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Autore: shimichan    01/03/2014    4 recensioni
L'organizzazione nera è ormai un ricordo, ma cominciare una nuova vita sarà, per Shiho, tutt'altro che semplice. Cosa aspettarsi quando non si ha un passato alle spalle? Come affrontare un mondo che i suoi occhi non hanno mai conosciuto?
"Così, seppur con leggera esitazione, aveva ingoiato la pillola, dicendo addio ad Ai Haibara, cercando di dimenticare per sempre Sherry e aspettando di scoprire quale futuro il destino avesse in serbo per Shiho"
[Post Black Organization] [ShihoxHigo] [Accenni ShinRan]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Hiroshi Agasa, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. Nuove prospettive
 
Dicono che quando s’incontra la persona della propria vita, il tempo si fermi per permettere a quel momento di diventare indelebile.
Shiho, in qualità di scienziata, credeva solo ai fenomeni che si potevano dimostrare, ai fatti scomponibili e a quelli analizzabili in un laboratorio; perciò, nell’istante in cui i polpastrelli di Higo le sfiorarono delicatamente il palmo per poi chiudersi poco sopra il polso, avvertì lo stesso impaccio che si prova di fronte a qualcosa d’inatteso.
Cercò di aggrapparsi a qualche ricordo sulla gravità e la sua incidenza nel fluire del tempo, ma, ben presto, perse la concentrazione, come se la semplice presenza di Higo fosse riuscita ad inceppare l’ingranaggio complicato del suo pensiero.
“E questa è la mia amica Sonoko”.
La voce squillante di Ran li restituì ad una realtà che pareva essersi allontanata di colpo da entrambi.
Shiho ritrasse in fretta la mano, nascondendola nella piega del gomito, mentre Higo rispondeva all’inchino appena accennato di Sonoko con un cortese: “Piacere mio”, recuperando con qualche difficoltà la stampella caduta.
Una domanda sobillava la lingua di tutti senza che nessuno osasse formularla ad alta voce per timore di apparire maleducato, invadente o semplicemente perché la risposta non meritava interesse. Fu Misaki a sciogliere i dubbi.
“Ryusuke mi ha parlato molto di te, Kudo-san. È per questo che oggi sono venuto ad assistere alla partita, vorrei proporle di partecipare alla selezione per la seconda squadra dei Big Osaka!” spiegò, con una nota d’orgoglio.
Lo sguardo di Shinichi si mostrò un attimo smarrito, cercò rassicurazioni in quello di Higo e, trovatole, sparì dietro la linea delle palpebre. Non erano chiuse, ma semplicemente schiacciate dal suo largo sorriso.
Shiho riconobbe, nel modo in cui si massaggiava la nuca, l’opera dell’imbarazzo ed il disagio che si prova ad essere al centro dell’attenzione.
Lo giudicò fasullo. Conosceva abbastanza Shinichi da sapere che dietro ogni spigolo del suo carattere, la virtù celava un difetto, senza tuttavia riuscire ad accantonare troppo a lungo quello che lei sopportava di meno, l’arroganza.
Così, lanciata un’occhiata insofferente all’amico, dirottò la propria attenzione altrove.
Appostate all’entrata dell’edificio c’erano una ventina di persone.
Alcune guardavano nervosamente l’orologio, fumavano e parlavano, altre camminavano avanti e indietro -facevano cinque passi da una parte, poi li ricalcavano in direzione opposta.
Stavano tutte aspettando qualcosa o qualcuno, come lei, che desiderava solo tornare a casa, al suo confortevole niente.
D’un tratto la sua spalla si curvò debole sotto il peso della mano di Ran e, nel voltarsi, i suoi occhi si ritrovarono di fronte l’espressione stupita ed impaziente di Shinichi, su cui era scolpita la domanda ‘mi stai ascoltando?’.
A Shiho sembrò di avvicinarsi a quella scena da lontano, da un posto sfocato che già non ricordava bene.
“Che fai? Vieni anche tu?” ripeté per quella che il suo tono scocciato lasciava supporre fosse l’ennesima volta.
Intuì si trattasse di un invito e sapeva esattamente cosa fare.
Doveva chinare il capo, adottare una qualche scusa e rifiutare, ma Higo s’intromise con gentile prepotenza.
“Miyano-san, solo pochi minuti”.
Poi sorrise, in un modo che le tolse il coraggio di protestare.
 
