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Autore: RedMarauder    01/03/2014    42 recensioni
Il suo sorriso, quel sorriso che riusciva a farla arrossire ogni volta, lo stesso sorriso che le rivolgeva ora, era spietato, disarmante...bello.
Troppo bello. Ma lei era troppo orgogliosa per ammetterlo, per mostrarsi debole. Hermione Granger doveva avere sempre il controllo della situazione. Sempre!
- Attenta a giocare con il fuoco, Granger. E' pericoloso!-
- Perché?- rispose, alzando il mento - Potrei scottarmi?-
Di nuovo quel sorriso. - Sì, ma il problema è che..potrebbe piacerti!-
Tanti cari saluti al suo controllo e alla sua tempra morale. Come poteva resistere quando quegli occhi la guardavano in quel modo? Così profondi, così intensi..così perfetti! Valeva la pena lasciarsi andare. Valeva la pena affondare le mani in quel fuoco, nel fuoco dei suoi capelli. Valeva la pena scottarsi!
Infondo, ad essere sincera, non era poi così male perdere il controllo!
Genere: Comico, Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred, Weasley, George, e, Fred, Weasley, Ginny, Weasley, Harry, Potter, Hermione, Granger, Ron, Weasley | Coppie: Angelina/George, Fred Weasley/Hermione Granger, Harry/Ginny, Luna/Neville
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Capitolo 30
Guerra e Tempesta
 
 
 
 
 
 
 
Neville guardò il gufo spiccare il volo dalla finestra delle Guferia. Il suo sguardo seguì il volatile all’orizzonte, dove il cielo diventava sempre più scuro. Nuvole nere cariche di tempesta stavano coprendo la leggera foschia grigiastra che da giorni incupiva il castello. Durante il mese di maggio, di solito, gli studenti se ne stavano fuori nei prati a godersi il sole. Non quell’anno. L’inverno sembrava l’unica stagione sopravvissuta al cambiamento del Mondo Magico. La pioggia aveva preso il sopravvento assieme a venti gelidi e tempeste furiose. Neville non ricordava nemmeno l’ultimo giorno di sole che avevano visto. Non ricordava il calore dei raggi sulla palle. Il cielo azzurro sembrava un vago ricordo del passato.
Sotto quella coltre grigia e scura, la paura regnava sovrana. Il mondo si stava preparando. Sospirando, Neville infilò una mano nella tasca. Da giorni si portava dietro una foto dei suoi genitori. Gliel’aveva regalata Luna. Come l’avesse trovata, rimaneva un mistero. Neville sorrise al ricordo del giorno in cui gliel’aveva regalata. Erano insieme, rintanati in un angolo riparato della Torre di Astronomia. Luna stava osservando le nuvole, per cercare forme buffe. Ad un certo punto, aveva estratto la foto dalla tasca del suo mantello e gliel’aveva data. Aveva detto: “Portali con te. Ti aiuteranno!”.
Aveva ragione. Be’, difficilmente Luna si sbagliava. Ma su quella foto aveva proprio ragione. Ogni volta che Neville sentiva i morsi della paura, stringeva fra le dita quella foto. Ormai l’aveva stropicciata e usurata, ma non gli importava. I visi sorridenti dei suoi genitori non sbiadivano, né cambiavano. Erano sempre lì a infondergli coraggio.
Quando li avrebbe rivisti? Settimane, mesi, anni? Mai? Cosa sarebbe successo?
In quella lettera appena spedita, Neville aveva chiesto alla nonna di correre al San Mungo per riferire un messaggio ai suoi genitori. Sapeva come avrebbe reagito l’anziana donna. Avrebbe alzato gli occhi al cielo e avrebbe borbottato fra sé che era tutto inutile. Ma Neville sapeva che non era vero. Alice avrebbe capito. Lei capiva sempre tutto del suo unico figlio. E Frank, lui sarebbe stato fiero. Quel messaggio era importante. Molto importante. Neville sperò con tutto se stesso che la nonna capisse quanto contasse per lui. Sorridendo al cielo grigio, Neville si rilassò. Era un po’ bisbetica, invadente e critica, nei suoi confronti, ma era saggia. Lei sapeva leggere i suoi sentimenti. Un po’ come sua madre. Un po’ come Luna.
Rise da solo, rivolgendo lo sguardo alle cime degli alberi della Foresta Proibita, che ondeggiavano per il forte vento. Tutte le donne della sua vita erano un po’ strane.
Era stato cresciuto da una donna svitata e sempre scontenta di qualcosa: il Ministero, il Ministro, Neville, la gestione del San Mungo, le leggi sui Goblin, Neville, la presenza di zucchero nei Cioccalderoni, la Gazzetta del Profeta, Neville, i giornalisti, il Ministro, il Ministero, Neville..
Una donna scontenta di tante cose, ma orgogliosa di tante: la sua famiglia, suo figlio, il nome dei Paciock, l’Ordine, Silente, i Potter, la battaglia contro il male..Neville!
Sua madre, Alice Paciock, aveva lottato fino alla fine ed era stata torturata fino alla pazzia. Ma aveva protetto l’Ordine. Coraggiosa. Ecco cos’era Alice Paciock. La donna più coraggiosa del mondo. Come Lily. E Neville, come Harry, aveva affrontato una vita difficile che stava per culminare nell’unico finale che le loro madri avevano cercato di evitare, sacrificando se stesse: la guerra.
E poi c’era Luna. La fidanzata più strana del mondo. Lunatica, vaneggiante, intelligente, furba e buona, una persona che amava con il cuore e riusciva a credere in se stessa e negli altri, che ignorava le critiche e pregiudizi e guardava l’anima di ogni persona, senza fermarsi alle apparenze. Luna. La ragazza che amava e che non avrebbe mai smesso di amare. La ragazza che gli aveva regalato quella foto ormai stropicciata.
Neville sollevò l’immagine dalla tasca. I volti sorridenti di Alice e Frank lo salutarono. Sorridendo, Neville accarezzò il viso tondo di sua madre e pregò con tutto se stesso che la nonna riferisse ai genitori il suo messaggio.
La guerra si avvicina. Io sono pronto a combattere.
 
 
 
 
 
 
 
Luna entrò saltellando nella Guferia. Il vento forte sollevò i suoi lunghi capelli biondi, arrotolandoglieli sulle spalle. Sorridendo, raggiunse Neville accanto alla finestra. Stava guardando la foto dei suoi genitori. Senza dire niente, gli prese una mano e appoggiò la testa sulla sua spalla. Senza una parola, Neville avvolse un braccio attorno alle sue spalle delicate. Luna lasciò vagare lo sguardo oltre l’orizzonte.
Amava le tempeste, ma quella non era una tempesta come le altre. Era la guerra. Avanzava verso di loro, cupa e tenebrosa, sempre più reale. Camminava lenta, calpestava alberi, fiumi e colline e si avvicinava. Luna sapeva che il sole si nascondeva dietro le nuvole. Sapeva che, finita la pioggia, il cielo azzurro sarebbe tornato a irradiare il mondo. Guerra e pace. Il sole doveva tornare, prima o poi. Purtroppo, significava combattere. Lei odiava combattere. Uccidere era spregevole. Ferire era malvagio. Ma avrebbe difeso ciò che amava. Avrebbe difeso suo padre. Avrebbe difeso Neville. Amava troppo quel ragazzo, non poteva perderlo. Non ora che vedeva il suo futuro oltre la tempesta.
Il peso del mondo gravava sulle spalle di ragazzi troppo giovani, Luna lo sapeva. Ma erano pronti. Dovevano esserlo per forza. Infondo, era ciò che li distingueva da Voldemort: loro avevano qualcosa per cui lottare. Anzi, avevano molte cose per cui lottare.
Amore.
Libertà.
Luce.
Giustizia.
Amicizia.
L’arma più potente del mondo era l’amore. L’amore riassumeva tutto quanto. Era tutto ciò di cui avevano bisogno. Per un momento, Luna fu spaventata da un brutto presentimento. E se lo avesse perso? Se avesse perso Neville? O suo padre? O Harry? O Hermione?
No, non li avrebbe persi. Si costrinse a sorridere, a dimenticare quella sensazione di terrore. Ma Neville, ormai, si era già accorto di quella tensione nel corpo di Luna.
- Stai bene?- le chiese.
Luna sollevò lo sguardo con aria sognante. – Pensavo a quante probabilità ci fossero di perdere le persone che amo!- rispose, con la sua solita schiacciante sincerità.
Nello sguardo di Neville, vide paura, divertimento ed esasperazione. Accennando un sorriso, il ragazzo rispose: - Sono molto alte!-
- Sei coraggioso, ad ammetterlo – commentò Luna, accarezzandogli una guancia.
- Però non dovremmo pensarci –
- No, infatti. È un pensiero ridicolo!-
- Perché?- chiese lui perplesso.
Luna sfoderò un sorriso radioso. – Perché l’amore supera la morte. Se tu morissi, io non smetterei di amarti!-
- Luna, possiamo evitare l’argomento? Mi stanno venendo i brividi!- sbottò lui, tremando.
Ridendo, lei si sollevò sulle punte per baciarlo. Era così tenero. Spaventato e coraggioso, troppo buono per lasciarsi soggiogare dalla paura, ma troppo innocente per credere il male non esistesse. Quello era Neville. Per quanto fossero spaventose le sue parole, Luna era convinta di ciò che aveva detto. Non avrebbe mai smesso di amarlo. Le persone che muoiono, sono ricordi, riflessi per sempre nei cuori di chi le ha amate. Non si può smettere di amare. È l’unico modo per sconfiggere la morte. L’unico, perlomeno, che le fosse rimasto.
- Però hai ragione..- commentò Neville, guardandola negli occhi.
Ecco il Neville coraggioso!
- Non smetterei di amarti – continuò Neville. – Ma tu non morirai!-
- Nemmeno tu – rispose lei.
- Non lasciarmi mai – mormorò Neville.
- Mai – rispose lei, guardandolo con i suoi profondi occhi sinceri.
La tempesta era vicina. Luna amava le tempeste. E odiava la guerra. Mentre i fulmini illuminavano il cielo nero e i tuoni squarciavano il silenzio delle montagne, Luna si rintanò nell’abbraccio di Neville. La paura era un’infida nemica. Non poteva permetterle di avere il sopravvento, perché era come ammettere che avesse vinto il male.
Stretta fra le braccia di Neville, Luna affrontò la tempesta con lo sguardo. Odiava la guerra e odiava combattere. Ma aveva un’arma con cui lottare. Un’arma da condividere con Neville.
Qualcosa che andava ben oltre la morte.
 
