Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
Segui la storia  |       
Autore: Artemide12    02/03/2014    2 recensioni
Sono passati venticinque anni da quando alieni e MewMew combattevano sulla Terra.
Ora su Arret – il pianeta alieno riportato alla vita grazie all'acqua-cristallo – dominano forze oscure che hanno interrotto qualsiasi contatto con il resto dell'Universo e costringono l'intera popolazione a vivere nell'ombra, schiava dei suoi padroni.
Nel disperato tentativo di ribaltare le sorti del pianeta, i cugini Ikisatashi e gli altri Connect fuggono e atterrano sulla lontana e ormai dimenticata Terra.
Ma quanto può essere sicuro un pianeta lontano anni luce se nasconde il proprio passato?
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Azzurra

 

Entrò nella stanza senza bussare.

La ragazza bionda alzò lo sguardo.

Aveva gli occhi rossi, ma era finalmente tranquilla.

Lei le si sedette accanto e le circondò le spalle con un braccio.

La ragazza bionda accarezzò la guancia dell'alieno bruno.

Era seduta sul bordo del letto.

Il bip costante dei macchinari era l'unico vero suono.

Il respiro del ragazzo si sentiva appena.

«Andrà tutto bene.» sussurrò lei.

«Mina è già completamente guarita mentre lui... è in coma da giorni.» spostò lo sguardo sul marito.

«Almeno ora è qui, non permetteremo mai che gli succeda qualcosa.»

La bionda si sforzò di sorridere.

«Pit e Opter sono ancora piccoli, come faranno senza genitori? E Kathleen...»

«Anche tu badavi ai tuoi fratellini, sono sicura che Kathleen ha preso il tuo carisma.»

Sbuffò una risata.

«Tu sei sempre stata brava con le parole.»

«Ognuno ha le proprie specialità.»

«E quella di Mina è avere sempre qualcosa di strano?»

«È sono guarita in fretta, è sempre stata di costituzione forte.»

La donna bionda tornò ad accarezzare la guancia dell'alieno privo di sensi scompigliandogli i capelli castani.

Quanto avrebbe voluto rivedere anche i suoi occhi color del miele.

«Era tutto così facile, una volta, così bello...»

 

Oro si appoggiò allo schienale della sedia da scrivania.

Continuava a fissare quell'unica, assurda, fotografia.

Erano lì, i dieci ragazzi intorno ai quali sembrava ruotare tutto.

Al centro c'erano suo padre Ryan e Kyle, il padre di Aisha e Sharlot.

E insime e loro le cinque MewMew e, incredibile ma vero, i tre alieni che fino a poco tempo prima aveva considerato esclusivamente nemici.

I suoi genitori erano vicino al centro del gruppo, a sinistra della leader, la MewMew dai capalli rossi. Suo padre teneva un braccio intorno alle spalle di sua madre che, sotto gli occhiali, era arrossita.

Alla loro sinistra, al margine della foto, c'erano Kyle e Mina, che sembrava ancora più bassa di quanto non fosse accanto al marito. Si levavano diversi anni, lo sapeva, ma erano sempre andati d'accordo.

Aveva visto tante volte quei quattro insieme.

Era il resto della foto a lasciarlo stupito e perplesso.

Era convinto che, dopo la fine della battaglia, le MewMew si fossero disperse e gli alieni non si fossero più fatti vivi. Quella foto dimostrava il contrario.

Poteva essere una specie di raduno, ma ne dubitava. Negli sguardi di quei ragazzi c'era una complicità di un gruppo unito, oltre che di persone che un tempo avevano combattuto insieme.

D'altro canto, lui stesso non riusciva a credere che dopo aver rischiato la vita e salvato il mondo, un gruppo così affiatato avesse potuto disperdersi.

No. Ovviamente no. Si erano tenuti in contatto. Erano rimasti vicini.

Ma... gli alieni?

A giudicare dalla data della foto, mancava poco più di un anno alla sua nascita, quindi la Terra stava già risentendo dei cambiamenti climatici. Anzi, ad essere precisi, proprio in quell'anno c'era stato l'Assemblamento.

Gli alieni c'erano? Erano in qualche modo implicati in quello che stava succedendo? Lo erano tutti?

Al centro della foto c'erano Strawberry Momoyma e l'alieno con i capelli verdi e gli occhi dorati che la abbracciava di dietro e sorrideva sornione.

Aprilynne e Catron non avevano esistato un attimo a riconoscere in loro i propri genitori.

E lo stesso valeva per i due accanto.

L'alieno dagli occhi viola affiancava composta la donna dai capelli corvini, a dir poco bellissima, che teneva le mani sul proprio pancione. Sempre prestando fede alla data, il bambino che aspettava doveva essere Silver.

Quelli più irriconoscibili erano gli adolescenti alla loro destra, nella parte sinistra della foto.

L'alieno aveva gli occhi arancione miele di Kathleen e i capelli castani di Opter.

La ragazza umana, invece, era bionda come Pit e, per esclusione, doveva essere Mew Paddy. Era a dir poco irriconoscibile. Era stato Catron ad identificarli come i genitori di Kathleen, perché faticava a crederci. Alla fine però aveva annuito convinta.

Lui ancora non riusciva a crederci. I suoi genitori e gli alieni erano rimasti in contatto fino a poco prima della sua nascita? O anche dopo? Erano spariti. Tutti e dieci. Un caso?

No, non era possibile. O qualcuno aveva dato loro la caccia o se ne erano andati volontariamente.

Forse entrambe le cose.

Ricordava come Ryan, suo padre, fosse in pensiero il giorno che sua madre era scomparsa praticamente nel nulla. Era come se lui già lo sapesse.

Lui era rimasto. A quanto pareva, a differenza di tutti gli altri, era rimasto con loro fino a tre anni prima. Ora come non mai sentiva la sua mancanza.

Ma perché non gli aveva mai detto niente? Perché gli aveva fatto credere che gli alieni fossero dei nemici?

