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Autore: Bell_Black    28/02/2014    8 recensioni
poi arriva quel momento che non credevo sarebbe mai arrivato, Louis si ferma davanti a me ignorando la pioggia e gli automobilisti che lo mandano a quel paese per aver attraversato senza guardare, io non ho parole e veronica ha rovinato come sempre tutto.
«veronica mi ha detto dove sei stata»
«allora non ti resta che chiedere»
«sei stata in una clinica di riabilitazione»
«si»
una confessione non cambia le cose, ormai l'estate è al termine ma con Louis è come se fosse appena iniziata
trailer. https://www.youtube.com/watch?v=sjo1siOJ61A&list=UUxcTqVso-YRLf-5a2EtHeWQ&feature=c4-overview
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 Caro Diario
24 Agosto 2013
 
Non ho mai avuto nella mia breve vita un diario dove appuntare i miei pensieri, tanto meno lo voglio adesso, ma sono costretta a scrivere su questi fogli per volere degli psicologi, o per meglio definirle “le persone simpatiche che ti faranno stare bene”, le hanno definiti così al mio arrivo alla casa di riabilitazione per adolescenti.
Sono stata rinchiusa in questa sottospecie di manicomio il ventiquattro settembre del duemila e dodici dalla mia famiglia dopo l’ennesimo disturbo adolescenziale come: anoressia, bulimia, autolesionismo, droga, suicidio, ovviamente non ho fatto tutte queste cose ma agli occhi della gente andare in riabilitazione significa proprio questo, cioè toccare il fondo, provando qualsiasi cosa fosse immolare o illegale.
Non mi piace passare per la vittima, infatti odio vedere i visi delle persone che mi guardano come se abbia un problema... “sì sono in riabilitazione, no non mi serve il tuo sguardo da costipata per stare meglio, anzi quello sguardo mi deprime di più”
Dopo un anno di riabilitazione ho imparato cosa dire e non dire, come mostrarmi e comportarmi, così che una settimana fa l’infermiera a me affidata comunicasse i netti miglioramenti, la sera stessa mi hanno detto che oggi sarei uscita e questo conferma che il mio piano ha funzionato alla perfezione.
Finalmente sarei uscita da questo inferno e sarei tornata nella mia casa tranquilla e serena dove nessuno mi rompe le scatole ogni singolo minuto, in teoria devono venirmi a prendere i miei genitori all’uscita ma siccome ho compiuto due mesi fa i diciotto anni posso benissimo tornare da sola, cosa che farò ovviamente.
Capisco che il loro intento è quello di aiutarmi ma non lo stanno facendo, stare con gente così depressa mi sta portando alla pazzia e so che a casa posso gestirmi meglio, senza pressioni ne gente sconosciuta che va e che viene mettendomi solo in ansia perenne.
L’unica condizione per uscire e scrivere su questo stupido diario, ho accettato subito la proposta, miglior affare non posso fare... ottenere la liberà in cambio di qualche riga su dei fogli di carta, possono anche essere inventate, tanto loro non lo sapranno mai.
Poso il blocchetto nero in pelle con la penna sulla scrivania, la valigia era pronta, la borsa anche, meglio di così non posso stare, sto finalmente per uscire dopo un anno, per quanto mi costa ammetterlo mio fratello Jamie mi è mancato, in fondo lui ha lottato per aiutarmi in tutti i sensi possibili, spero sia riuscito a fare ciò che voleva nella vita.
«Hazel se vuoi puoi già andare tutti i documenti sono stati firmati e timbrati, sei ufficialmente fuori dalla riabilitazione» non possono esistere parole migliori di queste al mondo, specialmente dette da un’infermiera che ho imparato sia ad amare che odiare per dodici mesi, il nostro è un rapporto fatto di contrasti ma la cosa è più che comprensibile visto che lei era l’unico ostacolo che mi impediva di evadere da quella cella fatta di cartongesso.
Prendo la valigia, butto il blocco nella borsa a tracolla rossa e mi guardo un’ultima volta allo specchio prima di uscire, i capelli castani sono cresciuti fin a metà schiena, quando sono arrivata a malapena mi coprivano le orecchie, sono fiera del mio aspetto, stare qui almeno ha avuto anche i suoi pro in un certo senso.
