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Autore: SunriseNina    01/03/2014    1 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un cupo e maestoso turbine di suoni riempiva la cattedrale. Light inspirò, lasciando che le note dell’organo fluissero nel suo sangue: presto sentì Clérambault scorrergli nelle vene e dargli alla testa.
Lo stomaco gli si contorceva, le mani tremavano e gocce di sudore freddo gli imperlavano le tempie.
Aprì gli occhi e lo sguardo sofferente del crocifisso lo trapassò: che strazio disarmante quella disperazione religiosa, quella passione, quel comune calvario.
Si guardò intorno: decine e decine di capi chinati, supplici, che si sottomettevano al peso di quella musica.
Non resse oltre la spaventosa atmosfera di quel concerto religioso: uscì di soppiatto dalla chiesa, correndo lungo le pareti e cercando di slacciare il primo bottone dello stretto colletto.
Quel pomeriggio era stato particolarmente cupo: non aveva potuto stare da Eler per molto tempo data la fragile bugia usata come scusa, e la tensione di entrambi per motivi differenti aveva reso l’incontro abbastanza freddo. Lo aveva salutato con un paio di baci che esprimevano una triste tenerezza: non era colpa di Riou, ma di qualcosa di più alto. Una sensazione trascendente e inquietante.
Aveva cercato di collegarsi alla dimensione che lo stava richiamando con la musica di quell’organo, ma non aveva resistito che pochi minuti: in quel momento sentiva la terribile mancanza dell’altro, si sentiva in colpa per come lo aveva trattato.
Arrivato a casa aveva ormai maturato la decisione di tornare da Riou e cenare con lui, per consolarlo: si precipitò senza nemmeno togliersi il soprabito verso il salotto dei genitori. Avrebbe gentilmente declinato il loro invito a cena, magari dicendo che doveva recarsi a casa della fidanzata.
Spalancò con poca discrezione la porta del salotto entrando a passo di carica, ma si interruppe all’istante, vedendo che Sigismond aveva compagnia.
Mélisande, seduta dall’altro capo del tavolo rispetto a monsieur Dieunuit, si era portata la mano al petto per lo spavento: sul suo volto roseo e infantile era calata un’amara vergogna, e se ne era andata velocemente, zampettando sulle scarpette costose, rivolgendo un cenno timido a Light e un “Vi ringrazio molto di questa conversazione” a Sigismond.
I due uomini erano rimasti soli, uno in piedi e l’altro seduto: ed erano così simili e al contempo così diversi che vederli dall’esterno sarebbe stata una pietà. Il volto stanco e prostrato del padre, la cui calvizie incedeva senza tregua e i capelli si ingrigivano per le preoccupazioni, si scontrava contro la paonazza e irrigidita faccia del figlio, avvenente e turbolento: «Perché lei era qui?»
Le anziane sopracciglia si corrucciarono: «Non osare parlarmi in quel modo.»
Light si trovò costretto a fare un passo indietro: «Scusami, padre.» nonostante questo i suoi occhi fiammeggiavano ancora, desiderosi di spiegazioni: e l’altro lo sapeva bene.
Il vecchio sospirò, e fece cenno al figlio di sedersi davanti a lui, sulla stessa sedia da cui poco prima la ragazza era scappata: Light lo fece con diffidenza, senza interrompere il contatto visivo con l’altro. Presagiva qualcosa di terribile –e dopo quel che aveva visto in pochi secondi sarebbe stato difficile non farlo-, e voleva capire cosa stesse succedendo. I due non avevano mai avuto contatto in precedenza, parlavano a malapena in presenza di Light: di cosa avevano da ciarlare in sua assenza?
«Mélisande è venuta a parlarmi, Light.» cercava le parole adatte con tremenda difficoltà «La tua fidanzata è… sostanzialmente preoccupata. Per voi due, intendo. Lascia che ti spieghi, non parlare ancora: sappiamo tutti quello che sta succedendo, specie noi poliziotti capiamo bene quel che il nostro paese sta affrontando. Io ho molta più esperienza di te, Light, e percepisco ancor di più la gravità della situazione: ma l’amore ha fatto sentire le stesse cose alla giovane Mélisande. È davvero, davvero preoccupata, Light. E anche io lo sono.»