 
Il locale più vicino distava appena una cinquantina di metri, così, seppur con qualche remora, Misaki consentì di ritardare la partenza, farfugliando qualcosa sull’approfittare dell’occasione per parlare con l’allenatore della squadra.
Conosceva Higo da quand’era adolescente e poche volte l’aveva visto imporsi su una decisione con tale fermezza. Gli venne naturale, quindi, interrogarsi sulla gioia evanescente che aveva colto nel suo sguardo, mentre osservava quello strano gruppo sparire oltre i cancelli, con i due giovani in testa, impegnati in una fitta chiaccherata e le ragazze dietro, chiuse in un mutismo forzato, benché Ran, orfana di Sonoko, cercasse di violarlo con qualche strascicata domanda.
Fin da bambina aveva imparato a vincere la timidezza e le ritrosie delle persone grazie ad una parlata spiccia e garbata, che, unita al suo carattere genuino, aveva sempre suscitato la simpatia di chi incontrava.
Invadere lo spazio in cui si muoveva Shiho, però, era un’impresa tutt’altro che semplice.
Contemplava il mondo con uno sguardo inespressivo, quasi i suoi occhi fossero due specchi che riflettevano la realtà senza capirla e, forse, senza vederla davvero.
Dava, infatti, l’impressione di vivere prigioniera in un luogo, dove qualche sconvolgente e indimenticabile evento aveva conferito colore a tutta la sua vita, rendendola insofferente verso quanto la circondava ed affascinante per chiunque l’incontrasse.
Ran non faceva eccezione. Ne subiva il mistero, ma, allo stesso tempo, ne era intimorita.
Ogni parola le moriva in gola appena la incrociava, come se nulla di quello che avrebbe detto o fatto potesse davvero valere lo sforzo di essere contraccambiato. Riusciva ad articolare qualche frase solo in presenza di terzi e comunque evitando accuratamente di guardarla tant’era la soggezione che le incuteva. Perciò, quando Shiho rispose “Bene”, lei non se la sentì di chiederle altro e rispettò il suo silenzio, finché non raggiusero il caffè.
Higo aprì la porta, lasciando che le ragazze gli sfilassero davanti e si accomodassero ad un tavolo, mentre Shinichi faceva un cenno al cameriere. Questi arrivò dopo un paio di minuti, in cui Ryusuke non aveva fatto altro che studiare il volto serio di Shiho, dietro il menù, così fu costretto a dare una veloce scorsa al listino per ordinare, infine, un succo d’arancia.
Lei prese, invece, un thè nero, senza zucchero.
“Di che avete parlato tu e Higo-san?”.
Il giovane detective si premette due dita sulla tempia, puntò il gomito sul bordo di formica e rispose con il tono che usava di solito per ridimensionare le cose importanti o quelle che parevano tali. “Niente di che. Stava cercando di convincermi a partecipare al provino”.
“E c’è riuscito?”.
“Non credo. Il vostro amico è molto testardo” ammise l’altro, con velata di delusione.
“Già. Preferisce passatempi più macabri”.
“Portare alla luce la verità non è un passatempo macabro!” proruppe il detective, offeso, e sia Ran sia Higo si zittirono un’istante, prima di scoppiare in una risata trattenuta a stento tra i denti, che coinvolse anche un permaloso come Shinichi.
Shiho si distinse, suo malgrado, partecipando a quell’improvvisa ilarità con un sorriso incerto, che tradiva altri pensieri.
Come penetrare nell'intimo della gente? si chiedeva, infatti, osservandoli.
Era una dote o una capacità che non possedeva. Non aveva semplicemente la combinazione di quella serratura. Cercava, invano, di capire secondo quale meccanismo due perfetti sconosciuti potessero instaurare un legame tanto affiatato e in un lasso di tempo così breve e più ci ragionava, più si rendeva conto che quello doveva essere un altro aspetto della naturalezza che a lei mancava.
Non si era mai sentita "naturale", poteva impegnarsi per esserlo, ma sarebbero stati comunque tentativi striduli, perché impegnarsi per essere naturali è già di per sé una sconfitta.
La vivace conversazione venne interrotta dal cameriere, tornato a servigli.
Higo si scostò per non ostacolargli i movimenti e si addossò allo schienale, finendo inevitabilmente per incrociare gli occhi di Shiho ferma nella medesima posizione, dalla parte opposta del tavolo. Erano di un verde inteso, malinconici, occhi che forse avevano visto troppo e raccontavano di cose ambite e mai avute, incorniciati da uno sguardo che faceva desiderare di conoscere la parola magica da dire per avere accesso al mondo che c'era dietro.
“Piuttosto, Higo-san, quando è previsto il tuo ritorno sul campo? Gli Osaka sono in difficoltà senza il loro capitano”.
“Oh, è ancora presto. Devo iniziare la riabilitazione e poi si vedrà” sospirò. “Forse, però, i nostri discorsi stanno annoiando Miyano-san…”.
Il suo stomaco si avvitò su se stesso alla vista dell’espressione sgomenta di Shiho, ma Shinichi lo tranquillizzò, agitando una mano in aria. “Lei è sempre così”.
La replica della scienziata fu un rimprovero silenzioso, fatto di un’occhiata truce e di un lieve scrollo di spalle, mentre ruotava la tazza sul piattino.
Higo si morse, comunque, l’interno della bocca per timore di averla offesa. La verità era che non voleva vederla uscire dal locale per prendere una direzione ignota in questo mondo troppo grande senza aver avuto la possibilità di sapere di lei qualcosa in più, oltre al nome.
La fortuna sembrò girare in suo favore, quando, d’un tratto, scorto l’orologio a muro del locale, Ran balzò in piedi e la forchetta, che teneva in pugno, rigò la ceramica producendo un suono stridulo. “Shin è tardissimo!” esclamò, concitata. “Avevamo promesso di dare una mano al comitato per risistemare la palestra!”.
Il diretto interessato la fissò storto sopra il tovagliolo usato per pulirsi i baffi di cioccolato, ma non ebbe modo, o forse cuore, di contraddirla.
Così l’imitò, strascicando la sedia e rivolgendosi, poi, a Shiho. “A quanto pare dobbiamo andare”.
Lei, però, non si mosse. E questo diede ad Higo il coraggio d’intervenire.
“Miyano-san sta ancora bevendo il suo thè, posso aspettarla io…se è lo stesso”.
Le ultime parole furono accompagnate da uno sguardo che aveva qualcosa di supplichevole e, al contempo, risoluto.
“Per te va bene?”.
Shiho annuì e nel medesimo istante un brivido le percosse le ossa, manifestandosi agli occhi solo nei cerchi concentrici che si formarono sulla superficie liquida della tazza. Vi soffiò dentro.
Una folata di vapore le accarezzò le guance già congestionate dall’imbarazzo, rendendole ancor più rosee ed evidenti nel suo incarnato pallido, mentre cercava di ricordare quanto le aveva detto Shinichi il primo giorno di università.
Proprio come allora, però, quel ‘sii te stessa’ non l’aiutò, perché Shiho non si sentiva se stessa in nessun posto. Era un concetto ancora astratto, embrionale, troppo misero per sperare di costruirci attorno qualcosa; quindi rimase in silenzio, sorseggiando il thè per dissetare la sua gola secca di parole. Al contrario, Higo, di cose da dire e chiedere ne aveva fin troppe. Vorticavano nella sua testa in un moto disordinato cui doveva trovare un senso.
“Dunque…vai a scuola con Mouri-san e Kudo-san?” chiese, infine.
“No. Kudo-kun è il mio vicino di casa. La prima persona che ho conosciuto a Tokyo”.
“E...sei qui da molto?”.
Shiho avvertì una morsa stringersi attorno all’esofago, comprimerglielo, rubarle sottili, ma essenziali aneliti d’aria, fino a soffocarla sotto il peso di una nuova bugia.
“Dall’inizio dei corsi all’università” rantolò. “Biochimica”.
Sulla fronte di Higo comparve un reticolo di rughe, dovute alla sorpresa, che divennero solchi quando gli spiegò di aver scelto quella facoltà per seguire le orme dei genitori scomparsi e sentirli in qualche modo accanto.
Nessuna emozione particolare trapelò dalla sua voce, ma a lui sembrò ugualmente di aver scovato il primo arrugginito cardine di quella porta che la separava dal resto del mondo.
“Devi essere una persona speciale, Miyano-san”.
Shiho s’incupì. “Sentirsi speciali è la peggiore delle gabbie che uno possa costruirsi”.
“Non esserlo agli occhi degli altri” replicò, allora, con dolcezza, suscitandone un fremito di labbra, che, incapaci di controbattere, iniziarono ad ammorbidire la propria piega.
Sorrise come soltanto i veri timidi sanno sorridere. Non era la risata facile dell'ottimista né il rapido sorriso tagliente dei testardi ostinati e dei malvagi. Era il sorriso strano, inconsueto, che sorge dall'abisso profondo, buio, che è dentro di loro, il sorriso stanco di chi ha attraversato la tristezza, il dolore, la confusione e la perdita restandone segnato.
 