Saluto alcune ragazze che si trovano per il corridoio, non ho legato con nessuna di loro, forse perché la mia mente è sempre stata fuori da tutto questo, o forse solo perché non sono brava a farmi delle amiche, non lo sono mai stata, le uniche che ho accettano tutti i miei difetti e sono veramente tanti.
Salutai anche qualche infermiera “simpatica” per modo di dire, le infermiere di un centro di riabilitazione non possono essere considerate dai pazienti simpatiche proprio perché ci impediscono di fare ciò che vogliamo, è il loro lavoro.
Tengo salda la valigia nella mano sinistra mentre il signor Stone (l’inserviente) tiene la porta dell’entrata aperta, salutandomi con un grosso sorriso sulle labbra, forse è l’unico che ha creduto in me fin dal primo giorno e che adesso è sinceramente compiaciuto della mia vittoria.
Il sole mi costringe a socchiudere gli occhi e portare una mano al viso per dar tempo agli occhi di abituarsi alla troppa luce, il centro ha un giardino dove poter fare attività, ma mai il sole mi è sembrato così splendente come ora, mi sembra di non vedere un raggio di sole da secoli, eppure nella mia stanza o per meglio dire vecchia stanza avevo una finestra. 
Porgo la valigia al tassista e sospiro soddisfatta, sto per tornare a casa e non mi sembra vero, apro la portiera dell’auto e mi metto seduta senza ripensamenti o conti in sospeso, ho salutato tutti e preso tutta la mia roba, posso dire addio a un anno di inferno, saluto con un cenno della mano le due donne alla porta, per poi guardare la strada avanti a me, libera e sterrata.
La radio da le hit del momento, non sono molto aggiornata, nella clinica ho passato il mio tempo a pensare a come uscire e non a quale canzone ha scalato le classifiche, prendo il cellulare dalla borsa, mi è stato impedito di usarlo per molto tempo e finalmente posso vedere ciò che ho accumulato in questo tempo.
Ormai tutti sanno che sono andata in riabilitazione e non so come si comporteranno le persone nei miei confronti, sicuramente spero di non dovermi rinchiudere in casa per non vedere i loro visi da pesci lessi che fingono compassione.
Dopo una decina di minuti il taxi si immette nel tipico traffico di Los Angeles, non vedo la città da così tanto tempo che forse mi è mancata, tutto quel casino, la spiaggia e i bei ragazzi per le strade, la cosa magnifica e che vivere in una grande città significa che per una buona parte del paese sei una sconosciuta.
Sistemo i capelli da un lato della spalla mentre continuo a pulire nervosa la gonnellina nera, non so niente di quello che è successo durante la mia assenza, sul cellulare ho una decina di messaggi di cui la maggior parte sono stati inviati stamattina e tra questi non c’è ne uno di mio fratello, ne dei miei genitori, a malapena mi hanno scritto due mie amiche strette e qualche amico di vecchia data.
«Vuole fare qualche sosta prima di arrivare a casa?» chiede l’uomo alternando lo sguardo dalla strada a me attraverso lo specchietto retrovisore, guardo fuori dal finestrino, ci sono tanti posti in cui mi voglio fermare, ma nessuno di questi è raccomandabile dopo un anno di riabilitazione.
«No, va bene così, grazie» mi limito a dire sorridendo a stento, ecco un passo avanti veramente rilevante nella mia vita, non come tutte le cavolate che mi hanno fatto fare fino a poche ore fa.
Il sole sta calando, ormai sono le sette e in meno di mezz’ora sarei arrivava a casa, spero solo di non essere sola, non è il massimo passare il primo giorno di libertà in casa da sola di venerdì.

«Bene eccoci qui, il viaggio è stato pagato dalla clinica» mi avverte l’uomo uscendo dal taxi parcheggiato fuori da casa mia, raccolgo la mia roba e rimetto tutto nella borsa per uscire, tira una leggera aria fresca e il sole ormai è arancio all’orizzonte, mi metto sul marciapiede, mentre l’uomo poggiava a terra la mia valigia 
«Buona continuazione signorina e che possa la vita riservarle cose migliori» deve essere dura fare il tassista per una clinica e forse dice a tutti le stesse cose, in fondo ne vede tanti ogni giorno, io non sono diversa dal ragazzo che è salito prima di me su quella macchina o da quello che salirà dopo.
