella domanda. «Sempre uguale. Non ricordo nulla.»
«L’altra sera hai avuto un flashback però...» gli disse, ed abbassò gli occhi. «E oggi non sei riuscito a sparare ad Hattori, non hai provato ad uccidere nessuno di loro. Perché?»
Il detective sussultò, e con tutta la convinzione che possedeva, le disse: «Io... non volevo sporcarmi le mani con un essere viscido come lui, e non perdo tempo con delle psicopatiche.»
“Ma non è così” pensò tra sé e sé, mordendosi un labbro. “So di non averlo fatto... perché vederlo morire...”
La giovane sorrise. «Hai ragione», fece scivolare le dita sulle sue, e gli schioccò un bacio sulla bocca. Shinichi entrò in camera sua, chiuse la porta, e si lasciò cadere al pavimento, riflettendosi allo specchio. Accanto a lui sembrarono sedersi Ran e Heiji, con i loro corpi fantasma che gli infestavano la mente, con i loro occhi splendenti; Hattori e la sua impetuosità, Muori e la sua dolcezza.
Entrambi appoggiarono il loro capo spettrale sulla sua spalla, dolcemente, e socchiusero gli occhi.
“...perché vederli morire, avrebbe ucciso me” pensò, e loro sorrisero.
 
§§§
 
«Su, bevi qualcosa, Heiji.»
«Ti ho detto che non voglio nulla!» sbottò il detective, portandosi le mani sul viso per poi farle scivolare dietro i capelli, cercando di strapparli. Kazuha, con ancora la camomilla tra le mani, si sedette a fianco a lui, e cominciò ad assaggiarla al posto suo. Da quando erano tornati dal porto, non avevano mosso piede dall’ospedale dove Megure era stato ricoverato. Di fronte a loro, Shiho si era stretta nel caldo avvolgente di un cappotto prestatole da Takagi, che faceva avanti ed indietro nel corridoio, in trepidante attesa di notizie.
«Cosa gli avranno detto» pensò a voce alta il detective, col capo basso. «Mi ha accusato di avergli ucciso i genitori, di averlo torturato... cosa dannazione si sono inventati...»
«Piuttosto,» dimostrò di aver ascoltato tutto Kazuha, sorseggiando la camomilla e stringendosi su se stessa per infondersi un po’ di calore. «Adesso Ran è in quel covo di pazzi, con il suo fidanzato che non la riconosce più e che non farebbe niente per aiutarla... anzi, è quasi probabile che la uccida lui stesso.»
«Kazuha!» sbottò lui. «Cosa cavolo dici? Ti ho detto che non è riuscito ad uccidermi, e non ucciderà nemmeno lei... perché nonostante tutte le stronzate che gli hanno detto, la verità lui ce l’ha ancora dentro.»
«Peccato che non riesca a vederla,» ribatté la ragazza. «Heiji, devi smetterla di pensare a Kudo come a quello che conoscevi... non lo è più. Ti rendi conto che ti ha chiamato traendoti in inganno?»
«Solo perché loro l’hanno convinto che sono io il nemico!» disse, stizzito.
Shiho fece un verso spazientito, come a sperare si zittissero all’istante, dato che il chirurgo era finalmente uscito. Il medico virò alla ricerca di qualche familiare, ma quando capì che vi erano solo Takagi e i tre ragazzi, avvicinò loro.
«La moglie dell’ispettore sta arrivando» lo informò il poliziotto, e quello annuì.
«Le condizioni sono stabili, ma ha perso molto sangue ed ancora non riesce a riprendere conoscenza» disse loro, «ritengo che si debba aspettare qualche giorno per capire come reagirà. Ovviamente, speriamo in bene.»
Takagi strinse i pugni, mentre Hattori si limitò ad abbassare nuovamente il capo e a tenerselo fra le mani.
«Se avessimo novità, vi avviseremo» disse, poi si incamminò verso una famiglia che gli chiedeva informazioni riguardo il loro nipote.
«Chissà Ran come sta» mormorò Kazuha, abbassando gli occhi al pavimento. «Spero solo che sia ancora viva.»
«Lo è» rispose Heiji. «Lui non permetterà muoia.»
«Ma He...»
«Lui non permetterà che lei muoia» ripeté il detective, con freddezza, e lei si zittì.
 