 
 
 
 
 
 
Dalla finestra del corridoio del quarto piano, Calì guardava la tempesta. Era arrivata all’improvviso, irrompendo sulle montagne e scuotendo il castello. La tempesta, come la guerra, non avvisa. Arrivava e basta. Dovevano essere pronti. In qualsiasi momento. Dei passi alle sue spalle la fecero voltare. Sua sorella, Padma, camminava con gli occhi fissi fra le pagine di un libro.
La guerra non avvisava. La pace nemmeno. Ma almeno Calì poteva scegliere cosa affrontare prima. E visto che la guerra non sempre finiva nel modo giusto, la pace sembrava l’unica speranza. E lei aveva bisogno di speranza. Aveva bisogno di chiudere una guerra, per poterne affrontare un’altra. Aveva bisogno di pace.
- Padma?- la chiamò.
La gemella alzò lo sguardo di scatto dal libro e posò gli occhi scuri sulla sorella. – Calì! Che ci fai davanti a una finestra aperta? Ti ammalerai!- la rimproverò, correndo subito verso di lei.
Alzò le mani per chiudere la finestra, ma Calì non glielo permise.
- Devo dirti una cosa –
- Non puoi dirmela in un posto più caldo?-
Calì scosse la testa. Prese la sorella per le spalle e la spinse davanti alla finestra aperta.
- Cosa vedi?- le chiese.
Padma rimase un attimo immobile, mentre il vento sollevava su di lei la pelle d’oca. – Tante nuvole e qualche fulmine!-
- Sai cosa vedo io?- disse Calì, tremando.
Padma si voltò verso di lei e la osservò con attenzione. Poi fece un cenno con la testa, a metà fra un diniego e un invito a continuare.
Calì sentì una lacrima calda solcarle la guancia. – Io vedo la guerra.. – mormorò.
Qualcosa si ruppe negli occhi di Padma. E allora la sentì. Avvertì la paura. Vide le ombre muoversi nella luce fioca del pomeriggio. Vide le nuvole accalcarsi come nemici pronti ad attaccare. Vide la guerra. Attraverso gli occhi di Calì, vide il terrore. Ma nello sguardo della gemella ritrovò anche qualcos’altro, qualcosa che aveva perso da molto tempo. L’innocenza. La sua gemella.
- Com’è successo?- chiese Padma, mormorando.
Calì non ebbe bisogno di chiarimenti. Per la prima volta da anni, riuscì a sentire i pensieri della gemella. Riuscì a ritrovare quella connessione che aveva perso. Quella connessione, infatti, era il soggetto della domanda di Padma.
- Non lo so – rispose Calì. – Io penso che..siamo cresciute –
- Nel modo sbagliato. Mi sono comportata da vera stupida – ammise Padma.
- Io non ho fatto niente per fermarti, perciò la stupida sono io – disse Calì, scuotendo la testa.
- Tu riesci a sentirlo, vero?- chiese Padma.
- Il nostro legame?-
- Sì –
- Certo che lo sento. Come quando..-
-..abbiamo infilato del peperoncino nelle Cioccorane di papà!-
Scoppiarono a ridere insieme, pensando entrambe alla stessa cosa. Due bambine identiche, arrampicate su delle sedie alte, che ricoprivano delle Cioccorane con del Peperoncino Invisibile e rimanevano alzate fino a tardi per sbirciare dalla porta del salotto il padre che mangiava la cioccolata e tossiva, invocando dell’acqua.
- Perché abbiamo perso tutto questo?- chiese Calì, triste.
Padma le prese una mano. – Non lo abbiamo perso. Forse avevamo bisogno di andare ognuna per la nostra strada, solo per scoprire che, in realtà, non abbiamo mai percorso strade diverse!-
- Ci sei sempre stata – disse Calì, improvvisamente consapevole di quanto fossero vere quelle parole.
- Anche tu – confermò Padma, annuendo.
- Lotteremo insieme!- esclamò Calì.
Padma sorrise e la strinse forte in un abbraccio. – Insieme – mormorò all’orecchio della gemella.
Un tuono scosse le mura del castello, ma le sorelle lasciarono aperta la finestra. Perché la guerra, come la tempesta, non si fermava davanti ad un vetro. Avanzava, temeraria e forte. L’unico modo per affrontarla, era scendere in campo a testa alta. Lasciare aperta la finestra. Così la tempesta poteva entrare. E loro potevano combatterla. Insieme.
 
 
 
 
 
 
 
Seduto su una poltrona del dormitorio, Seamus stava cercando di memorizzare gli ingredienti di una Pozione particolarmente antipatica. Sbuffando, lanciò il libro sul tappeto e cominciò a guardare il fuoco. Scoppiettava allegro, sembrava immune alla tempesta che stava scuotendo Hogwarts. In quel momento, il ritratto si aprì e Calì spuntò nella Sala Comune. Corse da Seamus e si gettò sulle sue gambe, ridendo.
Lui, sorpreso e divertito, la abbracciò, salvandola da una caduta. – Sei così tanto felice di vedermi?- la prese in giro.
Calì alzò gli occhi al cielo. – E’ successa una cosa magnifica!-
- Lavanda si sposa?-
- Seamus..-
- D’accordo. Cos’è successo?-
- Padma!- rispose lei, mentre una lacrima faceva capolino nei suoi occhi.
Seamus rimase un istante a bocca aperta. – Avete fatto pace?-
Calì annuì e sorrise, mentre le lacrime scendevano lungo le sue guance.
Sorridendo, Seamus la abbracciò e la strinse forte a sé. Calì appoggiò la testa sulla sua spalla e si lasciò cullare dalle sue carezze. Rimasero lì per quelle che gli sembrarono ore. Seamus riusciva a percepire il battito emozionato del cuore di Calì, mentre respirava il suo dolce odore di fragole. Era una sensazione meravigliosa starsene lì, semplicemente abbracciati. Era come essere impegnati in una lunga conversazione sui loro sentimenti, senza dover usare una sola parola.
Dopo un po’, Calì alzò la testa e lo guardò dritto negli occhi.
- Ho paura – disse.
Seamus le accarezzò una guancia teneramente. – Anche io –
- Come si vince la paura?- chiese lei.
Lui alzò le spalle. – Non ne ho idea. Teoricamente dovremmo saperlo. Siamo dei Grifondoro!-
Calì alzò gli occhi al cielo sorridendo. – Non ce l’ha insegnato nessuno!-
- Questa sì che è sfortuna!-
- Però Silente ha detto qualcosa di importante, una volta..dopo che Cedric..-
Seamus le strinse la mano, mentre il ricordo di quella perdita tornava a logorare la sua mente. Calì deglutì e riprese. – Ha detto che l’unico modo per vincere, è credere in noi stessi e nell’amore. Non credo abbia usato esattamente queste parole, ma basta il concetto!-
Seamus annuì. – Dobbiamo restare uniti –
Calì sorrise e gli accarezzò una guancia. – Se morirò..-
- Non dirlo nemmeno per scherzo!- scattò Seamus, improvvisamente preda di un terrore che non poteva controllare.
Il solo pensiero di perderla, sembrava insopportabile. Cosa avrebbe fatto, senza di lei? Non poteva convivere con quella prospettiva. Il suo mondo era insignificante, senza Calì. Nulla avrebbe avuto più senso.
- Seamus, c’è una guerra là fuori!-
- E allora?- sbottò lui, infuriato con se stesso e con Voldemort.
- E allora bisogna considerare anche l’ipotesi peggiore!-
- Tu non morirai, lo decido io!- esclamò lui, convinto.
Calì sospirò. – Posso finire la frase?-
- No, se inizia come prima!-
- Salterò la prima parte..- borbottò lei, esasperata.
Seamus rifletté un istante poi annuì.
- Bene!- esclamò Calì, poi riprese il discorso, evitando la frase iniziale: - .. voglio che tu sappia che la mia vita non avrebbe senso senza di te. E che, comunque vada, lotterò per poterti amare per sempre!-
Spiazzato da quelle parole, Seamus avvertì qualcosa muoversi dolorosamente nel suo cuore. Non poteva perderla. Per nessuna ragione al mondo. Doveva impedire alla guerra di portargliela via.
- Calì?-
- Sì?-
- Comunque vada, ti amerò per sempre!-
- Lo so, idiota!-
Ridendo, Seamus le afferrò il viso e la baciò. E quel bacio sanciva una promessa che aveva fatto a se stesso.
Non l’avrebbe lasciata andare. Mai.
 
 
 
 
 
 
 
Dean stringeva fra le mani la lettera di Alicia. Nell’ultimo periodo, quella distanza cominciava a pesare su di loro. Si amavano, tanto, e la lontananza li stava uccidendo. Con la guerra alle porte, ogni secondo passato insieme era prezioso. Perciò dovevano ritrovarsi. Il prima possibile.
Cosa li aspettava? Una guerra, crudele e impetuosa come una tempesta. Come le nuvole che, in quel momento, stavano oscurando il cielo. Dean strinse più forte la pergamena. Avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederla. E avrebbe sacrificato la sua stessa vita per proteggerla. Buffo che Alicia gli avesse detto la stessa cosa. Avevano entrambi la testa dura. No, forse Alicia lo batteva anche in questo. Ma aveva importanza? Erano troppo determinati a proteggersi. Troppo arrabbiati con Voldemort per lasciarsi sfuggire l’occasione di lottare per la libertà. Dovevano combattere e proteggersi al tempo stesso. Avrebbero continuato a litigare su quell’argomento all’infinito. Alicia voleva che Dean si nascondesse; Dean voleva che Alicia scappasse. Alicia voleva combattere; Dean voleva unirsi all’Ordine. Alicia lo voleva fuori dai piedi; Dean la voleva fuori da guai.
Ridendo, Dean rilesse alcune righe della lettera.
 
 
“Se ti vedo sul campo di battaglia, giuro che ti faccio secco prima che ci provino i Mangiamorte o Voldemort in persona;  tutto chiaro Thomas?”
 
 
- Chiarissimo, Spinnet!- rispose al muro.
- Parli da solo?- chiese una voce alle sue spalle.
- Non hai di meglio da fare che tormentarmi, Seamus?-
- Sono il tuo migliore amico: per quanto possa essere ingrato, è il mio ruolo!-
- Alicia vuole che resti fuori dai guai..-
- Io ho appena detto a Calì che preferirei morire piuttosto che perderla..-
Dean guardò il suo migliore amico e sorrise. – Siamo fregati!-
Seamus si passò una mano sul mento e annuì. – Siamo in guai seri! Ma guarda il lato positivo!-
- E sarebbe?-
- Ora non sarò costretto a dirti che dovrò farti scudo con il mio corpo, se ti attaccheranno!-
- Stavo pensando la stessa cosa..- borbottò Dean.
- Perché non lo farai, vero?- lo incitò Seamus, lo sguardo severo.
- Sono un codardo, mica un Grifondoro!-
- Dean, potrei commuovermi- rispose Seamus, cogliendo il vero significato di quella risposta.
- Non sono la tua ragazza. Perciò evita smancerie!- borbottò Dean, disgustato.
Amore e amicizia. Quanto potevano essere diversi? Dean aveva due persone da proteggere. Alicia e Seamus. Valeva la pena lottare per loro.
Era un ragazzo senza passato. Perciò aveva bisogno di promettere una cosa a se stesso: avrebbe avuto un futuro.
 