«Anche a lei signore» mi limito a rispondere prendendo la valigia.
Mi giro verso il cancello e ammiro casa mia, non è cambiata di una virgola, il giardino un po’ in disordine, il cancello mezzo aperto e le luci del corridoio superiore sempre accese, sto andando da una routine all’altra, ma meglio questa che quella in clinica.
Entro nel vialetto assicurandomi di chiudere il cancello e velocemente raggiungo l’entrata di casa, estraggo dalla tasca della giacca le chiavi ma prima di poterle inserire la porta si apre, mostrando mio fratello.
«O mamma mia... Hazel!» Jamie sorrise abbracciandomi talmente forte da alzarmi di qualche centimetro da terra mollai la presa sulla valigia e mi aggrappo alle sue spalle per paura di cadere.
«Anche io sono felice di vederti Jamie, ma non respiro» gli faccio notare spostando i capelli dal viso, finalmente riesce a mettermi già e inizia a riempirmi di baci tutto il viso soffocandomi.
«La clinica mi ha detto che volevi tornare da sola, quindi stavo uscendo per aspettarti, sono sempre in ritardo» conclude amareggiato raccogliendo la valigia da terra.
«Non è vero» lo rassicuro entrando in casa, nulla è cambiato, neanche un mobile, ne una lampadina, è bello tornare in un posto conosciuto, chiudo la porta accuratamente e inizio a guardarmi intorno, la casa sembra deserta, la luce del soggiorno sono spente ma la televisione illumina quel poco che basta per riconoscere il divano in pelle nera davanti ad esso.
Guardo a sinistra e la cucina non sembra toccata, nessuna padella sul fuoco ne carta di panini o fast food sul marmo grigio dell’isola al centro della cucina, di solito a quest’ora mia madre inizia a cucinare o ordina qualcosa dalla prima pizzeria che gli viene in mente.
«Dove sono mamma e papà?» chiedo posando la borsa sul mobiluccio in ceramica posto non poco lontano dalla porta della cucina.
«Da quando sei andata via le cose non sono state le stesse, mamma passa più tempo fuori che dentro casa mentre papà è l’unico ad occuparsi veramente di ciò che comprende noi e la casa: paga la tua retta nella clinica, le bollette, compra il cibo e ciò che serve, verso maggio hanno aperto le pratiche per il divorzio e mamma praticamente vive altrove» la notizia mi spiazza, mi ricordo i miei genitori sorridenti ai party, solari in casa e seri prima della mia partenza, non mi è passato per la mente che la mia situazione portasse tanto scompiglio in casa.
 Tolgo la giacca nera rimanendo solo con la camicetta bianca smanicata, inizio a sentire caldo, quella informazione mi ha messo nuovi pensieri in testa, ma non volevo fin da subito avere problemi, appoggio la giacca sulla poltrona e mi metto seduta su di essa incrociando le gambe, mentre Jamie si butta sul divano di fronte alla televisione.
«Tu come stai? A ventitré anni avrai pur combinato qualcosa!?» scherzai cambiando discorso, un sorriso si dipinge sul suo volto e la luce della televisione sembra più intensa per quanto è raggiante il suo sguardo.
«Ti ricorderai di Hanna...»
«Sì, certo la tua fidanzata, lo siete ancora?»
«Sì, ormai sono tre anni, comunque ho intenzione di chiedergli di sposarmi, ovviamente non so ancora bene come e quando ma è ormai da un paio di settimane che ci penso» 
«Ma è fantastico, non potevi darmi notizia migliore, quindi nozze imminenti, sono felice per te» ammetto abbracciandolo, non so che altro dire, non mi è mai capitato di fare congratulazioni per un imminente matrimonio, sicuramente non dopo aver saputo che i miei genitori stanno divorziando.
«Spero non ti dispiaccia se stasera vengono Hanna e sua sorella, volevo rimandare il tutto ma tra poco lei deve partire per un viaggio»
«Tranquillo, mi fa piacere vedere gente, sarebbe stato deprimente passare il venerdì sera a non far niente, quando dovrebbero arrivare?» chiedo ma prima che mio fratello risponda il campanello alla porta suona, precedendo la sua risposta, si alza di scatto chiedendomi con un cenno di seguirlo, non me lo faccio ripetere due volte e mi desto in piedi sistemando la gonna, non so se essere nervosa o solo annoiata, é la prima persona che incontro, forse non la conosco come si conosce un'amica di scuola ma tre anni in sua presenza deve aver lasciato un ricordo di me in lei, quindi posso sperimentare lo sguardo che mi avrebbero rivolto le persone fuori casa. 