Avevano progettato qualcosa insieme?

E se Aprilynne, Catron, Silver, Psiche, Kathleen, Pit e Opter – non aggiungere Raylene gli provocò una fitta di dolore – erano figli di MewMew e alieni, erano forse degli ibridi?

E allora perché si ostinavano a dire il contrario?

Si sfilò gli occhiali e li gettò di lato.

I suoi genitori potevano essere ancora vivi.

Volente o nolente, la speranza si era riaccesa dopo tutti quegli anni di rassegnazione.

«Oro! Oro!» strillò Caos entrando nella stanza.

Oro si alzò e si voltò verso il fratello.

«Che succede?»

«Non ci crederai mai!»

«Spara.»

«Indovina chi c'è alla porta?»

«Aisha e Sharlot?»

«E poi?»

«E poi non lo so!» fece una pausa «Raylene?» non poté fare a meno di chiedere, speranzoso.

Un'ombra attraversò il volto del fratello minore, ma poi scomparve.

«Il presidente!»

«Mi prendi in giro.» affermò.

«No! Parlo sul serio! Mr Evans è alla nostra porta e chiede di noi! Conosce i nostri nomi!»

Caos era un patito della politica fin da quando era piccolo. Marcus Evans, due volte presidente di ciò che restava degli Stati Uniti, era quello che per gli altri era il cantante preferito o l'idolo della TV. «Vieni muoviti!»

Oro seguì incerto il fratello fin nell'ingresso.

In piedi davanti alla porta chiusa c'era proprio lui, il presidente.

Oro rimase bloccato.

Si guardò intorno confuso, ma il fratello e le sorelle Akasaka ne sapevano quanto lui.

«...buongiorno...» fu tutto ciò che trovò da dire.

«Come ho già detto agli altri, lasciamo perdere le formalità Oro. Datemi pure del tu.»

«Cosa vi porta qui?» chiese Oro ignorando l'invito.

«Ho bisogno del vostro aiuto.»

«Non vedo come...»

«Ne ha bisogno!» il suo tono imperativo lo fece trasalire.

Conosceva quella voce, ne era sicuro! Ma dove diavolo l'aveva già sentita?

Alla televisione? No, lì aveva sentito sempre e solo il suo tono gentile, per quanto diplomatico.

Quella sicurezza era completamente diversa e lui la conosceva.

«Ha?» chiese intanto Caos.

«Arlene. Vi prego, non so quanto tempo abbiamo ancora.»

«Sta male?» chiese Sharlot.

«No, non sta male. Ma... spiegare è difficile.» li guardò uno ad uno «Vi prego, dovete venire.»

«Ci da un momento?» chiese Oro facendo segno agli altri di avvicinarsi.

L'uomo esitò, ma poi si arrese con un mezzo sbuffo e un cenno del campo.

I quattro si riunirono in cerchio.

«È una pazzia.» disse subito Aisha «Potrebbe essere una trappola. Rifiutiamo e seguiamolo.»

«Una trappola? Ma sai chi è quello?» la incalzò Caos.

«So che anche quel chimero aveva le sembianze di Psiche.»

«Ma Psiche è... quella che è.»

«Caos ha ragione, io dico di seguirlo.» lo spalleggiò Sharlot «La Garden non si vede da quasi un mese e nessuno sa che fine abbia fatto, quelli della scuola l'hanno sentita solo un paio di volte al telefono.»

I tre guardarono Oro, come in attesa di una sentenza.

«Seguiamolo.» disse dopo un po' il biondo, poi, vedendo lo sguardo risentito di Aisha, aggiunse «Ma teniamo gli occhi aperti e portiamo le armi.»

«Senza che se ne accorga?» chiese la mora. «È difficile.»

«Io metto le nostre nacchere nella valigetta del portatile. Voi due portatevi uno zaino e metteteci archi e frecce.»

Tutti e quattro annuirono e si voltarono verso l'uomo.

«D'accordo veniamo, dacci solo un minuto per prendere il computer.» disse Oro tornando nella sua stanza seguito da Aisha che aveva le sue armi e quelle della sorella.

Quando rientrarono Marcus vece finta di non vedere lo zaino della ragazza più grande.

Lo seguirono fin fuori dal grattacelo.

Li guidò fino ad una macchina argentata lucidissima apparentemente senza vetri o finestrini.

Sembrava un unico pezzo di argento liscio con la forma di un'auto.

Era il sogno di qualsiasi automobilista.

Dava l'idea di essere molto veloce.

«Ma che macchina è?» chiese Oro.

«La migliore mai costruita. Nessuna marca in particolare, prende il meglio da tutti. È unica, ma non irripetibile. Non sono un amante delle macchine, ma questa è proprio un gioiello.»

«Ma come si entra?» chiese Aisha.

«Sempre molto pratica eh?» l'uomo si avvicinò alla macchina e appoggiò la mano sul metallo, più o meno dove avrebbe dovuto inserire una chiave.

Il metallo si mosse come fosse liquido andando a formare le fessure degli sportelli.

Premette ancora la mano e lo sportello si aprì.

«Forza, salite.»

Lo sportello di richiuse.

Sul davanti, dove prima c'era solo metallo, si accesero delle luci.

I quattro erano rimasti pietrificati.

«Comincio a dare ragione ad Aisha.» borbottò Caos.

«Anche io!» confermò Sharlot arpionando il braccio della sorella.

«Finitela!» sbuffò invece la ragazza avvicinandosi alla macchina.

Premette la mano dove avrebbe dovuto esserci lo sportello per i sedili posteriori e quello si aprì.

«Avanti!» li incitò entrando.

Sharlot la imitò quasi correndo e Caso fece lo stesso.

Oro fu costretto a sedersi davanti accanto all'uomo.

«Lei è sicuro di essere Marcus Evans, il presidente?» chiese il biondo.

«Più che sicuro! Ma penso che lascerò il posto.»

«COSA?» urlò Caos.