 
 
 
 
 
 
Colin e Dennis Canon erano rintanati nell’aula di Trasfigurazione. Stavano scrivendo una lettera ai genitori. Non che avessero scelta. Da giorni, i genitori continuavano a fare domande. Cosa sta succedendo? Perché il tempo è cambiato? È colpa dei Maghi Oscuri? Chi è Voldemort? Perché non rispondete alle lettere?
- Non possiamo dire tutta la verità!- esclamò Colin. – Perciò buttiamo giù qualcosa di rassicurante!-
- Ma se non riusciamo nemmeno a rassicurare noi stessi..- mormorò Dennis.
Colin sentì una fitta attraversagli il petto. Suo fratello era così piccolo. Stava per affrontare una guerra. Stava per vivere orrori che nemmeno un adulto avrebbe potuto sopportare. Eppure non mancava mai di essere coraggioso e forte. Tranne quando pensava a Colin e ai suoi genitori. Allora la paura prendeva il sopravvento.
- Ehi, testa di zucca, ricorda cosa ti ho detto!- esclamò Colin, con un sorriso.
Dennis alzò lo sguardo. – Harry ci salverà tutti!-
- Esatto. E poi tu non combatterai!-
- Nemmeno tu!-
- Io non posso sottrarmi a questa decisione. Lo devo fare, Dennis!-
- Per morire con onore?- sbottò il piccolo Canon con una crudeltà di cui si pentì subito.
Colin reagì con un sorriso. – Per salvare te e le persone che amo. È il destino di chi vuole la pace, Dennis!-
- Anche io voglio che la guerra finisca, ma non voglio perdere te – confessò, quasi sull’orlo delle lacrime.
Colin lo abbracciò forte e disse: - Le persone che amiamo non se ne vanno mai veramente, Dennis. Io ci sarò sempre per te. Anche se non potrai vedermi. E comunque sono piuttosto bravo, nei duelli!-
- Visto che sei tanto bravo, perché non vai a cercare Voldemort!-
- Potrei farlo..-
- Sei sempre il solito idiota egoista!- sbottò Dennis, spingendolo via.
Colin lo guardò con un sorriso comprensivo. – So che sei arrabbiato..
- Ma davvero?- sbottò Dennis, sarcastico.
- Dennis, io ti voglio bene. Questo tienilo a mente sempre –
- Ti voglio bene anche io, ma rimani comunque un idiota egoista!-
- Sono un pessimo fratello –
- No, sei il miglior fratello del mondo. È questo il tuo problema! Non dovresti cercare di salvare me, ma te stesso!-
Colin arricciò le labbra. – Ma non avevi appena detto che sono un egoista?-
Dennis alzò gli occhi al cielo. – Sei egoista perché sei pronto a sacrificarti per me. Se tu muori, io come faccio? È questo il tuo egoismo: non puoi lasciarmi solo e andartene!-
- Ma io non morirò!-
- Se non vuoi morire, allora lascia che io combatta al tuo fianco. Se siamo insieme, non ci accadrà nulla!-
Colin rifletté su quelle parole. Il pensiero che il fratello affrontasse una guerra lo distrusse.
- Facciamo così: se Harry ti vorrà nel suo Esercito, allora va bene!- concluse Colin.
Dennis sorrise entusiasta e abbracciò suo fratello. – Ti proteggerò!-
- Sono convinto che lo farai!- rispose Colin, stringendolo forte.
Stretti in quell’abbraccio fraterno, entrambi affrontarono le conseguenze delle proprie scelte. Dennis sapeva che Harry non avrebbe impedito a nessuno di combattere. Soprattutto ai più forti. E Dennis se la cavava veramente bene. Sarebbe rimasto e avrebbe aiutato e salvato Colin.
Colin, d’altro canto, si ripromise di fare due chiacchiere con Harry.
Ma c’era un pensiero a cui entrambi si aggrapparono.
Prendi me, non mio fratello.
 
 
 
 
 
 
 
Lisa Turpin studiava in Biblioteca. Da quando la tempesta era iniziata, Lisa aveva abbandonato i libri e stava guardando oltre la finestra. Eloise, di fronte a lei, era concentrata su un punto imprecisato del tavolo.
- Sei pronta?- sussurrò Lisa.
Eloise scosse la testa. – Non credo che lo sarò mai –
- Se può consolarti, ho paura anche io –
- Ma tu sei una Grifondoro!-
- E allora?-
- Allora pensa a quanto debba essere penosa questa situazione per una Tassorosso..- borbottò Eloise.
- Lotterò comunque. Avere paura non significa ritirarsi da una sfida –
Eloise alzò lo sguardo sulla sua amica. – Sarò al tuo fianco. Non mi tiro indietro!-
Lisa annuì. – Il coraggio vive in chi lotta per una ragione!-
- Mi piace. Chi l’ha detto?-
- Silente. Non con queste parole. Ma io credo in lui. E se Silente dice che possiamo vincere, allora vinceremo!-
Eloise sorrise a Lisa. – Grazie –
- No, grazie a te- rispose Lisa, sorridendo all’amica.
Tornarono a concentrarsi sui libri, entrambe un po’ più coraggiose di prima. Quando il coraggio mancava, forse la cosa migliore era fare affidamento su un vero amico. Forse non era l’amico più coraggioso del mondo, ma era qualcuno che poteva sostenere il peso della paura e, a suo modo, renderlo un po’ più leggero.
 
 
 
 
 
 
 
Fuori dall’aula di Trasfigurazione, la professoressa McGranitt origliava la conversazione dei fratelli Canon. Una lacrima le scivolò sulla guancia. Decise di smettere di ascoltare e si diresse a passo svelto verso il suo ufficio. Crollò a sedere dietro la scrivania e prese un biscotto dalla scatola di latta. Masticò svogliatamente la pasta dolce e ripensò alle parole che aveva ascoltato.
Anche i più piccoli sapevano. Ormai era inutile negare l’arrivo di una guerra. Quanto mancava? Ore, giorni? Settimane, mesi?
Era lì, pronta ad invadere il loro mondo e trasformarlo in un inferno di ombre e morte. Come la prima guerra. Minerva la ricordava bene. Lei ci era già passata. Eppure continuava a temere quella scadenza. Continuava ad avere paura. Il conto alla rovescia era terrificante, soprattutto perché non poteva gestirlo. Era così tanto abituata ad aver il controllo su tutto, che avere le mani legate la destabilizzava. La rendeva inerme e debole. Troppo vulnerabile. Erano davvero pronti? Silente sosteneva che lo fossero. Minerva non era poi così convinta. Non era una cosa così semplice da affrontare. Non sarebbero mai stati abbastanza preparati.
Erano davvero pronti a subire delle perdite? Erano davvero pronti a schierarsi, pronti ad uccidere il nemico? Erano davvero pronti a contare i morti?
Il biscotto scivolò dalle sue dita tremanti. Si tolse gli occhiali e alzò lo sguardo sulla parete di fronte. Il ritratto di Godric Grifondoro sonnecchiava. Lui si che era coraggioso. E lei? Avrebbe reso onore alla sua Casa, la Casa che lei stessa dirigeva?
Non ne era molto sicura. Ormai, Minerva McGranitt non era più sicura di niente. Avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di sapere cosa fare. Doveva credere a Silente? Certo che doveva. Ma la verità era ancora nascosta sotto un velo troppo spesso per potergli guardare attraverso. A conti fatti, si stava fidando del suo più caro amico senza sapere come e perché. Rivolse un sorriso spiccio al ritratto. Be’, fosse stata la prima volta..
Silente aveva ragione. Lei era una donna forte. E doveva proteggere gli studenti. Doveva proteggere la scuola e le persone a cui si era affezionata. I suoi colleghi, i suoi studenti, le persone con cui lavorava. Persino Gazza aveva conquistato un posticino, seppur minuscolo, nella lista delle persone da proteggere.
Sospirò, guardando il ritratto. Godric Grifondoro sarebbe stato fiero di lei. Perché il valore, in guerra, contava molto più di un incantesimo. Lei non era lì per uccidere i nemici. Era lì per salvare gli amici. Affrontare il male per permettere al bene di trionfare: era quella l’essenza del suo coraggio. Silente era stato chiaro. Harry andava aiutato. Non sapeva perché. Silente non condivideva i suoi piani tanto spesso. Anzi, non lo faceva mai, pensò con un po’ di affettuoso risentimento. Ma doveva fidarsi di lui.
Dietro la scorza resistente, Minerva McGranitt avvertì il morso del coraggio sciogliere il nodo della paura. Infondo, era sempre stato il suo più grande pregio: non avrebbe mai permesso a qualcuno di distruggere le persone che amava. Nemmeno a Voldemort.
Proteggerò questa scuola. Proteggerò gli studenti. Fosse l’ultima cosa che faccio nella vita!
 
 
 
 
 
 
 
- Thor, sta giù!- sbottò Hagrid, impedendo all’enorme alano di addentare un pollo appena spennato.
Il cane guaì e si accucciò accanto a un mucchio di sacchi e vecchie scatole di legno rotte. Hagrid inciampò su una pietra e appoggiò una mano alla capanna per sostenersi. Thor rizzò il muso, indeciso se approfittare di quella distrazione per rubare il pollo. Un’occhiataccia del padrone pose fine al suo dilemma.
Seduto sulle scale della sua capanna, Hagrid si voltò a guardare il castello, sovrastato da nuvole impetuoso e nere. Sospirò, pensando a quante cose fossero cambiate in quei mesi. Tempi bui stavano arrivando. Molto bui. Forse peggiori di quelli passati. E che cosa avrebbero dovuto affrontare? Guerra, dolore, lutto. Sospirando, staccò una coscia dal pollo e la gettò a Thor.
- Potrebbe essere l’ultima che mangi, amico mio..- borbottò, burbero, asciugandosi una lacrima appena caduta sulla sua folta barba.
Il cane guaì un ringraziamento e azzannò la coscia. Dopo averla inghiottita, posò il muso bavoso sulle ginocchia del padrone. Sorridendo, Hagrid lo accarezzò. Alzò gli occhi verso il cielo, mentre un tuono risuonava fra le montagne. Guerra e tempesta. Quale sarebbe arrivata prima? Infondo, poi, erano la stessa cosa.
- Meglio prepararsi, Thor: arriva una tempesta!-
 
 
 
 
 
 
 