Mi sistemo i capelli allo specchio dell'ingresso e poco dopo Jamie apre la porta mostrando la sua bellissima fidanzata Hanna, anche lei non era cambiata di una virgola, portava sempre lunghi capelli marroni e i suoi occhi azzurri sono così chiari e azzurri da battere anche quelli di mio fratello, al suo seguito invece di esserci una ragazza la prima cosa che mi salta all'occhio sono i capelli spettinati del ragazzo che seguiva Hanna.
«Scusa il ritardo Jamie ma mia sorella mi ha dato buca ed io devo trascinarmi dietro mio cugino» i due si scambiano un bacio veloce mentre entrambi entrano in casa. 
«É gratificante sapere che la mia presenza non sia un peso» dice sarcastico il ragazzo facendo una faccia buffa, subito mi scappa una risata che attira il suo sguardo azzurro come quello della cugina. 
«Louis Tomlinson, tu chi sei? La cugina desiderata quanto me, la sconosciuta di passaggio, la sorella appiccicosa o una prozia che mostra meno dei suoi quarant'anni?» una seconda risata esce dalle mie labbra mentre il ragazzo mi stringe la mano altrettanto divertito, sicuramente non sarà una serata noiosa. 
«Chiamami semplicemente Hazel, sono la sorella di Jamie» a quelle parole Hanna scatto dritta e si gira verso di me sorpresa, nulla che somiglia ad uno sguardo compassionevole compare sul viso della ragazza ma solo un sincero sorriso, seguito da un lungo e stritolante abbraccio, forse di ben tornata. 
«Hazel è magnifico vederti, tuo fratello non ha smesso un secondo di parlare di te in quest'anno, sono felicissima tu sia tornata a casa, quando sei arrivata? Come stai? Sei veramente cambiata dall'ultima volta che ti ho vista, ti si sono pure allungati i capelli... Jamie potevi dirmelo» lo rimprovera la ragazza lasciando finalmente la presa, l'ultima volta che mi ha vista risale a pochi giorni prima che partissi per la clinica, non ero proprio un bello spettacolo. 
«Scusa, non credevo che bastasse dopo le innumerevoli volte che te l'ho ripetuto settimana scorsa» risponde sarcastico mio fratello chiudendo la porta e posando la borsa della sua fidanzata vicino alla mia. 
«Non mi hai mai detto il giorno, comunque sono felice tu sia tornata se ti serve un passaggio e del buon gusto in fatto di shopping basta chiedere, tuo fratello non é affidabile in fatto di stile» concluse togliendo la giacca blu elettrica, sorrido divertita mentre mio fratello alza gli occhi al cielo. 
Tornai a concentrarmi sul ragazzo che si é appoggiato al muro un po' annoiato, non mi ha staccato gli occhi di dosso un secondo, adesso il problema é cosa mi invento se mi fa domande? Non posso semplicemente dire "sì, sono stata in riabilitazione per un anno senza contatti con il mondo esterno... Ma dimmi qual è la tua pizza preferita?", Non credo sia appropriato mutilare i discorsi solo per dire la verità, neanche lo conosco, non sono costretta a dire tutto. 
«Bene, io ordino la pizza, tu vuoi la solita Hazel?» Chiede mio fratello ricevendo subito un accenno da parte mia, rivolge la domanda a Louis che gli risponde anche lui veloce, forse con la prima pizza che gli salta in testa. 
«Quindi sei stata via per molto tempo, dove di preciso?» Chiede curioso Louis staccandosi dal muro, gli volto le spalle e mi incammino verso la cucina, sapendo che mi segue, se devo inventarmi qualcosa voglio farlo comodamente, prendo posto su uno degli sgabelli e inizio a pensare cosa dire. 
«non sono mai andata via da Los Angeles, ho fatto studi privati non molto lontano e dopo un anno sono tornata, sentivo la mancanza della mia famiglia» Louis inclina la testa studiando il mio viso con strana meticolosità. 
