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Autore: _Safyra    01/03/2014    3 recensioni
Wanda si era salvata. Adesso era rinchiusa in un altro corpo. Felice. Amata dall'uomo che non aveva mai pensato potesse innamorarsi di lei.
Aveva ricominciato una nuova vita, la sua decima vita, ed era ora di iniziare a godersela. Ad imparare che in quel mondo non esistevano soltanto la compassione, il dolore e l'indulgenza, ma anche il piacere, il desiderio... l'amore di una famiglia, di un uomo.
Non sapeva che là fuori, oltre quelle caverne e quel deserto, c'era un mondo pronto ad accoglierla.
Wanda non sapeva nemmeno di essersi fatta un altro nemico... Ma non c'era fretta. Doveva scoprire molte altre cose oltre a quello.
Dalla storia:
Incrociai lo sguardo di Ian per un interminabile istante. Un istante interrotto da un colpo di scena.
Rimasi impietrita quando vidi esplodere il capannone che avevo di fronte.
Avevo cantato vittoria troppo presto [...]
Avevo promesso. Non lo avrei mai abbandonato.
«Wanda... non c'è più niente da fare, capisci? È andato ormai» singhiozzava Brandt dopo avermi preso il volto fra le mani.
«No» dissi «No. Ian non è morto»
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian, Jared, Melanie, Quasi tutti, Viandante
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Up In The Sky - the serie '
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10



Amiche

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Aprii la porta ed incontrai Melanie, intenta ad osservarsi nel grande specchio della toilette.

«Hai provato a telefonare di nuovo?» le domandai mentre mi lavavo le mani, guardandola dalla superficie riflettente.

«No.» sospirò, tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans il cellulare per verificare che non ci fossero chiamate perse da parte di Jeb.

«Pensi sia successo loro qualcosa?» mi chiese poco dopo, appoggiandosi con un fianco al lavandino, mentre io mi asciugavo le mani.

Sinceramente non sapevo come risponderle. Una parte di me stava vivendo quei momenti di attesa con tutta calma, un'altra invece sembrava troppo propensa all'ansia e alla paura per poter anche solo pensare di tranquillizzarsi. E la cosa non poteva che mettermi in difficoltà, specialmente se dovevo rispondere ad una domanda del genere.

Non volevo dire a Mel che ero un po' preoccupata, anche perché lei lo era già di suo e non mi sembrava il caso di demoralizzarla ulteriormente.

«Io mi fido di Jeb. Mi fido anche di Kyle e so che non si caccerebbero in situazioni irrisolvibili.» tagliai corto, abbracciandola per nascondere il velo di nervosismo che d'un tratto oscurò il mio viso.

Chiusi gli occhi, inspirando quel profumo che fino a poco tempo prima era stato pure mio.

«Anch'io mi fido.» mormorò, stringendomi ancora di più a sé prima di allontanarsi e incrociare di nuovo il mio sguardo.

«Sembri diversa ultimamente...» aggiunse, cambiando argomento e tono di voce.

Sbattei un paio di volte le palpebre, quindi alzai un sopracciglio, incuriosita dal perché mi trovasse... diversa, ecco.

«Ah, sì?»

«Sì.»

«E perché?»

Mel titubò, poi scosse la testa in segno di dissenso. «Non lo so.»

Sorrisi di nuovo, sinceramente sorpresa dalla sua osservazione, poi uscii dal bagno con lei al seguito.

«Ah, Wanda... per quello che è successo poco fa...»

Sbuffai non appena iniziò a parlare dell'incidente di poco prima, al supermercato. «So che per te potrebbe essere una stupidaggine, ma...»

«Mel...» la interruppi, senza smettere di camminare verso la porta che divideva i servizi dalla zona bar dell'autogrill.

«Io voglio solo evitare casini. Tutto qua.» fece spallucce, ostentando un'espressione innocente davanti alla mia irritazione.

«Prima ce ne andiamo, più sicurezza avremo di evitarli davvero.»