Fuori dalle serre, la professoressa Sprite stava cercando di riempire un sacco con delle foglie secche di Tentacula. Paciock diceva di aver trovato un uso interessante di quelle foglie, e voleva mostrarglielo. Sorridendo, la Sprite continuò a riempire il sacco. Quel ragazzo aveva decisamente più di un talento.
- Pomona, posso darti una mano?- gracchiò una vocetta.
La professoressa si girò e intravide Vitious sul sentiero principale.
- Filius! No, grazie, ho quasi finito!- rispose lei con un sorriso.
Un tuono squarciò il cielo sopra le loro teste e la Sprite fece cadere il sacco. Sorridendo, Vitious lo raccolse e lo passò alla donna.
- Grazie..- mormorò lei. – Odio queste dannate tempeste!-
- Non promettono niente di buono!- aggiunse il professor Vitious, con una vocetta stridula intrisa di preoccupazione.
La Sprite annuì. – Oggi ho dovuto consolare due ragazze del primo anno che sono scoppiare in lacrime nel mezzo della lezione. Gli studenti hanno paura, Filius, e io non so più cosa fare per aiutarli. Come posso promettergli che andrà tutto bene, quando nemmeno io so come andrà a finire?- sbottò, visibilmente scocciata.
Il piccolo professore annuì. – Provo la stessa cosa, mia cara –
- Pensi che stia arrivando?- chiese lei, stringendo le dita sul sacco.
Istintivamente, Vitious alzò gli occhi verso il cielo. Una goccia di pioggia cadde sul vetro dei suoi occhiali.
- Non lo so, Pomona. Ma dovremo essere pronti!-
 
 
 
 
 
 
 
Nella Stanza delle Necessità, Draco guardava l’Armadio Svanitore. Seduto sul pavimento gelido e polveroso, pensava solo a una cosa. Perché?
Strinse le dita della mano destra sul polso sinistro. Voleva staccarsi il braccio a morsi. Voleva cancellare gli ultimi mesi della sua vita. Per cosa stava lottando? Che gioco stava giocando? Salvava la sua famiglia, e poi? Tornavano alla loro vita di sempre?
La sua risata fredda rimbalzò sulle pareti. Quale vita? I Malfoy avevano consacrato la loro fedeltà al Signore Oscuro troppi anni prima. Lui non aveva scelta. Non poteva decidere il proprio destino. Qualcuno, suo padre, aveva già delineato la sua strada. Il Signore Oscuro, ormai, era il suo passato, presente e futuro. Non aveva scelta. Non ne aveva mai avuta una. Era un ragazzo come tanti, Purosangue come pochi, ma prigioniero come nessuno.
Infondo, lui e Potter erano così diversi? Uno era destinato a combattere il Signore Oscuro. L’altro era destinato a combattere affianco al Signore Oscuro. Entrambi, però, non avevano avuto scelta. Qualcun altro aveva deciso al posto loro. Il destino, un genitore, il fato, un mago oscuro. Aveva poca importanza. Non potevano sottrarsi.
Dove stava, la ragione? Dov’era la giustizia? Draco aveva sedici anni e stava progettando la morte del suo Preside. Quanto poteva essere crudele, la vita!
Poteva tagliarsi il braccio, infilarsi nell’Armadio Svanitore, pronunciare un incantesimo e desiderare di arrivare in un altro continente. Eccola, la scelta. Poteva scegliere di essere un codardo e scappare.
Così lui ucciderà mio padre e mia madre. E io sarò per sempre un codardo
Con un urlo di rabbia, Draco scattò in piedi e rovesciò un tavolino lì accanto. Un vaso cadde e si infranse con un rumore secco che spaventò i Folletti. No! Non doveva essere un codardo. Una rabbia sconosciuta ribollì nelle sue vene. Non aveva scelta. L’ennesima beffa della sua vita crudele. Si odiava, odiava se stesso, Potter, suo padre, i Mezzosangue, i suoi amici, Pansy..odiava Voldemort!
Il suo nome. Il nome che loro non potevano pronunciare.
Si prese la testa fra le mani e crollò a terra, in ginocchio. Bruciante e logorante, la rabbia infiammò il suo corpo. Voleva morire. Ma sarebbe stato il gesto di un codardo. Scelte. La sua vita non era fatta di scelte.
- Decidi per me!- gridò, alzando il viso al soffitto. – Avanti!- urlò, aprendo le braccia. – Sono qui, mio signore!- canzonò, imitando la zia. – Sono qui, Voldemort! Uccidimi pure..-
E il grido si trasformò in un lamento. Malfoy  cadde a terra, piangendo e urlando, preda di un dolore inarrestabile. Nemmeno una maledizione sarebbe stata così agonizzante. Lo avevano già torturato, ma quel dolore era molto più insopportabile.
Era il dolore di un ragazzo che non aveva avuto scelta. Il dolore di un ragazzo destinato a rinnegare se stesso fino all’ultimo.
La rabbia di un figlio, tradito dal padre. La rabbia di un bambino trasformato in un mostro.
L’orgoglio di un ragazzo malvagio troppo stanco per ammettere che forse, lui, una scelta l’aveva avuta. Ma aveva scelto di non seguirla.
 
 
 
 
 
 
 
Katie Bell era stesa nel suo letto. Da quando era stata maledetta, amava poco uscire nel castello. Preferiva starsene rintanata nel dormitorio e aspettare. Contava i giorni che la separavano dalla fine della scuola. Aveva bisogno di Lee. Aveva bisogno di riabbracciarlo e rivedere i suoi occhi allegri. Aveva bisogno di dirgli che lo amava.
Rise al ricordo della sua ultima lettera. Righe e righe di battute e avvenimenti stupidi. Faceva l’idiota per consolarla, per rendere quell’attesa più facile. Be’, ci riusciva. Lee riusciva sempre a farla stare bene, anche a miglia di distanza.
- Forse amo troppo quell’idiota..- borbottò, contro il cuscino.
Ora parlava anche da sola. Grandioso! Stava impazzendo, Lee aveva ragione. Sorridendo, Katie chiuse gli occhi e abbracciò il cuscino. Iniziò a contare alla rovescia, fino a quando non si addormentò.
Non sapeva che, a Londra, Lee era steso su un vecchio divano nel magazzino dei Tiri Vispi e contava. Stava contando alla rovescia. Nemmeno due mesi e l’avrebbe riabbracciata. Ma in quei due mesi aveva tante cose da fare. Doveva trovare un posto sicuro dove nascondersi con lei, in attesa della chiamata ufficiale di Harry. In attesa della guerra vera e propria. Doveva stilare una lista di ragioni per convincere Katie a rimanere al sicuro durante lo scontro. Doveva stilare un elenco di motivi validi per convincerla a sposarlo. Doveva stilare un elenco di ragioni abbastanza consistenti per amarlo da usare nei momenti in cui Katie avrebbe tentato di ucciderlo.
Aveva tante cose da fare. Il tempo passava e la guerra arrivava. Nel retro di quel magazzino, sentì un tuono rombare nell’aria. Anche la tempesta stava arrivando.
- Mi manchi, Bell..- mormorò al soffitto. – Ecco, visto? Sto parlando da solo! Qualcosa in contrario?-
Avrebbe riso, se fosse stata lì. O forse stava ridendo comunque. Rincuorato da quel pensiero, si addormentò. Aveva rischiato di perderla una volta, non avrebbe rischiato di nuovo. Ma una cosa alla volta. Prima doveva riabbracciarla. E dirle che la amava. Tanto.
 
 
 
 
 
 
 
Percy Weasley guardava il mondo dal suo appartamento di Londra. Stretta fra le dita, la foto di famiglia sembrava appassire sotto il suo dolore.
Pesa l’orgoglio, vero Percy?
La voce di George risuonò nella sua testa e lui quasi trasalì. Invocava spesso quel pensiero. George glielo aveva detto quando erano piccoli. Troppo piccoli. Erano innocenti. Eppure il gemello aveva capito tutto. Il fratello minore aveva capito fin troppo bene. Era un egoista. Un codardo. Non meritava di essere stato in Grifondoro. L’orgoglio lo avrebbe ucciso. Ma sarebbe morto da solo, lontano dalla sua famiglia. Doveva risolvere quel guaio. Doveva alzarsi, correre da sua madre e implorare il loro perdoni. Da giorni spiava i fratelli a Diagon Alley. E così ce l’avevano fatta. Avevano realizzato i loro sogni. Era fiero di loro. Ma loro? Non sarebbero mai stati fieri di lui. Nessuno l’avrebbe perdonato. Se lo meritava. Doveva morire da solo.
E se muore papà? Se muore la mamma? Se muore Bill?
Percy scosse la testa e una lacrima cadde sulla foto di famiglia, proprio sopra la faccia di George. I fratelli non meritavano quel crudele destino, lui sì. Non sarebbe mancato a nessuno. Era un Weasley orgoglioso di essere appartenuto alla famiglia migliore del mondo. Un uomo adulto che aveva rincorso il successo e l’ambizione e ora sarebbe morto da solo, lontano dalla famiglia che non meritava di avere.
Era testardo, arrogante e codardo. E presto Voldemort avrebbe attaccato la sua famiglia. La guerra stava arrivando. Percy sollevò lo sguardo dalla foto e guardò oltre la finestra. Le nuvole si accalcavano minacciose nel cielo di Londra.
- Se vuoi uccidere loro, prima dovrai uccidere me – disse al cielo.
E nelle nubi più scure, gli parve di vedere gli occhi di un serpente. Forse era un presagio, ma non gli importava. Forse era solo una minaccia, o forse no.
Forse era solo un pretesto di cui il suo orgoglio aveva bisogno per disintegrarsi in mille pezzi.
 
 
 
 
 
 
 
Alla Tana, Fleur stava sistemando dei fiori sul davanzale della sua stanza. Bill arrivò all’improvviso, spaventandola.
- Scusa, non volevo!- mormorò con un sorriso.
- Ça va bien?- chiese lei preoccupata.
Bill annuì. – Charlie mi ha appena stritolato in un abbraccio senza dirmi perché, poi è corso via. Sono solo un po’ perplesso!-
- Forse voleva dirti che ti vuole bene. Le persone si abbrasciano, quando si vogliono bene!-
- Allora è meglio che ti stringa forte!-
Ridendo, Fleur chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal suo abbraccio. – Vuoi ancora sposarmi?-
- Certo che voglio ancora sposarti!- esclamò lui, ridendo.
- Allora promettimi una chose, Bill –
- Qualunque cosa – rispose lui.
Fleur si girò con un sorriso. – Combatteremo insieme, fianco a fianco!-
- E’ ciò che vuoi veramente?- chiese lui,mentre l’ombra di una tristezza profonda aleggiava negli occhi.
- Oui!- rispose lei, annuendo. – Non posso permetterti di stare lontano da me. Voglio difenderti!-
- Sarò io a difendere te!- rispose lui, con un sorriso.
Fleur scosse la testa. – Ci proteggeremo a vicenda, ensemble?-
- Insieme!- rispose lui, e poi la baciò.
Dovevano sposarsi. Dovevano giurarsi amore eterno, perché quella promessa gli avrebbe salvati. Forse era stupido riporre la propria fiducia in un semplice matrimonio, ma in realtà si trattava di qualcosa di molto più grande. Era l’amore. La chiave della loro felicità. La chiave del loro futuro. Non potevano andarsene, non potevano lasciarsi. Pronti o no, la guerra stava arrivando. E dovevano affrontarla.
Due amanti, davanti a una finestra mentre la tempesta scuoteva la campagna, aspettavano di affrontare il loro destino. Però erano insieme. E questo, cambiava tutto.
 
