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Autore: Love_in_London_night    27/02/2014    10 recensioni
Un meet&greet. Una canzone sussurrata. La semplicità e la purezza trionfano su tutto, anche negli occhi di Jared. E più in fondo ancora.
Cosa succede dopo?
Nemmeno lui lo sa, e odia queste cose, perché è un maniaco del controllo.
Un lungo tragitto percorso insieme, anche se separati.
La conclusione? Dovevano raggiungerla, insieme. Non è stato loro permesso.
Dalla shot: "Il tuo problema era stato che, nel dirlo, avevi usato un volume che per me non era accettabile, il sussurro di quegli spiriti fragili che non alzavano mai la voce per paura di incrinare qualche anima. Eppure sei talmente bella che sei destinata a spezzare qualcuno. Con me l’hai fatto e non te ne sei nemmeno accorta.
Non ti perdonerò mai
."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Witness
 

Atto I
 
 
Jesus, save me,
I’m in love with this hell.
 
 
*

È sempre stato strano tra noi, fin dal primo momento.
Un meet&greet in Europa. Oslo? Copenhagen? Berlino?
Parigi, perché è la città dell’amore.
Ma forse no, non era lei, perché sarebbe stato perfetto, e di perfetto – in noi – non c’è stato niente.
Il luogo mi era subito diventato irrilevante. Tutto troppo uguale ogni volta: il solito telo per le foto, la solita fila, l’eccitazione degli echelon, la loro euforia. Per noi cambiavano i volti e le persone, ma nemmeno così come crede il mondo. Sono sempre le stesse a seguirci in giro per il mondo, nella speranza che accada quello che sognano di più, quelle ossessioni che per noi diventano veri e propri incubi.
Il problema eri tu.
Una ragazza qualunque. Giovane, ma con gli occhi segnati dall’esperienza, dalla vita. Non una di quelle donne che vengono ai meet&greet nella speranza di colpire; l’abbigliamento succinto, il trucco marcato e lo sguardo provocante, per non parlare delle frasi pensate ore e ore per convincerci a del sesso facile con loro.
No, tu ti eri mischiata nella folla, tanto che non ti avevo notata.
Ti eri messa in fila, silenziosa ed emozionata. Eri vestita della tua purezza, adornata dell’ingenuità che emanavi. Sulla pelle ti scivolava un alone di genuinità così spiccato che in mezzo a quella fila facevi risultare quelle dopo di te sporche di peccati che magari non avevano nemmeno commesso.
Prima non mi ero accorto di te, lo ammetto.
Eri una delle prime, da sola con le tue emozioni a illuminarti, e canticchiavi tra te Witness.
È stato come uno schiaffo in pieno viso.
Lo sei stata.
Tra tutte eri la più limpida. Hai scelto una parte di me – con quella canzone – che ancora non ho definito. È come se mi avessi plasmato a tuo piacimento; una cosa che di solito non sopporto, dato che adoro avere il controllo su tutto.
Ci hai raggiunti per la foto timorosa, non sapevi chi guardare o chi abbracciare, così è stato Shannon a cingerti la vita. Con un braccio mi hai avvolto le spalle, hai chiamato Tomo per dirgli che  anche lui era parte dei Mars e non doveva stare in disparte, l’hai fatto abbassare davanti a te e con l’altro braccio gli hai cinto il collo. Hai usato una delicatezza devastante.
Prima di stringerci tutti hai starnutito, e per prenderti in giro ti ho rivolto la parola. Dovevo parlarti, avevo bisogno di stabilire un contatto con te, sapere che non ti facevo paura.
«Ehi, non sarai mica malata?» hai ridacchiato in imbarazzo, colta in fallo.
«No, è allergia». Il sorriso che non abbandonava il tuo volto stava contagiando anche il mio cuore.