D'un tratto fui investita dall'inconfondibile odore di caffè e panini, cose che, stranamente, non mi mettevano molto appetito – sebbene fosse ora di pranzo.

«Mmh...» bofonchiai, prima di scorgere Aaron e Brandt vicini al bancone, per ricacciare nello stomaco la bile che aveva provato a superare la gola. Quanto odiavo la nausea.

«Ci sono novità?» domandai ai due quando io e Melanie ci avvicinammo, appoggiando un braccio al banco.

Aaron finì il suo caffè, quindi si girò a guardarmi.

«No, purtroppo.» disse, senza essere poi così preoccupato. Neanche Brandt, intento a pagare il conto, lo sembrava. Il che mi poteva far pensare solo al fatto che entrambi confidassero nell'esperienza di Jeb e del gruppo in generale.

«Volete qualcosa?» ci chiese gentilmente Aaron, guardando prima me poi Melanie.

«Un caffè.» replicò tranquilla quest'ultima.

«Io niente, grazie.»

Mi voltai a guardare oltre la vetrata del locale il camion su cui stavano Jared e Ian. Il parcheggio era quasi deserto e anche il bar non sembrava così affollato.

«Raggiungo gli altri, ragazzi.» li avvisai, appropinquandomi all'uscita.

«Va bene.» mi sorrise Mel.

«Lei e Ian non possono stare lontani per troppo tempo. Comprendili.» borbottò Brandt ad Aaron, facendosi sentire anche da me.

Ridacchiai ma non replicai ad alla sua battutina: non ero in vena di sarcasmo.

Uscii dall'autogrill, immettendomi nel torrido parcheggio che lo circondava. Il sole era alto nel cielo: non una nuvola interrompeva il suo lento viaggio verso ovest.

Mi portai una mano sugli occhi per schivare i raggi del sole e raggiunsi il furgone.

Quando giunsi nella parte posteriore per salire dal retro tuttavia, qualcuno m'impedì di proseguire, prendendomi per i fianchi e imprigionandomi nella sua stretta ferrea. Un mezzo urlo si liberò dalle mie labbra un momento prima di essere sigillate dalla mano del mio aggressore.

«È così che ci si difende da un attacco inaspettato?» mi soffiò all'orecchio una voce che conoscevo molto bene, mentre alleggeriva la sua stretta su di me per lasciarmi muovere.

«Ian! Mi hai fatto spaventare...» lo rimproverai, dandogli un leggero spintone.

Mi voltai a guardarlo, inviperita, cercando di non dargliela per vinta nemmeno quando sfoderò quel suo sorriso che tanto adoravo.

«Perdonami, amore.» mi disse, cingendomi i fianchi. Sebbene avessi provato a resistergli, con quelle due parole riuscì ad avere la meglio su di me.

«Sei imperdonabile.» lo rimbeccai, facendo la finta offesa.

«Volevo solo verificare che le mie supposizioni fossero reali.»

«Quali supposizioni?»

«Quelle a cui ho pensato circa venti minuti fa, quando per poco quella pettegola di un'anima non rovinava tutti i nostri piani.» brontolò mentre mi faceva allacciare le braccia al suo collo.

Colsi l'occasione per dargli una sberla. Innocente, ma un po' meno leggera dello spintone.

«Ahi» gracchiò, contraendo il viso in una esagerata smorfia di dolore.

«Smettila con questa storia.»

«Dimmi che ho ragione e la smetto.»

Alzai un sopracciglio, per niente decisa ad assecondarlo. E il desiderio di dargli un altro ceffone si impadronì per alcuni attimi di me, anche se dopo cambiai idea.

«No.»

«L'hai voluto tu.»

Un sonoro sbuffo uscì dalle mie labbra, finendo prima di quanto pensassi perché Ian mi tappò di nuovo la bocca. Stavolta usando un metodo diverso. Molto diverso.

Feci per ricambiare il bacio, ma non appena sentii qualcuno accanto a noi tossire imbarazzato fui dissuasa dal farlo.