§§§
 
Shinichi osservò il soffitto per tutta la notte, chiedendosi perché non riuscisse ad addormentarsi. La sua mente continuava a proiettargli davanti il viso di quella ragazza che avevano rapito, che – pensò – probabilmente aveva fame e sete, oppure freddo o caldo. Girando la testa alla sua destra, notò che erano le quattro di notte. Scostò le lenzuola e poggiò i piedi a terra, osservandosi intorno, come per certificare che non lo vedesse nessuno. Poi si infilò un paio di calzini per poter camminare senza rumore, quasi scivolando sul pavimento, ed aprì la porta di camera sua. Si sentì come un ladro che fuggiva dalla casa appena rapinata, ma non ci badò più di tanto. Chiuse la porta dietro di sé e diede un’occhiata al corridoio: notò che era libero, così corse verso la cucina, stando sempre attento che non ci fosse nessuno a fare la guardia. Quando arrivò vicino ai fornelli, notò il fumo di una sigaretta che si librava al cielo sulla terrazza adiacente. Si nascose velocemente, rendendosi conto che c’era ancora qualcuno sveglio.
«Ok, vada per il ristorante allora» stava dicendo una voce, che attrasse la sua attenzione. Sporse un po’ il viso per capire chi ci fosse lì fuori: erano Akira, uno dei suoi uomini, e Yuri.
Quelli risero. «Ma della ragazza dobbiamo liberarcene?»
«Secondo me possiamo ucciderla» disse lei. «D’altronde Kudo ha fornito un piano migliore del ricattarli.»
Akira annuì. «Sì, però la voglio far morire di disperazione... come è morto Shiro.»
“Shiro? Chi è Shiro?” si chiese Shinichi, sporgendosi un po’ più in avanti.
«Facciamola morire disidratata» disse l’altro, con un ghigno sadico sulle labbra.
«Ottima idea» convenne Yuri, poi si girò verso il suo capo.
Shinichi ebbe un brivido, che lo fece spingere ancora più in là, dove notò che la sigaretta dell’uomo era sul punto di finirsi, e che questo significava che presto sarebbero rientrati. E probabilmente, nel vederlo lì, rannicchiato come un ladro, li avrebbe fatto sospettare. Fece così dietrofront, e strisciando a terra, lasciò la cucina. Si rialzò una volta in corridoio, dove camminò velocemente verso la cantina. In realtà non sapeva esattamente dove si trovasse, però l’istinto gli diceva di andare verso il basso, dunque lo seguì. Dopo una rampa di scale, si ritrovò davanti due porte: una era quella dove aveva visto i monitor, l’altra doveva essere la cantina. Provò ad aprirla, ma era chiusa a chiave. Imprecò tra sé e sé, quando vide che la porta aveva la chiusura digitalizzata, come quella della sala dei monitor. Dunque ci voleva un codice. Provò quello che aveva visto usare per l’altra, ma non funzionò. Pensò a quale sarebbe potuta essere la password. Ripensò ad Akira, a quella villa, ad Hattori, a tutto quello che gli era stato detto in quei giorni, ma nulla gli pareva adatto per essere utilizzato come parola d’ordine. Poi quella frase gli tornò in mente: “...come è morto Shiro”, e senza pensarci un secondo in più, digitò il nome – tramite ideogrammi – sul tastierino. La porta si aprì, e lui sorrise.
Lì dentro era tutto buio, e mentre un profondo odore di chiuso e di vino gli infastidì le narici, la vide. Raggomitolata su se stessa, vicino ad una delle casse, col respiro pesante e soffocato. Solo quando fece qualche passo in avanti e le assi in legno del pavimento scricchiolarono, lei alzò il capo, sgranando gli occhi.
«Shinichi» balbettò, incredula. Lui si abbassò alla sua altezza e fissò gli occhi nei suoi.
«Ciao» le disse, semplicemente. «Ti ho portato qualcosa da mangiare.»
«Allora...» sussultò. «Ti ricordi di me?» gli chiese, col cuore che le batteva all’impazzata.
Lui scosse il capo. «No.»
«Oh», Ran abbassò il capo, delusa. «E allora perché mi porti queste cose?»