«Sicura? Guarda che se non è così vengo a cercarti ovunque tu sia e mi vendicherò». Avevo sfoggiato la mia faccia ridicola migliore, puntando verso di te l’indice come a rimproverarti. Non ti sei resa conto di quanto potessero essere vere le mie parole, perché – credimi – sarei arrivato in ogni angolo sperduto del mondo per ritrovarmi con te.
Hai annuito e sei rimasta ferma, impacciata.
Ho odiato Shannon per quell’abbraccio così possessivo, ma avevo intuito quanto si fidasse di te. Avevi scritto in faccia che non eri li perché ti notassimo, nemmeno perché volevi conquistarci. Eri lì con i tuoi idoli, con delle persone – perché ci hai fatto sentire così – che ti rendevano felice, e l’hai dimostrato.
Te ne sei andata dopo poco la foto, ma non mi hai abbandonato.
Tu non ti sei fatta notare, ma ricordare. Eri il mio pensiero fisso anche dopo, quando altre braccia mi stringevano e non erano le tue. Tocchi lascivi, esperti, mirati. Invece ero lì a ripensare al tuo profumo di bucato – pura anche in quello – nella speranza di non dimenticarlo, ma di scordare le altre che con te non avevano niente a che spartire.
Dio, mi sono sentito in imbarazzo per desiderarti così tanto. Ti si leggeva sul volto che non eri una di quelle ragazze, ma avrei voluto portarti nel camerino e vedere fino a quanto eri casta. Mi sono ritrovato più volte in quel pomeriggio a domandarmi se nel sesso ti ritrovavi a essere dolce e tenera come apparivi, oppure se eri in grado di scaldarti e diventare una tigre, le unghie nella pelle e ringhi di piacere.
Ho voluto provare.
Ho mandato da te qualcuno dello staff per chiederti se dopo volevi fermarti per stare con me. Non lo faccio sempre, solo quando sento che sto scoppiando. Non è seduzione o amore, quanto più un bisogno fisico. Tu sei diventata la necessità della mia anima.
È tornato sui suoi passi pallido, timoroso della mia reazione. Avevi detto no. Per quanto la cosa mi frustrasse, ero felice che l’idea di come ti avevo immaginata trovasse riscontro nella realtà; mi è sempre piaciuto osservare le persone, e ancora di più avere ragione riguardo le mie elucubrazioni.
Ero convinto che ti avrei dimenticata, eri solo una tra le tante. Il giorno dopo avrei visto altre facce – migliaia – e tu saresti uscita dalla mia mente.
Sbagliavo, perché ti eri radicata più a fondo. Come, non lo so. E non conosco nemmeno il perché. Witness era sempre nei miei pensieri, oppure sulla mia lingua mentre strimpellavo con la chitarra. Aveva bisogno di una fine, e tu ne eri la testimone, pronta a ricordarmelo. Le parole con me, il mio pensiero a te.
E poi mi ero ammalato, giusto un paio di giorni dopo. Un raffreddore micidiale. Avevo la voce nasale.
Mi avevi preso in giro. Tu eri malata, e mi hai attaccato i tuoi germi. Una cosa del genere mi avrebbe mandato fuori di testa, odio queste cose, ma avevo qualcosa di tuo, mi aveva scaldato il cuore il pensiero. Quasi.
Avevo bisogno di dirtelo, di dimostrarti che sapevo mantenere le promesse.
Con un peso sul petto avevo chiesto a Emma di trovare qualche tuo contatto. Non doveva tornare da me finché non avesse trovato qualcosa che riguardasse Camille, Camilla, non ho mai capito bene il tuo nome, avevi detto che potevamo chiamarti solo Cam. Non eri inglese, ma lo parlavi bene.
Il tuo problema era stato che, nel dirlo, avevi usato un volume che per me non era accettabile, il sussurro di quegli spiriti fragili che non alzavano mai la voce per paura di incrinare qualche anima. Eppure sei talmente bella che sei destinata a spezzare qualcuno. Con me l’hai fatto e non te ne sei nemmeno accorta.
Non ti perdonerò mai.
Fu così che vidi tornare Emma, uno sguardo strano sul viso.

 
*

 
Atto II

 
You’re the one who taught me (not) to love,
I’m the one who taught you to say ‘No’.
 
