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Autore: Water_wolf    28/02/2014    0 recensioni
Tutti hanno i propri problemi, ragazzi e ragazze. Tutti si augarano di risolverli. Alcuni ci riescono nel più inaspettato dei modi.
|| Linguaggio volutamente scurrile in alcune parti - Offesa a un gruppo di cantati unicamente a fini narrativi ||
Era una frana nelle interrogazioni, una frana con le parole, una frana e basta. Un cumolo di massi che prima erano una solida roccia, ma che ora cade e si schianta, frantumandosi per sempre.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Marta.
Capirai presto perché.

 
"Tu étais formidable,
J'étais fort minable
" - Formidable, Stromae


 
«Vaffanculo.»
«Dannot, ti prego, ascoltami…»
«Vaffanculo!»
Daniele infilò con furia le mani nelle tasche della giacca, marciando verso l’imboccatura della stazione metropolitana. Il vento lo colpì in pancia, facendolo rabbrividire da testa a piedi. Si poteva essere tanto coglioni da mettersi solo un pullover leggero e un giubbotto di pelle in pieno Gennaio? Evidentemente sì. Daniele aveva smesso da tempo di domandarsi quanto si era rincretinito.
«Dannot…» La voce di Raffaele gli giunse flebile alle spalle, come il lamento di un gatto.
Si fermò a metà della scalinata, rischiando pure di inciampare e slogarsi una caviglia.
«Cazzo vuoi ancora, eh? Sei così scemo da non sapere nemmeno la direzione per ‘Fanculo Landia?»
«Stronzo» replicò l’altro, raggiungendolo e afferrandogli il colletto della giacca.
Daniele si allontanò, scacciando malamente la mano dell’amico.
«Levati» intimò, brusco.
«No» protestò Raffaele. «Dobbiamo parlare.»
«Sei duro d’orecchi?» gridò Daniele, facendo voltare una ventenne tacchi e colpi di sole. La mandò a quel paese nella testa. Tanto, a lui, gliene fregava niente se gli altri lo guardavano male. «Sono stufo di parlare.»
«Stai solo cercando una via di fuga» lo contraddisse.
«Smettila di improvvisarti strizzacervelli di punto in bianco, mi fanno girare il culo i toui discorsi da filosofo da strapazzo.»
«Almeno non ti faccio sborsare un pacco di soldi» sbottò Raffaele.
«È sarcasmo, questo?» fece Daniele, inarcando un sopracciglio.
«Ma va? Eppure, dovresti riconoscerlo quando lo senti, anche se non sei tu a farlo.»
Daniele sbuffò, spazientito e decisamente sull’orlo di una crisi isterica di dimensioni colossali. Solo quel cretino di Lele riusciva a provocargli quel doppio effetto, facendolo passare dallo stadio “odio tutto il mondo” a “batti cinque, andiamo a prenderci una pizza”. Fece un gesto con la mano, voltò le spalle e scese gli ultimi gradini senza neanche salutare. Non sprecò neppure un’imprecazione, perché sapeva che a Raffaele avrebbe dato ancora più fastidio.
Faceva tanto quello “no, no, io lascio spazio agli altri” ma poi portava sempre i discorsi su di sé. Ignorarlo era la scelta migliore. Non era come lui, che egocentrico lo era quanto una tartaruga; non sapeva davvero cosa voleva dire sentirsi un reietto.
Venne fermato nel mezzo della galleria che portava ai caselli, che puzzava di piscio in ogni stazione e dove il pavimento era appiccicoso per tutte le bevande gasate rovesciatesi là sopra nel corso degli anni. Raffaele lo incollò al muro, senza fargli male, ma con abbastanza forza da impedirgli di scappare.
Ma cosa voleva da lui quello stronzetto magrolino? Per Daniele la vita poteva procedere così, senza ulteriori spiegazioni. Era stufo marcio di darle, di fornire risposte a milioni di domande. Era una frana nelle interrogazioni, una frana con le parole, una frana e basta. Un cumolo di massi che prima erano una solida roccia, ma che ora cade e si schianta, frantumandosi per sempre.
«Dannot» lo chiamò col suo soprannome, riportandolo bruscamente alla realtà, come sua mamma faceva di mattina quando fingeva di non sentire la sveglia e si immergeva ancora un po’ nel mondo dei sogni. «Non so cosa fare con te. Prima mi racconti che stai male, ti sto vicino, cerchi qualcun altro, penso che lasciarti con lui sia meglio, e tu invece ti incazzi. Come devo comportarmi?»