«Se le cose vanno come credo ci sarà bisogno di me altrove.»

Calò il silenzio.

Davanti a Marcus non c'erano né volante né qualsiasi tipo di comandi di un'auto. Non c'era neanche l'autoradio.

I sedili erano di pelle bianca, senza neanche una cucitura, che si adattavano perfettamente a chi vi si sedeva.

«Non ci sono le cinture di sicurezza?» mormorò Sharlot, ma mentre lo diceva sentì che una strana forza attrattiva la teneva vicina ai sedili.

«Non c'è né bisogno.» le rispose Evans.

Dal metallo davanti a lui fuoriuscì quello che sembrava un volante senza la parte superiore e inferiore del cerchio.

La macchina sfrecciò velocissima, ma la cosa non sorpresa più di tanto i ragazzi.

«Ma da dove viene questa macchina?» chiese Oro, non trovando niente di meglio da dire.

«È il regalo di un vecchio amico.»

Arrivarono in pochi minuti, ma tutti e quattro erano sicuri che a piedi ci avrebbero messo almeno un'oretta.

Appena scesero dalla macchina si ritrovarono in un campo dominato solo dall'erba alta piuttosto secca.

Aisha rabbrividì.

«Non mi piace questo posto.» dichiarò. Il ricordo della prima notte che c'era stata, mentre inseguiva Abigal, era ancora vivido nella sua mente e solo ora capiva veramente cos'era successo.

Si diressero verso il vecchio fienile.

Aisha ricordava anche quello.

Si immobilizzò.

«È una trappola!» gridò.

Marcus si voltò verso di lei.

«Cosa te lo fa pesare?» sembrava sinceramente confuso.

«Quel posto! È lì che Profondo Blu ha ucciso Dalton!» indietreggiò afferrando il braccio della sorella e trascinandosela dietro.

Marcus parve colpito, il suo sguardo si dipinse di paura, poi di comprensione e pentimento.

«Avrei dovuto immaginarlo.» mormorò quasi tra sé e sé.

«Vi giuro che non è una trappola e se non vi fidate potete prendere le vostre armi, ma non ho nulla da nascondere, quindi vi prego lo stesso di seguirmi, ormai siamo arrivati.»

Sharlot si liberò dolcemente dalla presa della sorella maggiore e poi la prese per mano. Spostò lo sguardo sull'uomo e annuì.

Aisha impugnò l'arco, ma li seguì.

Si avviarono verso il fienile.

«Cosa intendeva dire con “dovevo immaginarlo”?» lo incalzò Oro stando al passo svelto dell'uomo. «Sapete chi è Profondo Blu?»

Evans rispose solo alla prima domanda.

«L'unico posto sicuro in cui nascondere qualcosa è la propria testa.» disse «Nel mio caso non vale neanche quello. Non sempre almeno.»

Oro si pietrificò sul posto e gli altri lo superarono, poi li raggiunse di corsa.

«Tu!» strillò «Sei tu l'uomo che mi pedinava! Quello sulla torre! Quello che mi segue da... da tutti questi anni!»

«Da quando tuo zio è scomparso. sì.»

«Perché?»

«Per proteggervi. Tutti voi.»

«Perché?»

Ma intanto erano arrivati.

«Non è il momento, ragazzi.» aprì la porta con un vecchio mazzo di chiavi.

L'interno era molto diverso dall'ultima volta.

Su una parete laterale era stato improvvisato un letto dall'aria non troppo scomoda, mentre sull'altra erano stati sistemati un tavolo e delle sedie.

Rannicchiata in posizione fetale sul letto c'era Arlene.

Dormiva, ma non sembrava molto rilassata.

Marcus si chinò su di lei e le sussurrò qualcosa nell'orecchio.

Lei aprì lentamente gli occhi e guardò i quattro ragazzi, non molto sorpresa.

Lui sussurrò qualcos'altro e lei annuì appena.

Le mise un braccio intorno alle spalle e la aiutò a mettersi a sedere.

Aveva una spessa coperta, ma la mise da parte.

Solo allora notarono il pancione.

E si sorpresero di non averlo fatto prima.

Oro, Caos e Aisha si guardarono senza capire.

«Non è possibile!» esclamò invece Sharlot «Solo poco più di un mese fa non eravate neanche incinta! E se lo eravate non si vedeva niente, quindi non potevate essere di più di tre mesi.»

Arlene sorrise.

«Sei sempre stata sveglia, Sharlot. Dov'è Kathleen?»

«Kathleen?»

«Non l'ho trovata.» rispose Marcus.

«Che vuol dire?» ringhiò Aisha «Che vuol dire tutto questo?»

«Io, non so bene come spiegarlo... ma il padre del bambino è Profondo Blu.»

«COSA?» fecero tutti e quattro.

«Lei come conosce Profondo Blu?»

 

Si mangiucchiò le unghie per l'ennesima volta.

E per l'ennesima volta una parte del suo cervello le ordinò di smetterla.

E non era perché fosse particolarmente volenterosa di abbandonare quel vizio.

Qualcuno le ordinava di finirla.

Era da giorni che andava avanti così.

Aveva anche considerato l'ipotesi di farsi vedere da un medico, ma aveva paura.

Sua madre era stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico perché continuava a ripetere avvertimenti sugli alieni per metà in inglese e per metà in una lingua sconosciuta.

Il punto era che sua madre si era dimostrata tanto pazza da non esserlo.

Tutte le sue stranezze avevano una loro logica.

Quella lingua inventata... lei l'aveva sentita parlare in quella lingua con il marito, suo padre, anche se poi lui aveva negato.

E lei aveva paura.

Paura che, se avesse detto la verità sulla voce nella sua testa, le avrebbero fatto fare la fine di sua madre.

In fondo, dal momento che non aveva chissà quanti amici e che il padre non era quasi mai a casa, non era impossibile fingere di essere ancora normale.

Suo padre era il segretario del presidente e ultimamente Mr Evans non c'era quasi mai e all'uomo toccava fare anche la sua parte.