 
*


From: BartC.onfidential@gmail.com
To: countingdreams@hotmail.com
Subject: Raffreddore
 
Pensavo di essere io quello bravo a barare, ma anche tu non scherzi. Alla fine eri malata, e ora lo sono anche io. Cosa mi hai fatto?
 
Già, cosa mi avevi fatto? Avevo cercato in tutti i modi di contattarti, e dopo un’ora e mezza non avevo prodotto altro. Non riuscivo a credere di aver smosso parte del mio staff per procurarmi anche solo la tua mail, e nemmeno ritrovarmi davanti a un computer per scrivertene una; con scarsi risultati, oltretutto.
La invio senza pensarci troppo, altrimenti l’avrei riscritta milioni di volte e – infine – non te l’avrei mandata, senza perdonarmi mai per aver rinunciato.
Hai risposto poco dopo, e il sollievo è stato grande. Ma non dirlo a nessuno, l’ho ammesso a malapena con me stesso.
 
From: countingdreams@hotmail.com
To: BartC.onfidential@gmail.com
Subject: RE: Raffreddore
 
Se avessi ammesso di essere malata mi avresti fatto fare la foto con una mascherina, probabilmente. Ti sarebbe parso carino? A me no! Però mi dispiace che tu sia malato, non era mia intenzione. Scusami davvero.
Ma come faccio a sapere che sei davvero tu?

 
L’ultima domanda è stata per me la parte migliore. Ti aspettavi una risposta, implicava un dialogo tra noi due. E così è stato.
Una terza mail, poi una quarta, finché non abbiamo perso il conto.
Sei diventata il mio sfogo quotidiano, Cam. Te ne sei resa conto e non me l’hai mai fatto pesare. Ci siamo confidati, abbiamo parlato e riso. Mi sono sentito normale, pure un po’ sfigato se devo dirla tutta, perché mi sembrava di essere uno di quei pervertiti che si barricano dietro un computer per adescare giovani ragazze. Come se ne avessi bisogno.
Però tu sei diversa, tu sei riuscita a farmi aprire; nonostante le reticenze, nonostante i dubbi, nonostante tutte le cose in cui credevo che sei riuscita a scardinare con ogni risposta. Una piccola crepa in quel muro che ho messo a separarmi dalla normalità. Non che io sia un essere abominevole, ma se ti ritrovi a ricoprire un ruolo visibile come il mio, tendi a non dare confidenza a tutti, perché sai che la maggior parte delle persone è lì per un motivo, e tu sei il mezzo per raggiungerlo. Non mi piace essere usato, e tu ne sei a conoscenza.
E poi, dopo un mese circa di questi scambi epistolari, è arrivata la domanda che tanto aspettavo e temevo.
 
From: countingdreams@hotmail.com
To: BartC.onfidential@gmail.com
Subject: Ciao
 
È stata davvero una giornata orribile. A lavoro mi hanno massacrata, nessuno crede in me. Io come posso farlo se nessuno mi dà una spinta? Tu non vali, Jared. Come faccio a credere che ci sia tu dietro quest’indirizzo e non una persona qualsiasi? Non ho voglia di essere presa in giro, oggi meno che mai.
 

From: BartC.onfidential@gmail.com
To: countingdreams@hotmail.com
Subject: RE: Ciao
 
Cos’è successo? Sai che con me ne puoi parlare.
Posso capire che sia difficile fidarsi di uno schermo. Cosa ne dici se ci troviamo su Skype?
Creo un account con questo indirizzo.
Ci sei tra un’ora?

 
Tu non lo sai, ma hai potere su di me. Mi hai spinto a buttarmi in questa cosa di Skype, sei tu ad avere il controllo della situazione. È stata la fretta a farmi parlare, soprattutto la paura di perdere quello che finora avevamo costruito. Per te forse era un niente, ma per me voleva dire molto.
E Witness era tornata in tutti i miei giorni, come te.
 
From: countingdreams@hotmail.com
To: BartC.onfidential@gmail.com
Subject: RE: RE: Ciao
 
Mh, ok. Skype va bene.
Però tra un’ora non ci sono, sono fuori con amiche.
Se facessimo domani alla stessa ora? Sei libero o hai qualche concerto? Non ricordo.