«Sarebbe bello farmi gli affari miei, lo so. Ma dato che non ci sono porte che possono aiutarmi nell'intento, sono costretto ad intervenire per contribuire al mantenimento della condizione di privacy a cui vi avrei sottratto se non mi fossi fatto notare.» disse tutto d'un fiato Jared, appoggiato, probabilmente da prima che io venissi, dall'altra parte del furgone senza essersi fatto vedere.

Il solo pensiero di lui che aveva ascoltato tutto quello che avevamo detto e fatto, mi fece arrossire violentemente.

«Scusa, Jared...» balbettai, staccandomi da Ian non prima di avergli lanciato un'occhiataccia.

«Figurati, Wanda. Fai finta che io non ci sia mai stato.» rispose, e dal tono mi parve che se la fosse presa.

O forse me lo stavo solo immaginando?

Fui riscossa dai miei pensieri dal suono familiare del telefono satellitare posto all'interno del camion.

«Ragazzi, il cellulare!» esclamai, entrando per raccattarlo.

Solo Jeb aveva il numero del satellitare. Solo lui.

«Wanda?» mi sentii chiamare da Ian, rimasto fuori. Io tuttavia non badai a lui: premetti un tasto e mi portai il telefono all'orecchio.

«Pronto, Jeb?»

«Wanda?» mi sentii chiamare dall'altra parte della comunicazione.

«Jeb? Jeb, sono io. Dove siete? Ci avete fatto preoccupare, credevamo vi fosse successo qualcosa e...»

«Wanda, sono Kyle. Jeb è qui con me, accanto a Trudy... I Cercatori ci hanno sorpresi mentre rubavamo in un magazzino.»

«Santo cielo. Ma state tutti bene?»

«Sì... sì, stiamo bene. Noi tre ci siamo dovuti allontanare dagli altri però...»

«Come sarebbe?» domandai, sotto lo sguardo di Ian e di Jared, che intanto erano saliti e si erano seduti difronte a me per ascoltare almeno in parte quello che potevano sentire dal satellitare. «È Kyle.» mimai con le labbra.

«Per impedire ai Cercatori di trovare il furgone abbiamo deciso di dividerci e di attirare la loro attenzione. Così gli altri sono scappati sul furgone evitando di correre altri rischi.»

Osservai sconcertata i visi confusi di Ian e Jared, che molto probabilmente non avevano afferrato quello che Kyle aveva detto.

«E adesso sapete dove sono finiti i ragazzi?»

«Non ancora... abbiamo appena imboccato l'autostrada e non sappiamo se siamo riusciti a depistare i Cercatori.»

«Vi stanno ancora inseguendo?» domandai, indecisa se preoccuparmi ancora di più oppure no.

«Forse sì. Senti, Wanda, non aspettateci alla stazione di servizio. Non sappiamo quanto ancora riusciremo a resistere o se faremo perdere le nostre tracce.»

«Non se ne parla, Kyle. Piuttosto che lasciarvi soli...»

«Te lo sto chiedendo per favore, Wanda. Se non ritornate nemmeno voi alle grotte, avremo solo perso tempo. Le scorte non saranno bastate e i ragazzi dovranno uscire e rischiare la vita un'altra volta.»

Alzai gli occhi verso Ian, che mi stava osservando come per riuscire a comprendere la causa che aveva reso la mia espressione triste e cupa.

Sapevo che Kyle aveva ragione, ma sapevo anche che non era giusto abbandonare lui, Jeb e Trudy. Sarebbe stato un gesto da egoisti e se lo fossimo stati di certo non ci saremmo trovati lì.

Kyle mi ridestò dai miei pensieri, gracchiando oltre la comunicazione che d'un tratto iniziò a scemare.

«Kyle, mi senti?» lo chiamai, senza comprendere le parole sconnesse che pronunciava. Riuscii a captare solo "fate così" e "non ti sento bene", poi più niente. Solo il tu tu che mi avvertiva del fatto che dall'altra parte del satellitare non c'era più nessuno.

«No, no, no...» Premetti dei tasti a casaccio e mi riportai il satellitare all'orecchio per verificare che Kyle fosse ancora in linea. Niente da fare.