 
 
 
 
 
 
Charlie Weasley sedeva assieme a Kingsley Shacklebolt nel salotto di Malocchio Moody. L’Auror era uscito da un’ora e sarebbe rientrato a momenti. Stavano giocando a carte, un gioco Babbano che Charlie aveva imparato grazie al padre.
- Dobbiamo contattare Silente, il prima possibile!- commentò Kingsley.
Charlie annuì. – Purtroppo non sono riuscito a convincere il Ministro Rumeno. Non invieranno delle truppe di supporto –
- Hai fatto del tuo meglio – lo consolò.
- Pensi mai alle guerra?- chiese Charlie, di getto.
- Ci penso ogni giorno –
- E non hai paura?-
- Solo uno sciocco non ne avrebbe!- rispose lui.
Charlie annuì. – Penso che scriverò una bella lettera d’addio. Così, giusto per lasciare un segno –
- Lasciamo un segno nelle persone che amiamo. Tu chi ami?- chiese Kingsley, gettando una carta sul tavolo.
Charlie guardò la carta, perso nei suoi pensieri. – Tutti e nessuno in particolare!- rispose sincero.
- Allora lascia il segno. Abbraccia tua madre e tuo padre, corri dai tuo fratelli a dirgli che gli vuoi bene. Lascia il segno nelle persone che ami!-
Charlie rifletté su quelle parole e rimase in silenzio ad ascoltare la pioggia. La paura della guerra sorgeva lenta quanto la guerra stessa, eppure era già presente tanto da sconvolgere il mondo. E lui doveva ancora lasciare un segno. Si alzò di scatto.
- Come fai a essere così saggio?- chiese all’Auror.
Kingsley sorrise. – E’ il mio segno da lasciare!-
- Hai qualcuno che ami?-
- La mia famiglia. Mia moglie, i miei figli. Il mio lavoro. L’Ordine –
- Allora diglielo..- mormorò Charlie. – Dopo potrebbe essere tardi!-
- Non è mai troppo tardi, Charlie –
 
Più tardi, Charlie trovò Bill in mezzo al salotto della Tana e gli corse incontro. Doveva lasciare un segno. Bill avrebbe capito. Infondo, erano fratelli. E buon sangue non mente.
 
 
 
 
 
 
 
In cucina, Molly stava preparando la cena. Arthur entrò con una lettera in mano.
- Sono i ragazzi, Molly!- annunciò.
La moglie si girò. – Ginny e Ron?-
- Sì, stanno bene. Dicono che Hogwarts sia più lugubre che mai!-
Molly sospirò. – Dovremmo portarli via da quella scuola!-
- Non essere sciocca, tesoro. Sono al sicuro!-
- L’hai detto anche l’anno scorso e guarda come è andata a finire – borbottò lei, girando lo stufato.
- Infatti è andato tutto storto dopo che hanno abbandonato il castello!-
- Cavalcando dei Thestral..-
- I Thestral erano il problema minore!-
All’improvviso, Molly mollò il cucchiaio nel calderone e si voltò verso il marito. Una lacrima solcò le sue guance arrossate. – Come faremo?-
Con un sorriso dolce, Arthur si avvicinò e la abbracciò. – Non devi pensarci –
- Ci penso sempre, invece. Sono i nostri figli, Arthur!-
- Andrà tutto bene –
- Non posso perderli..non posso perdere te!- singhiozzò.
Arthur la strinse forte fra le sue braccia, cercando di alleviare quel dolore che da giorni, settimane, toglieva il sonno a entrambi.
- Siamo sopravvissuti una volta!- disse – E lo faremo di nuovo –
La moglie sollevò la testa dalla sua spalla. Aveva gli occhi gonfi e arrossati e sembrava sul punto di svenire. – Lo credi davvero?-
- Non lascerò questo mondo prima di aver compiuto novant’anni!- rispose lui, facendola ridere.
- E i ragazzi?-
- Con un po’ di fortuna, saranno tutti ancora al mio capezzale, quando me andrò. A novant’anni!- aggiunse, sollevando un indice.
Con un sorriso dolce, Molly sistemò il colletto della camicia del marito. – Ci sarà anche Percy!-
- Sì, ma lo terremo a debita distanza da Fred e George!-
- Speriamo ci siano anche tanti nipoti..- mormorò lei, sognante.
- Una schiera di marmocchi dai capelli rossi, castani o biondi. Dipende da chi sposeranno. Speriamo che i figli di Fred escano intelligenti come Hermione!-
- E quelli di Ginny coraggiosi come Harry –
- Magari i figli di Bill saranno belli come Fleur!-
- E quelli di Ron dolci come Lavanda!-
- Speriamo che Charlie trovi l’amore, prima o poi: non vorrei sposasse un drago!-
Molly scoppiò a ridere. – Stiamo ancora parlando del tuo capezzale, lo sai vero?-
Arthur finse di rabbrividire. In quel momento, Charlie irruppe nella stanza, abbracciò entrambi i genitori, quasi soffocandoli, poi sparì.
Molly e Arthur rimasero immobili a guardare la porta, poi entrambi si voltarono a guardarsi, confusi e spaesati.
Molly scosse la testa. – Abbiamo sbagliato qualcosa, con lui!-
- Non può essere peggio di quello che abbiamo combinato con Fred e George!- assentì Arthur.
Ridendo, si abbracciarono di nuovo. La guerra, ora, faceva un po’ meno paura. Perché i Weasley erano una famiglia e nessuno avrebbe tradito quel legame. Nemmeno Percy. L’amore che legava un genitore ai propri figli andava ben oltre l’odio e la paura.
Era qualcosa che un malvagio come Voldemort non poteva comprendere. E quella era proprio la sua più grande debolezza. I Weasley avevano un potere che lui non avrebbe mai capito.
Questo, insieme all’amore, dissolveva la paura e permetteva alla speranza di splendere ancora.
 
 
 
 
 
 
 
Nascosto in una foresta, Remus Lupin contemplava il nascondiglio di un Lupo Mannaro. Doveva avvicinarlo, ma non sapeva ancora come. Rimase nascosto dietro una roccia, in attesa di avere un piano. Nel silenzio, un tuono risuonò fra gli alberi. Lupin osservò le cime degli alberi agitarsi al vento. Sotto la coltre della foresta, lui era al riparo. Sorrise, davanti a quell’ironia. La foresta lo proteggeva dalla tempesta, ma non poteva salvarlo veramente. Non esistevano nascondigli. In ogni caso, lui non si sarebbe nascosto.
Seduto nel buio di una foresta, Remus Lupin ripensò a quanto fosse stata crudele la vita con lui. Eppure, la fortuna gli aveva regalato delle amicizie che lo avevano salvato. Nelle ombre di una vita come la sua, Remus aveva visto la luce.
Sirius e James. E poi? Quella luce era svanita. Tutto ciò che amava gli era stato strappato via. James e Sirius erano morti. Peter li aveva traditi. Lily era morta. Ma lui era ancora vivo, e non poteva arrendersi. Per quanto la vita continuasse a farsi beffe di lui, Remus Lupin non avrebbe ceduto facilmente. Lo doveva fare per il bene del futuro del Mondo Magico. Lo stesso mondo che lo discriminava, che lo considerava un rifiuto della società. Aveva importanza? No, per lui non ne aveva. Le persone aveva diritto a un mondo migliore, comprese quelle come lui. Harry aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile. Era la loro unica speranza.
Perciò Remus non si sarebbe mai arreso. Perché lui era un lottatore, era un coraggioso uomo emarginato che era pronto a sacrificare se stesso per la giusta causa. La pace, forse, esisteva. Forse c’era ancora speranza, per lui. Avrebbe avuto un futuro migliore, in un modo finalmente libero dalle tenebre. O forse sarebbe morto in guerra. Ma non era rilevante. C’erano poche cose, ormai, che lo tenevano ancorato a quella vita così difficile.
Harry.
L’Ordine.
Silente.
Tonks.
Purtroppo, per quanto tentasse di ignorare quei sentimenti, quelli riemergevano continuamente, togliendogli la fame e il sonno. Lei meritava di meglio. Eppure lo amava. Lo amava così tanto da mettere in gioco se stessa, la sua famiglia e i pregiudizi della gente. Lo amava a tal punto da ignorare la realtà e la sua vera forma. A lei non importava. Tonks era una creatura straordinaria. A Remus ricordava la giovane Lily. Così dolce e innocente, pronta a difendere chiunque ne avesse bisogno, ma mai disposta a giudicare qualcuno dalle apparenze. Non meritava una donna così straordinaria.
O sì? Era giunto il momento di abbandonare la maschera e parlare con il cuore?
Solo, al buio, in quella foresta tenebrosa, Remus Lupin cominciò a fare i conti con qualcosa di molto più intenso della paura. Il coraggio di amare. E per quanto fosse difficile ammetterlo, lui aveva bisogno di amare di nuovo. Perché la vita gli aveva strappato via troppe persone care. La vita lo aveva trasformato in un mostro. Un mostro, però, che aveva imparato a vivere da uomo. Allora poteva amare come chiunque altro? Poteva davvero credere che esistesse un futuro migliore?
Forse Tonks era la risposta a quelle domande. Se lei poteva crederci, perché lui no?
Remus alzò lo sguardo verso le cime degli alberi. Un lampo illuminò le fronde scosse dal vento. Che fosse un segno o meno, Remus prese una decisione. Oltre la tempesta, si nascondeva sempre il sole.
Oltre un uomo incapace di vivere con se stesso, si nascondeva un ragazzo fragile che sognava ancora. Nonostante tutto.
 
 
 
 
 
 
 
Tonks pattugliava le strade di Hogsmeade da quasi due ore. La tempesta aveva nascosto il cielo e il sole. L’atmosfera era così cupa, che a Tonks passò la voglia di sorridere. In effetti, non aveva molti pensieri felici a cui aggrapparsi. Era sola, nelle strade deserte di un villaggio che aveva conosciuto tempi migliori e pensava incessantemente a lui. Sempre e solo a lui. Cosa aveva sbagliato? Era davvero così orribile pensare di innamorarsi di un Lupo Mannaro? Perché non riusciva a capirlo? Perché non lo accettava e basta? Lei lo amava, non poteva farci niente. Perché complicava tutto?
Potevano stare insieme, potevano vivere felici. Per quanto? Mesi, settimane, giorni? La guerra era alle porte. Non era il momento di fermarsi a riflettere, quello era il momento di agire. Dovevano alzarsi e rimboccarsi le maniche, dovevano affrontare i loro sentimenti. La prospettiva di morire premeva su di loro come il fiato gelido di un Thestral. Era vicina, troppo vicina. Non c’era più tempo per pensare, dovevano tenersi stretti gli amici. Dovevano rivelare i loro sentimenti più nascosti. Ora o mai più.
Sospirando, Tonks si ritrovò davanti alla Stamberga Strillante. Doveva convincere Remus ad affrontare quella situazione. Era stanca di aspettare, stanca di ingoiare rospi. Lo amava e voleva continuare ad amarlo. Forse sarebbe morta in quella guerra, e il pensiero di non aver vissuto al meglio il tempo che le restava le avvelenava il sangue. Era una sensazione orribile. Doveva fare qualcosa, doveva scontrarsi con quella testaccia dura e convincerlo.
Aveva troppo da perdere, in quella guerra. Se doveva morire, allora voleva farlo nel modo giusto. Innamorata e finalmente felice. Per lei, sarebbe stato abbastanza. Era qualcosa che aiutava a vincere la paura. Era una speranza che arginava il dolore. La guerra era spaventosa, certo.
Ma una vita senza amore era anche peggio.
 