 
Sorrido, più padrone di me stesso.
Mi piace pensare che in realtà non sia vero che sei fuori con le amiche, preferisco credere che tu sia spaventata dal non avere un filo di trucco, o che pensi che i tuoi capelli non siano abbastanza in ordine. Giusto per illudermi che possa interessarti di me quanto io lo sono di te.
Ti rispondo subito, prima che tu possa cambiare idea e chiudo il computer, è stasera che ho un concerto, domani sono libero.
E il domani era diventato oggi.
Ho aperto Skype con largo anticipo per guardarmi nella webcam e controllare di essere a posto. Non volevo fare la star pretenziosa e sempre perfetta, volevo solo essere un uomo al massimo della propria forma. Mi hai aggiunto, e ho fatto partire subito la chiamata.
Ero teso, ma volevo nasconderlo. Sono bravo in questo, non per nulla sono un attore di talento.
E no, non sono modesto, ma te l’avevo già detto.
Ti vedo comparire sul mio schermo poco dopo ed è come se il cuore fosse in caduta libera: è leggero ma lo sento sprofondare. Sei bella, di quella bellezza non convenzionale che è riuscita a colpirmi. Sei ancora pura, quella limpidità che con pochi gesti mi ha scavato dentro. Sei ingenua come ti ricordavo, e tutto questo ti rende eccitante. Anche con i capelli legati in uno chignon appena fatto e tutto arruffato, anche con il trucco nero sbavato, chiaro residuo di quella giornata, anche con i pantaloni sportivi e la maglietta di un bel rosso torbido che si allarga sulle spalle, scoprendole.
Urli spontaneità da ogni dove, e mi sembra di iniziare a respirare.
Sento l’odore di bucato che ho percepito quando ti ho abbracciato, e ti assicuro che non sono io. Come fai?
Fissi lo schermo con intensità mentre carica la mia immagine, per un momento rimango di ghiaccio. Di solito so come gestire queste situazioni, è facile telefonare ai fan o contattarli, ma come avrei dovuto salutare te?
Mi levi da ogni imbarazzo e mi ferisci al contempo.
Ridi, ridi a crepapelle. Mi ritrovò a controllarmi nella webcam, ma non mi sembra di aver niente fuori posto.
«Camille?» domando titubante. «Tutto bene?»
Ti asciughi le lacrime e smetti ti tenerti la pancia. Mi saluti e rispondi: «È strano».
Posso immaginarlo. Tu vedi me, una persona famosa ai tuoi occhi che ti cerca. Ma non sai quanto è strana la cosa ai miei occhi, perché di cercare una ragazza in questo modo non mi è mai successo.
Se solo sapessi tutte le bugie che ti ho nascosto, Cam. Ti ho rivelato solo la punta di un immenso iceberg.
«Perché?» Dio, che domande idiote che faccio.
«Perché sei davvero tu, e hai cercato me. Non so il perché, ma mi fa piacere. Però è strano». Ridacchi coprendo il sorriso con la mano. Brutte cose Camille, non si nascondono le meraviglie al mondo, non fare l’egoista.
«Te l’avevo detto che ti avrei cercato ovunque se mi fossi ammalato»
«Ma sei guarito, ora».
Un botta e risposta, però finalmente potevo vederla in faccia.
«Ma ero malato»
«Di raffreddore non è mai morto nessuno»
«Ma i live ne risentono»
«Dio, non ci avevo pensato. Scusami».
L’accento con cui parli inglese è affascinante.
Sei tu a riprendere il discorso, io sono troppo impegnato a guardarti mentre con i denti cerchi quasi di staccarti l’unghia del pollice, innervosita dalla mia presenza.