«Capiscilo da solo» ribatté Daniele. «Non sei tu quello che si è vantato per il 9- in quarta ora? Usa il cervello.»
«E se ti dicessi che me lo sono fumato insieme a una canna?» chiese Raffaele.
«Ti consiglierei che è meglio una sega» rispose.
Una vecchietta zoppicò, oltrepassandoli e mormorando in dialetto milanese dei giovani, lamentandosi che non combinavano niente, mentre lei, ai suoi tempi… altro che divertirsi a mandà tu’ a ciappà i rat!*
«Fai il serio» lo rimbrottò Lele, seguendo con lo sguardo l’anziana.
«Sono serissimo.»
«Dài, davvero, ascoltami» rincarò l’altro.
«Sei sparato nelle mie orecchie come i Green Day.»
Raffaele sospirò, esasperato. Gli piaceva di meno, quando non era lui a far saltare i nervi a Daniele.
«Sai che puoi parlare con me di tutto» iniziò Raffaele. «Però io non posso entrarti in testa e vedere cosa pensi, come calcolerai ogni mia mossa. La prenderai male o bene? Chissà. Poi mi sento una merda, se faccio un passo falso con te.»
A Daniele venne quasi da ridere. «Lo vedi? Io conto per te unicamente perché non vuoi fare sbagli, perché devi essere il ragazzo modello perfetto.»
Raffaele lo spinse contro il muro, la cartina che indicava la direzione delle linee metropolitane si accartocciò ancora di più. Lo fulminò con i suoi occhi chiari, fissandolo come un lupo fa con la preda. Dio, ma perché li trovava così dannatamente belli?
«Cazzo, la smetti di considerarti alla stregua di una cicca? Non pensi mai che qualcuno ci tenga, a te?» scattò Lele.
«Ora mi commuovo» lo schernì. «Oh my Gosh, I can’t believe you said that!**» imitò la voce stridula delle primine della sua scuola alla notizia che gli One Direction tenevano un concerto ad Assago Forum. Per lui, l’unica direzione in cui potevano andare quei cantanti era a farsi fottere. «Adoro quando dici queste frasi da commedia romantica» disse, sarcastico.
«Allora scrivimi il copione, così non sbaglio più!»
«Perché nessuno riesce a capire che non voglio spiegare più niente? Che sono gli altri a dover mostrare a me quello che sono, perché io non lo so?» mormorò Daniele, un ciuffo di ricci castani gli ricadde sul davanti, coprendogli la parte sinistra del viso.
«Pensavo che con Michele fosse andata meglio che con me… che lui fosse meglio in certe cose…» balbettò Raffaele.
«Infatti, è così» confermò.
«Allora…»
«Ti riesce difficile pensare che io voglio te, non Michele, bel biondo?» lo prese in giro, cercando una via di fuga.
«Non sono biondo» protestò l’altro, debolmente.
Daniele fece un sorriso amaro. Gli diede uno spintone, facendolo barcollare all’indietro, infilandosi poi tra le porte del casello poco più in là.
«Pensi solo a te stesso» lo accusò, squadrandolo dall’altra parte del passaggio.
Gli diede di nuovo le spalle; guardò il tabellone, notando che mancavano due minuti e mezzo alla partenza della metro. Sentì lo scorrere delle porte dietro di lui, ma non ci badò.
«Daniele!» Raffaele lo chiamò per nome.
Cazzo. Di due cose non si dimenticava mai: la prima, dargli noia; secondo, la tessera ATM***. Daniele si fermò, incapace di andare avanti. Lele lo fece voltare a forza, lo guardò negli occhi –Dio quanto odiava quel colore grigio misto ad azzurro – e lo abbracciò. Era uno di quegli abbracci da veri amici, di quelli che dicono “ti seguirò anche al cesso, perché tutti gli stalker vorrebbero seguire te in bagno”, e “ti voglio bene”. Daniele riccacciò indietro le lacrime.
«Mollami, stronzetto» sibilò.
«Sta’ zitto e abbracciami» replicò Raffaele. «Cazzo» aggiunse.
Daniele si perse in quel contatto, inspirò l’odore di dopobarba e balsamo al muschio bianco dell’amico.
«Ti odio» sussurrò.
«Vaffanculo» imprecò Lele, ma lo tenne stretto ugualmente.
Daniele dubitava che l’avrebbe lasciato andare mai più. E il fatto non gli dispiaceva.


*mandare tutti a quel paese
**Oh mio Dio, non posso credere che tu l'abbia detto!
*** Auto Trasporti Milanesi
non si capisce che sono di Milano lol
  
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