 
 
 
 
 
 
Nel suo rifugio isolato, Malocchio scrutava il cielo con il suo occhio magico. Non vedeva nulla di diverso dal suo occhio sano, ma era un amico molto più affidabile.
Vigilanza costante. Non si doveva mai abbassare la guardia. Per nessuna ragione al mondo. La guerra era alle porte e non potevano permettersi momenti di vulnerabilità. O sarebbero andati incontro alla morte. E lui temeva la morte. Come chiunque altro. Aveva imparato a prendersi gioco di lei, ad aggirarla, a giocarci, a renderla una sfida appetitosa. Ma aveva paura di morire. Soprattutto, aveva paura di andarsene senza aver lasciato il segno. Aveva paura di andarsene prima di poter chiudere i conti con il male. Se proprio doveva morire, allora voleva cadere in battaglia. Voleva morire per difendere qualcuno.
Ringhiando, bevve un lungo sorso di Idromele dalla sua fiaschetta. Be’, a volerla dire tutta, preferiva restare in vita. Al diavolo la morte.
Un tuono scosse l’aria grigia e pesante.
- Sì, arrabbiati pure!- tuonò Moody. – Tanto siamo tutti qui pronti finire sotto terra! Vorrei tanto strangolarti con le mie stesse mani..- borbottò, immergendo le parole in un lungo sorso di Idromele.
Alzò un dito contro il cielo. – Non vincerai..- borbottò.
Forse era davvero matto. Forse era davvero uscito di testa.
Ma era pazzo abbastanza da ammettere di essere pronto. Malocchio Moody era pronto a lottare contro Voldemort.
 
 
 
 
 
 
 
Il fuoco scoppiettava nel camino. Horace Lumacorno lo fissava da ore, senza vederlo veramente. Quel giorno, si era svegliato con una sensazione dolorosa e insopportabile che gli serrava il petto. Il suo cuore batteva a rilento, come se il sangue pesasse troppo e non riuscisse a fluire sotto la forza di quelle spinte. Si sentiva debole, solo ed esausto. Il suo sguardo cadde sulla parete delle celebrità. Foto di studenti che avevano ottenuto il successo anche grazie a lui.
Horace Lumacorno. Intelligente, scaltro.
Il professore con le giuste conoscenze che poteva aiutare i migliori a scalare le vette più alte.
Il professore con l’ambizione che luccicava negli occhi, che viveva dei successi dei propri pupilli.
Horace Lumacorno. Un viscido, inguaribile codardo.
Solo i codardi si nascondevano nel proprio ufficio a tracannare Idromele. Solo i codardi evitavano uno studente in cerca di risposte. Solo i codardi disonoravano la morte dell’allieva che più avevano ammirato e adorato.
E Horace era un codardo. Di quelli vili e crudeli, di quelli che non potevano essere altrimenti. C’era stato qualcuno che aveva provato a salvarlo e lui cosa aveva fatto? Si era nascosto nel suo buco, strisciando come una viscida serpe. Era esattamente quello il suo vero essere. Serpeverde fino alla fine. Serpeverde e desolato di esserlo.
Lily Evans aveva creduto in lui. Lily Evans era un esempio da seguire. Una madre morta per salvare il figlio. Una madre che aveva sacrificato se stessa per impedire la morte del suo unico figlio. Quello era vero coraggio. Quello era vero amore. Horace non conosceva il coraggio, e nemmeno l’amore. Conosceva solo la sua codardia. Non meritava di essere protetto e accettato da Silente, non meritava il suo perdono e non meritava nemmeno di combattere per una giusta causa. Si meritava una qualche punizione.
Be’, forse la sua punizione era quella. Continuare a scivolare in basso, disonorare la memoria della sua allieva migliore e rintanarsi nel suo angolino, protetto e salvo, lontano dalla guerra e dagli scontri. Era una punizione più che sufficiente.
I suoi occhi si posarono sulla foto di Lily. Era così bella. Così intelligente. Così coraggiosa. Non meritava il rispetto di una donna tanto straordinaria. Non meritava niente di buono da quella vita.
Con rabbia, Horace scagliò il bicchiere nel camino. Vetro e Idromele esplosero con uno schianto e l’aria si riempì di alcol bruciato. Si passò una mano sul viso sudato e sospirò, consapevole di quanto stesse soffrendo. Soffriva a causa sua. Horace era la causa del suo stesso dolore. Poteva alzarsi e affrontare il mondo. Poteva uscire da quell’ufficio e dare a Silente ciò che voleva.
Ma avrebbe dovuto ammettere davanti al mondo intero che era stato lui. Horace Lumacorno aveva commesso un errore imperdonabile. Aveva rivelato al giovane Tom Riddle oscuri segreti che mai avrebbe dovuto sentir pronunciare dal ragazzo. Aveva guardato un giovane uomo vendere la propria anima al male, ma non aveva fatto nulla per fermarlo.
Non potevi saperlo. Non potevi sapere che sarebbe diventato il mago più oscuro di tutti i tempi. Tom Riddle, allora, era solo Tom Riddle.
Scosse la testa, scacciando le immagini di quel pomeriggio lontano anni luce. Non poteva saperlo, era vero. Ma poteva immaginarlo. Poteva sospettarlo. Poteva vedere la scintilla malvagia negli occhi di uno dei suoi studenti migliori.
Aveva commesso un errore. Horace Lumacorno non sapeva cosa fosse il coraggio, non sapeva nemmeno cosa fosse l’amore. Horace Lumacorno era incapace di affrontare la realtà. Era incapace di affrontare se stesso.
Ma soprattutto, Horace Lumacorno era incapace di perdonare se stesso.
 
 
 
 
 
 
 
Sulla balconata in cima all’ufficio del Preside, Severus Piton guardava le montagne attraverso una foschia di pioggia, nuvole e fulmini.
La conversazione appena avuta con Silente lo aveva lasciato senza parole. E così, tutto doveva finire in quel modo? Tutto si riduceva a un sacrificio? Aveva lottato per anni per tenere in vita una persona che ora doveva morire. La vita era ingiusta, ormai era inevitabile pensarlo.
E mentre il mondo subita l’attacco di una tempesta, il suo cuore innalzava l’ennesima guerra. Fra passato e presente, fra odio e amore, fra rancore e rivalsa. Avrebbe voluto mostrarsi, aprire gli occhi di chi non gli aveva mai creduto. Ma il prezzo da pagare era troppo alto. Il mondo doveva continuare a sembrare il posto inadatto a Severus Piton. Perché era lui a essere fuori posto. Doveva essere così. Per il bene di..
Strinse i denti, consapevole di quanto fosse ridicolo pensarlo. Non lo faceva per lui. No. Tutta la sua vita era stata consacrata a qualcosa di molto più importante. Un amore che non avrebbe mai vissuto. Un amore che non avrebbe mai provato del tutto. Un sentimento che non sarebbe mai stato ricambiato.
Perché il tempo passava, ma le ferite non sarebbero mai guarire. E dietro le tenebre, Piton nascondeva la verità. Nascondeva la sua vera essenza.
Lui  un giorno l’avrebbe capito. Forse avrebbero potuto parlarne.
No, non ne parlerete mai. Perché lui deve morire..
Qualcosa di simile alla rabbia si insinuò nelle sue vece macchiate di odio. Era dolore. Tristezza. Compassione. Meritava davvero quel destino? Tutti loro, lo meritavano?
Forse. O forse no.
La vita era ingiusta e lo sarebbe stata. Sempre.
 
 
 
 
 
 
 
Lavanda osservava la tempesta dalla finestra di un corridoio. Da ore piangeva senza una ragione apparente. O forse, era troppo stanca per mettersi a cercare quelle ragioni.
Aveva paura. Era terrorizzata. Pensava alla guerra, pensava alla possibilità di perdere le persone che amava. Di perdere Ron. Rabbrividì, stringendosi nel maglione. Come poteva continuare così? Come poteva sopravvivere senza di lui?
Be’, una cosa la sapeva. Non poteva pensare di lottare senza di lui. Ron era tutto ciò che amava. La ragione che la teneva in vita. Doveva bastarle. Era la sua unica arma. Preferiva morire al posto suo. Preferiva andare incontro alla morte, piuttosto che incontro a una vita senza di lui, dove non avrebbe conosciuto altro che tenebre e dolore. Ron era luce. Ron era la salvezza. Senza di lui, il suo mondo sarebbe crollato. Allora non avrebbe avuto più senso vivere. Preferiva sacrificarsi.
Asciugandosi le lacrime, Lavanda corse via per andare a cercarlo. Perché ogni minuto passato senza di lui era sprecato.
E perché in quell’orologio, le lancette scorrevano troppo velocemente. Ogni rintocco risuonava macabro e incessante. Ogni rintocco, era un passo verso l’oscurità.
 
 
 
 
 
 
 
Un rintocco sonoro e l’orologio segnò le cinque. Era buio come se fossero le otto. Ron alzò la testa dal cuscino e guardò fuori. La tempesta imperversava ancora. Harry era uscito con Ginny, Hermione si era rintanata in Biblioteca. E lui se ne stava lì, a riflettere.
Aveva stilato un elenco di cose da fare nella sua mente. Era ancora indeciso se trascriverle su una pergamena. Non aveva molta voglia. Il solo pensiero di alzarsi e prendere fogli e inchiostro lo destabilizzava. Voleva rimanere lì, al caldo e al sicuro. Ma era già la terza volta che ripercorreva il suo elenco ed era sicuro di essersi dimenticato almeno un paio di punti. Non poteva rischiare. Sbuffando, sollevò la schiena e strisciò fino al comodino. Afferrò un rotolo di pergamena, una boccetta di inchiostro e una piuma. Poi appoggiò il foglio su in libro e lo stese per bene. Tolse il tappo alla boccetta, intense la punta della piuma e cominciò a scrivere.
 
 
  1. Scrivere una lettera a Lavanda
  2. Regalare qualcosa a Lavanda che le ricordi me
  3. Scrivere una lettera a Harry e Hermione
  4. Scrivere una lettera a mamma e papà
  5. Scrivere una lettera a tutti i miei fratelli
 
 
Ron osservò i cinque punti appena scritti e aggrottò la fronte scocciato. Doveva scrivere un po’ troppo, per i suoi gusti! Scuotendo la testa, riprese il suo elenco.
 