«Cosa ti ha detto?»
«Ha dei parenti che abitano nel Regno di Spagna che le hanno recentemente lasciato un’eredità. Pensava di vendere quei terreni per poter utilizzare qui il patrimonio, ma data la situazione attuale, i genitori la hanno convinta a dirigerla direttamente. Cercherò di andare al nocciolo della questione: ha ufficialmente chiesto a me e tua madre di potersi trasferire con te in Spagna. Tua madre ha fatto resistenza all’inizio, ma è ormai completamente convinta; e io non ho avuto dubbi.»
«Come puoi chiedermi di scappare così? Non è così che mi hai educato! In un paese in cui sta per scoppiare la guerra…»
«Proprio per questo, Light! Sei un soldato? Un poliziotto? Non aggrapparti a valori medievali che di sicuro io non ti ho insegnato. Ti ho detto di combattere per le tue cause, non di sacrificare inutilmente la tua vita, distruggendo i sogni della tua giovane sposa e le speranze dei tuoi genitori. Sarei un assassino se ti obbligassi a rimanere qui a Parigi, sapendo che potresti essere in un casolare tranquillo in un altro Stato disposto ad accoglierti.»
La Spagna. Non vi era mai stato, ne aveva un’idea vaga derivata dalla letteratura e dai racconti da salotto.
«Tutto questo non ha senso. E perché ne ha parlato con voi, non con me?!»
«Guardati! Ascoltati! Come avrebbe potuto una ragazzina come lei proporre questo a te, sapendo la reazione immediata che avresti avuto…»
«Appunto, padre! Una ragazzina che vuole decidere del mio futuro, che spera di aggirare la mia determinazione passando per l’affetto dei miei genitori!»
«Non sono un imbecille influenzabile, Light.» mormorò rabbioso il padre.
Il ragazzo si passò la mano tra i capelli, sentendo la fronte accaldata: «Non era quello che intendevo, e lo sai.»
«Abbassa il tono di voce, e ricordati che sì, Mélisande sarà una ragazzina, ma tu non sei da meno. Non guardarmi con quegli occhi, Light, sai che non è un’offesa: è la semplice verità. Ho più esperienza di te, ti sto proponendo qualcosa che so esser meglio per te. Un tempo ho fatto la stessa identica cosa che Mélisande sta facendo ora, e so di aver migliorato la vita di tua madre. Non avevo idea di quello che il paese avrebbe attraversato in una decina d’anni, ma ormai abbiamo l’età per non preoccuparci della nostra sorte.»
Il figlio lo guardava, apriva la bocca, la richiudeva senza proferir parola: qualsiasi pensiero si annodava confusamente nella sua gola e lì moriva, soffocandolo.
«Non posso obbligarti, è evidente. Ma sappi che ho intenzione di darti il tormento, fino a quando non seguirai tua moglie.»
Sigismond gli si avvicinò, prendendogli affettuosamente il braccio e stringendolo: «Tu non sei come me. Sono contento dell’esperienza di lavoro insieme, ma la tua bravura si dimostra nello studio, nei calcoli, nell’intelligenza. Fuori da qui puoi trovare qualsiasi cosa: pace, se è quello che cerchi; fama o importanza, perché sapresti distinguerti in qualsiasi posto se avessi l’opportunità di farlo; una famiglia, e ti assicuro che è la massima bellezza al mondo. Ma non qui, Light. Qui non c’è nulla, per te.»
Il ragazzo annuì velocemente, si divincolò con gentilezza dalla morsa di quella vecchia mano ed uscì dalla stanza: nel momento stesso in cui la porta si chiuse, lui crollò in un pianto nervoso e disperato.