«Mi manca la sera del concerto, mi manca così tanto quel giorno. Tu non puoi capire, non sai cosa si prova a stare dall’altra parte». Sorridi triste, come se credessi davvero che per me sei stata parte della folla, ma non è mai stato così. Sei stata l’unico viso delineato in un mare di volti indistinti, controllavo che non ti facessero male, che ti stessi divertendo, volevo essere sicuro di riuscire a darti ciò che tu nel pomeriggio avevi dato a me.
«Anche io sento la mancanza di quel giorno, c’era qualcosa di diverso…». Lascio cadere la frase, non so come continuarla.
Non so come si combatte la purezza, ma so che mi ci sto arrendendo con troppa facilità.
«Posso farti una domanda?»
Sei sul letto, e già questo fa deviare ogni mio pensiero. Ma quando appoggi il mento sulle ginocchia qualcosa in me cede, sei la tenerezza e nemmeno io posso evitare di piegarmi a tanto.
«Pensavo fossimo qui per questo». Devo dimostrare di avere il controllo della situazione.
«Perché mi hai cercata? Perché sei arrivato al punto di chiamarmi?»
Ecco, come dicevo prima, scardini ogni mia credenza. Controllo della situazione? Non ce l’ho più. L’ho mai avuto?
Perché? Me lo sono chiesto anche io, e non lo so.
«Perché mi hai detto di no a quel meet&greet. Io voglio rivederti». Non so in che termini, spero solo che tu non me lo chieda.
Alzi un sopracciglio, ma non parli.
«Raggiungimi». L’illuminazione del momento. «Vieni a un altro meet»
«Non ho i soldi»
«Te lo pago io»
«Ma se li organizzate per fare i soldi?! Che senso ha se tu stesso paghi un tuo meet?»
«Vero. Allora vieni, dirò a Emma di inserirti nella lista dei meet anche se non paghi. Io decido queste cose, non può dirmi di no»
«Perché dovrei accettare?»
«Perché ti voglio qui»
«Anche…» ti mordi il labbro. «Anche dopo?»
Spalanco gli occhi. Non si può dire che tu non sia diretta.
«No. Non lo so. Se lo vuoi, sì. Sei la prima donna a cui chiedo partecipazione, suppongo». Rido nervoso.
Nei tuoi occhi si riflettono i pensieri che ti passano per la mente: paura, eccitazione, l’accarezzare l’idea, il considerarla una pazzia. Sono in balìa di quello sguardo e di una tua risposta, ma sei troppo presa dal terrore e da cosa una sentenza implica che non ti accorgi di nulla.
«Dove?» chiedi impaurita, come se fossi capace di farti del male.
Lo farei? Sì, senza volerlo ne sarei capace.
Il tuo non è un no, e il petto si gonfia di gioia e speranza, nemmeno fossi un ragazzino alla sua prima cotta.
«Dove preferisci?»
«Qui in Europa, magari in qualche palazzetto dove c’è poca gente, mi sentirei più a mio agio».
Mi basterebbe ci fossi tu, suonerei anche all’angolo della strada in questo momento.
Sei la calma e il motivo della mia agitazione. Voglio scoprire cosa nascondi per rendermi così, devo capire se oltre a questo c’è qualcuno in cui perdermi o se è un fuoco di paglia.
La prima data su cui ci troviamo d’accordo è il due luglio, a Linz. Un po’ muoio dentro, devo aspettare quattro mesi, e non so se ne sono in grado, data l’urgenza con cui ti ho cercata.
Quarantadue anni non erano abbastanza come attesa? Sono sempre stato bravo a prolungare l’agonia, o a trovare persone che lo facessero al posto mio. Tu, per esempio.
«Non badare ai trasporti o all’hotel, penso a tutto io» dico come se organizzare fosse la mia dote migliore. Il che non è del tutto sbagliata, come cosa.
Annuisci soltanto, preda degli ultimi eventi. Senti che qualcosa sta cambiando? Siamo in due, ma devo essere forte anche per te.
Sei tu quella fragile, non io.
Almeno, ci provo.