 
  1. Abbracciare Ginny più spesso
  2. Rivendicare il nome di Fred e George e tirare una Caccabomba a Piton
  3. Dire a Hermione che le voglio bene
  4. Dire a Harry che è il migliore amico
  5. Dire a Lavanda che la amo almeno dieci volte al giorno
  6. Coccolare di più Leo
  7. Cambiare il nome a Leo
  8. Trovare una fidanzata a Leo
  9. Trovare una fidanzata a Charlie
  10. Dire a Percy che è un idiota
  11. Trovare Percy e perdonarlo
  12. Dire a Gazza che lo odio
  13. Dare a Dobby dei calzini nuovi
  14. Gettare un Fuoco Forsennato nello scarico di Mirtilla Malcontenta
  15. Trovare un fidanzato a Mirtilla Malcontenta
  16. Servire a Malfoy un bel piatto di succulente lumache
  17. Evitare incantesimi sulle lumache
  18. Tirare un Bolide in testa a Tiger
  19. Ringraziare la McGranitt
 
 
Ron fissò l’ultimo punto e sorrise soddisfatto. Poi la sua espressione passò dalla soddisfazione al totale avvilimento. Ventiquattro punti. Quanto tempo aveva per rispettare tutte le promesse? Troppo poco. Doveva sbrigarsi. Avrebbe cominciato dalle cose più semplici, come Lavanda, Harry e Hermione. Poi magari avrebbe architettato qualcosa anche per soddisfare imprese impossibili, come trovare un fidanzato a Mirtilla.
In quel momento, Lavanda entrò nella stanza. Aveva gli occhi gonfi di lacrime e le guance arrossate.
Ron scattò in piedi, abbandonando la pergamena sul letto.
- Lavanda, che succede?- chiese preoccupato.
La ragazza corse fra le sue braccia e rispose semplicemente dicendo: - Ti amo!-
Ron sorrise e la strinse in un abbraccio. Ognuno affrontava la paura a modo suo. Lui stilando elenchi assurdi di cose da fare. Lei piangendo e cercando il conforto di chi amava.
- Ti amo anche io. Ma smetti di piangere!- la prese in giro lui, accarezzandole le guance.
Lavanda sorrise. – Cosa stavi scrivendo?-
- Un elenco stupidissimo di cose da fare. Vuoi leggerlo?- chiese imbarazzato.
Lavanda annuì e lui raccolse il foglio dal letto. Dopo una rapida lettura, la ragazza scoppiò a ridere.
- E’ la cosa più stupida del mondo, vero?- chiese lui paonazza.
- No, Ron. È la cosa più dolce del mondo!-
Sorridendo, Ron la abbracciò. – Il “ti amo” di prima valeva come primo della giornata! Devo dirtelo altre nove o mille volte!-
- Non hai bisogno di dirmelo nove o mille volte. Lo so già!-
- Ma io voglio dirtelo lo stesso..-
E lo fece veramente. Glielo disse nove o mille volte. Perché non sarebbe mai stato abbastanza. Perché ognuno affrontava la paura a modo suo. Lavanda correva ad abbracciarlo. Ron le diceva che la amava. Era la chiave per scacciare l’orrore. Era come incidere nell’aria tempestosa una promessa che lo avrebbe aiutato a combattere quella guerra.
Era il suo modo per prometterle che quella guerra sarebbe finita. E avrebbero passato insieme altri nove o mille anni.
 
 
 
 
 
 
 
Nell’appartamento sopra i Tiri Vispi, Angelina era stesa sul divano, fra le braccia di George.
- Quattro!- esclamò lui.
- Uno, George!-
- Tre –
- Due-
- Quattro-
- Due-
- Sette! Sette è il numero perfetto!-
- Tre è il numero perfetto!-
- Ah-ah!- esclamò lui, puntandole contro un indice. – L’hai ammesso. Sei fregata, Johnson. Saranno tre!-
Angelina sbuffò, abbandonando la testa sulla spalla del suo ragazzo.
- Credo che ti lascerò..-
- Credo che mi sposerai..-
- Che problemi avete tu e tuo fratello con questa storia del matrimonio?-
- Non lo so- rispose lui sincero, scrollando le spalle. – Di solito non ci accordiamo su questo genere di cose. Non è colpa nostra se le nostri menti sono connesse!-
- Avete la stessa malattia, è questo il punto!- sbottò lei.
George la abbracciò ridendo. – Ti amo davvero, Johnson!-
- Purtroppo anche io, Weasley..- borbottò lei, lasciandosi sfuggire un sorriso.
- Quindi mi sposerai?-
- Non lo so, devo pensarci –
- E avremo tre figli?-
- Devo ragionare anche su questo punto!-
George le sorrise e la baciò. Involontariamente, Angelina immaginò se stessa qualche anno dopo, circondata da bambini con i capelli rossi. Erano felici, avevano una casa bellissima, circondata dalla campagna, come la Tana, ed quei bambini erano splendidi.
- Ci stavi pensando adesso?-
- Tu non la chiudi mai, quella bocca?-
George le rivolse un sorriso malandrino e lei alzò gli occhi al cielo. Nel silenzio, un tuono riecheggiò fra le strade deserte di Diagon Alley. Una nuvola oscurò la felicità di Angelina.
- Non ha molto senso fare progetti, ora come ora..- mormorò.
George le accarezzò la guancia. – Invece penso sia il momento adatto –
- Perché?-
- Come perché, Johnson? Perché è l’unico modo per sopravvivere!-
- Quindi la prospettiva di sposarti dovrebbe salvarmi da morte certa?- chiese scettica.
- Apprendi molto in fretta! Sembri quasi la Granger!-
- Penso che mi offrirò volontaria come esca per attirare i Mangiamorte..-
- Non dirlo nemmeno per scherzo!-
Sorridendo, Angelina soffocò il risentimento di George in un bacio molto lungo. Decisamente molto passionale. Decisamente molto profondo. Ammetterlo o no, non faceva differenza: George l’aveva incastrata. E aveva ragione. Come sempre. Dannazione!
Non poteva vivere senza di lui. Però, con lui poteva sopravvivere. E quella guerra sembrava un po’ meno spaventosa. Soprattutto se immaginava il suo futuro. Il futuro che avrebbero avuto insieme.
Una casa. Bambini con i capelli rossi.
Sì, forse George aveva ragione. Tre erano troppo pochi..
 
 
 
 
 
 
 
Nell’ala isolata del sesto piano, Ginny Weasley guardava il fuoco scoppiettare nel camino della stanza abbandonata. Accarezzava lenta i capelli di Harry, che aveva la testa appoggiata sul suo petto. L’orecchio posato sul cuore, Harry riusciva a sentire chiaramente il suo battito. Lento, dolce e frizzante. Come Ginny.
In quei momenti, non avevano bisogno di parlare. Avevano solo bisogno di amarsi, stringersi e abbracciarsi. Avevano bisogno di parlare con il cuore, di mostrare all’altro qualcosa di profondo e nascosto, che fosse amore o che fosse paura. Aveva poca importanza.
La guerra era vicina. Ginny lo sapeva e doveva affrontare quella consapevolezza. Era coraggiosa, era forte, ma era anche spaventata. Ma aveva fatto una promessa. Aveva giurato di salvare Harry. Aveva giurato di salvare il loro amore dalle tenebre e dall’oscurità. Era una promessa troppo importante. Doveva mantenerla.
Per quanto la paura giocasse bene le sue carte, Ginny era pronta al contrattacco. Micidiale, efficace e coraggiosa. Era Ginny. La degna compagna di un ragazzo come Harry. Perché loro si amavano, ed erano perfetti per stare insieme. Erano uno la forza dell’altra. Potevano sostenersi per impedirsi di crollare. Con la guerra alle porte, non avevano scelte: dovevano continuare a credere nel legame che li aveva uniti.
È questo, quello che ci rende diversi da Voldemort
- Harry?-
- Sì?-
- Comunque vada..-
Harry sollevò la testa e le sorrise. In quel sorriso, Ginny vide una forza nuova. Era il sorriso di un ragazzo che aveva subito delle perdite dolorose, ma credeva ancora nell’amore, credeva ancora in un futuro migliore. Credeva nella vita.
-..comunque vada!-
 
 
 
 
 
 
 
Hermione era seduta sugli spalti del campo da Quidditch. Non aveva la più pallida idea del perché le sue gambe l’avessero condotta proprio lì. Forse perché quel campo le ricordava Fred. Forse perché le ricordava gli anni passati a fare il tifo per i Grifondoro. Forse perché aveva il sospetto che non avrebbe più assistito a una partita.
Aveva appena incontrato Harry. Stava partendo con Silente per andare a cercare un Horcrux. Dopo l’incontro con il migliore amico, Ron si era precipitato in Sala Grande. Il cibo lo avrebbe distratto. Hermione, invece, aveva bisogno di aria. Stava per succedere qualcosa, lo sentiva nella pelle. Lo vedeva nelle nuvole.
Hermione lasciò vagare lo sguardo verso il centro del campo. Nella sua mente presero forma le immagini di una vecchia partita contro Serpeverde. Rivide Fred precipitare dalla scopa, dopo essere stato colpito dal Bolide di Tiger. Per un momento, aveva temuto che fosse morto. Quanto poteva essere simile, quella paura, a quella che stava provando in quel momento?
Strinse fra le dita la cravatta che si era sfilata in un impeto di rabbia. La soffocava, le stava stringendo la gola. Doveva toglierla. I suoi occhi focalizzarono le strie rosse e dorate della stoffa. Sarebbe tornata a Hogwarts? Stavano per morire tutti?
Un tuono scosse l’aria attorno a lei e Hermione lo prese come una risposta fin troppo chiara.
La tempesta stava arrivando. La guerra si avvicinava. La morte stava chiamando.
All’improvviso, senza che riuscisse a rendersi conto dei suoi stessi pensieri, il sorriso di Fred scintillò nei suoi ricordi, insieme a ciò che le aveva detto l’ultima volta che l’aveva visto.
“Quando hai paura, pensa a me. Pensa al sorriso che è soltanto tuo. Non scaccerà la paura, ma se non altro è qualcosa di meglio a cui pensare!”
Un sorriso affiorò sulle labbra tese di Hermione. Fred e la paura non erano mai stati parte dello stesso mondo. A differenza di lei. Lei e Fred erano parti nella somma del tutto.
Qualcosa ribollì nelle sue vene. Coraggio? Determinazione? Desiderio? Vittoria? Felicità? Aveva poca importanza.
Stringendo forte fra le dita la cravatta dei Grifondoro, Hermione alzò gli occhi verso il cielo e contemplò la tempesta in arrivo. Con uno sguardo, sfidò le nuvole a riversare su di lei la furia di quel temporale. Perché era pronta, pronta come non lo era mai stata. Aveva un conto alla rovescia da portare avanti, e aveva fin troppi conti in sospeso da chiudere con Fred. Non era ancora il momento di morire.
Hermione rivolse un sorriso al cielo e una goccia di pioggia le cadde sul naso. Involontariamente, scoppiò a ridere. Non sapeva nemmeno perché. E non sapeva neanche che, a miglia di distanza, una goccia simile era caduta sul naso di un’altra persona, che guardava il cielo in cerca di un segno. O di una sfida.
 