 
S’incamminò verso il Teitan, dopo averla salutata di sfuggita, tant’era stata veloce a sgusciare dietro l’angolo della strada, e per l’intero tragitto non riuscì a pensare ad altro. La sua mente stava riacquistando lucidità, ma tutte le immagini che l’attraversavano erano annichilite dal volto di quella ragazza.
Si chiama Shiho, si ripeteva, frequenta l’università, ha gli occhi verdi, non è di Tokyo, abita vicino a Shinichi Kudo.
Più la cantilena diventava famigliare, più largo era lo spazio lasciato al desiderio d’incontrarla nuovamente; così, quando Misaki abbassò il finestrino dell’auto scura parcheggiata davanti al cancello, indicandogli spazientito l’ora, Higo non ebbe esitazioni.
“Credo che rimarrò in città ancora un po’”.










Angolo Autrice
Salve! Scusate immensamente se ho paccato la settimana scorsa, ma non mi va la connessione internet da una settimana causa maltempo che ha fatto saltare perfino il router! Ora dovrebbero avermelo sistemato...quindi non dovrebbero esserci più problemi...almeno spero. -.-
In ogni caso: com'è il capitolo? Higo che ne approffitta, Shiho che non disdegna...mah, ci sarà da divertirsi! ;D
Scusatemi ancora e alla prossima (che, per scaramanzia, non dirò quando sarà...) XP

bye bye

 
  
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