 
*
 

Atto III
 
 
Away I go,
Away I am a ghost.
 
 
*


Da quella chiamata in Skype tutto è cambiato.
Tu. Io. Noi.
La quotidianità e la disinvoltura con cui ci sentiamo, il rapporto morboso che abbiamo sviluppato.
Una volta era Shannon quello con il cellulare in mano in ogni foto, ora quasi fatico a riconoscermi.
Anche Tomo mi prende in giro. Più del solito, lo ammetto.
Sono il fantasma di me stesso, sono presente sulla scena ma altrove con la mente. Sono ovunque tu sia. Sono a Linz con la testa.
Finché non ti vedo sarai la mia ossessione, dopo non lo so.
Sto cercando di convincermi che appena ti vedrò non devo saltarti addosso, devo contenermi e comportarmi come una persona normale. Ma è già difficile pensarlo, figurarsi mettere in pratica la cosa. Ho voglia di sentire il tuo profumo pulito, voglio godermi l’innocenza della tua pelle. Perdermi ed essere contaminato dalla tua purezza.
Sei diventata la mia espiazione, il mio tentativo di rimettere a posto i demoni che ho dentro.
Sei il mio equilibrio e il senso delle mie vertigini.
Sto cercando di concludere Witness, perché sei anche il mio tormento. Sei il tutto, specialmente tutto quello che non ho. Manchi tu come la fine di quella canzone. Dopo luglio, mi dico, le troverò un senso, un degno finale.
Ma solo dopo di te.
La tua semplicità, ben diversa dalla facilità a cui le altre donne mi hanno abituato, mi si è infilata sotto la pelle senza lasciarmi più. Animi simili sono difficili da incontrare e mi sento onorato di aver avuto un tale privilegio.
Ricordo quando in Skype, mentre parlavamo, mi hai scritto nella chat il tuo numero di cellulare. Ti sentivi in difetto, pensavi di aver intaccato ciò che di bello avevo visto in te.
Sbagliavi. La vergogna del tuo gesto continuava ad alimentare la tua purezza.
L’ho salvato subito, ma ti ho chiamato un sabato notte, sapendoti fuori con le amiche. Non ti ho solo sentita sorridere, era come se ti avessi vista, perché la tua immagine mi perseguita anche a occhi chiusi, a miglia di distanza. D’altronde io sono su Marte, no?
E ogni volta che ci chiamiamo, la tua voce è intrisa di dolcezza.
Mancano pochi giorni a luglio e io non so più come ingannare l’attesa. Sfogo l’adrenalina sul palco, ma non è abbastanza. La mia carica sei tu; una tua telefonata, il tuo respiro che dall’orecchio arriva al cuore e torno nervoso ed eccitato come non sono mai stato.
«Sono felice, Jared. Ed è merito tuo. Non vedo l’ora che arrivi luglio» e concludi l’ennesima chiamata lasciandomi inebetito con un sorriso sulle labbra, senza essere in grado di articolare una frase di senso compiuto per risponderti.
Shannon mi guarda indulgente, sono convinto che veda nei miei occhi un po’ della purezza che io ho visto in te.
Sei contagiosa, Camille.
Per questo, quando sparisci per due giorni, mi preoccupo. Provo a chiamarti ma non rispondi.
Il terzo giorno risponde una voce di donna, ma non sei tu. Dove sei?
Ti sento lontana, e non è una questione di distanza chilometrica.
È tua sorella, e ha una voce strana.
«Tu sei il famoso Jared di cui Cam mi parlava» dice tra un singhiozzo e l’altro.
«Posso parlare con lei?»
So già qual è la risposta.
No.
Non posso, perché tua sorella mi sta dicendo che tre giorni prima sei dovuta tornare a lavoro per confermare i giorni di vacanza per venire a Linz e, nel tragitto, un animale ti ha tagliato la strada, facendoti uscire di strada e finire in un piccolo fosso accanto alla strada. L’impatto, però, è stato fatale.
L’unica cosa che di te è rimasta è il tuo telefono.
L’ultima chiamata, di qualche minuto prima, era quella fatta a me.
«Mi dispiace».
Ti dispiace? Dispiace anche a me. Non so cosa dirti, non so cosa provare.
Mi sento vuoto. Dove è finita la purezza di Cam? Posso solo respirarla nell’aria, dispersa?
Non riesco a versare nemmeno una lacrima per la paura di vederti scappare fuori da me, in quel lento ma inesorabile processo a cui tutti arrivano prima o poi: dimenticare. Il suono della voce, il volto di una persona, la sua risata.
Non voglio lasciarti andare, non ancora. Non sono pronto.
Non lo sarò mai.
«L’ultima cosa che mi ha detto» azzardo in preda allo shock. «È stata che era felice»
«Ed era merito tuo» aggiungi. Realizzo di non sapere il tuo nome, ma non mi importa. «Da quando vi sentivate era davvero felice, non l’avevo mai vista così».
Mi racconti un po’ di come Camille ti aveva accennato di me, e tu credi che io sia un Jared qualsiasi, non il cantante di una band di fama mondiale, o un attore conosciuto. Mi ringrazi e ti scusi, ma devi proprio partire per dirigerti alla funzione.
Ti faccio le mie condoglianze e riattacco.
Non so come sentirmi. Non so come dovrei sentirmi.
Penso solo al fatto che non sentirò più la sua voce, Linz non è più allettante come un tempo, non credo più a niente.
Non posso farlo dopo che hai intrecciato la mia strada e da essa ti hanno strappata con la forza.
Cosa mi rimane di questo, se non l’amaro sapore di una sensazione pregustata con paura e mai apprezzata appieno?
Cosa mi rimane di te, se non riflessi di una purezza che perderò col tempo?
Te ne sei andata felice.
Io rimango insoddisfatto, negli occhi le immagini di tutto quello che poteva essere.
Non riesco a piangere, ma Witness mi graffia la gola per uscire, roca e distruttiva in tutta la sua potenza.
Stasera la canterò, l’unico omaggio che ti posso rendere.
La canterò a ogni concerto nella sua versione acustica, l’unica che hai mai sentito.
Guardo il cielo per trovare i tratti di quella luminosità che ti ha sempre caratterizzata, quell’innocenza che ti ha portata a me, e ti giuro che la finirò quella maledetta canzone, la finirò anche se non parlerà di te.
Parlerà con te, perché tu canterai con me.
Sarai la testimone silenziosa di ogni mio passo, perché ora sei più vicina che mai, senza più nulla a separarci.