«Te la do buona, siamo sconosciuti, non sei costretta a dirmi la verità» spalanco la bocca ritrovandomi sinceramente sbalordita dalla sua loquacità, quasi mi fa paura che un ragazzo con i pantaloni che sembrava gli fosse entrata l'acqua in casa capisse che quella é una bugia. 
«Cosa ti fa credere che non sia la verità?» 
«Mia cugina sembrava più che contenta di vederti, poi hai dato troppe informazioni perché fosse la verità, sono un bugiardo patentato so riconoscere le bugie, detto questo quanti anni hai?» Chiede prendendo posto sullo sgabello accanto al mio, passa una mano fra i capelli scompigliati per poi mostrarmi il suo sorriso un po' esuberante. 
«Diciotto, tu invece quanti? Cinque?» Replicai in modo sarcastico incrociando le gambe e lanciandogli uno sguardo di sfida. 
«Sei, no a parte gli scherzi, per l'anagrafe sono diciannove, ma non sei la prima a dirmi che ne ho cinque, sono una decina d'anni che me lo ripetono, ritornando seri, hai intenzione di ritornare da dove sei venuta?» 
«Dio no, neanche per sogno, da adesso in poi l'unica volta che lascerò questa casa sarà per tornarci la sera e per lunghe vacanze lontano dalla città» confermo appoggiando il gomito sul piano in marmo freddo, Louis scatta a ridere di gusto, come se avessi appena fatto una battuta di cui solo lui ha colto il significato. 
«Sei stata in prigione O in un riformatorio?» 
«No, certo che no, ho la faccia da criminale?» 
«Non proprio, ma ormai anche le più dolci facce d'angelo compiono gli omicidi, quindi non si può mai sapere, come faccio a sapere se é la verità?» 
«Sei tu quello che riconosce le bugie, ma mi sento particolarmente felice quindi ti prometto che se il posto che mi dirai è giusto lo confermerò... Ci stai?» Allungo la mano per sigillare il patto, non so se l'avrei rivisto e anche se fosse, non credo ricorderà questa cosa, ma per una sera poteva essere divertente, il ragazzo mi studia ancora una volta con quello sguardo che mi mette un po' in soggezione e dopo pochi secondi accetta la mia proposta stringendo la mano. 
«Quindi niente carcere?» 
«No, scemo, niente carcere o riformatorio ho la fedina penale pulita da qualsiasi omicidio o tentato omicidio, tu invece non hai nessun crimine da confessare?» contraccambio la domanda portando i capelli all'indietro mentre lui finge di sforzarsi a pensare.
«Tralasciando vetri rotti e disturbo alla quiete pubblica anche la mia fedina si potrebbe definire pulita» mi informa ironico, tralasciando ovviamente molti dettagli, sicuramente non lo si può definire un ragazzo tranquillo ma la sua presenza mi rilassa nonostante sia tutt'altro che mansueto, gesticola molto e i suoi modi di fare passano poco inosservato. 
Il resto della serata non è degno di nota, fino all'arrivo della pizza abbiamo parlato un po' di ciò che ci piace, cosa ci accomuna e cosa invece ci rende diversi, sicuramente nessuno dei due vuole passare del tempo con Jamie ed Hanna, sono una coppia da secoli e stare con loro significa guardare mentre si baciano in continuazione senza sosta, come due sanguisughe affamate. 
Quando la pizza finalmente arriva anche i problemi della serata iniziano a farsi sentire, Hanna ritira gli scatoloni alla porta mentre io e Louis prendiamo lattine e taglia pizze da mettere sul piccolo tavolo del salotto dove consumeremo la cena, fino a qui nessun problema si pone, ognuno di noi si sarebbe messo seduto a terra o sul divano, il vero problema sta che mio fratello vuole a tutti i costi starmi appiccicato e tenermi gli occhi piazzati addosso mentre mangio... non é la cosa migliore. 
Jamie propone di vedere un film e pur di togliermi i suoi occhi di dosso ne avrei messi cento di DVD, é stressante che i tuoi movimenti siano seguiti passo dopo passo da una persona, mi sembra quasi di tornare in clinica, la differenza sta che quello non è il lavoro di mio fratello, quindi posso odiarlo senza scuse. 