«Cos'è successo?» mi domandò Jared, gli occhi neri dalla paura.

«Non lo so... un momento prima stavamo parlando e un momento dopo non siamo più riusciti a sentirci.»

«Non può cadere la linea. È impossibile.» replicò, prendendomi l'apparecchio dalla mano per controllarlo.

Ian si venne a sedere accanto a me, stringendomi piano un braccio. «Cosa ti ha detto, Wanda?»

Trassi un respiro profondo, tornando a pensare a quello che suo fratello mi aveva appena chiesto. Non potevamo abbandonarli...

«I Cercatori gli stanno alle calcagna e... e mi ha chiesto di non aspettarli.»

La fronte di Ian, in un primo momento solcata da rughe d'espressione che enfatizzavano la sua preoccupazione, divenne liscia, spianata, gli occhi solo un po' più spalancati del normale.

Scostai lo sguardo dal suo viso, voltandomi dall'altra parte per cercare di non piangere.

«Non ci possono obbligare.» grugnì Jared, impuntato a seguire tutt'altro piano.

«Che hai in mente?» gli domandò piano Ian, la voce leggermente incrinata.

«Dobbiamo metterci in contatto con gli altri, dirgli di venire a prendersi il nostro camion e farli scappare quanto prima a casa. Poi ci impegneremo a trovare Jeb, Kyle e Trudy.»

«È una pazzia.» replicò l'altro.

«Hai niente di meglio da fare?» controbatté Jared, a tono. «Abbiamo già perso Lily... vuoi che faccia la stessa fine tuo fratello o Jeb?»

Ian rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo. Quando mi voltai a guardarlo, lo vidi fissare un punto indefinito per terra.

«No, ma se dobbiamo fare come dici tu» cominciò, alzando la testa per incrociare lo sguardo di Jared «Wanda e Melanie dovranno restarne fuori.»

«No, Ian.» intervenni, scattando in piedi.

«Non voglio metterti in pericolo.» disse dopo essersi alzato come me.

«Già lo sono.»

Ian mi strinse le mani al suo petto. «Stavolta sarà diverso.»

Lo fulminai con la forza del pensiero, pensando ad un rapido modo per fargli cambiare idea sbattendogli la testa contro un muro.

«Ragazzi!» ci chiamò Aaron da fuori il furgone, correndo. Melanie e Brandt lo seguivano a ruota.

«Che succede?» ci chiese quando fummo abbastanza vicini.

Non è necessario dire che, non appena raccontammo a Mel e compagnia della telefonata di Kyle, ogni tentativo di Ian di allontanare noi due dalla squadra per precauzione si dimostrò vano.


§



Passò un giorno dall'ultima volta che avevamo avuto notizie dei tre. In mattinata Aaron era riuscito a parlare con qualcuno del secondo gruppo per avvisarli del fatto che quella sera avremmo nascosto il camion nel vasto deserto che circondava Phoenix, dietro una protuberanza che faceva al caso nostro. Ovviamente avremmo dovuto agire per forza di notte, soprattutto perché avevamo meno probabilità di essere visti da qualche occhio indiscreto.

E nell'attesa – estenuante come non mai – ci dedicammo alle ultime spese, quelle che da sempre facevamo per soddisfare le richieste dei bambini. Comprammo il pallone per Jamie, la maglietta di Superman e i pennarelli per i bambini di Lucina.

Sebbene la giornata sembrava trascorrere normalmente, nessuno smetteva di chiedersi se mai Jeb, Trudy e Kyle fossero ancora vivi, magari prigionieri dei Cercatori o peggio ancora se fossero diventati nuovi ospiti.

«Quanto vorrei farmi una doccia in questo momento.» borbottò Melanie, appoggiando la schiena alla poltrona su cui sedeva. Le sorrisi, compatendola più di quanto credeva, poi mi guardai attorno.