«Io...» provò a spiegare lui, stranito. In realtà non lo sapeva nemmeno lui perché lo stava facendo. Aveva solo la vaga sensazione di volerla proteggere a tutti i costi. «Non lo so...»
Le spezzò un po’ di pane e glielo imboccò. Ran deglutì a fatica, ma felicemente accettò l’acqua. La ingurgitò velocemente, come non ne avesse mai bevuta in vita sua.
«Il tuo istinto» disse, dopo aver bevuto. «È quella l’unica cosa che devi seguire, perché il tuo ha sempre funzionato bene.»
«Bene», Shinichi le spezzò un altro po’ di pane. «Adesso il mio istinto mi dice che devo farti mangiare e bere.»
Ran sorrise leggermente, per poi prendere il pane dalle sue dita. Quando ebbe finito, Shinichi afferrò la bottiglietta di acqua e la nascose sotto il pigiama. Ran aveva ancora indosso il pantaloncino del giorno prima, con la coscia fasciata malamente da una benda che si era ormai sporcata di rosso.
«Sei... ferita» disse lui, in un sospiro. Lei annuì debolmente, distendendo la gamba in modo che potesse provocarle meno dolore.
«Purtroppo non la sto curando a dovere» gli confidò, passandosi un dito sopra e sfiorando la benda. «Avrei bisogno di antidolorifici per sedare almeno il dolore.»
Shinichi affiancò le dita della giovane, posandoci la mano sopra ed imitando il suo movimento. Ran lo guardò accarezzarle la coscia, pensando che lui fosse la persona più dolce che conoscesse. Perché, proprio come in quel momento, lui non sapeva di esserlo.
«Sei abbastanza sazia?» le chiese poi, rialzando lo sguardo su di lei. «Sennò cerco qualcos’altro di sopra. Anche medicinali.»
«No, è abbastanza» rispose lei. «Grazie, Shin.»
Lui le sorrise, rinfrancato, perché trovò che lo avesse chiamato in un modo dolcissimo, come solo lei avrebbe potuto riuscirci. Si fermò per qualche attimo ad osservarla, chiedendosi come avesse potuto dimenticare un viso simile, poi si abbassò alla sua altezza.
«Come ti chiami?» le chiese, improvvisamente, osservandola negli occhi.
Lei sussultò: «Ran, Ran Mouri» rivelò, con convinzione.
«È un bel nome» le rispose, sorridendo. Probabilmente era falso, ma non gliene importava. A lei stava una meraviglia. «Orchidea, giusto?»
Lei annuì semplicemente.
«Però non profumi di orchidea» disse. «Profumi di fragola.»
«Profumo di... fragola?» gli chiese, con un sopracciglio innalzato. Lui annuì.
«Tu, e la tua pelle» disse, e si sporse verso di lei.
Le loro labbra tremarono quando si toccarono, ma non si allontanarono: Shinichi poggiò le mani sulle sue spalle, ed inarcò il volto così per baciarla meglio, mentre un intenso odore di fragola gli giunse fin su alle narici. Lasciò scivolare la lingua nella sua bocca, ma alla sua saliva si mischiò l’odore della pelle della giovane, che lo colpì dritto alla testa. La vista cominciò ad offuscarsi, il volto di Ran sbiadì, mentre di fronte a lui si materializzava un’altra scena. Una villa, una voce.
La figura di una donna.
«Non va bene, non va bene», si rese conto che la voce era la sua, ed era anche divertita. «Tempo fa conoscevo una ragazza molto sincera ed ingenua, che non avrebbe mai mentito ai suoi genitori.»
La testa cominciò a martellargli, talmente tanto che dovette staccarsi, ed indietreggiare qualche passo, esausto. Sbatté più volte le palpebre come per ridestarsi, mentre l’odore di fragola scivolava via dalle sue narici e le immagini tornarono ad essere nitide. Il volto della ragazza rischiarì da quella nube di luce che lo aveva colpito.
«Shin...» lo chiamò lei, preoccupata. «Shinichi, che hai?»
Lui rilasciò un sospiro, riprendendo a respirare normalmente. La osservò ancora per qualche secondo, ma dovette distogliere lo sguardo per via del dolore.
«Niente» disse, un po’ scosso, ed andò via.
Ran si passò un dito sulle labbra, laddove poco prima l’avevano toccate quelle di lui. Riusciva a sentire ancora il solco dei suoi denti, ed in bocca, ancora il sapore della sua saliva.
 