Inizio lentamente a mangiare la pizza mentre Fast and Furios comincia ad invadere il televisore, non mi è mai piaciuto particolarmente il film ma grazie alle battute in sottofondo di Louis sono riuscita a vederlo sotto una prospettiva più comica che preferisco all'originale, la serata non ha altro di interessante dopo la pizza i due innamorati hanno ripreso a succhiarsi la faccia provocando un coniato di vomito sia a me che al ragazzo che mi tiene compagnia. 
«Senti Hazel che ne dici se andiamo in cucina, questo spettacolo mi uccide» 
«ovunque e meglio di qui» confermo alzandomi in piedi, Hanna si stacca a fatica da mio fratello per poi rivolgersi al cugino. 
«Dobbiamo andare, sono quasi le nove e tu devi essere al bar per le nove e mezza, quindi preparati» il ragazzo annuisce e prendendo il cellulare si dirige in cucina seguito da me, non ha nulla da prendere, è estate, non c'è nemmeno bisogno della giacca. 
«Ti inviterei a venire con me se tu non fossi appena tornata da... Un centro di addestramento?» Chiede speranzoso riprendendo posto al solito sgabello. 
«No, ma potrebbe essere parte della descrizione del posto in cui sono stata, comunque si, rifiuto volentieri l'invito non sono in vena di uscire per stasera» ammetto ritornando anche io seduta al mio posto. 
«Ti sei fregata con le tue stesse parole, hai detto "per stasera", quindi nulla mi impedisce di invitarti un'altra sera... Tipo domani?» Chiede uscendo dalla tasca il cellulare e facendolo scivolare sul tavolo fino a me. 
«Non lo so, devo ancora vedere i miei genitori, vecchi amici, non sono sicura mi rimarrà il tempo anche per le nuove conoscenze» 
«Tu appuntami in rubrica il tuo numero e domani si vedrà, in fondo abbiamo tutto il tempo del mondo, non credo tu voglia aspettare che quei due si diano appuntamento per vedermi, faccio volentieri a meno di vederli succhiarsi la faccia a vicenda» trattengo una risata mentre prendo in mano il cellulare del ragazzo, non é messo bene, crepature ovunque e adesivi che ne coprivano gran parte delle imperfezioni. 
Sblocco lo schermo e velocemente salvo il mio numero su di esso, per poi prendere il mio di cellulare e far fare la stessa cosa al moro che non ci pensa mezzo secondo a ricambiare, poco dopo Hanna chiama Louis pronta per andarsene, sinceramente speravo in qualcosa di più lungo tra i due. 
«Allora ci vediamo presto Hazel, é stato un piacere conoscerti» 
«Anche per me Louis, alla prossima» il ragazzo un po' impacciato allunga la mano per poi sostituirla però ad un abbraccio un po' goffo, anche io non sono meno impacciata, non ricevo un abbraccio da più di un anno, riceverlo per la prima volta dopo tanto tempo da uno sconosciuto non è la cosa più naturale. 
Poco dopo scompare dalla cucina per andare verso l'uscita, posso sentirlo salutare mio fratello e poi il nulla, solo la porta che si chiude e il rumore della televisione ancora accesa, recupero il cellulare dal bancone e lo ripongo nel l'unica tasca che mi ritrovo nella gonna, per tornare nel salotto dove mio fratello sta riordinando, mi avvicino a lui per aiutarlo. 
«Non hai finito la pizza» 
«Non avevo fame, in clinica fanno fare sei pasti al giorno è normale essere sazi per cena» 
«Finisco io qui, tu sarai stanca, vai pure a riposare» porto gli scatoloni che reggo in mano nella cucina un po' irritata che mio fratello pensi così male di me, credevo che almeno lui non mi avrebbe fatto pesare quello a cui sono andata incontro, esco dalla cucina ma prima di avviarmi per il piano superiore mi fermo ancora una volta in salotto. 
«comunque smettila di fare il paranoico, sappiamo entrambi che non sono anoressica» 
«Meglio prevenire che curare» 
«In poche parole sono un caso perso su tutti i fronti» 
«No, non intendevo questo...» Lo interrompo con un gesto della mano mentre recupero la borsa e inizio a salire le scale doppiamente delusa da mio fratello, se lui mi vede così non voglio immaginare come mi vedrà da domani in poi la gente fuori casa, per tutto il tempo passato in clinica mai mi è passato per la mente che mio fratello mi dicesse che sono un caso perso e che posso cadere in qualsiasi tentazione senza esclusione. 