Il problema era la scuola.

Convivere con una voce quasi incessante nella sua testa era un'impresa esasperante.

Perché era questo che le era successo. E andava avanti ormai da giorni.

Da quando c'era stato quel buio improvviso prima del tramonto e una specie di esplosione non lontano dal suo grattacelo.

Ma non era solo una voce.

Era come se avesse dentro la testa un'altra persona che solo lei poteva sentire.

Ma non era solo dentro la sua testa.

Era interamente dentro di lei.

Cercò di concentrarsi sul compito di chimica.

L'insegnate aveva avuto la geniale idea di fissare tutti i compiti della sua materia nello stesso giorno, in modo che non potessero sapere dagli altri cosa c'era.

Continuò a fissare il testo degli esercizi resistendo alla voglia di mettersi le mani tra i capelli.

Era un esercizio a crocette, quindi avrebbe anche potuto tirare a caso, ma proprio non sapeva dove mettere le mani.

Quando aveva cercato di studiare, il giorno prima, quel diavolo dentro la sua testa aveva reso impossibile concentrarsi.

«C»

Si guardò intorno confusa.

«C, E, A, C, B, D, F.»

Sgranò gli occhi.

No, ti prego non qui, lasciami stare, ti prego, ti prego.

«Sono le risposte. C, E, A, C, B, D, F. Avanti sbrigati, scrivi e consegna così ce ne andiamo.»

Ma che diavolo stai dicendo? Vuoi uscire dalla mia testa?

«Non saprei farlo neanche volendo, non ho idea di come ci sono finita qui dentro! Forza ora finiamo questo banalissimo compito e usciamo.»

Primo, non è affatto banalissimo, io sto impazzendo. Secondo, non parlare al plurale. Questo è il mio corpo, non il tuo! Chiaro?

«Smettila di urlare, tanto ti sento anche se sussurri dannazione, sento ogni tuo pensiero.»

E io i tuoi, credimi, è sicuramente peggio, i tuoi discorsi proprio non riesco a seguirli.

«Così ci fai solo perdere tempo. Scrivi: C, E, A, C, B, D, F.»

Come fai ad essere sicura? Hai buttato a caso?

«Certo che no! Sono roba da bambini di sette anni.»

Sei tutta matta tu.

«Guarda che non sono io quella che sente voci nella testa.»

Una sola.

«Scrivi!»

Sbuffò e si fece dettare di nuovo le lettere.

Poi si lasciò dire anche i rimanenti a risposta aperta.

Consegnò dopo tre quarti d'ora dalla consegna, a dispetto delle due ore e mezza messe a disposizione.

La professoressa la fissò come fosse matta e lei si trovò d'accordo.

«Guarda che non sei matta.»

Ha parlato quella che sta bene.

Uscì dall'aula sentendosi stanchissima.

Non riusciva ancora a credere che quella donna li avesse costretti a trattenersi a scuola anche dopo il pranzo.

Dall'ascensore uscirono due ragazzi.

«Ehi come ti butta Pam?»

Ringhiò.

Nel vero senso della parola.

E rimase pietrificata.

E da quando ringhiava?

«Scusa è colpa mia, è stato istintivo quando ho sentito la tua rabbia. Cos'hai di male il nome Pam?»

Nulla, ma è il loro modo di prendermi in giro.

«Perché?»

Pam Fujiwara era un'attrice molto famosa e anche una donna bellissima. È un modo per dirmi che sono particolarmente brutta.

«E perché tirano in ballo questa qui?»

Perché anche io sono una Fujiwara.

«Davvero?»

La figlia del fratello minore, fratellastro in realtà. Ma questo non lo sa nessuno quindi non andarlo a dire in giro.

«Tranquilla, non vado da nessuna parte senza il tuo controllo.»

Molto incoraggiante. Comunque, per concludere il discorso, visto che non ho voluto dire a nessuno come sono davvero imparentata con quell'attrice e, visto che lei ad un certo punto è sparita nel nulla, si sono fatti strane idee.

«Forte.»

Forte un corno.

«Guarda che non sei così male.»

Si voltò verso lo specchio dell'ascensore.

I capelli biondi erano chiusi in una cosa bassa infilata sotto il giacchetto.

Il viso era tempestato di lentiggini chiare che, sotto i vestiti, invadevano anche il resto del corpo.

L'unica cosa di se stessa che trovava bella erano gli occhi. Che poi erano l'unica cosa che veramente ricordavano l'attrice. Il taglio era leggermente diverso, forse più aggraziato, ma il colore era proprio lo stesso.

Purtroppo il resto del corpo non era all'altezza.

Portava un lupetto scuro molto largo che nascondeva la maggior parte delle forme e che scendeva dritto anche sugli anonimi jeans.

«Non sei così male.»

Guarda che li sento i tuoi pensieri che dicono il contrario.

«Uffa! È solo che non ti valorizzi.»

Ma fammi il piacere! Non sarei al pari della mia prozia neanche se mi vestisse il miglior stilista del mondo.

«Che scemenza, stare qui a parlare di vestiti mentre il mondo è in pericolo.»

Ecco, ora sono impazzita davvero. Ci mancavano solo i pensieri apocalittici.

«Guarda che»

Taci!

«Non potrei neanche se lo volessi! Non posso smettere di pensare.»

Si incamminò a passo di carica verso casa sua.

Non mi importa, taci ugualmente.

Spalancò la porta di casa e lanciò lo zaino sul pavimento, con rabbia.

Si gettò sotto una doccia gelata.

Non ce la faceva più.

Purtroppo né l'acqua calda né quella fredda riuscirono a sciogliere i suoi neuroni come fecero con il resto del corpo.

La voce nella sua testa rimaneva in silenzio, ma lei continuava a percepirne la presenza come qualcosa di estraneo.

«Come ti chiami?»

Isabelle.

«C'è una cosa che dobbiamo fare Isabelle.»