 
 
 
 
Mélisande giocherellava timidamente con il cucchiaino. Erano seduti uno davanti all’altro ad un minuscolo tavolino, posto all’esterno della locanda in onore al sole radioso.
«Sei ancora arrabbiato, Light?»
Light non rispose, ma l’altra interpretò la sua espressione stanca come un cenno di arrendevolezza. Rincuorata, come se la sua mancanza fosse stata finalmente perdonata, cinguettò: «Vedrai che ti innamorerai della Spagna. È bellissima davvero.»
«Ci sei mai stata?» chiese lui con un vago scetticismo –non si curò di nasconderlo, data la poca comprensione dimostrata da Mélisande per il suo stato d’animo-.
«Più volte, da piccola! Dopo i monti, che non mi piacciono per nulla, la pianura è stupenda e con un bel clima… e si mangia così bene!»
«Quindi vuoi prendermi per la gola?»
«No, io intendevo… Ecco…»
Light ridacchiò: era così facile prenderla in giro, lo era sempre stato. In quel momento, però, la sua beffa non era sincera e sdrammatizzante, come tutte quelle che le aveva rivolto in quegli anni: era intrisa di cattiveria. Per qualche inspiegabile motivo, Mélisande non riusciva a cogliere la differenza di intenzione con cui quei piccoli scherzi le venivano rivolti: ridacchiò anche lei con aria fintamente offesa e sorseggiò il suo tè.
Improvvisamente una figura si avvicinò a lui, stretto in un vestito scuro e lugubre ma al contempo dignitoso, e si chinò verso di lui: «Light! Che piacere vederti.»
Il ragazzo sorrise imbarazzato, in leggera difficoltà nel riconoscere l’altro; accortosene, l’interlocutore gli diede una pacca sulla spalla: «Sono io, Theo Maxime.»
Lo osservò meglio, cercando di rievocare situazioni in cui avesse visto quel viso affilato dai lunghi e neri capelli:«Oh, certo! Eravamo compagni di scuola, giusto?»
«Esattamente. Scusami, avrei dovuto prevedere che non ti ricordassi di me.»
Light accennò un’alzata di spalle: «Purtroppo non riesco a riconoscere sempre i volti, ma non sto avendo molti problemi. I ricordi riaffiorano piano piano per associazione.»
«Io e i tuoi amici eravamo molto preoccupati che avessi scordato…»
Le mani di Theo si poggiarono docili sul tavolo; quella posatezza ricordò a Light i pallidi dorsi delle mani di Eler, e questo gli fece subito distogliere lo sguardo. Theo lo guardava alla s ricerca di un barlume di intesa, un guizzo di consapevolezza.
«Pensavamo che avessi ignorato la tua missione, ma ho saputo dei nuovi arrivi nel corpo di polizia… hai fatto un ottimo lavoro.»
Theo si allontanò con un sorriso superbo ma contenuto, con la camminata lenta e cadenzata di chi ha la situazione a proprio favore e rimira le proprie ignare vittime.
Nel momento in cui la sua alta e scura figura si fece meno distinta, un ricordo esplose nitido nella mente di Light: era la propria bocca che pronunciava quelle parole con decisione, quasi brama, e un’inspiegabile contentezza.
“Se volete ucciderlo, dovete coglierlo in mezzo alla mischia.”
La realtà gli crollò addosso, le immagini assopite di quella sera si ravvivarono nella sua mente come una brace su cui si gettano nuovi ceppi: e bruciava tutto il corpo, l’incendio divampava silenzioso nelle sue carni.
“Io lo porterò da voi.”
 
 
Osservò il proprio riflesso nello specchio: la camicia aperta, i capelli disordinati, e quel fagotto di vestiti puliti stretti sul petto. In un impeto di orrore per se stesso gettò tutti gli indumenti nella valigia ai suoi piedi, senza curarsi del fatto che si stropicciassero. Agli occhi di Mélisande sarebbe sempre sembrato un dio sceso in terra, e degli sguardi altrui in un mondo che non era sua non gli interessava.