 
 
 
 
 
 
Quando la pioggia cominciò a bagnargli il viso, Fred decise di rientrare. Aveva sfidato il cielo per un tempo sufficiente. Non poteva permettersi di ammalarsi, ora che avevano così tanto lavoro da fare. Il padre era appena andato via dal negozio. Silente aveva avvisato l’Ordine di tenersi pronti. Per cosa? Per andare dove? Per combattere chi? Quando mai Silente rispondeva alle domande?
- Freddie, la pioggia è bagnata. Te l’hanno mai detto?- lo prese in giro George, quando lo vide rientrare con la camicia zuppa e il viso madido di pioggia.
- Bagnata e affascinante!-
- Come sei romantico, Fred..- borbottò George, chiudendo la cassa con un colpo di bacchetta.
Nel giro di pochi secondi erano alla Tana. Si Smaterializzarono nel cortile, a pochi passi dall’entrata. Fred fece un passo avanti, ma George lo prese per una spalla.
- Secondo te cosa intendeva Silente?- chiese preoccupato.
Fred arricciò le labbra. – Non lo so. Ma non promette niente di buono!-
- Senti, c’è una cosa che devo dirti..- mormorò George, torcendosi le mani.
Fred avvertì la serietà del discorso e fece l’unica cosa che un Weasley degno di essere un gemello poteva fare: l’idiota.
- Angelina è incinta?- scherzò.
George impallidì. – Come fai a saperlo?-
Fred scoppiò a ridere.- Ok, fine degli scherzi!-
George rimase serio per un po’, poi seguì il gemello in una risata. – Prenderti in giro è come sprecare fiato!-
- Il lato negativo dell’avere un gemello!- commentò Fred, poi tornò serio. – Cosa volevi dirmi?-
George azzardò un sorriso. – Non fingiamo di non sapere la verità. La guerra è arrivata!-
Fred annuì serio. – Non ha senso negarlo –
- Bene, vedo che siamo d’accordo. Se mi capita qualcosa..-
- George, non dirlo nemmeno per scherzo!- lo interruppe lui, mentre una rabbia sconosciuta prendeva il sopravvento nelle sue cellule.
George gli posò una mano sulla spalla con un sorriso. – Se mi succede qualcosa, ti prego, prenditi cura di lei –
Sospirando, Fred annuì. – Farai lo stesso per me?-
- Tu non morirai!-
- Lo farai sì o no?-
George annuì. – Sì –
- Non morirà nessuno dei due, Georgie!-
Si scambiarono un sorriso incoraggiante e si abbracciarono. Erano nati insieme, cresciuti insieme. Guardarsi era come riflettersi in uno specchio, per loro. Come potevano pensare di vivere senza l’altro? Erano praticamente identici, stessi occhi vispi, stesso sorriso malandrino. Erano arrivati insieme in quel mondo e se ne sarebbero andati insieme. Uniti e mai separati. Era la legge dei gemelli Weasley.
Prima di entrare in casa, richiamati dalla voce della madre, entrambi rivolsero uno sguardo al cielo.
- Penso che stasera abbonderò di dolci!- commentò Fred.
- Penso che ti seguirò..-
- E anche un bel bicchiere di Whisky Incendiario non ci starebbe male!-
- Facciamo due!-
Ridendo, entrarono in casa. Nessuno dei due ebbe il coraggio di esprimere quello che realmente avevano pensato guardando il cielo. In qualche modo, sapevano di averlo pensato entrambi. Loro sapevano sempre cosa frullava nella mente dell’altro. Ma dirlo ad alta voce era un’altra storia.
Perché, guardando la tempesta in arrivo, entrambi avevano rivolto al cielo una preghiera, diretta alle ragazze che amavano.
Se mi succede qualcosa, prenditi cura di lui
 
 
 
 
 
 
 
Sulla strada per Hogsmeade, Harry inciampò in una pozzanghera. Silente rivolse un’occhiata al punto imprecisato in cui doveva trovarsi il ragazzo coperto dal Mantello dell’Invisibilità.
- Stai bene, Harry?-
- Sì, professore!- rispose lui pronto.
Harry vide il villaggio avvicinarsi. Dovevano solo raggiungere e superare i confini di Hogwarts che impedivano la Materializzazione, poi sarebbero scomparsi. Dove li avrebbe condotti quel viaggio?
Sotto il cielo tempestoso, Harry si sentiva un punto insignificante e, letteralmente, invisibile. Poteva fare la differenza? Come poteva quel ragazzo smilzo cambiare le sorti del mondo?
Eppure, sembrava che il peso del mondo gravasse proprio sulle sue spalle. Era pronto ad affrontare il proprio destino. Sarebbe stata una lotta ad armi pari?
- Professore?-
- Sì, Harry?-
- Lei ha..ecco, paura della guerra?- chiese, rincuorato che Silente non potesse vedere il suo viso in fiamme.
Silente accennò un sorriso. – Solo uno sciocco non temerebbe le conseguenze di una avvenimento così tragico e doloroso come una guerra!-
- Per via della possibilità di morire?-
- No, Harry – rispose l’uomo, rivolgendo un sorriso al cielo. – Temeresti la tempesta, se sapessi che da un momento all’altro le nuvole potrebbero andarsene rivelando un cielo azzurro e limpido?-
Harry esitò un istante, un po’ confuso da quella strana domanda. – Ma io so che c’è il cielo, dietro le nuvole, signore –
Nemmeno Dudley avrebbe potuto dare una risposta peggiore..
- Esatto, Harry!-
Ah
- Come dice?-
- Hai colto il punto, ragazzo mio. Non abbiamo paura della guerra solo perché sappiamo che potrebbe strapparci via ciò che abbiamo più a cuore. Temiamo la guerra perché non abbiamo la certezza di poter portare la pace. Perché il destino di una guerra può terminare nell’oscurità o nella luce, nella sconfitta o nella vittoria. Io, d’altro canto, ho una visione molto ottimistica dell’universo, e credo sempre nella vittoria della luce. Ma, aimè, non possiamo prevedere il futuro!-
Confuso e rincuorato al tempo stesso, Harry disse: - Lei crede in me, signore?-
- Oh sì, Harry. Molto più che in me stesso –
- Perché? Insomma, sono solo..un ragazzo!-
- Hai sedici anni, ragazzo mio – rispose Silente, rivolgendo un’occhiata nostalgica e..triste, al cielo. – Alla tua età, quanti giovani maghi possono dire di aver fatto così tanto?-
- Non lo so..- mormorò imbarazzato.
- Io, sicuramente, non sono stato fra questi. Ricorda Harry, che le nostre scelte determinano chi siamo..-
-..molto più delle nostre capacità – concluse Harry, ricordando quelle parole che Silente aveva detto anni prima. – Quindi devo solo fare la scelta giusta e..combattere?-
- Devi essere te stesso. Fino infondo. Il resto, amico mio, arriverà con il tempo!-
Harry aprì bocca per chiedere spiegazioni, ma Silente lo zittì. Erano arrivati a Hogsmeade. Harry cominciava a chiedersi come avesse fatto Silente a zittirlo senza vederlo, ma i suoi pensieri furono interrotti dal braccio che il Preside allungò verso di lui.
- Non avere paura, Harry!-
- Non ho paura professore: sono con lei –
Perché Harry lo sapeva. La presenza di Silente era un’ancora a cui aggrapparsi. Prima di appoggiare la mano sul braccio dell’uomo, Harry ripensò alle sue parole. Era pronto a combattere? Era pronto ad affrontare il suo destino?
Temo che lo scoprirò molto presto
 
 
 
 
 
 
Dice l’Autrice:
 
 
Salve a tutti!
Eccomi qui con un giorno di ritardo. Chiedo venia! Dovevo pubblicare ieri sera, ma all’ultimo secondo mi sono messa a modificare un pezzo del capitolo e così ho rimandato a oggi pomeriggio!
Questo capitolo è particolare sotto molti punti di vista, spero che vi sia piaciuta questa idea di raccontare la guerra in arrivo attraverso gli occhi di  molti personaggi. Ecco alcune note che vorrei condividere con voi:
  1. Mentre scrivevo questo capitolo, ho tenuto in sottofondo la colonna sonora del settimo film (pt.2). Nello specifico, la musica che si sente mentre la McGranitt risveglia le statue per proteggere il castello. Mi ispirava tantissimo, perciò se volete potete leggerlo con questo sottofondo. È una musica che mi fa venire sempre i brividi!
  2. Ho deciso di aprire il capitolo con Neville e Luna, perché li considero due personaggi importantissimi, soprattutto nei confronti della guerra, per il loro passato e per il loro modo così particolare di affrontare la realtà. Ho deciso di chiudere con Silente e Harry, perché..be’, penso sia chiaro il motivo (come per Sirius, non scriverò la morte di Silente. Mi dispiace, ma proprio non ci riesco!)
  3. Ho condiviso anche i pensieri di Draco. Volevo affrontare la guerra anche dal punto di vista di chi l’ha voluta, anche se potremmo aprire una parentesi infinita sulle non-scelte di Draco! Ciò che penso di questo personaggio traspare molto nel trafiletto che gli ho dedicato (stessa cosa, poi, vale anche per gli altri personaggi!). Non fraintendete, è un personaggio molto interessante e anche se non degno di stima, viste le scelte che ha fatto, è un personaggio che attira molto la mia attenzione!
  4. Fratelli Canon: penso rispecchino tantissimo i gemelli Weasley. E come nel caso dei gemelli, nel libro, uno dei due muore, per l’esattezza Colin! Solo chi ha letto i libri può saperlo, perché nel film (come tante altre cose) questo dettaglio è stato escluso. Visto che li ho sempre adorati, ho deciso di parlare anche attraverso i loro occhi: due fratelli che si proteggono a vicenda, cosa che poi vedrete riflessa anche nel pezzo dei gemelli.
  5. Piton: se ve lo state chiedendo, sì: è il momento immediatamente successivo al celebre “Dopo tutto questo tempo?” “Sempre”. E non aggiungerò altro, perché altrimenti mi metto a piangere :D
 
Come sempre, le note stanno diventando più lunghe del capitolo! :D
Vorrei ringraziare due persone molto speciali che ho conosciuto in questi giorni e che hanno recensito la storia e mi hanno scaldato il cuore con parole dolcissime: ElyEchelon7 e Julia_Fred Wesley: grazie di tutto :)!
Inoltre voglio ringraziare davvero di cuore la mia socia di pazzie, Vany, e tutte le splendide ragazze che stanno recensendo con amore e costanza i capitoli! Ringrazio infinitamente anche tutte le persone che stanno seguendo/preferendo/ricordando e tutti quelli che stanno leggendo! Siete il motore di questa storia, non mi stancherò mai di ripeterlo!
Ora giuro che vi lascio! La parola passa a voi: che ne pensate di questo spiraglio un po’ triste e drammatico, ma anche un po’ romantico?
Grazie infinite a tutti!
Baci di Mielandia :)
Amy   
  
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