 

«Aspetta un attimo.» lo fermò Oro.

«Se questo Mark Aoyama è ancora vivo da qualche parte, allora potrebbe aiutarci, potrebbe dirci cos'è successo... dopo. E potrebbe dirci che fine hanno fatto le MewMew.»

Mr Evans lo guardò dritto negli occhi e annuì sicuro.

«È incredibile, dobbiamo dirlo agli altri prima che riparino l'astronave e ripartano.»

«Riparino l'astronave e ripartano? Così presto? Com'è possibile?»

Oro lo studiò confuso.

Conosceva anche le condizioni dell'astronave?

«Hanno trovato il materiale.» rispose rimanendo sul vago.

L'uomo sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa.

«La cantina del Caffè MewMew?»

Oro si scambiò uno sguardo con Caos, seduto dall'altra parte del tavolo.

Non rispose alla domanda, ma Mr Evans non sembrava attendere una risposta.

Aisha e Sharlot erano sedute sul letto accanto ad Arlene.

Era molto stanca, ma lucida.

«Continua a crescere.» disse mettendosi una mano sul pancione.

Malgrado tutto non poteva sopprimere il suo nuovo istinto materno e ormai si era affezionata al bambino.

«Cosa farete quanto nascerà? Ormai non dovrebbe mancare molto.» osservò Aisha.

Arlene annuì facendo oscillare i capelli biondi.

«Lo so, lo sappiamo. Non possiamo rivolgerci ad un ospedale rischiando di far scoprire che il bambino è... diverso. Io... non lo so, è successo tutto così in fretta. Speravamo che voi potreste aiutarci.»

Le due sorelle si guardarono.

«Un medico che sorvoli su tutto queste stranezze?» Aisha era fortemente dubbiosa.

«Aspetta!» si illuminò invece Sharlot «Silver! Lui è un medico.»

«È vero ma... i bambini di cui si è occupato sono “nati” in laboratorio, se la saprà cavare con un parto?»

«Tentar non nuoce.»

 

Si sedette ai comandi prendendo un lungo respiro.

«Cosa c'è?» chiese Aprilynne, e subito se ne pentì, intuendo la risposta.

«Avremo un pilota di meno per il viaggio di ritorno.» disse Silver abbassando lo sguardo.

Aprilynne allungò la mano fino a stringere il braccio del ragazzo e lui le sorrise debolmente.

«Io posso aiutarvi.» propose Abigal che condivideva la sedia con la verde.

«Tu?» fece Silver scettico «Ma se non sai neanche pilotare!»

«Imparo in fretta.»

Silver era ancora fortemente dubbioso.

«Cosa c'è?» lo incalzò Abigal, piccata, «Temi che io non ne sia capace? Oppure è una cosa che vale per tutti noi creati in laboratorio?»

«Smettila.» tentò di tagliare corto il ragazzo.

«Oppure temi che il mio stato emotivo sia troppo precario per una tale responsabilità?»

Gli occhi blu di Silver ebbero un guizzo involontario.

Gli stessi occhi blu di Abigal si accesero. «Beh, perché se è così potrei dire lo stesso di te.»

Il ragazzo dovette arrendersi sotto la mesta risata di Kathleen, seduta in braccio a Catron alle sua spalle.

«Anche io posso imparare e sono sicura che tu sia il miglior insegnate in circolazione.» aggiunse poi, ricomponendosi.

Silver sospirò. O forse sbuffò.

«D'accordo, ma se è così chiamate anche Psiche.»

«Allora anche Ethan e Riley» suggerì Aprilynne «Hanno 17 anni in fondo.»

«Riley li compirà il mese prossimo.» precisò Silver.

«Poco importa, più gente sa pilotare meglio è. Chiaramente ci alterneremo noi, ma in caso di emergenza potrebbero tornare utili.» Catron spalleggiò la sorella.»

«Anche Faith compirà 17 anni il mese prossimo.» puntualizzò Abigal.

«Ehi, non esagerate!» Scattò Silver «Vada per Ethan e Riley, ma Faith no e tanto meno Fosfor e Electra che hanno 16 e 15 anni, e poi loro sanno già pilotare gli sgusci.»

«Affare fatto.» concordò Aprilynne e Abigal si alzò subito per andare a chiamare i ragazzi.

Silver tenne lo sguardo basso.

«Cos'altro c'è?» gli domandò Catron abbassando la voce.

«Anche se abbiamo aggiustato l'astronave e riuscissimo a ripartire non andremmo molto lontano.»

«Perché?» fece Kathleen allarmata «Non c'è carburante?»

«Non è esatto. Quest'astronave non va con il carburante normale, ha bisogno di una diversa fonte di energia. Su Arret compravo al mercato nero dei globi.»

«Globi?» ripeté Kathleen.

«Sono delle specie di sacche più o meno sferiche di un particolarissimo tipo di plastica che contengono l'energia che serve a far funzionare l'astronave. È una specie di concentrato di vento solare. Sulla terra forse c'è ma è impossibile servirsene, specialmente se il pianeta è così degradato.»

Psiche si materializzò nella sala comandi.

«Questo vuol dire... che siamo ancora bloccati qui?» sbottò Aprilynne e la voce le si strozzò in gola mentre faceva del suo meglio per trattenere le lacrime.

«April, calmati, siamo tutti agitati, non...»

Aprilynne scattò in piedi.

«No! Non dirmi di calmarmi! Tu non la senti!»

Catron, come gli altri, non poté nascondere la sorpresa.

Si alzò in piedi senza però lasciare Kathleen.

«Cosa? Cosa non sento?»

«La sua voce... le sue suppliche. Sta morendo e io sono l'unica stupida che sembra sentirla!»

«Chi?» chiese Psiche che stava ancora ricomponendo i pezzi della conversazione che si era persa.

Sorprendentemente fu Catron a rispondere.

«La Terra.» disse in un sussurro appena udibile.

Aprilynne si voltò verso di lui con gli occhi spalancati.

«Anche tu?»