«Sì intendevi questo, buonanotte Jamie, non ti azzardare ad entrare in camera mia» concludo il discorso mentre finisco di salire la gradinata, non mi importa se ho ferito i suoi sentimenti, lui ha ferito i miei e non lo perdonerò facilmente. 
Entro in camera mia come se non la vedessi da un giorno di scuola, anch'essa non é cambiata, le lenzuola blu, le pareti piene di disegni e scritte rubate ai libri, sulla scrivania c'è ancora il mio computer ed in parte ad esso tutti i quaderni con i miei disegni e i racconti. 
Sfilo le scarpe dai piedi un po' doloranti e mi getto a capofitto sul letto, non lo ricordavo tanto morbido, in confronto a quelli dove ho dormito per un anno questo sembra una nuvola, tolgo anche la gonna e mi trascino fino al cuscino, sotto di esso c'è il pigiama, è sempre stata mia consuetudine tenerlo li e nessuno l'ha tolto. 
Mi privo anche della camicetta e subito dopo indosso il pigiama fresco e comodo, dal fondo del letto sento una vibrazione e capisco che nel cellulare é arrivato un messaggio. 
Getto sulla sedia poco lontano dal letto la camicetta e quando ho recuperato il cellulare la gonna fa la sua stessa fine, mi infilo sotto il lenzuolo e sblocco lo schermo, il messaggio è di Louis e al suo interno c'è scritto: 
‹ Programma protezione testimoni?› Sorrido vedendo il messaggio, con tre parole é riuscito a mettermi di buon umore, dopo una conclusione di serata veramente deprimente. 
‹ No, arrenditi › gli invio sistemando il cuscino e spegnendo la luce, mi sento una vecchia ad andare a letto così presto, anche se fino a ieri l'orario prestabilito per le luci accese era le nove ormai sono fuori e queste regole non contano, ma sono stata vittima delle routine per un anno ci vuole del tempo per riabilitarsi ad una vita sociale da normale adolescente, poso il cellulare sul comodino ma nello stesso istante vibra una seconda volta. 
‹ Non così presto, a domani › racchiude il messaggio di Louis, che mi da la buonanotte in un certo senso, ricambio anche io con un "a domani" e poso il telefono dichiarando quello il mio ultimo messaggio, decido di alzarmi dal materasso, non ho poi così tanto sonno e devo finire di scrivere sul diario che mi hanno rifilato.
Prendo posto sul divanetto creato con il davanzale della finestra, Los Angeles è come sempre illuminata e bella, estraggo il piccolo blocco e inizio a scrivere, per me appuntare anche solo una menzogna è la cosa più noiosa che possa fare anche solo per ammazzare il tempo.
Finito di scrivere mi perdo nelle pagine vuote, potevo sicuramente rendere le cose più gradevoli, posiziono il quaderno sulle gambe e con la penna nera inizio a tracciare le prime linee, un bel disegno ad ogni “capitolo” avrebbe messo un tocco di personalità a tutto, nel disegno raffiguro me stessa, nella stessa posizione in cui mi trovo vista da occhi esterni ai miei.
Un disegno soddisfacente per aver usato una penna ed un foglio mezzo utilizzato, richiudo il quadernetto, per poi perdermi nell’infinito del paesaggio e ricordarmi che... finalmente sono a casa.
bene eccomi tornata con una storia nuovissima di zecca.
non sarà lunga, anzi penso non avrà più di venti capitoli... non lo so ci sto ancora pensando 
spero vi piaccia come inizio qui trovate il link del trailer.
ringrazio Sara Scrive per il banner... sempre genilissima, ringrazio anche voi perchè senza le chiaccherate in chat con alcuni di voi non mi sarebbe mai venuta in mente questa fan fiction.
come avete visto la protagonista la raffiguro come 
Shailene Woodley detto questo vi lascio ai commenti, spero di riceverne tanti visto che mi sembrava una storia troppo bimbominchiosa per essere pubblicata un bacione al prossimo capitolo 
  
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