§§§
 
«Questa roba è vomitevole!»
Heiji fece una smorfia di disgusto, sul punto di sputare nel piatto quello che stava masticando. Era mattina da circa due ore, e dopo aver lasciato le ragazze insieme agli altri poliziotti di sopra, era sceso al bar dell’ospedale per cercare di infilare qualcosa nello stomaco. Ma tutto gli sembrava immangiabile ed orribile, e non fece nulla per nasconderlo. Si guadagnò, così, un’occhiataccia da parte del cameriere. Lui lo ignorò, concludendo il suo cappuccino in un sorso. Vide Takagi raggiungerlo da dietro e fermarsi a fianco a lui sul bancone.
«Sei riuscito a dormire?»
«Tu?» gli rispose Heiji, rendendo ovvia la risposta.
Takagi ordinò un caffè e un cornetto. Il cameriere guardò male anche lui, ma il poliziotto non riuscì a capire perché. Heiji alzò la mano per salutare l’amico e salire di sopra, ma la voce dell’agente lo fermò.
«Hattori, devo dirti una cosa» cominciò, con un sospiro, deglutendo in un sorso il caffè. «Riguarda Kudo.»
«Cioè?» chiese. Takagi trangugiò il cornetto con una velocità sorprendente, poi si pulì la bocca con il fazzoletto. Sospirò di nuovo, poi spinse Hattori per la schiena, fuori dal bar.
«Parliamone fuori.»
Insieme raggiunsero un cortile che affiancava l’edificio principale. Era talmente curato e bello che non sembrava neanche appartenere ad un ospedale. Si sedettero su una panchina di fronte ad una fontana, osservando i malati portati a spasso dai loro parenti, per una passeggiata mattutina.
«Su, parla.»
Takagi si guardò le mani, poggiate sulle ginocchia. «Hattori, quando ritroveremo Kudo... devo dirti che, cioè, voglio informarti che...»
«Che? Su, continua» cominciò a spazientirsi lui.
Il poliziotto deglutì. «Che lo arresteremo.»
Heiji perse un battito del cuore, poi rise, come per cacciare via la paura. «Cosa stai dicendo?»
«Hattori, Kudo è complice di un tentato omicidio e di un sequestro di persona...»
«MA SEI COMPLETAMENTE IMPAZZITO?!» sbottò il detective, urlando a squarciagola, afferrandolo per il colletto della camicia. Tutti i passanti si voltarono, impauriti, ma Takagi fece finta di nulla, e si staccò dalla presa del ragazzo, per poi tossire e ripristinare l’equilibrio.
«Non è quello che voglio io» precisò. «So che Kudo non è mentalmente stabile, chiamalo come vuoi... però con noi c’erano altri poliziotti ieri al porto. Se ci fossimo stati solo io e Megure, magari si poteva chiudere un occhio, ma quelli l’hanno visto con una pistola in mano... dalla parte opposta alla nostra.»
«Ma non ha senso» obiettò Heiji, esterrefatto. «Lui ha sempre aiutato la polizia. Adesso l’hanno convinto di essere un criminale, ma lo sai anche tu che non farebbe mai del male a nessuno!»
«Questo non puoi più saperlo per certo, Hattori.»
«Lo so per certo, invece!» replicò, sempre più stizzito. Altri volti si girarono, e lui abbassò la voce: «Quando ha avuto la possibilità di spararmi... non l’ha fatto. E questo dovrebbe bastare.»
«Oh be’, sì» lo sfotté Takagi, quasi ironico. «E questo come lo spieghi ai miei colleghi?»
«A parole!»
«Non fare lo stupido, Hattori» sospirò il poliziotto. «Ci vogliono delle prove, lo sai.»
Heiji sbatté più volte le palpebre, scuotendo il capo.
«Non potete sbattere in prigione lui... non potete sbatterlo in prigione solo perché ha perso la memoria e non sa più di chi fidarsi...» si lamentò il detective, incredulo, avvertendo la terra sotto i suoi piedi franare. Il suo mondo stava crollando, le sue certezze si stavano distruggendo, e tutto ciò che amava si stava allontanando. «Non è colpa sua...»
«Lo so,» disse Takagi. «Infatti io ho provato a convincerli che Kudo non è pericoloso... ma loro non mi hanno creduto, e l’hanno riferito al sovrintendente.»
«Dimmi che non è vero...» mormorò Heiji.
«E adesso c’è già un mandato d’arresto nei suoi confronti.»
«Non ci credo» commentò, socchiudendo gli occhi verdi.
«Mi dispiace.»
«È ridicolo» sbottò, stringendo i denti. «Dunque se mi metto in contatto con lui per cercare di farlo fuggire, sarò considerato un suo complice?»
Takagi non ebbe il coraggio di annuire, ma era come se l’avesse fatto.
Shinichi era diventato, ufficialmente, un bandito.