Catron si prese una lunga pausa prima di rispondere.

«Solo qualche volta, lo sogno.»

«Siete sicuri di stare bene?» chiese Kathleen passando lo sguardo da un fratello all'altro.

Aprilynne alzò un sopracciglio, seriamente dubbiosa e stava per dire qualcosa quando la porta si aprì e ne entrarono Abigal seguita da Riley e, a diversi passi di distanza, da Ethan.

«È vero che volete insegnarci a pilotare o era solo uno scherzo per farci venire qui?» chiese Riley, chiaramente al settimo cielo.

«Non era uno scherzo.» lo rassicurò Silver riuscendo a sorridere.

Riley gli saltò letteralmente al collo.

«Lo sapevo che non eri solo un'egoista!» l'istante dopo gli venne il singhiozzo.

Arretrò di un paio di passi.

«..ehm... senza offesa, ...volevo solo dire che pilotare è quello che avevo sempre desiderato.»

Psiche e Kathleen soffocarono una risata.

Silver si costrinse ad alzare gli occhi al cielo e far finta di niente.

«Prima cominciamo e meglio è.» disse, più a se stesso che agli altri. «Aprilynne, Catron, datemi una mano.»

Ma i due fratelli non lo stavano ascoltando.

Entrambi fissavano Ethan come ipnotizzati e lui spostava lo sguardo agitato da uno all'altra.

Quasi non riuscivano a distogliere lo sguardo.

«Ragazzi, si può sapere cosa avete da guardare?» fece Ethan a disagio e sempre più agitato.

Kathleen si avvicinò a Catron e gli strinse la mano.

Lui si girò all'improvviso, come distratto da quel contatto.

Aprilynne invece si avvicinò ad Ethan continuando a fissarlo.

«Cos'è?» la sua voce era un sussurro.

«Cosa?» fece il ragazzo, confuso.

«Quello.» l'indice di Aprilynne sfiorava il suo petto.

Ethan indietreggiò, ma Aprilynne si avvicinò di nuovo.

Il suo dito si illuminò come fosse fosforescente, seguito dalla mano e da qualcosa sotto la maglietta di Ethan.

Solo a quel punto il ragazzo sembrò capire.

Si sfilò una specie di ciondolo con appeso qualcosa che brillava.

«La luccioletta!» fece Riley, come fosse il suo giocattolo preferito.

 

Sharlot salutò Kathleen e poi chiuse la chiamata.

«Silver sa qui a breve.»

«Per breve quanto intende?» chiese Caos che giocherellava con della paglia.

«Vuol dire subito.» rispose la voce di Silver alle sue spalle. «Allora, avete interrotto la mia lezione di pilotaggio, quindi si può sapere cosa succede?»

«Credo di essere io il problema.» disse Arlene, seduta sul bordo del letto, mettendo da parte la coperta che teneva sulle gambe.

Silver si guardò intorno senza capire.

Ai suoi occhi quella era una normale donna al nono mese di gravidanza.

E non aveva senso che quei quattro l'avessero portato lì per una cosa del genere.

«So che sembra difficile credere, ma ha solo un mese.» disse la donna portandosi una mano sulla pancia.

«Come...»

«Beh, non è la sola cosa che dovresti sapere.»

 

Caliane si prese il mento tra le mani e cominciò a tamburellarsi il labbro con le unghie.

Odiava le procedure burocratiche, ma di certo non poteva evitarle.

«Io non capisco.» insistette una donna.

Profondo Blu alzò gli occhi al cielo, ma le fece segno di parlare.

«Prima ci dite che la Terra potrebbe rappresentare una minaccia e proponete di mandare una squadra ad eliminare il problema, nonostante ciò che è successo in passato, e subito dopo ci dite di non correre e di aspettare.»

Profondo Blu, più serio di quanto Caliane si aspettasse, studiò a lungo la donna.

«È vero.» confermò «Ho detto questo. Perché dobbiamo pazientare ancora quattro cinque giorni.»

«Perché?» questa volta a parlare fu il Cavaliere Blu, seduto tra Caliane e Profondo Blu, che però stava in piedi intorno al tavolo.

«Perché ci servono cinque giorni per ottenere il più potente e prezioso alleato che possiamo desiderare, anche se poi servirà altro tempo perché raggiunga l'età giusta.»

«Spiegatevi.» lo incitò di nuovo la donna, l'unica dei sette potenti del pianeta.

«Dobbiamo aspettare la sua nascita. Che avverrà tra cinque giorni.»

«Nascita?» il Cavaliere, come tutti, era sorpreso.

Profondo Blu annuì.

«Ho fatto delle... ricerche. Ho scoperto che eventuali ibridi tra arrettiani e terrestri sarebbero la specie più potente che l'universo possa conoscere.» evitò accuratamente di parlare come se già esistessero altri ibridi, rimase sul vago e sul teorico. «Se poi umano e arrettiano hanno un DNA particolare» e anche stavolta si mantenne sul vago «sarebbe davvero qualcosa di incredibile. Se poi l'arrettiano ha determinati poteri...»

«Stai parlando di te.» quella di Caliane non era né una domanda né un'affermazione. Lei era solo la guardia del corpo del Cavaliere Blu, non avrebbe mai avuto diritto alla parola.

Visto che né Profondo Blu né il Cavaliere le dissero qualcosa, però, tutti gli altri si guardarono bene dall'intervenire. Erano già abbastanza a disagio per l'imprevista, ma non del tutto sgradita, ricomparsa di Profondo Blu, non volevano certo metterselo contro.

«Esattamente.» rispose l'alieno «Sto parlando di mio figlio. Mio e di un'umana. La loro specie si è ridotta a poche migliaia di individui, mi è stato difficilissimo trovarne una con il DNA adatto.»

«E noi dovremmo aspettare che nasca e che cresca?» replicò il ragazzo biondo, visibilmente contrariato.