Pensò all’odore cupo e umido dei boschi francesi, al frinire dei grilli e a quei ciottoli bianchi ai bordi dell’acquitrino: bianchi e accecanti come il dolore, come il piacere.
No, non se ne poteva andare da Parigi!
Infilò le mani con furia nella valigia, gettando manciate di vestiti sul proprio letto: la sua casa, la sua dannata casa era lì, non tra le braccia di un paese afoso e rozzo, costretto a tenere tra le proprie braccia quella stupida e imbellettata ragazzina. Voleva maledire il giorno in cui l’aveva conosciuta, in cui aveva sorriso alle sue melense lusinghe; e anche tutti gli amici che lodavano le sue guance morbide e le sue forme rosee… Che se la tenessero pure, frivola, inutile e rosa come un suino!
Ricordò con improvvisa intensità il sorriso di Eler, così contento di poter restare a Parigi, nell’inferno francese, accanto a lui.
Le sue ginocchia cedettero, e si ritrovò in terra piangente, accovacciato come un bambino.
Con che innocenza e semplicità Riou aveva pensato di potergli stare sempre vicino, di poter essere insieme nonostante tutto: qualcuno o qualcosa si era ovviamente adoperato a mandare all’aria ogni cosa. Nel petto del giovane austriaco, rimasto inerme e vuoto per così tanto tempo, si era accesa una scintilla che stava per essere immediatamente e crudelmente soffocata. Eler sarebbe stato lì dove lui aveva promesso di farlo trovare, fiero nel nuovo bardamento della sua figura, rassicurato dalla posizione di poliziotto. Si sarebbe lanciato nella mischia, avrebbe trattenuto i rissosi cittadini, avrebbe sparpagliato i più violenti e messo paura a chi si fingeva più spavaldo degli altri.
Quel che più raggelava il sangue nelle vene di Light era la cornice dei ricordi, che per quanto si sforzasse non riusciva a focalizzare completamente: come era giunto a promettere di portare Eler come vittima sacrificale? Lo avevano obbligato? In che stato d’animo si trovava per aver giurato qualcosa del genere?
Con se stesso era sincero almeno per un fatto: era assolutamente plausibile che avesse frequentato persone faziose, che di quei tempi erano automaticamente delinquenti. La sua avversità astiosa verso il Re non era un segreto per Eler, non lo aveva mai negato: anche se aveva dimenticato momentaneamente le riunioni rivoluzionarie, i sentimenti che lo avevano spinto a parteciparvi le prime volte erano rinati velocemente in lui, anche dopo il trauma cranico.
Ma era davvero così disumano da aver voluto consegnare proprio Riou a quelle persone?
La vergogna gli logorava il petto, e con essa una disperazione quasi nevrotica: la sua memoria era una massa nebulosa, come una fitta coltre di nebbia sul mare, in cui ogni tanto si intravedono i relitti di grandi imbarcazioni. Allo stesso modo il proprio passato si ripresentava a Light: come qualcosa di inquietante, mastodontico ma morto; il pesante spettro della propria vita.
Forse era destino, quella separazione. Forse era destino che Theo Maxime mettesse fine alla vita di Eler prima che lui potesse scoprire del tradimento di Light, e che Light avesse l’opportunità di scappare da sé stesso per chiudersi in una realtà inutile, ma anche priva di emozioni che lo potessero distruggere.
Sarebbe stato giusto? No, decisamente no. Ma nulla era giusto in quel mondo, né per lui, né per Eler, né per gli altri: se una qualche giustizia fosse esistita al mondo, il popolo non avrebbe sofferto la fame; lui non sarebbe stato messo alle strette da una donna che non amava e che non aveva mai amato, non avrebbe dovuto passare la propria vita con lei in uno Stato sconosciuto; ed Eler avrebbe vissuto una vita vera, una vita in cui gli fosse dimostrato amore almeno una volta, senza alcuna ritorsione, senza conseguenze. Era nato nella miseria, cresciuto nell’apatia e quando aveva trovato qualcuno –ed era lui, Light, l’unico che avesse avuto importanza nella sua vita-, questo mostro di persona lo aveva condannato a sua insaputa.
