Proprio come
avevo pensato. Napier risponde in pieno al profilo che avevo elaborato
di lui.
Però c’è una cosa che mi ha stupito,
l’unica che non avrei mai preso in
considerazione. È affascinante, persino le terribili
cicatrici che gli
deturpano il volto non diminuiscono questo aspetto della sua
personalità. Anzi,
forse sono proprio loro a catturare l’attenzione.
Un’attenzione morbosa,
insana, ma pur sempre calamitante. Sospiro, recuperando carta e penna e
facendo
partire il nastro con la registrazione della nostra seduta. Come
previsto, non
gli ha dato fastidio l’uso del registratore; ha una
personalità talmente
egocentrica e narcisista, propria degli uomini come lui, che
l’idea che le sue
parole rimangano impresse non può che fargli piacere.
“Allora, Mr J, perché non mi
racconti come mai sei
finito qui dentro?”
Napier agita una mano con noncuranza, come se il
motivo della sua detenzione non fosse chissà che.
“È una storia noiosa.
Perché invece non lasci che ti
racconti una storia molto più interessante?”
aggiunge, guardandomi con uno
strano luccichio negli occhi.
“Che storia?”
“Ma quella delle mie cicatrici,
naturalmente.”
Lo dice come se fosse una cosa ovvia, qualcosa a
cui
sarei dovuta arrivare da sola, e sembra contrariato dal fatto che non
ci sia
riuscita.
“La conosco già.”
ammetto, spiando la sua reazione.
Di nuovo quel broncio da bambino. Sarebbe quasi
un’espressione
tenera se non fosse impressa sul volto di uomo grande e grosso. Su di
lui
invece è solo inquietante, rimanda a pensieri che nessuno
vorrebbe mai
conoscere.
“Perché continui a cercare di
spaventarmi, J?” domando.
Il broncio scompare, sostituito da
un’espressione
neutrale, ma il suo sguardo mi dice la verità.
L’ho spiazzato. È solo un
attimo, però, e si riprende in fretta. Batte le mani,
gioioso.
“Ma allora sei davvero brava, bambolina.
L’ultimo
strizzacervelli che mi ha visitato non riusciva proprio a capirmi, mi
faceva
sentire stupido. E poi era così serio, mi sarebbe piaciuto
disegnargli un bel
sorriso.”
Deglutisco, sforzandomi di ignorare
l’ultimo commento.
Sto lentamente conquistando il suo rispetto e non posso cedere alla
prima insinuazione
violenta.
“Un pipistrello.”
Lo guardo perplessa.
“Mi hai chiesto come mai sono qui.
Bè, la colpa è di
un pipistrello. Uno bello grosso, un vero guastafeste.”
Già, Batman. A quanto ho potuto capire
dalle
indicazioni lasciate dal mio predecessore, si tratta
dell’ossessione ricorrente
di Napier. Nutre un vero disprezzo per quell’uomo, chiunque
esso sia.
“Non mi sono mai piaciuti i
pipistrelli.”
Non so neanche io perché lo dico, ma
sembra che quell’affermazione
renda felice Napier. Mi rivolge un sorriso ampio, di apprezzamento.
“Non preoccuparti, bambolina, quel
pipistrello non
vivrà ancora a lungo.”
Il nastro
registratore emette un rumore secco. Ho smesso di registrare in quel
punto, perché
non voglio che una prova della volontà di uccidere Batman
rimanga impressa da
qualche parte. Tutti lo sanno, ma le parole senza prove non possono
reggere in
tribunale. Una registrazione trafugata invece sì.
Metto via le mie
cose, riponendo con cura la cassetta nello schedario personale di J.
È strano
come mi senta già in stretta connessione con lui, non mi era
mai capitato con
gli altri pazienti. Scrollo le spalle. Magari è tutta una
mia impressione, o forse
il fascino di J sta lentamente facendo presa su di me. È una
sorta di voce
della coscienza quella che aggiunge l’ultima parte della
frase. Sembra quasi un
monito, un messaggio che il subconscio mi sta lanciando:
“Harleen, mantieni la
lucidità”.