«Certo che no. Gli ho fatto un incantesimo. La sua crescita segue i ritmi che decido io. Quando raggiungerà l'età adatta la rallenterò in modo che duri il più a lungo possibile. Ecco perché la spedizione deve partire tra cinque giorni. Una volta nato qualcuno dovrà semplicemente andare lì, prenderlo alla madre, e portarlo qui.»

«E chi vorreste mandare su quel pianeta sperduto?» chiese un uomo con gli occhi rosso sangue.

Profondo Blu ci pensò, poi si voltò verso il Cavaliere.

«Cosa pensi che sarebbe in grado di fare la tua amica?» chiese spostando lo sguardo su Caliane.

«Penso che... farebbe il suo lavoro.»

Ma non ci credeva neanche lui.

Se Caliane fosse stata mandata sulla Terra avrebbe annientato la specie umana.

 

«Cosa c'è Silver?» lo incitò Marcus. «Qualcosa non va?»

«Il bambino sta bene, si direbbe sano e forte, ma è cresciuto troppo in fretta e non ha avuto tempo o modo di mettersi nel modo giusto.»

«Questo che vuol dire?» chiese Arlene rimettendosi seduta.

Silver la guardò negli occhi.

«Che anche quando arriverà il momento della nascita, e stiamo parlando di giorni, sarà necessario un cesario.»

Calò il silenzio.

«Ne sei sicuro?» chiese Oro avvicinandoglisi.

«Più che sicuro.» confermò il ragazzo.

«Accidenti.» commentò Marcus.

«Ma il bambino a che punto è?» chiese Aisha alzandosi dal tavolo intorno al quale Sharlot e Caos stavano dando fondo ai biscotti che avevano offerto loro.

«Che vuoi dire?»

«Mi chiedevo se fosse completamente formato.»

«Ne sono abbastanza sicuro. Certo, direi.»

«E tu sei in grado di fare un cesario?» fu Arlene stessa a chiederlo.

Negli occhi di Silver si lesse tutta l'agitazione.

«Io... ho fatto diversissime operazioni, tutte andate a buon esito, ma mai un cesario. Non so se...»

«Ne sarai perfettamente in grado.» la rassicurò Marcus. «Non ci sono prerequisiti migliori dell'esperienza.»

«Sì, ma... insomma tutto ciò che so me l'ha insegnato mio padre, non ho mai seguito nessun tipo di scuola e...»

«Silver.»

Il ragazzo guardò l'uomo negli occhi.

«Sincerità e modestia ti fanno onore, ma davvero credi che potremmo rivolgerci a qualcun altro?»

«No.»

Marcus si voltò verso Arlene che, seppur timidamente, sorrise.

«Davvero ti fidi di...» fece Oro.

«Mi fido di Marcus. E se lui si fida di te Silver, allora posso farlo anch'io. E poi l'hai detto tu, è questione di giorni e dovrà comunque essere un cesario.»

«Mi stai dicendo che... dovrei farlo subito.»

Arlene strinse forte la mano di Marcus, ma annuì. «Prima che cambi idea almeno.»

Silver fece un profondo respiro.

«D'accordo. Ma vi porto nell'astronave e mi serve qualcuno che mi aiuti. Di solito lo faceva Raylene, ma...»

si voltò verso Oro, ma lui scosse la testa.

«Io non sono la persona giusta, sono sicuro che Caos ne sarà molto più entusiasta.» e indicò il fratello che sollevò lo sguardo mentre un sorriso enorme gli si dipingeva sul volto.

«Magari!» esclamò.

«E posso fidarmi?» chiese il blu.

«Garantisco io.» lo rassicurò Oro.

L'alieno annuì. «Affare fatto allora.»

«Aspetta.» fece Marcus. «Perché non può aiutarti tua sorella?»

I ragazzi lo fissarono sorpresi. Era incredibile che sapesse tanto di loro, ma a quel punto li stupiva di più che quel “particolare” gli fosse sfuggito.

«Raylene...» Silver non riuscì a finire la frase e dovette distogliere lo sguardo perché gli altri non notassero i suoi occhi lucidi.

«Quando?» chiese l'uomo, gli occhi spalancati.

«Giorni fa.» fu Aisha a rispondere.

«No, aspetta. È Evelyn quella che è morta.»

«Lo sono entrambe.» fu di nuovo Aisha a parlare.

Macus non ribatté, ma qualcosa lo turbava.

 

«Fatto!» annunciò Catron uscendo con la sorella dalla sala macchine. «Silver aveva ragione, quella strana pietra può dare energia a tutta l'astronave. E credo anche che durerà molto più a lungo di qualsiasi globulo.»

«Se lo sapevo ve lo dicevo prima.» borbottò Ethan non troppo convinto.

«Ancora non ho capito dove lo avete trovato.» commentò Aprilynne.

Riley fece per dire qualcosa, ma poi ci ripensò.

«L'importante è che funziona.» tagliò corto Catron.

«Funziona benissimo.» confermò Aprilynne, poi si portò le mani alle tempie. «Voci a parte.»

«Ignorale.» le consigliò il fratello mettendole una mano sulla spalla, ma lui stesso sapeva che non era facile.

Psiche si materializzò nella stanza: i capelli completamente spettinati, ma il viso ormai sveglio.

«Ragazzi non ci crederete mai!»

«A cosa non dovremmo credere?» la incalzò Kathleen.

«A chi c'è di sopra.»

«mmm» fece Abigal «dev'essere qualcuno di interessante.»

 

Silver prese un lungo e profondo respiro.

«È tutto pronto.» disse, più a se stesso che agli altri. «L'anestetico farà effetto tra poco.»

«Anestesia locale?» domandò Marcus.

«Così ha voluto lei.»

Calò un silenzio teso.

Caos camminava per la stanza, agitato. Il grosso lo avrebbe fatto Silver, lui avrebbe solo dovuto dargli una mano.

«Cosa c'è, Silver?» la voce di Marcus era bassa e lontana, antica.

«Stavo solo pensando... quel bambino è... un ibrido, il primo.»