«Light?»
Il ragazzo si voltò, stranito dal pigolio che aveva interrotto i suoi pensieri: «Oh. Ciao, mamma.»
Lei fece un sorriso timido e rugoso. Quanti anni le si erano accumulati sulla pelle con una tale cattiveria? Cinquanta, ed era dir tanto; eppure quel viso era già così vecchio.
«Light, forse è stata colpa mia, della mia indifferenza a capire come sei sempre stato… ma devi capirmi, chi si sarebbe lamentato di un figlio ubbidiente e taciturno? Tutte le mie amiche mi invidiavano, tutte.» il labbro inferiore le tremò in quel sorriso triste
«Mi chiedevano che genere di disciplina ti imponessi, si complimentavano per come eri intelligente, educato, silenzioso. Forse è un consiglio tardivo, ma… per una volta, una sola, lascia perdere il resto. Lascia perdere tutti i tuoi ragionamenti che so che fai, tutte le complicanze. Se non segui ora l’amore, morirai senza averlo fatto. Scusa la mia durezza, non intendo spaventarti affatto.»
Lui si passò la lingua sulle labbra aride: «Tranquilla, non lo stai facendo.»
«Voglio solo che tu non faccia la scelta sbagliata.»
Light la guardò con rinnovato e inaspettato affetto: «Hai fatto così, quando sei venuta in Francia?»
Lei arrossì e dovette far un gran respiro prima di rispondere: «Sì, Light. E con tutta la sincerità possibile, ti assicuro che non ho mai fatto una scelta più giusta.»
Lui rimase immobile, fissando con insistenza il pavimento. La madre tossicchiò, sistemò il lembo della gonna e si diresse verso la porta a piccoli e timidi passetti.
Light alzò improvvisamente la testa: «L’amore non è per sempre, mamma.»
La donna rimase un attimo interdetta, la mano ferma sulla maniglia della porta e delle parole che le si fermavano tra le labbra; dopo alcuni secondi fece l’ultimo sorriso e gli rispose: «Niente lo è, ma di tutte le cose che non lo sono, è decisamente la più bella.»
Il figlio non poté fare a meno di sorridere, mentre quella frase faceva sentire il suo calore per le sue vene.
«Ho deciso che partirò.»
 
 
 
«Già qui, monsieur Dieunuit? Pensavo la partenza fosse prevista per questa sera.»
Light annuì allo stalliere: «Miss Mélisande intende partire il prima possibile.»
Il vecchio si grattò le ispide guance: «Oh, ma il cocchiere non è qui a quest’ora…»
«Non se ne preoccupi, gli abbiamo chiesto personalmente di recarsi a casa di mia moglie per la partenza anticipata.»
«Ah, giovani e sognatori, proprio non vedete l’ora di partire per la luna di miele!» bofonchiò lui con la sua gola roca.
Light gli rivolse un cenno di assenso, cercando di mantenersi il più controllato possibile: dentro di sé fremeva come non mai.
Aveva pochi minuti per mettere in atto il suo piano: doveva caricare tutti i bauli da solo e nel minor tempo possibile, per poi sfrecciare a Boulogne-Billancourt, unico punto dove l’ansa del fiume permettesse di raggiungere Versailles. Era il luogo dove tutti i cittadini sarebbero affluiti, dopo la polizia avrebbe bloccato il passaggio a tutti gli estranei alla riunione degli Stati Generali.
Sapeva dove abitava Eler in quegli ultimi giorni, sapeva dove avrebbe dovuto passare per intercettarlo prima che avvenisse il tumulto.