 
 
 
 
Me:
Oooh *___* Ciao baldi giovani e fanciulle! Finalmente i due piccioncini hanno un po' di momenti tutti per loro, dolciosi dolcetti *.*, grazie alla concessione della sottoscritta autrice u.ù Direi che le parti dedicate a loro sono quelle che preferisco del capitolo: il bacio timido ed iniziale di Ran, che subito scaturisce in lui qualche ricordo, e poi quello che cerca lui dopo, quando le porta da mangiare e bere <3 È di una cucciolosità (?) incredibile quel ragazzo <3
Avete capito più o meno cosa fa tornare la memoria a Shinichi? Ormai dovrebbe essere abbastanza chiaro u.u Ma per chi ancora non c'è arrivato, aspettate un altro po', perché ormai mancano solo tre chap alla fine della storia (ò.O) e dunque ci vorrà davvero poco per scoprire se Shinichi rimarrà smemorato, criminale ed assassino, con la coscienza sporca di aver ucciso qualcuno... o se tornerà ad essere quello di un tempo. :3 
Intanto il nostro eroe escogita un altro (già xD) piano per uccidere Hattori. E siamo a due. Chissà come la prenderà l'amico quando e se tutto sarà finito :3
Megure è stato ferito: direte voi, con tutta la pancia che ha non avrebbe dovuto attudire il colpo? E invece no, a quanto pare il suo grasso non è bastato :'D E dulcis in fundo, il detective è diventato un bandito/latitante per la polizia. Alleluja. 
Vedremo se Hattori riuscirà a risolvere tutto, o se dovrà dire addio al suo amato migliore amico :o
Ci tengo a ringraziare chi commenta capitolo per capitolo e mi da uno sprone sempre più grande per andare avanti e credere in me!
Grazie davvero. <3

E a quelli dedico questo spoiler, e a quelli do un bacio grande dritto dritto fino al 6 marzo! :D

«Sì, me l’ha detto mia cugina!» ribatté quella. «Shinichi Kudo è all’Haido Hotel!»
Alla giovane di Osaka si fermò il cuore dalla sorpresa.
«Ma siete proprio sicure?»
«Scusate, ragazze?» s’avvicinò velocemente a loro, ignorando completamente il caffelatte fumante sul bancone, ed il cameriere che le urlava dietro.
Quelle si girarono, come interrotte dal più grande sogno che avrebbero potuto fare.
«Kudo è all’Haido Hotel?» chiese conferma, esaltata. Forse avrebbe trovato finalmente una pista per aiutare Heiji nelle ricerche. «L’avete visto?»


Tonia

 
   
 
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