Al bancone un ragazzo serviva l'aperitivo ad una giovane, fissandola ogni volta che poteva senza però essere ricambiato: lei sembrava essere molto concentrata nel chiacchierare al telefono. Accanto a noi una madre a dir poco disperata tentava di zittire il suo bambino, che non smetteva di fare capricci perché non voleva bere il suo succo di frutta alla pesca, o forse alla pera.

«Era da tanto che non venivo a prendermi qualcosa in un bar.» commentai, sebbene quello fosse più che altro un pensiero concepito ad alta voce.

Mel si irrigidì appena sulla poltrona, guardando fuori dalla vetrata che avevamo vicino.

«Peccato che dovremo ritornare alla vita da "cavernicoli".» disse prima di bere l'ultimo sorso del suo caffè.

«Ormai ci sono abituata.» replicai, facendo spallucce. Sfilai il cellulare dalla tasca dei jeans, accendendo il display per verificare l'ora: le sei e mezzo.

«Cosa hanno detto che sarebbero andati a fare Aaron e Brandt?» mi domandò Mel, appoggiando i gomiti al tavolo. In meno di due minuti aveva cambiato posizione già cinque volte. Mi chiedevo se quello fosse l'unico modo che aveva per far trapelare l'agitazione che la rendeva inquieta.

«Non l'hanno detto.» le risposi, corrugando la fronte non appena concretizzai quel pensiero.

«Bene.»

Sorrisi di nuovo. «Dovresti rilassarti, Mel.»

Ciò che ottenni fu un'occhiata di traverso da dietro le lenti scure che le nascondevano gli occhi. «Stai scherzando, spero.»

«No, affatto.» replicai, appoggiandomi come lei al tavolo. «Solo in attimi come questi puoi prenderti un attimo di pausa.»

«Scusate, posso portar via?» ci interruppe una cameriera con un vassoio in mano, indicando le tazze che avevamo davanti.

«Sì, certo.»

«Grazie.» ci sorrise, un po' impacciata, mentre le prendeva e se ne andava per lasciarci nuovamente sole.

In quel momento il mio telefono vibrò sul tavolo, avvertendomi dell'arrivo di un messaggio, ma la mia attenzione fu più catturata dalle due anime che erano appena entrate nel locale.

Difficile non scambiarle per due Cercatori, dato che il loro abbigliamento, di un bianco immacolato, li rendeva riconoscibili per chiunque.

Un'improvvisa ansia mi inondò il petto, rendendomi rigida come un'asta di legno.

«Che c'è?» chiese Melanie, perplessa, prima di spostare lo sguardo nella stessa direzione in cui stavo guardando io.

Non appena li vide abbassò subito gli occhi, voltandosi verso di me per evitare di incrociare i loro.

«Merda.» imprecò, osservando un punto indefinito oltre la vetrata che avevamo vicino al tavolo.

Nel frattempo i due, un uomo giovane e alto, dal fisico asciutto e dai capelli biondo cenere, e una donna sicuramente non molto più vecchia di lui, si avvicinarono al bancone per sedersi su due sgabelli liberi.

Dall'aria dimessa e gli atteggiamenti disinvolti, sembrava che non fossero "in servizio"... A quel punto mi chiesi se i Cercatori avessero dei turni di lavoro da rispettare, o se fossero attivi ventiquattro ore su ventiquattro e mi pentii di non essermi mai voluta informare prima di scappare da quella che un tempo chiamavo casa.

«Dobbiamo andarcene.»

«Non credo di poter passare inosservata se porto degli occhiali da sole alle sei e mezza di sera, sai?» replicò Melanie, continuando a toccarsi i capelli per il nervoso.

Mi voltai a cercare un'uscita secondaria che non fosse troppo vicina al bancone o comunque che non desse troppo nell'occhio, ma l'unica cosa che trovai fu la porta della toilette.

Forse...

«Magari in bagno c'è un'uscita di emergenza.» le suggerii, passando in rassegna tutto il locale. Cosa che non avrei dovuto fare, dato che incrociai casualmente lo sguardo del Cercatore, che si era girato di novanta grandi per guardare in viso la sua collega. E poi me.

Tornai a guardare Melanie, come se mi fossi sentita bruciare dall'occhiata che mi aveva sempre casualmente lanciato.