L'uomo gli mise una mano sulla spalla.

«Silver guardami negli occhi.» il ragazzo obbedì. «So che non è il momento migliore per dirtelo, ma...» non sapeva da dove cominciare «sì, il bambino sarà un ibrido, ma di certo non il primo.»

«Come? Ce ne sono altri?» i terrestri erano sorpresi quanto lui.

Marcus non distolse lo sguardo da Silver.

«Silver, tu e gli altri Ikisatashi siete tutti ibridi.»

«Che stai dicendo?»

«La verità.»

«E come lo sai?»

Sharlot, dal suo posto, azzardò l'unica ipotesi che ritenne possibile.

«Te l'ha detto Mark Aoyama? L'hai conosciuto allora?»

«Lo so perché...»

Tutti aspettarono in silenzio che finisse.

«Io sono Mark Aoyama.»

 

«New! Che ci fai in camera mia?» sobbalzò Nevery entrando nella stanza.

«Quel cristallo potrebbe durare troppo poco.»

«Come? Quale cristallo? Di che stai parlando?»

«Vieni con me, ti spiego tutto lungo il tragitto.»

«Tragitto? Dove andiamo?»

«Dobbiamo trovarne altri. Andiamo sulla Terra.»

«Tu devi essere matta. Ricordi com'è finita l'ultima volta?»

«Già, ma stavolta non c'è nessuno in pericolo. Dai, andiamo a torniamo, non se ne accorgerà nessuno.»

«E va bene.» sbuffò «Devo smetterla di farmi sempre convincere da te.»

«Smetti il più tardi possibile allora.»

New e Nevery si presero per mano e si smaterializzarono.

Ancora non immaginavano neanche cosa stava per succedere.

 

Era davvero piccolissimo.

Stava in una mano.

Quelle di Silver tremavano mentre lo soppesava.

Aveva un voluminoso ciuffo biondo umido e spettinato.

Teneva gli occhi serrati e quando aprì la bocca minuscola strillò con una voce acutissima.

Sentì Arlene cercare di spostarsi.

Silver diede il bambino a Caos, che da dieci minuti ripeteva ad alta voce cosa doveva fare come fosse una poesia.

Silver si impose di nuovo mano ferma e si affrettò a concludere il lavoro.

Il tempo volò mentre si costringeva a rimanere concentrato e non pensare.

Non pesare a quello che gli aveva detto quell'uomo.

Chi era questo Mark?

Oro non aveva avuto il tempo di spiegarglielo per bene e il poco che aveva capito non aveva senso.

Ibridi.

Quella parola gli rimbombava nella testa.

Possibile che loro fossero degli ibridi?

Era questo il motivo di tutte quelle loro... stranezze?

No, non era il momento di pensarci.

Ripulì il taglio ormai ricucito alla base della pancia di Arlene che lo guardava, vigile e in silenzio.

Il bambino strillava ancora, sembrava non trovare pace.

Caos era stato bravissimo. Più di quanto si aspettasse.

«Così dovrebbe andare.» disse, tanto per spezzare il silenzio.

«Sei il miglior chirurgo che esista.» commentò Arlene.

«Dici questo perché hai già avuto esperienza con dei cesari?»

Rise «No, ovviamente no.»

Bussarono.

«Si può?» chiese la voce di Marcus, … di Mark.

«Un momento.» rispose Silver recuperano tutti gli strumenti e mettendoli via, avrebbe dovuto sterilizzarli di nuovo.

Caos aveva ripulito il bambino ancora urlante e gli stava facendo i controllo che Silver gli aveva illustrato. Sembrava così paterno.

Silver andò ad aprire la porta comunicante con la stanza accanto.

Mark entrò subito.

«Sarà meglio spostarti nell'altra stanza.» disse Silver rivolto ad Arlene e lei annuì.

Il blu si voltò verso Mark. «Portala subito di là, prima che l'anestetico smetta di fare effetto.»

L'uomo annuì prese Arlene in braccio.

«Come stai?»

«Non lo so.»

«È stata bravissima.» li rassicurò Silver. «Vi portiamo subito il bambino.»

Mark sparì nella stanza accanto con Arlene tra le braccia.

«Hai fatto, Caos?»

«Sì. È tutto perfetto. Ha una voce acutissima.»

«Lo sento.»

Silver prese il bambino ora infagottato tra le braccia.

Lo studiò a lungo.

Alzò lo sguardo su Caos.

«Portala a sua madre, prima che la sentano persino sulla terra.»

Quando entrò nella stanza accanto e incontrò lo sguardo di Mark, Silver non seppe come interpretarlo. Vi si leggevano così tante emozioni diverse da lasciare spiazzati.

Decise di concentrarsi su Arlene che subito tese le braccia.

«È una bambina.» annunciò Silver dandola alla madre.

Subito la piccola smise di piangere, come se sapesse esattamente chi era la donna.

Arlene le accarezzò il viso, disegnando il contorno delle piccole orecchie a punta, l'unico segno che indicava quando fosse speciale.

Per la prima volta, molto lentamente, aprì gli occhi.

Erano di un azzurro abbagliante, vivo.

«Da noi,» disse cauto Silver «si usa che i genitori sussurrino all'orecchio del bambino il suo nome.»

Arlene guardò a lungo la bambina.

Poi, con estrema cautela e con fare materno, avvicinò al suo minuscolo orecchio le labbra, da cui uscì un sussurro dolce e soffice.

«Azzurra.»



Mi scuso tantissimo per il ritardo, ma ho avuto problemi con il computer e probabilmente ne avrò ancora. :(
Dal prossimo capitolo torniamo all'azione, intanto ditemi cosa pensate di questo. Ho frammentato un po' le scene per dare un effetto di continuità, tipo nei film, spero che non risulti confuso. per favore.
A presto, un abbraccio e voi cinque che mi seguite,
Artemide12

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Mew Mew / Vai alla pagina dell'autore: Artemide12