Governava in modo impacciato il carro, in preda all’ansia: i cavalli scalpitavano, trascinavano il cocchio facendolo sobbalzare sulle pietre sconnesse delle vie. La sua testa, che solitamente in situazioni simili si affollava di piani e strategie, in quel momento era dominata da un solo pensiero: raggiungere Eler e portarlo via. Non aveva la minima idea di dove sarebbero andati, ma nella sua mappa mentale aveva perfettamente chiari i posti che avrebbero dovuto fuggire: lontani da Parigi, dall’odiata Spagna, dalla temuta Austria. Per quel che gli interessava, sarebbero potuti andare in qualsiasi altro posto, anche nelle desolate lande norvegesi se era necessario.
Rise di sé e della propria confusione: in pochi minuti aveva individuato già decine di falle nel suo stesso piano. Mélisande la sera si sarebbe ritrovata senza carrozza, i suoi genitori avrebbero potuto cercarlo, lo stalliere e il cocchiere avrebbero potuto incontrarsi; insomma, nella migliore delle ipotesi aveva una manciata di ore prima che ci si accorgesse della sua fuga, e perché no, anche della coincidenza con quella di Eler.
«Ma a chi importa!» esclamò, dando una strigliata improvvisa ai cavalli che nitrirono scontenti.
Light mise a tacere i suoi dubbi e la sua razionalità: in quello slancio di coraggio doveva abbandonarsi all’istinto; e sapeva bene dove esso lo conduceva. Verso chi lo conduceva.
Improvvisamente vide una figura dai capelli neri e sbarazzini che camminava tranquillamente sul ciglio della strada; oltre ad essa vi erano solo un’arrancante vecchietta e un biondo giovane dall’aria frettolosa.
Si avvicinò di più per essere certo, e riconobbe definitivamente Eler: il battito del cuore gli riempì le orecchie, tanto che a malapena distingueva il proprio affannoso respiro.
«Riou!»
L’altro si voltò con l’espressione perplessa di chi si sente interpellato ma non capisce da chi; si guardò intorno per un paio di secondi, poi finalmente incrociò il viso di Light e gli rivolse un sorriso contento e stupefatto: «Che ci fai qui?» gli chiese, dopo aver trottato verso la carrozza.
Light cercò di rispondere sinceramente, ma le bugie fluirono dalla sua bocca senza che potesse fermarle: «Io, ecco... Volevo vederti e darti un passaggio!»
Eler lo ringraziò un poco stranito, ma con la sua solita indifferenza rispetto alla stranezza del genere umano; si abbarbicò accanto all’amante, cingendogli con discrezione il fianco, e il cocchio ripartì.
«Sarà un grande evento, non ti nasscondo di essere contento... anche se questa divisa è insopportabile. Quasi mi pento della mia scelta.»
Il silenzio nervoso di Light gli fece aggiungere con imbarazzo: «Ovviamente scherzo.»
Light accennò un sorrisetto che scomparve in meno di un secondo: fissava la strada, le mani strette intorno alle redini con le nocche bianche dalla tensione.
Stava portando a termine la sua missione di boia, portando il condannato al patibolo?
Il prigioniero, per intelligenza o per l’aura torva della morte che si avvicinava, iniziò a fare domande al carceriere: «Perché non c’è il tuo cocchiere, Light? Come mai non mi hai avvisato prima che venivi, sarebbe stato molto più comodo.»
Non lo chiedeva esplicitamente, ma era chiaro che ad Eler interessava il motivo vero per cui l’altro era lì, non quei futili particolari. Capiva che qualcosa di più grande, e probabilmente più grave, si aggirava sotto quei gesti scomposti e improvvisati.
Light sentiva la pelle di tutto il corpo velarsi di sudore per l’agitazione: cercava di convincere la verità a rivelarsi, ma questa non faceva che torcergli lo stomaco, rifiutandosi di farsi pronunciare.
«Ti va di venire con me a fare un giro al posto di andare a questo noioso evento?»