{Slow down, slow down, slow down, don’t let go.}
 


 
Ciao a tutti. Ebbene sì, sono di nuovo qua.
One Shot nata per caso, o forse dall'eccessivo ascolto di Witness.
So che è... FOLLE, ma l'ho immaginata così.
È stato strano per me, perché è da ANNI che non scrivo in prima persona. Non ne sentivo più la necessità, e anche con altre storie - per quanto fossero nate in prima persona - ho preferito la terza perché consideravo l'Io narrante una forma a me ormai ostica. E lo è.
Solo che Jared fa miracoli, o comunque sprona e solletica la creatività e la produttività, così ecco cosa ne è uscito questa volta.
So che nella prima parte si passa dal passato al presente, so anche che molte frasi sono corte e lapidarie, ma è tutto voluto. Si tratta della mente di una persona, e ho pensato che non si badi alla forma dentro di sé, quanto più occuparsi di ciò che si sente.
Sono consapevole che quando mi metto a scrivere seriamente dei Leto le donne in questione li spezzano e, al tempo stesso, fanno una brutta fine, ma mi piace pensare di scrivere qualcosa di verosimile, e la vita non è tutta rose e fiori. Per non parlare di esperienze che segnano: mi piace pensare che siano avvenimenti sconvolgenti (positivi e non) ad alimentare l'estro di Jared, ecco da cosa è dettato tutto questo.
Spero che possa esservi piaciuta, almeno un po'.
Se tutto va bene ci si rilegge il compleanno di Shannon per la storia su Chloe e lui. Nel caso non sapeste di cosa sto parlando, trovate risposta sul mio profilo autrice e in particolare dovete aprire la mini long sui Mars.
Detto questo mi dileguo.
Nella speranza di non aver ucciso nessuno di noia, a presto, Cris.

 
   
 
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