«No...»

«Tu prova.» la incoraggiai. Mel trasse un respiro profondo e ancor prima che le potessi regalare un sorriso rassicurante, indossò la sua giacca jeans e si alzò dalla poltrona per poi incamminarsi verso la toilette.

Sospirai e rimasi ad aspettarla, notando che nel bar c'era molta più confusione rispetto a quando eravamo arrivate, ma soprattutto che il bambino del tavolo accanto aveva smesso di fare i capricci.

Decisi di tirare fuori qualche dollaro e metterlo sul tavolo per evitare di soffermarmi alla cassa.

«Non c'è nessuna uscita di emergenza.»

«Santo cielo, Melanie...» mi portai una mano al petto, presa dallo spavento che mi aveva appena fatto prendere «Non mi sono accorta che stavi ritornando.»

«Scusa.»

«Dai, andiamocene.» dissi prendendo lo zaino che portavo sempre con me. Ci facemmo strada tra i vari tavoli del locale e passammo accanto al bancone nella maniera più anonima possibile.

Mi misi sottobraccio Melanie e sorridendole finsi di non essere per niente spaventata dalla presenza dei due Cercatori a cui stavo passando davanti.

Mel in risposta mi prese il braccio, come se volesse accarezzarmelo, anche se in realtà lo fece più per strangolarmelo.

E un minuto più tardi eravamo uscite dal bar: camminavamo con passo spedito sulle strade illuminate di Phoenix.

«Mi è appena scoppiato il cuore dalla paura.» borbottò Melanie, sul viso l'ombra di un sorriso di sollievo.

Non so per quale motivo, ma a quel suo commento scoppiai sconsideratamente a ridere. E poco dopo anche lei venne contagiata.

Non ricordo di essere mai stata tanto terrorizzata come quella sera.

«Cosa ridi?» mi domandò, fintamente offesa.

«Niente...» sghignazzai «È solo che... per un momento ho creduto che mi avresti staccato il braccio!»

«Sarebbe stato il minimo che potessi fare per scaricare un po' di tensione, no?» blaterò, spingendomi scherzosamente.

Mi voltai a strizzarle un occhio e casualmente sempre e comunque casualmente – venni attirata dalle luci di una macchina che stava percorrendo l'inizio della via.

Non era una delle comuni auto che si possono incontrare così per strada. Specialmente se la stessa Lamborghini l'avevo vista guidare da quei Cercatori che mesi prima mi avevano fermata in piena corsa sull'autostrada.

Il mio sorriso si spense all'improvviso e un brivido mi corse lungo la schiena quando vidi la vettura accelerare nella nostra direzione.

«Corri.» ordinai a Melanie, che non aveva l'aveva per niente vista.

«Cosa?»

«Corri, Mel. Corri!»

E iniziammo a correre, percependo il rombo del motore di quella macchina avvicinarsi a noi sempre più velocemente.



Spazio autore:



Mi faccio schifo da sola. Davvero. Mea culpa.

Scusatemiiiiiiiiiiiii, ragazze ma sul serio non ho avuto il tempo di scrivere. Era da un mese che cercavo di finire questo capitolo per pubblicarlo, ma non ho trovato un buco che fosse UNO per potermi dedicare ad Up. Spero solo che nel frattempo abbiate ammazzato il tempo in cui siete rimaste ad aspettarmi e che il capitolo sia valso a qualcosa :)

E poi per farmi perdonare (per la trecentesima volta) vi ho fatto anche una sorpresina sopra! Vi piace??

Comunque, passiamo alle cose importanti. Com'è stato questo capitolo? Noioso, interessante? Vi state chiedendo che cosa succederà nel prossimo??

Ditemi, ditemi!

Ringrazio tutti i lettori che hanno messo la storia nelle seguite/preferite/ricordate e uno speciale grazie va a coloro che ogni tanto mi scrivono anche una piccola recensione (e anche a quelli che la scrivono per ogni capitolo <3 <3)

Love you so much <3

Sha

   
 
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