Gli enormi occhi di Eler si spalancarono ancor di più: «Scherzi, vero?» Un sorriso non troppo convinto gli attraversò il viso «Su, Light. Sbrighiamoci o sarò in ritardo.»
«Ma è davvero così importante? Non sarà poi tanto un problema, se mancherai…»
«Sì, è solo l'incarico più importante da quando sono in servizio. Detto da un maniaco di precisione come te, poi… Sei forse ubriaco?»
Light scosse la testa e fermò la carrozza all’improvviso. Eler si voltò cautamente verso di lui, come se si preparasse a qualsiasi colpo sferrabile.
Si guardarono negli occhi: tra le loro iridi si innestò un fitto discorso, un disperato urlarsi addosso, mentre le loro labbra serrate fecero cadere il silenzio nella strada.
Le dita di Light cercarono quelle di Riou, che si ritrassero diffidenti: nel petto del giovane boia si aprì una voragine di tristezza e incomprensione. Provò il desiderio infantile e vergognoso di andarsene via e basta, scappare, nascondersi in un vicolo e piagnucolare finché qualcuno sarebbe venuto a raccoglierlo; e tutto sarebbe stato semplice, come una favola a lieto fine.
Ma non c’era un lieto fine nel posto in cui stava portando Eler: c’era solo un patibolo fatto di mani nascoste e rabbiose, ira contro un Re che nulla aveva a che fare con l’uomo che Light amava. No, non poteva lasciare che un’ingiustizia simile accadesse: Riou non era un nemico del popolo francese, obbediva alla propria Regina, nel rispetto delle regole come il suo giusto paese gli aveva insegnato.

«Perché non vuoi che io vada verso Billancourt?»
«Vorrei che tu venissi con me.»
«Dove?»
«Non lo so, esattamente. Penso verso Marsiglia.»
«Per quanto?»
«Un po’, direi.»

Eler annuì: «Lasciami solo passare da casa. Questi vestiti sono scomodi e appariscenti.»
 
Scapparono così, senza chiedersi un perché. Ci sarebbe stato tempo, tanto tempo, per parlarsi; ma in quel preciso istante entrambi percorrevano la propria fuga, uno affianco all’altro, stretti ma senza toccarsi, ognuno irrigidito su se stesso: ripercorrevano le proprie vite, si chiedevano chi non avevano salutato e se qualcuno sarebbe loro mancato; si chiedevano se avrebbero mai più bevuto un tè come quello del loro locale preferito, o se avrebbero visto ponti più belli di quelli della Senna, e se lì sarebbero riusciti a darsi baci ebbri nella brezza notturna.
C’erano così tanti interrogativi: sulle loro teste gravava il destino, mescolato a una coltre di nubi sfilacciate.
Guardando l’orizzonte, Light si rese conto che solo due cose erano certe nel suo futuro, da lì in poi: quel pomeriggio ci sarebbe stato un acquazzone estivo, e lui ed Eler non si sarebbero più divisi. E a dirla tutta sul fattore meteorologico non era così certo.
Una mano pallida e delicata gli si posò sulla coscia: i suoi muscoli si allentarono, e finalmente, dopo tanti giorni di angoscia, ricominciò a respirare.

«Sarebbe meglio andare verso Toulon. Lasciamo perdere Marsiglia.»
«Sapresti arrivarci?»
Eler fece un’alzata di spalle: «Posso provare.»
«Dio!» esclamò Light con un ghigno incredulo «C’è qualcosa che non sai o non sai fare? »
«Dire di no ai tuoi stupidi piani, di solito.»
Risero un po’ entrambi. La vita sembrava terribilmente leggera.












Note Autrice.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che il susseguirsi veloce dei fatti non abbia reso brutto il capitolo. Spero vi sia piaciuto, e ancora di più che vi piacciano i prossimi, sono contentissima di essere arrivata quasi al completamento di questa fanfiction
A presto, grazie a chi lascerà una recensione, apprezzo sempre moltissimo i vostri commenti.

Nina.
   
 
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